Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sul regime di 'prorogatio' degli amministratori di società a partecipazione pubblica di tipo in house (di Alessandro Salvador, Silvia Adani)


Il presente contributo affronta il tema delle società in house provid­ing, soggette a c.d. “controllo analogo” da parte di enti pubblici. Siffatto schema societario pone inedite problematiche attinenti la governace, con particolare riferimento alla fattispecie della decadenza degli amministratori e al successivo regime di prorogatio. Sotto tale profilo, questo articolo esamina le principali questioni relative all’operatività della società in house, illustrando altresì possibili rimedi al fine di ovviare all’eventuale inerzia della pubblica amministrazione, quale socio di controllo, in caso di mancata nomina del nuovo organo gestorio

The 'prorogatio' regime applicable to the directors of in house providing companies

This paper deals with in house providing companies under so-called “analogous control” of public administration entities. This particular kind of company raises unprecedented governance issues with regard to the end of directors’ mandate and to their prorogatio regime. The analysis addresses the practice main concerns related to this phase of the company’s operation and sheds some light on possible tools and remedies to tackle a potential dead-lock situation related to the lack of re-appointment of new directors by the controlling shareholder.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Le società in house providing: la longa manus della pubblica amministrazione? - 3. La governance delle società in house providing: nomina e revoca degli organi amministrativi - 4. (Segue). Il regime di prorogatio a seguito della decadenza degli amministratori e sindaci: differenze con le altre partecipate - 5. L'inerzia della pubblica amministrazione nella nomina dei nuovi organi societari: profili di responsabilità - 6. (Segue). Rimedi di fronte all'inerzia della p.a. - NOTE


1. Introduzione

La regolazione del fenomeno delle società a partecipazione pubblica è stata a lungo connotata da frammentarietà ed eterogeneità delle fonti, con plurimi e spesso disorganici interventi normativi. Per anni giurisprudenza e dottrina hanno tentato, e tutt’ora si sforzano, di ricostruire un quadro unitario in una materia che, per sua stessa natura, pare destinata a muoversi in una incerta terra di confine tra il diritto amministrativo e il diritto commerciale, dove l’innesto di principi consolidati nell’uno e nell’altro ambito non è automaticamente predicabile [[1]]. Un tentativo di sistemazione della materia è intervenuto nell’ambito della più complessa riorganizzazione dell’amministrazione pubblica di cui alla c.d. Riforma Madia (legge 7 agosto 2015, n. 124), laddove il legislatore ha introdotto una disciplina delle società a partecipazione pubblica, a mezzo del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, meglio noto come Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica (“TUSP”), nel dichiarato intento di assicurare maggiore chiarezza, semplificazione delle norme, in uno con un migliore utilizzo delle risorse pubbliche [[2]]. L’entrata in vigore del TUSP – e la successiva novella a seguito del decreto correttivo (d.lgs. n. 100/2017) [[3]] – ha apportato maggiore organicità alla disciplina delle società a partecipazione pubblica, raccogliendo e riordinando (per la prima volta) in un unico testo diverse norme speciali di matrice pubblicistica. Inoltre, la disciplina opera un richiamo espresso alle regole codicistiche di diritto societario, la cui applicazione, fatta salva dall’art. 1, 3° comma, TUSP per tutto quanto non espressamente statuito da specifiche previsioni del TUSP, pare assumere una vocazione generalizzata [[4]]. Queste note esplorano il delicato tema del regime di prorogatio dei membri degli organi societari, limitatamente ad una particolare tipologia di società a partecipazione pubblica, la società c.d. in house providing. Prima di addentrarsi nel cuore della questione, occorre prendere le mosse dalla natura e dalle peculiarità delle società in house (§ 2), nel tentativo di comprendere le ragioni della scelta legislativa per un regime ad hoc in punto di prorogatio degli organi amministrativi e di controllo, diverso rispetto a quello di [continua ..]


2. Le società in house providing: la longa manus della pubblica amministrazione?

Le società c.d. in house providing costituiscono un peculiare modello di società per la gestione dei servizi pubblici, nato in seno alla giurisprudenza comunitaria con la nota sentenza Teckal della Corte di Giustizia nel 1999 [[5]] e, successivamente, riconosciuto anche a livello normativo, da ultimo nel TUSP. La portata dirompente della sentenza Teckal consiste nell’aver, per la prima volta, esonerato l’ente pubblico – in presenza di una società affidataria c.d. in house – dall’obbligo di preventivo espletamento delle procedura ad evidenza pubblica, consentendo dunque alla p.a., in forza del peculiare legame con il soggetto affidatario, di procedere all’affidamento diretto di appalti e servizi pubblici, in deroga ai principi di libera concorrenza e parità di trattamento degli operatori economici [[6]]. Inoltre, la sentenza in esame e le successive pronunce comunitarie della Corte di Giustizia hanno consentito di delineare i tre requisiti caratterizzanti il modello delle società in house: (i) la destinazione prevalente dell’attività in favore degli enti partecipanti alla società; (ii) la sottoposizione ad un “controllo analogo”, corrispondente a quello esercitato dall’ente pubblico sui propri servizi; (iii) la natura esclusivamente pubblica dei soci [[7]]. Il TUSP ha recepito – sebbene con alcuni adattamenti – tali requisiti, fornendo una definizione coerente di società in house all’art. 2, lett. o) e all’art. 16. In particolare, l’art. 16 TUSP, con riferimento all’assetto proprietario delle società in house, oltre a prevedere il modello di società in house in cui il “controllo analogo” è esercitato da una o più amministrazioni congiuntamente, ritiene altresì ammissibile – in discontinuità con il pregresso modello comunitario di in house – la partecipazione privata, purché non maggioritaria e, in ogni caso, non tale da comportare un «controllo o potere di veto, né l’esercizio di un’influenza determinante sulla società controllata» [[8]]. Come rilevato in dottrina, questa “parziale” apertura al capitale privato nelle società in house risulta coerente con l’approccio privatistico sposato dal legislatore del TUSP [[9]]. Le peculiarità che [continua ..]


3. La governance delle società in house providing: nomina e revoca degli organi amministrativi

Il tema della nomina e revoca degli organi amministrativi delle società in house non può prescindere dal richiamo all’art. 2449 c.c. [[13]], che detta una disciplina peculiare per le sole società per azioni a partecipazione pubblica [[14]]. Segnatamente, la disposizione in parola consente allo Stato o all’ente pubblico (che possiedano partecipazioni in una società per azioni) la facoltà – (solo) a fronte di un’espressa clausola statutaria in tal senso – di provvedere alla nomina diretta di amministratori e sindaci e alla loro eventuale revoca. Attraverso il riconoscimento di siffatto diritto, il legislatore ha inteso attribuire al “socio pubblico” un potere maggiore rispetto a quello riconosciuto agli altri soci, in ragione dell’interesse pubblico (indirettamente) perseguito dalla società [[15]]. Con riferimento alle società partecipate pubbliche che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio [[16]], il criterio previsto per la nomina dell’organo amministrativo e di sorveglianza è fondato su un sistema proporzionale alla partecipazione detenuta dall’ente pubblico; una volta nominati in sede extra assembleare, i soggetti sono poi equiparati, quanto ai diritti e ai relativi obblighi, agli amministratori di nomina assembleare. La facoltà di nomina e revoca attribuita dall’art. 2449 c.c. al socio pubblico (a mezzo di previsione statutaria) ha sollevato interrogativi in dottrina e in giurisprudenza in merito alla natura giuridica non solo delle società partecipate da enti pubblici, ma degli stessi atti di nomina e revoca. Ad oggi, pare prevalere l’orientamen­to secondo cui, quand’anche trovi applicazione la disciplina di cui all’art. 2449 c.c., ciò non sia di per sé sufficiente a snaturare la struttura giudica e il funzionamento della società per azioni, che non “muta la sua natura di soggetto privato solo perché l’ente pubblico ne possegga in tutto o in parte le azioni” [[17]]. Ne consegue che – nonostante la facoltà speciale prevista dallo statuto ai sensi dell’art. 2449 c.c. – la governance societaria resta, per il resto, regolata dalle norme societarie comuni. Recentemente le stesse Sezioni Unite [[18]] sono ritornate sul punto e – nel ribadire tali principi, con riferimento proprio ad [continua ..]


4. (Segue). Il regime di prorogatio a seguito della decadenza degli amministratori e sindaci: differenze con le altre partecipate

Per tutte le società a partecipazione pubblica diverse dalla società in house, il TUSP nulla prevede in merito alla disciplina applicabile in caso di scadenza del mandato di amministratori o sindaci, con ciò rimandando alla disciplina societaria comune della prorogatio prevista dal codice civile, in forza del rinvio espresso operato dal già citato art. 1, 3° comma, TUSP. Diversamente, il legislatore ha inteso dettare una disciplina peculiare e differenziata proprio per le società in house, alle quali si applicano le regole sulla prorogatio espressamente dettate dalla legge n. 444/1994 per gli organi amministrativi degli enti pubblici. Le conseguenze di questa differenziazione sono tutt’altro che marginali in punto di disciplina. Per tutte le società a partecipazione pubblica diverse dalla società in house, trova infatti applicazione la disciplina codicistica della “cessazione degli amministratori” di cui all’art. 2385 c.c., il cui 2° comma dispone che «la cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito». La previsione in parola – applicabile a tutte le società a partecipazione pubblica, diverse dalle in house – ha inteso dunque garantire la continuità di funzionamento della società, evitando che la cessazione della carica possa creare situazioni di vuoto o stallo dell’organo amministrativo, pregiudizievoli per la conduzione dell’impresa [[22]]. È poi communis opinio, in dottrina e in giurisprudenza, che gli amministratori (decaduti) conservino comunque (tutti) i poteri di gestione e rappresentanza fino alla ricostituzione del nuovo consiglio di amministrazione, dovendo pertanto compiere, nell’esercizio delle loro funzioni, tanto atti di ordinaria amministrazione, quanto di straordinaria amministrazione (al di là della bontà in sé di tale distinzione nel contesto del diritto d’impresa) [[23]]. Pur non avendo alcuna limitazione nel compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, vi è che gli amministratori decaduti saranno comunque tenuti ad agire con (una forse maggiore) diligenza e cautela, stante la loro responsabilità per eventuali danni arrecati al patrimonio sociale da nuove operazioni che si inseriscono comunque in un contesto [continua ..]


5. L'inerzia della pubblica amministrazione nella nomina dei nuovi organi societari: profili di responsabilità

Si assiste, purtroppo sempre più spesso, a situazioni d’inattività e inerzia da parte dell’ente pubblico socio nella nomina (anche a mezzo dello strumento di cui al­l’art. 2449 c.c.) dei nuovi membri degli organi amministrativi e di controllo di società di tipo in house. Lo stallo, di matrice spesso politica, è foriero di conseguenze anzitutto sotto il profilo della responsabilità dei soggetti titolari degli organi e uffici preposti alla nomina. Invero, mentre gli amministratori, ormai decaduti, cessata la prorogatio di quarantacinque giorni, non dispongono più di alcun potere, anche solo di impulso endosocietario, gli individui chiamati, a livello dell’ente pubblico socio, alla nomina di nuovi membri del consiglio di amministrazione della società in house sono esposti a responsabilità sotto diversi profili, in caso di mancata nomina dell’organo amministrativo. Come sancito dall’art. 6, 3° comma, legge n. 444/1994 «i titolari della competenza alla ricostituzione … sono responsabili dei danni conseguenti alla decadenza determinata dalla loro condotta». In letteratura non pare essersi sino ad oggi affrontato il tema della responsabilità in caso di inerzia dell’ente pubblico socio nella nomina dei nuovi organi amministrativi (e di controllo, se del caso), decorsi i quarantacinque giorni di prorogatio. (A) A tale riguardo, un primo profilo che merita di essere esaminato attiene alla configurabilità di una responsabilità dell’ente pubblico socio della società in house – che ometta di provvedere alla nomina dei nuovi membri del consiglio di amministrazione della società in house – per abusivo esercizio dell’attività da direzione e coordinamento ai sensi dell’art. 2497 c.c. Preliminarmente, giova affrontare la questione relativa all’applicabilità delle norme di cui all’art. 2497 e ss. c.c. anche alle società pubbliche. Sebbene esista un orientamento dottrinale contrario, giurisprudenza e dottrina maggioritaria ritengono a ragione che la disciplina codicistica della responsabilità da direzione e coordinamento possa applicarsi anche alle società partecipate pubbliche, per una pluralità di ragioni. In primo luogo, lo stesso art. 2497 c.c. ascrive la responsabilità per attività di direzione e coordinamento [continua ..]


6. (Segue). Rimedi di fronte all'inerzia della p.a.

Abbandonato il terreno della responsabilità, ci spostiamo sul campo rimediale, i.e. dei possibili strumenti di reazione adottabili dinnanzi all’inerzia e allo stallo dell’ente pubblico socio nella nomina dei componenti degli organi amministrativi e di controllo delle partecipate “in house”. La linea d’indagine ci porta a ricondurre la situazione di stallo ad una «impossibilità di funzionamento» della società in house, con conseguente verifica dell’ac­cessibilità ai rimedi liquidatori previsti dagli artt. 2484 e ss. c.c., anche quale stimolo per sollecitare una reazione da parte dell’ente pubblico socio [[52]]. Invero, l’impossibilità di funzionamento dell’assemblea, prevista quale causa di scioglimento della società dal codice civile, potrebbe configurarsi anzitutto nel caso di inattività dell’assemblea della società in house, che sia stata (più volte) inutilmente convocata dagli amministratori (nei quarantacinque giorni di prorogatio) per dare impulso alla nomina del nuovo organo amministrativo; ma forse anche nel caso di inerzia nella nomina extra-assembleare dei nuovi amministratori da parte dell’ente pubblico, laddove questo nomini la totalità o la maggioranza del consiglio ai sensi del già citato art. 2449 c.c. L’applicazione dei rimedi liquidatori previsti dal diritto societario parrebbe una soluzione coerente, prima facie, con i principi sostenuti (da ultimo) dalle Sezioni Unite della Cassazione (nella pronuncia n. 24591/2016). Per la Suprema Corte, la vicenda della nomina e della revoca degli amministratori della società in house si muove – come si è già visto – sul terreno della “potestà di diritto privato, in quanto espressiva di una potestà attinente ad una situazione giuridica societaria, restando esclusa qualsiasi sua valenza amministrativa”. Conseguentemente, potrebbe ritenersi che anche la mancata nomina, e le conseguenze della stessa per le società in house, andrebbero trattate in conformità agli istituti propri del diritto societario comune, sulla scorta del ricordato rinvio, a vocazione generale, operato dall’art. 1, 3° comma, TUSP [[53]]. Questa prospettiva, seppur coerente con la sistematica delle società in house, non è però di piana applicazione. Decorsi [continua ..]


NOTE