Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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Informazioni scorrette, perdita di valore dell'investimento del socio e responsabilità aquiliana della società (di Jacopo De Luca)


TRIBUNALE DI ROMA, IX Sezione Civile, sentenza 24 ottobre 2014, n. 21193 – Dott. Paolo Catallozzi Giudice designato – Cianfoni Giuseppe Cristiano c. Banco Popolare Società Cooperativa

 

Banca popolare quotata – Socio – Domanda di risarcimento dei danni – Perdita del valore dei titoli azionari – Mancata comunicazione di informazioni privilegiate – Rapporto di immedesimazione organica – Azione nei confronti della società – Responsabilità concorrente degli amministratori – Accoglimento

 

(Art. 114 t.u.f., artt. 2043 e 2395 c.c.)

 

La società, per il principio di immedesimazione organica, risponde civilmente degli illeciti commessi dall’organo amministrativo nell’esercizio delle sue funzioni, ancorché l’atto dannoso sia stato compiuto dall’organo medesimo con dolo e abuso di potere ovvero non rientri nella competenza degli amministratori, e dagli altri organi aziendali, richiedendosi unicamente che l’atto stesso sia, o si manifesti, come esplicazione dell’attività della società, in quanto tenda al conseguimento dei fini istituzionali di questa, e tale responsabilità si aggiunge, ove ne ricorrano i presupposti, a quella degli amministratori, prevista dall’art. 2395 cod. civ. (1)

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE Dl ROMA


IX Sezione civile

 

Il Tribunale di Roma, IX sezione civile, nella persona del giudice designato, dott. Paolo Catallozzi, ha emesso la seguente

SENTENZA


nella causa iscritta al n. 3409 del ruolo generale degli affari civili – cause ordinarie – per l’anno 2012 vertente

tra


CIANFONI GIUSEPPE CRISTIANO, elettivamente domiciliato in Roma, via G. Paisiello, 15, presso lo studio degli avv. Graziano Brugnoli e Simona Meddi, che lo rappresentano e difendono in virtù di procura a margine dell’atto di citazione

– attore –

e

BANCO POPOLARE SOCIETÀ COOPERATIVA, quale mandataria della BANCA ITALEASE S.P.A., in persona del suo procuratore, dott. Giovanni Blumetti, elettivamente domiciliata in Roma, via Adda, 87, presso lo studio dell’avv. Mario Albano, che la rappresenta e difende, unitamente agli avv. Giuseppe Lombardi, Marco Delli Noci e Alessandro Salvador, in virtù di procura a margine della comparsa di costituzione e risposta

– convenuto –

Conclusioni: come da verbale di udienza.


 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

  1. Cianfoni Giuseppe Cristiano ha chiesto la condanna della Banca Italease s.p.a. al risarcimento dei danni in suo favore, quantificati in euro 230.000,00, oltre interessi legali, subiti a causa della perdita del valore di titoli azionari della società convenuta, riconducibile alla violazione della normativa di settore relativa al­­l’e­­missione di titoli azionari da parte di que­­st’ul­­tima, in particolare, alla pubblicazione di falsi dati di bilancio, alla mancanza di adeguate informazioni agli investitori sulle reali tipologie di investimento e alla realizzazione di condotte operative non improntate a criteri di sana e prudente gestione.

A sostegno della domanda ha allegato che:

– in data 20 aprile 2007 aveva acquistato n. 3020 titoli della “Banca Italease ord.” ad un valore medio unitario di euro 50,26;

– aveva preso tale decisione all’esito della comunicazione del precedente 16 marzo dei dati positivi risultanti dal bilancio 2006, diffusi dalla banca emittente;

– in data 27 aprile 2007 aveva venduto 1.000 di tali azioni, acquistandone ulteriori 1.030 ad un valore unitario medio di euro 49,86;

– quindi, il successivo 8 giugno, aveva acquistato altre 3.050 azioni ad un prezzo unitario di euro 38,65, per un patrimonio complessivo, a tale data, di 6.100 azioni, ed un valore di euro 235.768,50;

– all’esito di un’ispezione condotta dalla Banca d’Italia, che aveva posto in luce gravi irregolarità nella gestione aziendale, rilevanti anche sotto il pro­filo penale, le azioni della banca erano crollate;

– tale crollo era dipeso dal fatto che la banca aveva investito tutti i risparmi dei suoi piccoli e grandi azionisti in prodotti derivati, pur essendo sprovvista della relativa autorizzazione, fatto per cui era stata sanzionata dalla Consob;

– a seguito della sostituzione dell’organo amministrativo della banca, della delibera di un aumento di capitale destinato alla copertura delle perdite registrate e dell’esistenza di trattative per una possibile joint venture da realizzare con la VR Leasing, società del gruppo DZ Bank, aveva deciso di mantenere nel portafoglio i titoli acquistati, per poi cederli in occasione dell’im­mi­nente offerta pubblica d’acquisto che sarebbe stata lanciata sul capitale della banca;

– tuttavia, nonostante i valori espressi nel bilancio indicassero un valore netto patrimoniale per azioni pari ad euro 9,23, i titoli dallo stesso venduti in occasione dell’offerta pubblica d’ac­qui­sto sono stati acquistati ad un prezzo unitario di euro 0,97, con conseguente perdita del 96,5% rispetto all’originario prezzo di acquisto, pari ad euro 230.000,00;

– era evidente la responsabilità dei vertici della banca per aver posto in essere un comportamento pregiudizievole per gli azionisti, violando le disposizioni di settore e aggirando la normativa interna e i vari livelli di controllo.

1.1. Si è costituita il Banco popolare Società Cooperativa, quale mandataria della Banca Italease s.p.a.‚ e ha chiesto il rigetto della domanda in quanto infondata, evidenziando, in particolare, la carenza di legittimazione attiva in capo all’attore e passiva in capo alla banca, nonché l’insussistenza e/o irrilevanza delle pretese condotte illecite e del nesso di causalità.

  1. Con riferimento all’eccezione di carenza di legittimazione attiva in capo all’attore, nonché di legittimazione passiva in capo alla convenuta, quest’ultima evidenzia che il pregiudizio lamentato dal Sig. Cianfoni, individuato nella perdita di valore del proprio investimento in azioni ltalease, avrebbe natura di mero danno indiretto, come tale non risarcibile ad opera della società nel cui patrimonio si è invece prodotto il danno, in quanto causato dalle perdite che hanno intaccato anzitutto il patrimonio stesso della banca nel momento in cui i derivati complessi venduti alla clientela hanno improvvisamente incrementato il loro valore, incidendo negativamente sulla quotazione in borsa del titolo azionario.

Richiama, sul punto, il consolidato orientamento giurisprudenziale che, ai fini dell’acco­gli­mento dell’azione intentata dal socio, fondata sull’art. 2395 c.c., esige che il pregiudizio non sia il mero riflesso dei danni eventualmente recati al patrimonio sociale, ma si tratti di danni direttamente causati al socio come conseguenza immediata del comportamento degli amministratori.

Sotto altro profilo, la convenuta contesta la legittimazione ad agire dell’attore nei suoi confronti, in relazione alla sua qualità di socio e non già di creditore della società, tale da assoggettarlo alle regole di governo societario, fra cui la parità di diritti rispetto agli altri soci (proporzionali solo alle partecipazioni detenute), la postergazione rispetto ai creditori sociali, la possibilità di attivare gli specifici rimedi endo-societari predisposti dall’ordinamento.

Con il riconoscimento al socio della legittimazione ad agire nei confronti della società per la perdita del valore della sua partecipazione azionaria si attribuirebbe allo stesso, secondo la tesi esposta, una posizione diversa rispetto a tutti gli altri soci, giungendo all’esito paradossale di imporre alla società di rimborsare ad un socio la perdita di valore di mercato delle partecipazioni da que­st’ultimo acquistate, onerando il patrimonio sociale, e dunque, in definitiva, gli altri soci, di subire due volte il pregiudizio correlato alle asseritamene false informazioni fornite e consentendo un surrettizio e selettivo rimborso del capitale sociale, a svantaggio di tutti gli altri soci e i creditori.

In proposito, rileva questo giudice che l’azione proposta dall’attore sembra esulare dallo schema tipico previsto dall’art. 2395 c.c.‚ trattandosi di una domanda che, nonostante abbia per oggetto il risarcimento dei danni derivanti da condotte poste in essere (anche) dall’organo amministrativo, è indirizzata non già ad accertare la responsabilità di questi ultimi per atti dolosi o colposi compiuti nell’esercizio dei poteri gestionali lesivi dei diritti dei soci, bensì la responsabilità della banca, ai sensi dell’art. 2043 c.c.‚ quale soggetto che risponde, in virtù del rapporto di immedesimazione organica che la lega con gli amministratori e gli altri suoi organi, delle condotte illecite da questi posti in essere.

Le medesime condotte possono, dunque, assumere rilevanza sia ai fini della responsabilità personale degli amministratori, ai sensi dell’art. 2395 c.c., sia ai fini della generale responsabilità per fatto illecito della società, in nome della quale gli amministratori hanno agito.

Infatti, la società, per il principio dell’immede­simazione organica, risponde civilmente degli illeciti commessi dall’organo amministrativo nel­l’eser­cizio delle sue funzioni, ancorché l’atto dan­noso sia stato compiuto dall’organo medesimo con dolo o con abuso di potere ovvero non rientri nella competenza degli amministratori, e dagli altri organi aziendali, richiedendosi unicamente che l’atto stesso sia, o si manifesti, come esplicazione dell’attività della società, in quanto tenda al conseguimento dei fini istituzionali di questa, e tale responsabilità si aggiunge, ove ne ricorrano i presupposti, a quella degli amministratori, prevista dall’art. 2395 cod. civ. (cfr. Cass. 5 dicembre 2011, n. 25946).

Come sottolineato da tale decisione, la società è soggetto diverso dai soci che la compongono, in ciò sostanziandosi il fenomeno della personalità giuridica, e non vi è nessuna ragione per superare le implicazioni di tale fenomeno allorché si tratti di responsabilità da fatto illecito commesso dagli amministratori direttamente a danno del socio, per cui la contrapposizione fra società e terzo non si risolve in un conflitto interno alla società stessa (ossia fra la sua maggioranza – della quale sono espressione gli amministratori, la cui esclusiva responsabilità non è nascosta dal “velo” della personalità giuridica – e il socio danneggiato), in quanto il rapporto organico degli amministratori intercorre sempre con la società e non con i suoi soci di maggioranza.

D’altra parte, non appare illogica l’ipotizza­bilità di una responsabilità della società nei confronti del socio in considerazione della partecipazione di quest’ultimo al patrimonio sociale, essendo del tutto pacifica la configurabilità di qualsiasi obbligazione, anche da atto lecito, della società – che sempre con quel patrimonio ne risponderebbe – nei confronti del socio.

Può, inoltre, osservarsi che la tutela delle ragioni della società, in quanto tenuta al risarcimento dei danni per condotte poste in essere dai suoi organi, trovano soddisfazione nella facoltà della stessa di rivalersi nei loro confronti.

Va, dunque, affermato che con la responsabilità personale degli amministratori nei confronti del socio, ai sensi dell’art. 2395 c.c.‚ concorre, ai sensi delle regole generali, quella della società, non ostando, per le ragioni suesposte, il precedente rappresentato dalla (remota) Cass. 1987, n. 183, per cui l’eccezione sollevata al riguardo dalla convenuta non appare fondata.

  1. Nel merito, dalla documentazione prodotta in giudizio può ragionevolmente ritenersi che, alla data del primo acquisto da parte dell’attore delle azioni della banca convenuta, quest’ultima non avesse comunicato con sufficiente chiarezza e tempestività l’esistenza e la rilevanza, in termini economici, del potenziale rischio, già sussistente, derivante dalla gestione di strumenti derivati con la clientela e non avesse adeguatamente evidenziato tale circostanza nel bilancio relativo all’e­ser­cizio dell’anno 2006.

Sotto tale profilo, la condotta della banca non appare essere stata coerente con il dettato del­l’art. 114, d.lgs. n. 58/98, che onera gli emittenti quotati di comunicare al pubblico, senza indugio, le informazioni privilegiate di cui al successivo art. 181, ossia quelle informazioni di carattere preciso, concernente, direttamente o indirettamente, uno o più emittenti strumenti finanziari o uno o più strumenti finanziari, che, se rese pubbliche, potrebbero influire in modo sensibile sui prezzi di tali strumenti finanziari.

Può, dunque, concludersi per la sussistenza della condotta antigiuridica allegata, avuto riguardo alla inosservanza della normativa di settore, nonché del relativo elemento psicologico riferibile alla società convenuta, in considerazione dello standard di professionalità esigibile e della conoscenza delle informazioni sensibili non divulgate, in quanto relative a fatti inerenti alla corrente operatività aziendale.

Tale condotta antigiuridica, in quanto non consistente nella mera omessa informazioni, nei tempi dovuti, di informazioni sensibili, ma estesa all’inosservanza della normativa di settore a presidio della sana e prudente gestione dell’azienda bancaria e che è stata la causa della crisi economico-finanziaria dell’istituto di credito, non può farsi datare nel momento in cui tale crisi si è manifestata (primavera del 2007), ma in epoca precedente, in cui le condotte commissive ed omissive sono state poste in essere.

  1. La banca convenuta contesta la sussistenza del necessario nesso di causalità sostenendo che, anche dopo la prima comunicazione al pubblico, effettuata in data 31 maggio 2007, con la quale si rendeva noto il problema di notevole portata relativo all’attività in derivati posta in essere conla clientela, l’attore ha effettuato ulteriori acquisti delle azioni della banca convenuta, per cui sarebbe evidente l’irrilevanza delle informazioni divulgate rispetto alle scelte dal medesimo effettuate.

Richiama l’autorevole precedente giurisprudenziale rappresentato da Cass. 11 giugno 2010, n. 14056, secondo la quale in presenza di un prospetto di offerta pubblica di sottoscrizione di azioni societarie che contenga informazioni fuorvianti in ordine alla situazione patrimoniale della società, l’emittente al quale le errate informazioni siano imputabili, anche solo a titolo di colpa, risponde verso chi ha sottoscritto le azioni del danno subito per aver acquistato titoli di valore inferiore a quello che il prospetto avrebbe lasciato supporre, dovendosi presumere, in difetto di prova contraria, che la non veridicità del prospetto medesimo abbia influenzato le scelte d’investimento del sottoscrittore.

Muove da tale precedente per sostenere che il compimento dei successivi acquisti delle azioni della convenuta da parte dell’attore – in un momento, quindi, in cui le informazioni sensibili erano state messe a conoscenza del pubblico – costituisce quella “prova contraria” sufficiente a superare la presunzione di sussistenza del nesso di causalità e a far ritenere, dunque, che l’in­formazione fuorviante era irrilevante in quanto, altrimenti, mai l’attore avrebbe rischiato altri capitali sul medesimo titolo azionario, tanto più che la relativa quotazione aveva subito un repentino ribasso.

Tale conclusione, benché supportata da un precedente di merito su analoga vicenda (cfr. App. Milano, 15 gennaio 2014, Rocca e altri c. Italease) non appare persuasiva, non potendosi desumere, in assenza di altri elementi, dal solo acquisto di titoli azionari effettuato in presenza di informazioni che evidenziano forti criticità nel­l’andamento della società il fatto che l’attività di investitore dell’attore non sia influenzata dalle informazioni messe a disposizione del pubblico e sia insensibile alle stesse.

Non può, infatti, escludersi, anche in applicazione di massime di esperienza desumibili dal­l’at­tività degli investitori, che le scelte d’in­ve­stimento non risentano dei dati risultanti dai prospetti informativi e, più in generale, delle informazioni rilevanti messe a disposizione, benché tali dati vengono esaminati congiuntamente ad altri fattori idonei ad incidere sul processo decisionale.

In particolare, assumono rilevanza, tra gli altri elementi, anche il prezzo di acquisto dello strumento finanziario e l’aspettativa di andamento dello stesso, nonché il prefissato arco temporale dell’investimento e la propensione specifica al rischio, non identica per ciascuna operazione e da valutarsi anche con riferimento alla composizione del proprio portafoglio.

Nel caso in esame, la scelta effettuata dall’at­tore successivamente alla diffusione del comunicato del 31 maggio 2007 non costituisce adeguata prova del fatto che la non veridicità delle informazioni conosciute sia stata irrilevante per le operazioni dallo stesso compiute anche precedentemente a tale data, attesa la diversità delle condizioni dell’operazione (maggior rischio a fronte di un diminuito prezzo di acquisto), le diverse finalità che l’investitore persegue con le operazioni poste in essere e la riferita pluralità dei fattori che influiscono nella scelta.

Pertanto, se con riferimento agli acquisti effettuati in epoca successiva alla data del 31 maggio 2007 deve escludersi la responsabilità della banca nei confronti dell’attore, il quale era stato sufficientemente reso edotto della reale situazione economico-patrimoniale della società emittente il titolo, non altrettanto può affermarsi con riferimento agli acquisti effettuati in epoca precedente, ossia il 20 e il 27 aprile 2007, per un am­montare complessivo di 3.050 azioni.

  1. Ciò posto, ritiene questo giudice che il danno subito dall’attore va individuato nella perdita economica derivante dalle predette operazioni del 20 e del 27 aprile 2007, pari alla differenza tra l’importo impiegato nell’investimento e quello ricavato all’esito del relativo disinvestimento, in quanto tali operazioni sono state poste in essere dall’attore sul presupposto della veridicità dei dati dichiarati dalla convenuta, dati che, laddovetempestivamente e correttamente resi noti, avreb­beroindotto l’attore medesimo ad una diversa valutazione in ordine alla convenienza dell’inve­stimento e, verosimilmente, a non effettuare tale investimento alle condizioni convenute.

Va, pertanto, riconosciuto all’attore l’importo di euro 150.850,15, corrispondente alla somma della minusvalenza derivante dalla prima operazione del 20 aprile 2007, pari ad euro 149.378,26 (differenza tra quanto versato per l’acquisto delle azioni – euro 151.785,20 – e quanto ricavato dalla vendita delle stesse – euro 2.406,94) e di quella derivante dalla seconda operazione del 27 aprile 2007, pari ad euro 1.471,89 (differenza tra quanto versato per l’acquisto delle azioni – euro 1.495,80 – e quanto ricavato dalla vendita delle stesse – euro 23,91).

5.1. Poiché si è in presenza di un debito di valore – tale dovendosi considerare l’obbligazione risarcitoria gravante sulla convenuta –, ai fini della quantificazione del danno occorre rivalutare all’attualità il danno accertato, con riconoscimento degli interessi legali sulla somma via via rivalutata, al fine di compensare il danneggiato del nocumento finanziario subito a causa del ritardato conseguimento del relativo importo, che se corrisposto tempestivamente avrebbe potuto essere investito per lucrarne un vantaggio economico (cfr., sul punto, Cass. 3 agosto 2010, n. 18028; Cass. 25 febbraio 2009, n. 4587; Cass. 10 marzo 2006, n. 5234).

  1. ln considerazione del non integrale accoglimento della domanda attorea, nonché del­l’as­senza di orientamenti univoci sulla questione, appare opportuno compensare nella misura della metà le spese processuali tra le parti, ponendo la frazione residua a carico della convenuta, liquidata come in dispositivo

P.Q.M.


il Tribunale di Roma, IX sezione civile, definitivamente pronunciando, cosi provvede:

  1. a) accoglie parzialmente la domanda proposta da Cianfoni Giuseppe Cristiano e, per l’effetto, condanna la Banca Italease s.p.a. al risarcimento dei danni in suo favore liquidato in euro 150.850,15, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali sulla somma rivalutata anno per anno a decorrere dalle date delle singole operazioni di acquisto sino alla data di pubblicazione della sentenza; il tutto, oltre interessi legali a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza sino al soddisfo;
  2. b) compensa nella misura della metà le spese processuali tra le parti e condanna la Banca Italease s.p.a. alla rifusione in favore di Cianfoni Giuseppe Cristiano della frazione residua che si liquida in complessivi euro 4.344,63, di cui euro 4.000,00 per compenso ed euro 344,63, oltre rimborso spese generali. ex art. 2, comma 2, d.m. 10 marzo 20.14, n. 55, oneri fiscali e contributivi.


Roma, 24 ottobre 2014.

Il Giudice designato

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. Gli orientamenti dottrinali e giurispru­­denziali - 4. Il commento - 4.1. Danno da informazioni scorrette, tutela dell’investimento del socio-in­ve­stitore e azione nei confronti della società - 4.2. Considerazioni in tema di responsabilità concorrente degli amministratori ex art. 2395 c.c. - NOTE


1. Il caso

La pronuncia in oggetto rappresenta un caso di accoglimento di una domanda di risarcimento dei danni promossa da un socio nei confronti di una società quotata, in seguito a un calo repentino del valore dei titoli azionari di quest’ultima conseguente all’emersione di falsità di bilancio pregresse e alla mancata comunicazione di informazioni privilegiate a soci e investitori ai sensi dell’art. 114, 1° comma, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58. Nel caso in esame, il signor C., in qualità di socio di una banca popolare quotata (di seguito anche “Banca”), ha citato in giudizio la stessa società chiedendone l’accerta­mento della responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c. nonché la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della perdita di valore dei titoli azionari della società convenuta. In particolare, l’attore lamentava che la perdita fosse riconducibile alla pubblicazione di dati di bilancio falsi, alla mancata divulgazione di adeguate informazioni a soci e investitori sulle reali tipologie di investimento e alla realizzazione di condotte operative non improntate a criteri di sana e prudente gestione [1]. La Banca d’Italia aveva in precedenza posto in luce gravi irregolarità nella gestione della Banca (rilevanti anche penalmente), mentre la Consob aveva sanzionato l’emittente in quanto quest’ultimo aveva investito tutti i risparmi dei suoi piccoli e grandi azionisti in prodotti derivati, sprovvisto della debita autorizzazione. In seguito all’ispezione della Banca d’Italia e al provvedimento sanzionatorio della Consob, il valore delle azioni della Banca era crollato e si era provveduto alla sostituzione del­l’organo amministrativo. Peraltro, il signor C. aveva deciso di cedere i titoli della Banca in occasione di una imminente offerta pubblica di acquisto (OPA) dimostratasi dannosa in quanto, sebbene le poste espresse nel bilancio della Banca indicassero un valore netto patrimoniale per azione pari a euro 9,23, i titoli, in sede di OPA, erano stati successivamente acquistati a un prezzo unitario pari a soli euro 0,97. La Banca si costituiva in giudizio eccependo la carenza di legittimazione attiva in capo al signor C. e passiva in capo a sé medesima, nonché la natura di danno indiretto della perdita di valore dell’investimento del signor C., non azionabile [continua ..]


2. La normativa di riferimento

L’azione intentata dal signor C. esulerebbe dallo schema tipico disciplinato dall’art. 2395 c.c. – applicabile peraltro anche agli amministratori di società cooperative in forza dell’art. 2519 c.c. [3] – avendo bensì ad oggetto l’accertamento di una ben più generale responsabilità per fatto illecito della Banca ex art. 2043 c.c. “quale soggetto che risponde, in virtù del rapporto di immedesimazione organica che la lega con gli amministratori e gli altri suoi organi, delle condotte illecite da questi poste in essere” [4]. Pertanto il Tribunale di Roma si è pronunciato nel senso di una responsabilità della Banca – obbligata ai sensi dell’ar­t. 114, 1° comma, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 – per la pubblicazione di informazioni non corrette in grado di procurare un danno ingiusto ai soci e agli investitori ai sensi dell’art. 2043 c.c. [5]. La corte romana sembrerebbe dunque aver superato la risalente visione antropomorfica che induceva gli interpreti a plasmare la responsabilità delle persone giuridiche e delle organizzazioni in generale sul modello di quella delle persone fisiche e a richiedere conseguentemente che oltre all’emittente vi fosse anche un soggetto, organo della società, personalmente responsabile [6].


3. Gli orientamenti dottrinali e giurispru­­denziali

Si noti che da tempo parte della dottrina era giunta ad ascrivere una responsabilità per danno informativo alla società seguendo due differenti percorsi argomentativi. Alcuni autori, ritenevano che la società fosse direttamente responsabile delle false informazioni in quanto la diffusione degli atti e delle comunicazioni sociali sarebbe stata imputabile, in primo luogo, proprio all’emittente. Tuttavia, l’elemento soggettivo richiesto, caso per caso, dalla norma di imputazione della responsabilità doveva ritenersi soddisfatto nella sola ipotesi in cui fosse stato rilevabile in capo a uno o più esponenti della società (amministratore, direttore finanziario, dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari) [7]. Pertanto, seguendo tale prima impostazione, essendo la persona giuridica responsabile esclusivamente nel caso in cui l’e­le­mento soggettivo dell’illecito fosse stato riconducibile ad una persona fisica che per essa avesse agito, all’accertamento della responsabilità della società sarebbe seguita, quasi naturalmente, anche una responsabilità personale dell’organo. Altra dottrina, riteneva invece che dovesse anzitutto accertarsi una responsabilità per fatto doloso o colposo direttamente in capo all’amministratore o al direttore personalmente responsabile nei confronti del socio e dei terzi ai sensi dell’art. 2395 c.c. e, solo successivamente, estenderla all’emittente responsabile pertanto solo indirettamente, in applicazione dell’art. 2049 c.c. [8]. In tale diversa prospettiva, il danno arrecato a terzi da un esponente della società avrebbe potuto comportare una responsabilità indiretta della persona giuridica per culpa in vigilando conseguente all’accertamento di un difetto del sistema di controllo interno della società nonché una eventuale responsabilità personale di quegli amministratori cui materialmente competeva la vigilanza in merito all’adeguatezza di tale sistema di controllo. Per contro, il Tribunale di Roma sembrerebbe aver utilizzato un percorso che si differenzia, superandoli, da quelli precedentemente tracciati in letteratura. Infatti, la corte romana ha considerato la Banca come soggetto legittimato passivo atto a risarcire il pregiudizio subito dal socio in nome del principio di immedesimazione [continua ..]


4. Il commento

4.1. Danno da informazioni scorrette, tutela dell’investimento del socio-in­ve­stitore e azione nei confronti della società

La sentenza in rassegna offre l’occasione per una riflessione sulla dibattuta tematica del diritto del socio a ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della perdita del valore dei titoli azionari in suo possesso nonché la concreta possibilità di dare risposta al conseguente interrogativo riguardante il se e sulla base di quali criteri un atto illecito materialmente perpetrato da un amministratore di una società di capitali possa essere imputato alla società, all’am­mi­nistratore o a entrambi [20]. Come noto, anche i soci possono subire nocumento dalla pubblicazione di informazioni non corrette o lacunose. Infatti, da un lato, potrebbero continuare a investire o piuttosto essere indotti a non disinvestire qualora le informazioni diffuse riportassero una situazione patrimoniale della società migliore della reale [21]; dall’altro, potrebbero essere convinti a disinvestire nel caso in cui le informazioni diffuse risultassero poco chiare o rappresentassero una situazione della società peggiore della reale [22]. Ciò detto, anzitutto si rileva che nella esemplificativa casistica su esposta i diretti interessati si presentano in modo impersonale in quanto la società è persona solo in senso meramente figurato; le negoziazioni sul mercato finanziario tipicamente si svolgono in maniera anonima e impersonale; e, infine, l’interesse del socio-investitore rileva in ter­mini di valore oggettivo dell’inve­sti­mento. In relazione a quest’ultimo punto, lo stesso legislatore sembrerebbe infatti preoc­cuparsi di garantire una tutela dell’in­ve­stimento oggettivamente considerato piut­­tosto che del patrimonio personale del­l’azionista [23]. In secondo luogo, si evidenzia che, a differenza delle ipotesi di responsabilità da prospetto, nelle vicende inerenti al mercato secondario gli amministratori e l’emittente devono essere considerati alla stregua di soggetti terzi non essendo percepibile un vero e proprio rapporto diretto tra condotte della società e dei suoi organi e l’evento concretamente produttivo del danno, che si identifica piuttosto con un’operazione di negoziazione (investimento o disinvestimento) sul mercato azionario, anonima e posta in essere tra parti diverse. Sulla base di ciò, sembra corretto accedere [continua ..]


4.2. Considerazioni in tema di responsabilità concorrente degli amministratori ex art. 2395 c.c.

Come poc’anzi evidenziato, ulteriore questione riguarda il se con la responsabilità della società (sulla quale gravano direttamente gli obblighi informativi) possa con­correre quella personale degli amministratori [38]. Rectius, si tratterà di comprendere se gli amministratori, cui sia riferibile la materiale diffusione di informazioni scorrette sul mercato, siano responsabili internamente nei confronti della società per il pregiudizio che graverebbe sulla stessa e consistente nel dover risarcire i danni subiti dagli investitori; ovvero esternamente e pertanto direttamente nei confronti dei soci-investitori danneggiati [39]. In termini generali, soprattutto nelle ipotesi di insolvenza dell’emittente e dunque di conseguente inidoneità del patrimonio sociale a soddisfare le pretese risarcitorie avanzate dagli investitori, una responsabilità concorrente degli amministratori sembrerebbe farsi strada e rappresentare una scelta vantaggiosa [40]. Sennonché, nel caso sottoposto al vaglio del Tribunale di Roma, prima facie si potrebbe opporre che le false informazioni materialmente diffuse dagli amministratori sul mercato abbiano compromesso lo stesso patrimonio sociale, risultandone la partecipazione del socio solo indirettamente danneggiata [41]. Effettivamente, in dottrina comunemente si ritiene che il danno subito dal socio sia indiretto se il depauperamento coinvolge, in primo luogo, il patrimonio sociale [42]; mentre sia diretto se investe direttamente, e indipendentemente da un eventuale danno alla società, il patrimonio del socio [43]. Sulla scorta di tale premessa, se gli amministratori cagionano un danno al patrimonio della società con le proprie condotte dolose o colpose, indirettamente danneggiano anche il patrimonio dei soci della stessa. È evidente che la diminuzione del patrimonio della società produrrà una conseguente riduzione di valore della partecipazione personale attribuibile al singolo socio. Tuttavia, ai soci non sarebbe consentito demandare un risarcimento direttamente a favore del proprio patrimonio personale in quanto, non potendosi imporre agli amministratori un duplice obbligo risarcitorio per le stesse condotte e per il medesimo danno, ne deriverebbe una diminuzione del patrimonio sociale [44]. In tale ottica, ai soci sarà consentito piuttosto chiedere un risarcimento del [continua ..]


NOTE