Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sull´ambito di applicazione e sui meccanismi operativi della clausola di prelazione genericamente formulata (di MIRTA MORGESE)


TRIBUNALE DI NAPOLI, Sezione specializzata in materia di impresa, 11 febbraio 2015, Buttafoco Presidente – Macrì Relatore.   Società – Società per azioni – Azioni – Limiti al trasferimento – Clausola di prelazione impropria – Ammissibilità – Applicabilità al conferimento – Determinazione del prezzo di cessione   (Artt. 2355-bis, 2° comma e 2437-ter c.c.)   Quando la clausola di prelazione di uno statuto di s.p.a. include termini generici (quali cessione, trasferimento, alienazione) essa si riferisce anche ad operazioni diverse dall’alienazione, come il conferimento. In tali ipotesi si versa in un caso di prelazione “impropria”, in cui, data l’infun­gibilità della prestazione della controparte, il prezzo di cessione da indicare nella denuntiatio è determinato secondo i criteri indicati dall’art. 2437-ter c.c. Tale disposizione costituisce, infatti, il parametro di riferimento in tutte le ipotesi in cui la clausola statutaria non indica il procedimento per la determinazione del prezzo di cessione. (1)       Premessa   Con ricorso RG 15860/14 i ricorrenti, odierni reclamanti(di seguito gruppo M.) hanno chiesto: 1) il sequestro giudiziario di n. 10.000 azioni di Casa di Cura Privata Montevergine S.p.A. (di seguito Clinica Montevergine) nella disponibilità e proprietà formale dei dott. T. N. M. T., P. T., N. F., A. S., C. S., G. S., M. G. S., G. R, L. R. e P. M. (di seguito gruppo S.-T.) e nella proprietà sostanziale del Gruppo Villa Maria S.p.A. (di seguito GVM); 2) e/o l’inibitoria ex art. 700 c.p.c. del­l’esercizio dei diritti sociali incorporati nei medesimi titoli, in particolare dei diritti di voto; in previsione dell’instaurando giudizio di merito volto all’accertamento della violazione della clau­sola di prelazione statutaria, alla dichiarazione di nullità/inefficacia del contratto di alienazione, all’ac­cer­­tamento del loro diritto di riscatto sulle 10.000 azioni alienate, ovvero all’otteni­mento di una pronuncia costitutiva di trasferimento coattivo delle predette azioni a favore di essi ricorrenti che offrivano contestualmente il pagamento del prezzo di euro 6.300.000,00 o ancora in subordine all’otteni­mento di una condanna dei soci alienanti al trasferimento a loro delle azioni. Con successivo ricorso RG 17762/14 hanno chiesto il sequestro giudiziario di tutte le azioni che il gruppo S.-T. nonché M. L. L. M. e M. P. hanno conferito in Patto 2014 per Casa di Cura Privata S.p.A. (di seguito Patto 2014) e l’ini­bi­zione dei diritti sociali in esse contenuti. Il gruppo S.-T. ha formulato domanda riconvenzionale di sequestro giudiziario delle azioni acquistate in prelazione dai germani M. e [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. La giurisprudenza - 4. La dottrina - 5. Il commento. L’ammissibilità della pre­lazione c.d. impropria e l’inter­pre­tazione delle clausole di incerta formulazione - 6. Segue. La determinazione del corrispettivo in sede di prelazione c.d. impropria: parametri legali e limiti all’autonomia statutaria - NOTE


1. Il caso

L’ordinanza in commento si inserisce in una complessa vicenda, relativa all’assun­zione del controllo di una s.p.a., tramite una serie di vicende circolatorie [1]. In particolare, le contestazioni dei soci ricorrenti sono dovute alla presenza nello statuto della società di una clausola di prelazione che sarebbe stata oggetto di molteplici violazioni da parte dei soci rivali: da ultimo e, nello specifico, tramite il conferimento delle rispettive azioni in una società di nuova costituzione. Viene proposto, quindi, ricorso al fine di ottenere il sequestro giudiziario dei titoli azionari e l’inibitoria, ex art. 700 c.p.c., dell’esercizio dei diritti sociali da parte della società conferitaria. Tale domanda viene rigettata e l’ordinanza in esame decide sul reclamo proposto avverso il provvedimento di prime cure. Il presente giudizio ruota, dunque, attorno alla portata della clausola di prelazione contenuta nello statuto della s.p.a., alla luce della quale il collegio giudicante è chiamato a valutare la legittimità del conferimento della partecipazione sociale che i soci resistenti hanno eseguito senza preventiva denuntiatio, ritenendo la regola statutaria non vincolante in tale fattispecie negoziale [2]. Partendo dalla formulazione letterale del patto statutario [3], i giudici si soffermano sull’utilizzo di termini generici, quali “cessione, trasferimento, alienazione”, per affermare che nello stesso siano incluse anche operazioni diverse dalla compravendita. Il Tribunale deduce, quindi, che il conferimento delle azioni nella società ha violato la clausola di prelazione, eludendo nella sostanza la regola all’ingresso dei nuovi soci statutariamente prevista. Non viene ritenuta circostanza ostativa rispetto a tale conclusione il fatto che, per garantire il rispetto del diritto di preferenza dei soci, l’alienante (rectius il conferente) sarebbe costretto a cedere loro le azioni a titolo di vendita e a compiere, quindi, un negozio diverso da quello originariamente programmato. In proposito, si osserva come sia proprio il tenore del testo statutario ad ammettere questo risultato, allorquando il diritto di prelazione viene riferito, implicitamente, ad ogni operazione capace di determinare il trasferimento dei titoli. Si ammette, pertanto, che possa non esserci corrispondenza tra il tipo contrattuale prescelto e [continua ..]


2. La normativa di riferimento

La clausola di prelazione rappresenta uno dei più comuni limiti alla circolazione delle partecipazioni sociali e trova il proprio fondamento normativo nell’art. 2355-bis, 1° comma, c.c. [4], là dove si riconosce allo statuto la possibilità di sottoporre a particolari condizioni il trasferimento delle azioni [5]. Nello specifico, la prelazione obbliga colui che intende alienare i propri titoli azionari ad offrirli, prima di tutto, agli altri soci, affinché questi possano acquistarli, alle stesse condizioni pattuite con il terzo acquirente, ovvero ad un prezzo altrimenti determinato (c.d. prelazione impropria) [6]. La sopracitata norma non contempla, però, espressamente, il patto di preferenza, la cui disciplina va, pertanto, ricostruita sulla base dei principi inderogabili desunti dal­l’attuale quadro normativo e dalle fattispecie espressamente regolate, come la clausola di mero gradimento [7], in considerazione del grado di chiusura tollerato dal sistema e dei correttivi previsti a tutela del socio dal legislatore [8]. In ogni caso, va precisato che l’assenza di una normativa dedicata alla clausola di prelazione non ha mai fatto dubitare dell’am­missibilità della stessa in sede di cessione tra vivi a titolo di compravendita [9], ma ha contribuito ad alimentare la questione circa la possibilità di applicare la pattuizione in occasione di negozi gratuiti o onerosi con corrispettivo infungibile, in special modo ove lo statuto sia silente sul punto [10]. La soluzione dei citati problemi ha determinato un ampio dibattito, in dottrina e in giurisprudenza, da cui è opportuno partire per verificare la correttezza delle conclusioni raggiunte dalla decisione in commento.


3. La giurisprudenza

Tra i precedenti giurisprudenziali che, prima e dopo la riforma, hanno affrontato la tematica relativa alla portata delle clausole di prelazione di incerta formulazione, bisogna considerare l’opinione, espressa dalle corti di merito, volta a dare una lettura restrittiva del testo statutario che, nello stabilire un limite alla trasmissione delle azioni, deroga al principio generale della libera circolazione delle stesse [11]. Ulteriore argomentazione, in favore di un’interpretazione rigorosa, è individuata nella natura eccezionale di tale pattuizione, ispirata all’intuitus personae, nei tipi capitalistici. Va, poi, esaminata la posizione espressa nel 1989 dalla Suprema Corte, secondo cui la clausola opererebbe solo in caso di vendita per un problema di compatibilità tra il concetto di prelazione e quello di trasferimento a titolo gratuito (con un ragionamento, mutatis mutandis, valido per ogni negozio traslativo con corrispettivo infungibile) [12]. A parere dei giudici della Cassazione, infatti, prelazione significa sostituzione del soggetto “preferito” al terzo acquirente, a parità di condizioni [13]; essa è, pertanto, ontologicamente incompatibile con i negozi gratuiti e con quelli onerosi con corrispettivo infungibile [14]. Il ragionamento della Suprema Corte è stato, in parte, recepito dalla giurisprudenza successiva, la quale in varie pronunce ha negato che la prelazione possa applicarsi a negozi con corrispettivo infungibile, come il conferimento in società [15]. La preferenza, così come concepita, non può costituire limite all’interesse negoziale perseguito dal socio cedente, il quale deve poter scegliere le modalità con cui operare il disinvestimento [16]. Altrove, i giudici di merito, pur partendo da una posizione volta a ritenere compatibile la prelazione con ogni forma di trasferimento, fanno leva sull’espressione “parità di condizioni”, usata dalla clausola, per negarne l’applicazione in caso di conferimento o di negozio gratuito [17]. La prospettiva volta a dare una lettura restrittiva delle clausole che prevedono limiti alla circolazione delle partecipazioni sociali è stata contestata, poi, da alcune decisioni di merito, prima tra tutte quella assunta dal Tribunale di Napoli nel 2004, in cui si giunge ad estendere la prelazione, genericamente prevista [continua ..]


4. La dottrina

La questione dell’estensione della clausola di prelazione, generata da una sua formulazione incerta, è stata variamente discussa dalla dottrina che, a tal fine, ha dovuto preliminarmente risolvere il problema relativo alle vicende traslative cui siffatta regola statutaria sia in astratto applicabile, a fronte dei riscontri giurisprudenziali tesi a negarne la compatibilità con negozi diversi dalla compravendita. Se, infatti, è conclamata la validità della clausola allorquando essa sia idonea a determinare una sostituzione del prelazionario al terzo acquirente, maggiori dubbi sorgono ove la sua applicazione comporti anche la modifica degli elementi oggettivi del negozio, ovvero impedisca al socio di alienare le azioni secondo lo schema causale preventivato [24]. Le perplessità derivano dalla convinzione che carattere imprescindibile della prelazione sia la parità di condizioni. Al contrario, si è ampiamente dimostrato come tale elemento sia naturale ma non essenziale nel patto di prelazione, sia in ambito civilistico [25], che in ambito societario, dove, in particolare, si è giunti alla conclusione per cui le finalità perseguite dalla clausola di preferenza sarebbero trascurate, ove se ne restringesse l’operatività alla sola ipotesi di cessione onerosa con corrispettivo fungibile [26]. Lo scopo di controllare e di impedire l’ingresso di terzi sgraditi in società deve, difatti, essere anteposto a quello del cessionario di acquisire la partecipazione sociale, indipendentemente dal tipo negoziale scelto per realizzare l’alienazione. Non esiste alcuna norma che consenta al titolare delle azioni di superare la prelazione per realizzare il proprio intento liberale, ovvero per ottenere il trasferimento di un bene infungibile [27]. Dunque, sempre che lo stesso socio non venga reso prigioniero della società o costretto a svendere le azio­ni senza ottenerne il valore effettivo, è legittimo sottoporre qualsiasi negozio di trasferimento volontario alla regola della preferenza [28]. Questa conclusione si basa su differenti inquadramenti della clausola di prelazione [29]. A parere di una prima opinione, il patto di preferenza andrebbe a tutelare il solo interesse dell’azionista, non anche quello della società, al mantenimento dell’omo­geneità della compagine sociale. Siffatto interesse, [continua ..]


5. Il commento. L’ammissibilità della pre­lazione c.d. impropria e l’inter­pre­tazione delle clausole di incerta formulazione

L’ordinanza esaminata affronta, in sostanza, tre questioni tra loro connesse: la prima, relativa all’astratta compatibilità tra la clausola di prelazione ed il trasferimento di partecipazioni realizzato mediante conferimento in altra società [46]; la seconda, di carattere interpretativo, circa l’ampiezza semantica delle pattuizioni di incerta formulazione; la terza concernente l’adattamento della convenzione rispetto ad ipotesi negoziali non contemplate, con particolare riferimento all’individuazione del corrispettivo dovuto dai beneficiari della prelazione. Riguardo alla prima problematica, il collegio giudicante afferma l’astratta estendibilità del patto di preferenza al conferimento. Per verificare la correttezza di questa soluzione, bisogna partire dalla seguente constatazione: come si è visto, applicare la prelazione a negozi traslativi diversi dalla compravendita comporta, inevitabilmente, un’alterazione dello schema causale voluto dall’alienante. Si tratta, allora, di comprendere se un simile limite dell’autonomia negoziale sia giustificabile alla luce del sistema normativo vigente. Già la portata dell’art. 2355-bis, 1° comma, c.c., ammettendo l’intrasferibilità temporanea delle azioni, determina una forte diminutio al preteso principio di libera trasferibilità e depone in senso positivo [47]. Ma sono i commi successivi ad eliminare qualsiasi dubbio sul punto. In particolare, il capoverso della citata norma stabilisce la legittimità di clausole che limitino discrezionalmente il trasferimento delle azioni in favore dell’acquirente scelto, alle condizioni con questo convenute, purché si garantisca al cedente un equo corrispettivo [48]. Allo stesso modo, il 3° comma dell’art. 2355-bis c.c. ammette ogni patto statutario che sottoponga a particolari condizioni l’ingresso in società degli eredi e legatari del socio (quindi anche la prelazione, ovviamente im­propria), con il medesimo temperamento, in ordine alla liquidazione della partecipazione, previsto per la clausola di mero gradimento [49]. Se ne deduce che, in base all’attuale sistema, due sono i limiti al potere della società di regolamentare la circolazione dei titoli: non è possibile stabilire l’intrasferi­bilità a carattere permanente delle azioni [50], [continua ..]


6. Segue. La determinazione del corrispettivo in sede di prelazione c.d. impropria: parametri legali e limiti all’autonomia statutaria

Una volta che il procedimento ermeneutico abbia condotto ad estendere la prelazione a vicende diverse dalla vendita, si presenta il problema di determinare il corrispettivo dovuto al cedente. Diversamente, qualora la clausola andasse a disciplinare i criteri cui riferirsi per la formazione del prezzo, si pone la diversa questione circa l’ampiezza dell’autonomia statutaria sul punto. Partendo dalla prima problematica, bisogna esaminare la soluzione offerta sul punto dai giudici napoletani, i quali hanno ritenuto di dover applicare l’art. 2437-ter c.c., in vista del richiamo contenuto nell’art. 2355-bis c.c. Ciò vuol dire che il prezzo da versare al cedente viene identificato nel c.d. valore di recesso e non in quello della controprestazione promessa dal terzo (pari, nel caso di specie, al valore attribuito alle azioni conferite nella determinazione del capitale sociale della costituenda società). In merito a tale profilo, la pronuncia in commento si discosta da altre autorevoli opinioni, secondo cui, qualora il negozio programmato dall’alienante preveda una contropartita, il corrispettivo dovuto dai pre­­lazionari deve essere stimato in base al valore di questa, eventualmente aumentato dei costi di transazione sopportati per la conclusione del negozio. Nel caso specifico del conferimento in una società di capitali, bisognerà avere riguardo al valore attribuito alla partecipazione in sede di relazione di stima (artt. 2343 e 2465 c.c.), oppure a quello risultante dall’utilizzo dei metodi al­ternativi di valutazione, di cui all’art. 2343-ter c.c. Infine, ove il conferimento sia realizzato in favore di una società personale, si dovrà considerare il valore dell’ap­porto indicato nell’atto costitutivo, salvo non si accerti ex post che la stima sia avvenuta in modo anomalo e fraudolento. Solo in que­st’ultima ipotesi e nel caso di trasferimento a titolo gratuito si dovrebbe ricorrere, in via residuale, ai criteri di cui all’art. 2437-ter c.c. [77]. Questa tesi si poggia sull’assunto per cui la prelazione è naturalmente a parità di con­dizioni: sicché il contratto concluso tra beneficiari ed onerato dovrebbe, quanto più pos­sibile, replicare il contenuto di quello altrimenti intervenuto con il terzo acquirente. A ben vedere, una simile posizione non [continua ..]


NOTE