Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Il recesso ad nutum di s.p.a. a tempo determinato (di Carla Vasta)


Lo scritto affronta il tema dell’ammissibilità del recesso ad nutum da società per azioni a tempo determinato, ma dalla durata abnorme. Il disposto dell’art. 2437, comma 3, c.c. sancisce per le società costituite a tempo indeterminato e le cui azioni non siano quotate in un mercato regolamentato il diritto del socio di recedere liberamente, ma nulla dice in merito a quelle società il cui termine ecceda la durata media della vita umana. A differenza del disposto dell’art. 2285 c.c., in materia di società di persone, il legislatore non ha espressamente equiparato la s.p.a. a tempo indeterminato a quella costituita solo formalmente a tempo determinato. Il lavoro ripercorre le diverse interpretazioni che dottrina e giurisprudenza hanno fornito in argomento, per poi giungere a formulare delle note di commento alla pronuncia resa dalla Corte di Appello di Cagliari.

Withdrawal right without cause from a long fixed-term company

The paper addresses the issue of the admissibility of the withdrawal right without cause (ad nutum) from a fixed-term company, but with an abnormal duration. The provision of art. 2437, paragraph 3, c.c., of the Italian civil code establishes the shareholder’s right of exit without cause from an open-ended term company, whose shares are not listed on a regulated market, but nothing is said about those companies whose term exceeds the average term of human life. Unlike the provision of art. 2285 c.c., the legislator has not expressly equated the s.p.a. without term to that established for a very long fixed-term. The paper outlines the doctrinal and judicial interpretative findings on the subject, and analyzes the decision of the Court of Appeal of Cagliari.

Keywords: Very long fixed-term company – Withdrawal right – Shareholder’s right of exit without cause.

(Codice Civile artt. 1418, comma 1, 1419, comma 2, 2437, comma 4). (Codice Civile, art. 2437, comma 3). Il recesso ad nutum da s.p.a. a tempo determinato non può rientrare tra le cause statuarie di recesso previste dall’art. 2437, 4° comma, c.c., al fine di evitare il pregiudizio che un eventuale dissesto della società potrebbe causare al mondo del mercato, inteso come interrelazione tra imprese, consumatori e finanziatori (1). Per quanto concerne l’istituto del diritto di recesso del socio, non è possibile assimilare, con riferimento alle società di capitali, la società contratta per un tempo molto lungo a una società contratta a tempo indeterminato, in considerazione della eccessiva aleatorietà e delle numerose variabili che dovrebbero essere calcolate nel caso concreto, in mancanza di parametri oggettivi e predeterminati, per valutare quando la durata statutaria legittimi il recesso ad nutum del socio (2).   La Corte di Appello di CagliariI sezione civile Composta dai magistrati: Dott.ssa Maria Mura Presidente Dott.ssa Donatella Aru Consigliere Dott.ssa Emanuela Cugusi Consigliere relatore Ha pronunciato la seguente Sentenza Nella causa iscritta al n. 838 del Ruolo Generale degli Affari Civili Contenziosi per l’anno 2018, promossa da: A. F., nato a Milano il 12.03.85, residente in Fiorenzuola d’Arda (PC), elettivamente domiciliato in Cagliari, via Dante n. 69, presso lo studio dell’avv. Franco Tului che lo rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce all’atto di citazione; contro S. S.P.A., con sede in Cagliari, Viale Elmas n. 59/63, in persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione dott. Maurizio Pedrazzini, elettivamente domiciliata in Cagliari, viale Trento n. 86, presso lo studio degli avv.ti Gabriele Racugno e Dino Cagetti, che lo rappresentano e lo difendono, anche distintamente, in forza di procura speciale allegata alla comparsa di costituzione e risposta; La causa è stata tenuta a decisione sulle seguenti Conclusioni Nell’interesse dell’impugnante: “Voglia la Ecc.ma Corte d’Appello di Cagliari, ogni avversa istanza e domanda disattese, in accoglimento della presente impugnazione e per i motivi rappresentanti: I. dichiarare nullo ed annullare il Lodo arbitrale pronunziato dal Collegio Arbitrale, tra le su indicate parti, il 30 aprile 2018, comunicato il 7 mag­gio 2018; II. per l’effetto: 1. Accertare e dichiarare il legittimo esercizio del recesso da parte dell’Attore dalla Società S. Spa; 2. accertare e dichiarare il diritto dell’Attore quale socio receduto, essendo inutilmente decorso il termine del 16 maggio 2016, di cui all’art. 11 dello statuto della Società S. Spa, all’imme­diata liquidazione della propria partecipazione nella Società S. Spa; 3. accertare e dichiarare che il valore della [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. La posizione della dottrina - 4. I precedenti giurisprudenziali - 5. La posizione della Corte di Cagliari - 6. Commento - NOTE


1. Il caso

La controversia su cui la Corte di Appello di Cagliari è stata chiamata a pronunciarsi vede contrapposti un socio di minoranza, nelle vesti di ricorrente, che intende esercitare il diritto di recesso, e la società, che dello stesso recesso contesta la legittimità. La vicenda si dipana all’interno di una società per azioni non quotata, specializzata nella vendita all’ingrosso di prodotti farmaceutici e nella fornitura di servizi gestionali ai propri soci. Nel novembre del 2015 il socio di minoranza comunicava alla società l’inten­zione di recedere dal rapporto, avvalendosi della clausola statutaria che prevedeva il diritto di exit previa comunicazione centottanta giorni prima. Solo dopo più sollecitazioni, a settembre del 2016, la società rispondeva sostenendo che la richiesta avanzata fosse infondata e, pertanto, la relativa controversia veniva rimessa alla decisione di un collegio arbitrale, in forza di una clausola compromissoria contenuta nello statuto sociale. In particolare, la s.p.a., pur di negare il diritto di recesso dell’azionista, contestava la legittimità della disposizione del suo stesso statuto, che all’art. 11 così affermava: “Anche al di fuori dei casi di cui sopra i soci possono comunque recedere con un preavviso di almeno centottanta giorni: in tal caso il recesso produrrà effetti allo scadere dei centottanta giorni, ma il valore dovuto dalla società a titolo di rimborso verrà determinato con riferimento al momento della ricezione da parte della stessa del preavviso […]”. Tale clausola era da considerarsi in contrasto logico con l’altra previsione statutaria, relativa al termine finale di durata nell’anno 2050, che, a detta della società, doveva prevalere in virtù di un’interpretazione sistematica e funzionalmente orientata del contratto sociale, al fine di privilegiare la comune intenzione delle parti di vincolarsi fino alla naturale scadenza della s.p.a. Inoltre, trattandosi di una questione attinente alla validità di una norma statutaria che attribuiva il recesso ai soci, il giudizio non poteva essere rimesso a un collegio arbitrale, a causa dell’eventuale incidenza della soluzione sui diritti dei terzi creditori, esterni alla società. Il socio, dal canto suo, richiamava nelle memorie difensive il disposto dell’art. 2437, 4° comma, [continua ..]


2. La normativa di riferimento

È noto che nel codice civile del 1942 il recesso era un istituto fortemente limitato, ridotto agli angusti spazi dell’art. 2437, che in poche righe esauriva l’intera disciplina di un diritto, considerato sovversivo per la causa associativa. Il testo della norma così si esprimeva: «I soci dissenzienti dalle deliberazioni riguardanti il cambiamento dell’oggetto o del tipo di società, o il trasferimento della sede sociale all’estero hanno diritto di recedere dalla società e di ottenere il rimborso delle proprie azioni, secondo il prezzo medio dell’ultimo semestre, se queste sono quotate in borsa o, in caso contrario, in proporzione del patrimonio sociale risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio. La dichiarazione di recesso deve essere comunicata con raccomandata dai soci intervenuti in assemblea non oltre tre giorni dalla chiusura di questa, e dai soci non intervenuti non oltre quindici giorni dalla data dell’iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese». I nuovi principi della riforma del diritto societario del 2003, riassumibili nella volontà del legislatore di rendere le società collettori più attraenti di capitali, investono in pieno la fattispecie del recesso. Oltre a un rinnovato elenco di cause di exit inderogabili, e non, dallo statuto [1], fanno la loro comparsa i nuovi 3° e 4° comma 3 dell’art. 2437, c.c. Il primo regola il recesso libero, senza obblighi di motivazione, «Se la società è costituita a tempo indeterminato e le azioni non sono quotate in un mercato regolamentato», con il solo onere del preavviso di centottanta giorni, estendibili dallo statuto a un anno. La seconda disposizione, fulcro della controversia esaminata, amplia ulteriormente lo spazio di operatività dell’istituto, ammettendo che «lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio possono prevedere ulteriori cause di recesso». Accanto, quindi, a un catalogo prestampato di ipotesi legali di recesso, l’autonomia privata è autorizzata a inserire ulteriori fattispecie di uscita dalla società, purché non quotata, senza alcun limite evidente imposto dalla legge.


3. La posizione della dottrina

Su questa norma, così laconica e poco eloquente, la dottrina ha concentrato i propri sforzi interpretativi, interrogandosi sul­l’ammissibilità di una clausola statutaria di recesso ad nutum, alla stregua del­l’ipo­tesi prevista di default dalla legge nelle società per azioni a tempo indeterminato. Secondo un orientamento minoritario [2], richiamato anche in sede di giudizio dal socio ricorrente, il dato normativo è esplicito nell’escludere qualunque ostacolo all’autoregolamentazione delle parti, che possono elevare a causa di recesso gli eventi più vari, dalle deliberazioni che comportano rilevanti modifiche statutarie (ad es. la fusione o la scissione; l’aumento del capitale sociale), agli atti o fatti relativi alla gestione (ad es. il mutamento del sistema di amministrazione; il mancato raggiungimento di risultati gestionali), alle situazioni di natura economica non dipendenti dalla società (ad es. la rottura di accordi commerciali; la revoca di licenze), fino alla volontà insindacabile del socio di non voler più far parte della compagine sociale. La facoltà di inserire nello statuto un’ipotesi di recesso, libero e immotivato, viene considerato da questi Autori coerente con la valorizzazione dell’autonomia privata compiuta dalla riforma del d.lgs. n. 6/2003. In materia di recesso non sarebbe più valida l’impostazione originaria del codice civile del 1942, per cui “tutto ciò che non è permesso è proibito” [3]. Oggi, al contrario, le parti avrebbero margini di manovra quasi illimitati nel plasmare a proprio piacimento la società e la sua regolamentazione. In fondo, si sostiene, il divieto di una clausola di recesso ad nutum nelle s.p.a. a tempo determinato avrebbe poco senso se, con un facile escamotage, fosse sufficiente non stabilire un termine di durata per ottenere lo stesso diritto di uscita, inderogabilmente sancito dalla legge [4]. Senza contare, poi, la capacità che una tale previsione statutaria avrebbe di attirare maggiori investimenti in considerazione della facilità di smobilizzo [5]. Se ne ricava che, nel caso di s.p.a. costituita per un tempo eccedente la durata media della vita dei soci, il recesso ad nutum sarebbe consentito alla stregua di quanto previsto dall’art. 2285 c.c., che, in sede di società di persone, ammette [continua ..]


4. I precedenti giurisprudenziali

La sentenza che si commenta si colloca nel solco di una serie di pronunce, di merito e di legittimità, che in questi ultimi anni hanno affrontato il tema della validità di una causa statutaria di recesso ad nutum da società di capitali contratte per un periodo troppo lungo. Sull’argomento la posizione della Cassazione è stata ondivaga. In una decisione più risalente la Corte di legittimità ha ritenuto ammissibile, in forza dell’applica­zione analogica dell’art. 2285 c.c., il recesso ad nutum da s.r.l. contratta fino al 2100 [15]. Nelle motivazioni si legge che il termine della società deve essere razionalmente collegato al progetto imprenditoriale che costituisce l’oggetto sociale e una durata eccessivamente lunga (quale “per tutta la vita di uno dei soci” o per un tempo superiore alla normale vita media di un uomo) ha in realtà carattere fittizio ed “equivale nella sostanza al significato della mancata determinazione del tempo di durata della società ovvero in un sostanziale intento elusivo degli effetti che si produrrebbero con la dichiarazione di una durata a tempo indeterminato” [16]. L’estensione della disciplina delle società di persone alle società di capitali, con riguardo al recesso ad nutum, è stata considerata coerente con il processo di valorizzazione del diritto di exit compiuto dalla riforma del 2003. Il singolo ha il diritto di recedere da una società che, solo formalmente ha un termine di durata, ma che nella realtà risulta contratta sine die. Nel 2019 si assiste a un’inversione di rotta: la Corte invoca le differenze sistematiche tra società di persone e società di capitali, nonché l’esigenza di tutela dei creditori sociali, per ammettere il recesso ad nutum solo nelle società di capitali contratte a tempo indeterminato. Il fatto che la durata stabilita superi l’aspettativa di vita o la durata media di esistenza del socio-persona sarebbe del tutto irrilevante per consentire al socio di recedere, alla stregua di quanto l’art. 2437, 3° comma, c.c., riconosce nelle sole s.p.a. a tempo indeterminato. Questa posizione è stata confermata in una recente decisione del 2020, nelle cui motivazioni la Cassazione afferma che la norma dettata per le società di persone, tradizionalmente fondate sull’intuitus [continua ..]


5. La posizione della Corte di Cagliari

La Corte di Appello di Cagliari tratta la questione della legittimità di una clausola di recesso ad nutum da società per azioni a tempo determinato sotto due profili diversi, di legalità prima e di opportunità dopo. Si invocano i lavori preparatori del disegno di legge, sfociato per ultimo nel d.lgs. 6/2003 contenente la riforma del diritto societario, da cui emergerebbe la chiara volontà del legislatore di subordinare l’ampliamento delle cause di recesso statutarie alla presenza di situazioni che giustifichino una reazione rispetto ad atti pertinenti alla vita della società. Nel richiamato art. 4, comma 9, lett. d) del disegno di legge C-1137 si legge che l’obiettivo da perseguire sarebbe stato quello di «rivedere la disciplina del recesso, consentendone l’esercizio anche per previsione statutaria, e prevedendolo come forma alternativa di tutela del socio dissenziente». Analogo riferimento soggettivo si ha nella legge delega n. 366/2001, che parla sempre del socio dissenziente quale unico beneficiario e fruitore delle ulteriori cause di recesso contenute nello statuto sociale. È chiaro, pertanto, che la ratio perseguita dal legislatore è stata di elaborare un nuovo diritto di recesso che fosse “efficace mezzo di tutela del socio avverso cambiamenti sostanziali dell’operazione cui partecipa” [18]. I giudici, con le stesse motivazioni espresse dal Collegio arbitrale [19], escludono la legittimità dell’art. 11 dello statuto della s.p.a. perché contrario alla voluntas legis insita nell’art. 2437, 4° comma, c.c. Il diritto del socio di recedere ad libitum dalla società a tempo determinato travalica i confini concessi all’autonomia privata e non contiene alcuna giustificazione, normativamente ragionevole, di tutela del singolo. Questa ricostruzione, a detta della Corte, si concilia anche con l’orientamento, avallato dalla Cassazione nella sua ultima pronuncia in materia [20], di privilegiare un’interpretazione restrittiva delle norme che prevedono le ipotesi di recesso del socio di società per azioni, al fine di non incrementare a dismisura le cause che legittimano l’uscita dalla società. Allo stesso modo l’art. 2437, 3° comma, c.c., ha carattere eccezionale ed è insuscettibile di estensione analogica: il riconoscimento da parte della legge del [continua ..]


6. Commento

La pronuncia commentata appare meritevole di condivisione. In essa si evidenzia l’importanza che l’istituto del recesso riveste nella attuale disciplina societaria. La s.p.a. è una social entity [24] che si regge sull’equilibrio di interessi eterogenei e spesso difficilmente conciliabili tra loro. Trovare un’armonia non è sempre facile. Nel caso del recesso ad nutum da s.p.a. a tempo determinato bisogna comprendere quale posizione, del socio o della società, debba prevalere. L’iniziativa del singolo potrebbe essere giustificata dalla nuova veste assunta dal recesso, divenuto con la riforma un diritto a misura di socio e non più a misura di società. Il recesso dell’azionista trova il suo fondamento nel contratto sociale, in un atto di volontà dei soggetti a cui ricondurre l’iniziativa d’impresa. Il legislatore del 2003 ha permesso all’autonomia privata di regolare molti profili della disciplina, così da creare società rispondenti alle diverse realtà concrete imprenditoriali. In società chiuse, spesso di piccole dimensioni e dalla compagine sociale ristretta, un’u­scita rapida e non vincolata può essere il rimedio per far cessare un rapporto di natura sostanzialmente fiduciaria. Estendere, però, il diritto di recesso senza giustificazione anche ai soci di società per azioni a tempo determinato, ancorché dalla durata abnorme, può rappresentare un pericoloso fattore d’instabilità. La Corte ha ravvisato i due interessi che verrebbero minati dall’uscita del socio, vale a dire l’integrità patrimoniale della s.p.a. e i creditori, il cui soddisfacimento potrebbe essere messo a rischio, se la società si vedesse costretta a operazioni svantaggiose per provvedere alla liquidazione del socio. Entrambi non sono altro che espressione della più ampia categoria dell’interesse alla continuità aziendale. Il timore di uscite non preventivabili temporalmente e quantitativamente porrebbe la società in una possibile condizione d’immobilismo, incapace di adottare politiche d’impresa di lungo respiro, anche rischiose, per essere sempre pronta a fronteggiare l’exit incontrollato dei soci. Come affermato dai giudici, il favor societatis e il favor mercaturae, inteso quest’ultimo come interrelazione tra imprese, [continua ..]


NOTE