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Tetti di voto, tetti di partecipazione
Giuseppe Alberto Rescio
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Sommario:
1. Tetti e soglie nel rapporto sociale: la “centralità” del diritto di voto - 2. Tetto alla partecipazione: due osservazioni - 3. Tetti di voto: evoluzione di un “mezzo di difesa” - 4. Varianti funzionali della fattispecie - 5. Limiti di ammissibilità delle singole varianti - 6. Varianti strutturali della fattispecie - 7. Tetti di voto e calcolo dei quorum - 8. Tetti di voto nelle quotate e interferenze con l’opa obbligatoria - NOTE
1. Tetti e soglie nel rapporto sociale: la “centralità” del diritto di voto
Diversamente da quanto avviene nell’edilizia, nel diritto societario il “tetto” è una specie del genere “soglia”. Per “soglia” si intende il punto di cambiamento nella disciplina e/o nel contenuto di una posizione giuridica semplice (es. diritto di voto) o complessa (es. un fascio di diritti inclusi nella partecipazione sociale) per la quale sia rilevante una qualsiasi forma di misurazione quantitativa. L’effetto del superamento in alto o in basso di una determinata soglia consiste in un cambiamento che si può apprezzare sul piano della intensità o forza o peso della posizione giuridica (modifica quantitativa) oppure sul piano delle qualità di tale posizione (modifica qualitativa), ivi inclusa la spettanza o il venir meno della posizione giuridica interessata dalla soglia. Per “tetto” o “misura massima” si intende – e in particolare intende l’art. 2351 c.c. – quella soglia il cui raggiungimento blocca le posizioni giuridiche sul piano quantitativo, impedendo che esse crescano di intensità come dovrebbero in base al criterio di misurazione rilevante: così il tetto al voto o alla partecipazione fa sì che l’intensità del voto e/o delle altre posizioni giuridiche incluse nella partecipazione sociale e suscettibili di variare in intensità cresca, con il crescere del possesso azionario, non oltre la soglia massima [continua ..]
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2. Tetto alla partecipazione: due osservazioni
Prima di rivolgere l’attenzione alle clausole che appongono soglie massime al voto, e proprio per rimarcare le principali differenze tra le due fattispecie, sembra qui corretto limitarsi a due semplici osservazioni pertinenti alla posizione di un tetto alla partecipazione. Con la prima si vuole sottolineare che è necessario interpretare la relativa clausola per poter desumere a quali posizioni giuridiche, oltre al voto, si pretenda di applicare il tetto: una clausola opaca sul punto può determinare notevoli incertezze 3. Nel dubbio, proprio in quanto a partire dalla riforma societaria del 2003 il sistema conosce espressamente il tetto al (solo) voto, il riferimento alla partecipazione come tale ne sollecita la considerazione unitaria 4, sicché il criterio guida dovrebbe consistere nella estensione del tetto a tutte le posizioni giuridiche graduabili, tanto di tipo amministrativo quanto di tipo patrimoniale, per le quali l’ordinamento tolleri l’apposizione di un tetto, con la sola eccezione del diritto di alienare la partecipazione. Quest’ultima eccezione – che implica la non deducibilità di un limite alla immissione di azioni in circolazione in capo al potenziale alienante come effetto naturale di un tetto alla partecipazione – si giustifica perché la funzione del tetto si correla normalmente alla determinazione dei poteri del socio nel suo agire all’interno del [continua ..]
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3. Tetti di voto: evoluzione di un “mezzo di difesa”
Quella dei tetti di voto è una storia lunga. Diverse ricerche ne hanno evidenziato la notevole frequenza nelle corporations americane durante il periodo che comprende le ultime decadi del XVIII e la prima metà del XIX secolo. Questione discussa è quale sia stata la causa prima dell’affermazione e poi del tramonto di simili tecniche di limitazione del peso del voto del singolo azionista (al tetto spesso si affiancava o si sostituiva la spettanza del voto in misura meno che proporzionale rispetto al numero di azioni possedute). Se invocare un generale ossequio a principi di “democrazia” azionaria non consente di compiere passi avanti nella individuazione degli interessi protetti, il dilemma consiste nel decidere se si trattasse: (i) di sistemi di tutela, e quindi di incentivazione, dei piccoli investitori contro lo strapotere dei grandi investitori in ordinamenti sforniti di adeguate regole di protezione al riguardo 7, ovvero (ii) di sistemi di tutela dei soci “consumatori”, cioè di quei soci interessati non tanto alla massima remunerazione dell’investimento quanto alla diretta o indiretta fruizione, a costi ragionevolmente contenuti, dei servizi forniti dalla loro società 8. A conforto di questa seconda tesi vengono offerti dati convincenti che collegano la presenza delle restrizioni nel voto al settore di attività delle società interessate. I tetti di voto, infatti, [continua ..]
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4. Varianti funzionali della fattispecie
La diversità degli obiettivi perseguibili con il tetto di voto determina la variabilità della fattispecie sul piano funzionale. Le varianti, sotto questo profilo, si differenziano in relazione ai destinatari del vincolo e si elencano qui di seguito a prescindere dal problema della loro coerenza con l’ordinamento, oggetto di esame nel § 5. In primo luogo viene in considerazione il tetto di voto generale (i), valevole per tutte le azioni con voto – quale che sia il rapporto “voto per azione” – e per tutti gli azionisti. In altre parole, il tetto si applica a tutte le azioni dotate del voto indipendentemente da chi sia il loro titolare e dunque vale per tutti gli azionisti legittimati al voto indipendentemente dalle caratteristiche delle loro azioni. Con varie tecniche si può però ipotizzare una selezione dei destinatari del tetto di voto. Così è ben nota la variante del tetto di voto parziale per tipologia di azioni (ii), nella quale il limite si rivolge a tutti gli azionisti che divengono titolari di una data tipologia di azioni con voto ed opera soltanto in relazione al voto attribuito da tale tipo di azioni. Ciò significa che, se lo stesso socio acquista azioni soggette al tetto ed azioni che non lo sono, egli subirà gli effetti limitativi del tetto soltanto con le prime azioni, non anche con le seconde, il cui voto potrà quindi essere pienamente [continua ..]
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5. Limiti di ammissibilità delle singole varianti
A) Iltetto di voto generale(i), sia esso stabilito per tutte le delibere assembleari o solo per alcune 21, è la variante specificamente contemplata dall’art. 2351, 3° comma, c.c. La clausola che lo prevede, pertanto, non dà luogo a problemi di ammissibilità, salvo il seguente: se la misura massima alla quale venga limitato il diritto di voto possa essere fissata in un voto, di tal che ogni azionista – indipendentemente dal numero di azioni con voto possedute – abbia a disposizione un solo voto, cioè un voto conteggiabile per 1/1 in ordine alla verifica del quorum Un simile tetto porterebbe al voto capitario nella s.p.a. 22, poiché ogni socio conterebbe come ogni altro socio indipendentemente dal numero di azioni (con voto) rispettivamente imputabili. La questione può essere posta chiedendosi se – constatato il moltiplicarsi degli strumenti atti a scardinare il principio di proporzionalità tra proprietà/rischio e controllo/potere in tutte le s.p.a., anche quotate – ancora vi sia, ed eventualmente quale sia, una soglia minima al di sotto della quale non si possa scendere nel fissare il tetto di voto. Invero, di una tale soglia minima nell’art. 2351 non vi è traccia. Essa, tutt’al più, potrebbe essere desunta da altre norme in tema di s.p.a. e dal confronto con quelle dettate per altri tipi sociali: sotto il primo profilo si è [continua ..]
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6. Varianti strutturali della fattispecie
A ben vedere, l’art. 2351, 3° comma, c.c. non si occupa della struttura della fattispecie: la norma legittima un risultato – la limitazione del voto ad una misura massima in relazione alla quantità di azioni possedute da uno stesso soggetto – senza descrivere il meccanismo tecnico mediante il quale lo si può ottenere. Ebbene, quel risultato è in astratto conseguibile in vario modo, e precisamente agendo sulla titolarità, o sull’esercizio e, quindi, sulla legittimazione, o ancora sul contenuto, cioè sull’intensità o forza, del diritto di voto. Variante (a). Il tetto potrebbe agire sulla titolarità del diritto di voto, se si ritiene e si fa in modo che: (i) l’azionista sia titolare di una pluralità di diritti di voto, tanti diritti quante sono le azioni possedute, il cui contenuto (o intensità o forza) dipende dal rapporto “voto per azione”; (ii) tutte le azioni interessate dal tetto diano il diritto di voto; (iii) il diritto di voto attribuito da alcune azioni venga meno per effetto della compresenza, nel patrimonio dell’azionista (o nell’area di imputabilità all’azionista definita dalla clausola), di un numero di diritti di voto eccedente il tetto 46. Variante (b). Il tetto, però, potrebbe anche agire non sulla titolarità ma sulla legittimazione, vale a dire sulla [continua ..]
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7. Tetti di voto e calcolo dei quorum
Una seconda questione di disciplina, con la quale saggiare la rilevanza o irrilevanza delle varianti strutturali sopra esposte, è offerta dal calcolo dei quorum costitutivi e deliberativi: nelle delibere assembleari richiedenti la presenza e/o il voto favorevole di una maggioranza di capitale, in qual modo interferisce il tetto di voto sulla integrazione delle maggioranze prescritte dalla legge o dallo statuto? 53 In forza dell’art. 2368, 1° e 3° comma, c.c. nel quorum costitutivo 54 non si computano le azioni prive del diritto di voto nell’assemblea stessa, mentre si computano quelle per cui non può essere esercitato il voto. Nel tetto di voto strutturato secondo le varianti (b) e (c) nessuna azione viene privata del diritto di voto a causa del tetto: quindi tutte le azioni sono da computare, ancorché il voto corrispondente ad alcuna di esse non possa essere esercitato (b) 55 o risulti depotenziato (c). Invece nella variante (a), ove venisse effettivamente realizzata in modo tale da potersi affermare che le azioni possedute in eccedenza rispetto al tetto non attribuiscono la titolarità del voto, si dovrebbe concludere che quelle azioni non siano da computarsi 56 57. Per rendersi conto dei diversi esiti a cui conducono le diverse impostazioni, si rifletta sulla seguente ipotetica situazione. In una s.p.a. con tetto al 10% del capitale rappresentato da azioni ordinarie, un [continua ..]
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8. Tetti di voto nelle quotate e interferenze con l’opa obbligatoria
In base all’art. 106 t.u.f., nel testo vigente dopo la legge n. 116/2014, l’obbligo di promuovere un’opa totalitaria consegue alla detenzione di una partecipazione superiore alla soglia del 30% ovvero alla disponibilità di diritti di voto in misura superiore al 30% dei medesimi, a seguito di acquisti o di maggiorazione del voto. Salvo che nelle PMI, il cui statuto può variare la soglia rilevante tra il 25% e il 40%, l’obbligo di opa scatta anche in caso di partecipazione che superi, a seguito di acquisti, il 25% ove non vi sia nessun altro azionista con una partecipazione più alta. Una volta aperta la strada al tetto di voto nelle società quotate, si tratta di capire se e in qual modo incida la posizione di un tetto di voto con riferimento ad entrambi i presupposti rilevanti: la “partecipazione” e la “disponibilità di voti”. Sotto il profilo della “disponibilità di voti” pare evidente che la posizione di un tetto generale di voto al di sotto della soglia rilevante, per es. al 20%, impedisca a chiunque di disporre di diritti di voto in modo da far scattare l’obbligo di opa per il solo effetto della diretta riconduzione di azioni con voto alla sfera giuridica di un singolo azionista 63. Il tetto parziale di voto, per contro, accresce le probabilità che la soglia dei voti disponibili venga superata da coloro che non vi sono soggetti, in quanto i diritti di [continua ..]
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NOTE