Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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Analisi economico-aziendale sul limite al buyback in proporzione al capitale sociale (di Pierluigi Santosuosso)


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SOMMARIO:

1. Introduzione. - 2. Le ragioni dell’acquisto delle azioni proprie. - 3. Gli effetti dell’operazione sulle azioni proprie nell’economia dell’impresa. - 4. Il limite all’acquisto rispetto al capitale sociale. - 5. Profili conclusivi. - NOTE


1. Introduzione.

Dal 1882, quando l’acquisto di azioni proprie venne disciplinato dal­l’art.144 del codice di commercio, il legislatore ha continuato ad aggiornare la disciplina di fronte all’evolversi del fenomeno e degli interessi coinvolti nell’operazione. Tra le disposizioni che sono state di recente oggetto di intervento da parte del legislatore (legge 9 aprile 2009, n. 33), vi è quella concernente il limite all’acquisto delle azioni proprie espresso in proporzione al valore nominale del capitale sociale. Se originariamente il valore nominale delle azioni acquistate non poteva superare il 10% del capitale sociale, la disciplina vigente stabilisce che il limite, pari al 20%, sussiste soltanto per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (art. 2357, 3° comma, c.c.). Per tutte le società, quotate o non quotate, l’acquisto delle azioni proprie rimane comunque subordinato alla presenza degli utili distribuibili e delle riserve disponibili (art. 2357, 1° comma, 2359-bis, 1° comma, c.c.) e all’autoriz­zazione da parte dell’assemblea, la quale ne fissa le modalità, il numero massimo di azioni da acquistare, il corrispettivo minimo e massimo e la durata per la quale l’autorizzazione è concessa (art. 2357, 2° comma, c.c.). Lo scopo del presente studio è quello di analizzare, alla luce della prassi e del dibattito internazionali, le ragioni economiche che possono riconoscersi a fondamento del limite al­l’ac­quisto in proporzione al valore nominale del capitale sociale. In modo specifico, si domanda se i “pericoli” per l’economia dell’impresa, insiti nell’abolizione o nella riduzione del limite introdotti dal legislatore, possano essere giustificati dai “benefici” derivanti dall’acquisto delle azioni proprie anche per percentuali maggiori rispetto a quelle previste dalla disciplina abrogata, ferma restando la disciplina sul limite degli utili distribuibili e delle riserve disponibili e sulla richiesta della autorizzazione assembleare. Il tema del presente studio si inserisce in un quadro economico di evidente ampiezza che richiede una analisi sistematica del fenomeno dell’acquisto di azioni proprie. Si consideri che l’operazione sulle azioni proprie ha le potenzialità per generare numerosi ed eterogenei effetti nell’economia delle imprese che [continua ..]


2. Le ragioni dell’acquisto delle azioni proprie.

Le ragioni che spingono gli amministratori a chiedere all’assemblea dei soci l’autorizzazione ad acquistare le azioni proprie (art. 2357, 1° comma, c.c.) sono numerose ed eterogenee [1]. È possibile classificarle in almeno quattro gruppi principali. Un primo ordine di motivi, tra i più diffusi [2], dell’acquisto è legato al tentativo di stabilizzare il prezzo dei titoli quotati o di migliorarne la liquidità agendo direttamente sulla domanda e sull’offerta dei propri titoli. L’acquisto agisce sulla domanda dei titoli e dunque, a parità di condizioni, l’operazione è diretta a sostenerne il prezzo. Analogamente, con la vendita delle azioni proprie, gli amministratori possono agire sull’offerta e quindi, a parità di condizioni, l’operazione è diretta a ridurne il prezzo. L’intervento è rivolto a stabilizzare il prezzo delle azioni nel corso del tempo (cioè a ridurne la volatilità) o, per i titoli che pur quotati non sono negoziati in un mercato ampio, è diretto ad aumentarne la liquidità (cioè, la probabilità di essere smobilizzati). La negoziazione dei propri titoli è sottoposta ad una apposita regolamentazione. Alla disciplina prevista dal Codice civile, in base alla quale è prevista la possibilità di effettuare il cosiddetto trading di azioni proprie (art. 2357-ter, 1° comma, c.c.), si aggiungono gli orientamenti espressi dalla Consob [3]. Un secondo ordine di motivi dell’intervento sulle proprie azioni è legato alla necessità o alla opportunità di ridurre il capitale proprio o di rischio impiegato nell’impresa (riduzione in senso economico, non formalmente eseguita secondo la disciplina prevista per la riduzione del capitale sociale). Con l’acquisto delle azioni proprie, indipendentemente dalla motivazione addotta a giustificazione dell’operazione, si riduce l’ammontare del capitale oggetto di remunerazione dando luogo ad una diminuzione del costo totale del capitale proprio stesso. Il fenomeno è percepibile in maniera evidente considerando la disciplina che il legislatore riserva alla presente fattispecie. In Italia, come in altri paesi, le azioni proprie sono escluse dalla ripartizione del reddito. Il diritto agli utili è attribuito proporzionalmente alle altre azioni (art. [continua ..]


3. Gli effetti dell’operazione sulle azioni proprie nell’economia dell’impresa.

Dal­l’operazione di acquisto e di vendita delle azioni proprie possono sorgere numerosi ed eterogenei effetti sull’economia dell’impresa. In via principale, l’operazione coinvolge la struttura finanziaria dell’impresa e quindi gli aspetti che sono legati al suo mutamento; quelli relativi al tasso di redditività del capitale proprio, al costo della raccolta dei finanziamenti, al mutamento del prezzo delle azioni della società, alla variazione della composizione dell’azionariato e ad altri di seguito illustrati. Si tratta ovviamente di effetti, tra loro collegati, che sono analizzabili osservando il fenomeno sia dal punto di vista dell’impresa sia sotto l’ottica dell’azionista. Tra quelli indicati nei punti seguenti, si menzionano anzitutto gli effetti che si manifestano a causa dell’acquisto in quanto tale delle azioni proprie (indicati nei punti 1, 2 e 3), anche indipendentemente dalle motivazioni portate a giustificazione dell’operazione. Seguono poi gli altri effetti che possono emergere a seconda delle finalità perseguite dagli amministratori. Come osservato nel paragrafo precedente, l’acquisto dà luogo ad una distribuzione di denaro agli azionisti e quindi alla riduzione dell’ammontare del capitale proprio soggetto a remunerazione[11]. L’effetto principale che si ottiene consiste nella riduzione del costo totale legato alla attribuzione della predetta remunerazione; costo non contabilizzato, ma comunque presente sotto il profilo economico considerato che agli azionisti non dovrà essere corrisposta, per quella porzione di capitale, una adeguata remunerazione (che trova principale realizzazione nella distribuzione dei dividendi). Il fenomeno, come già sopra notato, è evidente considerando la disciplina che il legislatore riserva alla presente fattispecie; le azioni proprie sono escluse dalla ripartizione del reddito (il diritto agli utili è attribuito proporzionalmente alle altre azioni, art. 2357-ter, 1° comma, c.c.). Il risparmio nella attribuzione della remunerazione ai titolari del capitale proprio è legato alla percentuale di azioni acquistate e non all’ammontare del prezzo corrisposto per l’acquisto delle azioni proprie. Così, se la società acquistasse da un socio il 10% delle azioni emesse dalla società, il risparmio nella remunerazione sarebbe commisurato [continua ..]


4. Il limite all’acquisto rispetto al capitale sociale.

Alla luce degli effetti che le operazioni sulle azioni proprie hanno sull’economia dell’impresa, si esaminano i possibili benefici e i pericoli che possono seguire alla abolizione o alla attenuazione del limite all’acquisto espresso rispetto al capitale sociale. La riduzione del capitale e la raccolta delle risorse. L’acquisto delle azioni proprie è una operazione che consente di ridurre il capitale proprio nel significato ricordato al paragrafo secondo. La riduzione si ottiene a motivo dell’operazione di acquisto in quanto tale indipendentemente dall’utilizzazione che gli amministratori riservino alle azioni stesse. Nonostante si discuta da tempo circa la natura dell’acquisto – quale investimento o quale riduzione di capitale [25] – è indubbio che a seguito dell’operazione, la società non è più tenuta a remunerare la porzione del capitale rappresentato dalle azioni proprie. Non a caso, nei bilanci redatti a norma dei principi contabili internazionali [26] le azioni proprie sono portate a diretta deduzione dell’ammontare del patrimonio netto. L’abolizione del limite del 10% permette evidentemente di amplificare gli effetti che seguono alla predetta riduzione; sia quelli connessi alla diminuzione del capitale proprio sia quelli relativi agli oneri che la società sopporta per reperire le risorse da impiegare nell’operazione. Considerato che gli effetti agiscono sull’eco­nomia dell’impresa in direzione opposta, il risultato complessivo al quale si giunge richiede una analisi specifica, caso per caso, estesa ad un ampio orizzonte temporale. L’acquisto per percentuali elevate, pur sempre nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili [27], non può di conseguenza essere valutato a priori – negativamente o positivamente – se non dopo avere esa­minato la situazione economico-finanziaria in cui si trova la società che procede al­l’o­perazione sulle azioni proprie. Non si può tuttavia mancare di notare che l’acquisto delle azioni proprie, per percentuali elevate, presenta alcuni pericoli in ordine alla economicità dell’operazione, soprattutto per le società i cui titoli non sono negoziati in un mercato attivo. A parte la valutazione di merito intorno alla convenienza di modificare la struttura [continua ..]


5. Profili conclusivi.

Gli interventi legislativi più recenti hanno modificato la disciplina relativa al limite all’acquisto delle azioni proprie espresso in proporzione al valore nominale del capitale sociale. La disciplina vigente prevede che il limite, pari al 20%, sussista soltanto per la società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (art. 2357, 3° comma, c.c.). La disciplina abrogata prevedeva per tutte le società il limite del 10%. Sotto il profilo economico-aziendale, l’esame del limite oggetto del presente studio richiede la valutazione di molteplici aspetti considerato che l’operazione sulle azioni proprie coinvolge, tra gli altri, la struttura finanziaria dell’impresa, il governo societario, l’andamento del corsi azionari. Lo scenario è reso più complesso alla luce delle diversità esistenti tra le società quotate e quelle che non fanno ricorso al mercato azionario. Allo scopo di confrontare i rischi per le società insiti nella abolizione o nella riduzione del limite introdotti dal legislatore con i benefici derivanti dall’acquisto delle azioni proprie anche per percentuali maggiori rispetto a quelle previste dalla disciplina abrogata, sono state individuate le motivazioni che giustificano l’operazione e gli effetti che seguono alla compravendita delle azioni proprie. In modo specifico, sono stati evidenziati gli effetti connessi alla riduzione del capitale proprio dell’impresa, alla raccolta delle risorse occorrenti a realizzare l’operazione di acquisto, al mutamento della compagine azionaria, alla sospensione del diritto di voto spettante alle azioni proprie, alla stabilizzazione dei corsi azionari, al rischio d’impresa, al trasferimento di ricchezza tra gli azionisti e al mutamento del prezzo delle azioni che seguirebbe all’annuncio e all’acquisto delle azioni proprie. Dall’esame degli effetti che si manifestano a causa dell’acquisto in quanto tale delle azioni proprie sino a considerare quelli contraddistinti da una minore probabilità di verificazione, l’abo­lizione del limite appare una soluzione che rispetto alla motivazione di stabilizzazione dei corsi azionari appare tendenzialmente superflua; ai fini della riduzione del capitale proprio risulta avere conseguenze potenzialmente pericolose, in modo specifico, per le società non quotate; rispetto alla necessità di disporre [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2013