Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Responsabilità degli organi di amministrazione e controllo di società a partecipazione pubblica (anche in house) e riparto di giurisdizione (di Michele Perrino)


Le disposizioni in tema di responsabilità degli organi di amministrazione e controllo di società a partecipazione pubblica e di giurisdizione applicabile, contenute nell’art. 12, d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, T.U. in materia di società a partecipazione pubblica, e l’espressa previsione all’art. 14 del citato T.U. della fallibilità di tali società hanno dato luogo al moltiplicarsi di azioni civili di responsabilità proposte dalla curatela del fallimento di società a partecipazione pubblica. Nel seno di simili azioni, esperite anche ex art. 2497 c.c. nei confronti dell’ente pubblico socio, la Cassazione si è da ultimo orientata, con le ordinanze a sez. un. del 13 settembre 2018, n. 22406, e del 10 aprile 2019, n. 10019, per la spettanza della giurisdizione in materia al giudice ordinario anziché al giudice contabile. Di qui l’occasione per una sintesi del­l’e­voluzione giurisprudenziale in materia nell’ultimo decennio e per metterne a fuoco gli approdi più recenti.

Directors' and auditors' liability in corporations with a public controlling shareholder (also 'in house') and relevant jurisdiction

Legal rules regarding directors and auditors’ liability for corporations with a public controlling shareholder, provided by sec. 12, d.lgs. 19 August 2016, n. 175 (T.U. in materia di società a partecipazione pubblica), and the express provision that such corporation are likely to fail, according to sec 14 of the foresaid discipline, have triggered several civil legal actions for liability brought forward by bankruptcy trustees. With respect to such legal actions, the Italian Supreme Court has recently ruled in favour of the ordinary, rather than the accounting jurisdiction. It comes hence the occasion for a summary of case law of the last decade and for a focusing of its most recent developments.

SOMMARIO:

1. Premessa. Approdi recenti della giurisprudenza di Cassazione (Cass., sez. un., 13 settembre 2018, n. 22406) - 2. Il sistema delle azioni di responsabilità contro amministratori e sindaci nel codice civile - 3. (Segue): e la sua applicabilità nelle società a partecipazione pubblica - 4. La sentenza Cass., sez. un. n. 26806/2009 e la nozione restrittiva di danno erariale - 5. La nuova decisione Cass., sez. un., n. 26283/2013 e l'espansione della responsabilità erariale nelle società in house - 6. Lifting the veil fra ente pubblico e società in house? - 7. La correzione di tiro di Cass. n. 3196/2017 e lo spettro della responsabilità illimitata dell'ente pubblico socio - 8. Il T.U. ex d.lgs. n. 175/2016. Responsabilità degli organi sociali e fallibilità - 9. L'art. 12 T.U., d.lgs. n. 175/2016: responsabilità civile e responsabilità erariale - 10. Danno erariale e giurisdizione contabile nelle società in house: ambiguità del dato normativo - 11. L'azione dei creditori sociali e i limiti del giudizio contabile - 12. Giurisdizione concorrente del giudice ordinario e del giudice contabile, anche nelle società in house - NOTE


1. Premessa. Approdi recenti della giurisprudenza di Cassazione (Cass., sez. un., 13 settembre 2018, n. 22406)

Il tema del regime di responsabilità degli organi di amministrazione e controllo di società a partecipazione pubblica e della giurisdizione applicabile per il governo delle relative azioni, da lungi dibattuto [[1]], ha acquisito nuovo risalto dalla previsione di apposite disposizioni dedicate alla materia nel d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, T.U. in materia di società a partecipazione pubblica, in particolare all’art. 12, contenente un tentativo, non del tutto riuscito stante l’opacità del dettato normativo di cui appresso si dirà, di definizione normativa della materia. Altro aspetto di rilevante novità è la definitiva stura normativa data alla fallibilità delle società in oggetto dall’art. 14 del medesimo T.U., rubricato “Crisi d’im­presa di società a partecipazione pubblica”, secondo cui “Le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo”. Ciò ha comportato – tenuto conto che il fallimento è, com’è noto, la sede elettiva di esercizio delle azioni di responsabilità in discorso – il moltiplicarsi presso le corti italiane di ipotesi di avvio di azioni di responsabilità ex art. 146 l.fall. da parte della curatela del fallimento di società a partecipazione pubblica, ed il venire alla ribalta del versante – finora invece trascurato nelle trattazioni in argomento – della responsabilità verso i creditori sociali. Ed è appunto nel seno di simili azioni, esperite dal curatore del fallimento di società partecipate da un ente locale, peraltro anche ex art. 2497 c.c. nei diretti confronti di quest’ultimo, che la Cassazione – adita per regolamento di giurisdizione dai convenuti – si è da ultimo nettamente orientata, con le ordinanze a sez. un. del 13 settembre 2018, n. 22406, e del 10 aprile 2019, n. 10019, per la spettanza della giurisdizione in materia al giudice ordinario anziché al giudice contabile: con considerazioni incentrate sulle conseguenze della scelta da parte dell’ente pubblico del paradigma organizzativo privatistico; e soprattutto sui riflessi della previsione normativa della fallibilità delle società anche in house, nel senso della prioritaria ed effettiva salvaguardia così accordata pure in tali [continua ..]


2. Il sistema delle azioni di responsabilità contro amministratori e sindaci nel codice civile

A tal fine, sia anzitutto consentito ricordare – pur trattandosi di nozioni elementari – che il codice civile prevede a carico di amministratori e sindaci di s.p.a. e di s.r.l. (cioè dei due tipi di società in cui è oggi ammessa la partecipazione di amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’art. 3 del T.U.) un sistema tripartito di responsabilità: verso la società, per i danni cagionati al patrimonio sociale dall’inosservanza dei doveri previsti dalla legge e (quanto specificamente agli amministratori) dallo statuto (art. 2392 s. c.c.); verso i creditori sociali, per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale (art. 2394 c.c.), allorché il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti; verso i terzi ed i soci in quanto terzi, per i danni a loro direttamente provocati da atti dolosi o colposi degli amministratori e sindaci (art. 2395 c.c.). Anche riguardo ai sindaci – la cui fattispecie di responsabilità (com’è altrettanto noto) è articolata dall’art. 2407 c.c., da un lato, in “esclusiva” (1° comma), incombente sui sindaci per la violazione dei loro obblighi, come quello di verità delle loro attestazioni, indipendentemente da un connesso inadempimento riportabile agli amministratori; dall’altro in “concorrente”, poiché gravante sui sindaci «solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica» (cfr. art. 2407, 2° comma, c.c.) – si applica la suddetta tripartizione, in virtù dell’art. 2407, ult. comma, c.c., secondo cui «All’azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli artt. 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395 c.c.». Serve anche rammentare che, almeno stando all’opinione prevalente, ciascuna delle relative azioni di responsabilità, della società (esperibile nelle s.p.a. su deliberazione assembleare o su iniziativa di una minoranza qualificata dei soci, e nelle s.r.l. anche dal singolo socio nell’interesse della società), dei creditori sociali (anche singoli), dei terzi o dei singoli soci in quanto terzi, sono da [continua ..]


3. (Segue): e la sua applicabilità nelle società a partecipazione pubblica

Per un verso, già la Relazione ministeriale al codice civile del 1942, con riferimento all’art. 2449 in tema di società a partecipazione pubblica, aveva cura di osservare che l’opzione, da parte dello Stato o di altri enti pubblici, di avvalersi, nel perseguimento delle proprie finalità e per l’espletamento di servizi d’interesse generale, di strumenti di diritto privato comporta l’applicazione della relativa disciplina privatistica ai soggetti giuridici così costituiti, specie allorquando la forma giuridica prescelta consista – come nella specie – in società di capitali, come tali dotate di personalità giuridica ed autonomia patrimoniale perfetta rispetto all’ente partecipante: “è lo Stato medesimo che si assoggetta alla legge delle società per azioni per assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici” [[5]]. Ed in tal senso muoveva, già prima dell’attuale T.U. in materia di società a partecipazione pubblica, e specificamente del suo art. 1, 3° comma, su cui tornerò, la previsione dell’art. 4, 13° comma, d.l. 6 luglio 2012, n. 95 (conv. in legge 7 agosto 2012, n. 135), che – con norma definita alla stregua di “interpretazione autentica e chiusura” da Cass., 7 febbraio 2017, n. 3196 – per le società a partecipazione pubblica così disponeva: «Per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica comunque la disciplina del codice civile in materia di società di capitali». E però, pur accolti tali principi in linea generale, risalenti sono come accennato i dubbi applicativi con riferimento alle eventuali azioni di responsabilità esperibili nei confronti dei componenti degli organi della società a partecipazione pubblica, in considerazione della provenienza pubblica della totalità o di parte delle relative risorse patrimoniali, e dell’attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione inerente la contabilità pubblica e la responsabilità amministrativa di amministratori e dipendenti pubblici per il danno erariale. L’interrogativo è cioè se, ed eventualmente entro quali limiti, trovino applicazione anche agli amministratori e sindaci di società a partecipazione pubblica le disposizioni in [continua ..]


4. La sentenza Cass., sez. un. n. 26806/2009 e la nozione restrittiva di danno erariale

A tal fine converrà dunque rievocare pur brevemente l’evoluzione della giurisprudenza della Cassazione in materia, limitandoci al tratto più recente di tale evoluzione [[6]] che, a far data dalla nota sentenza Cass., sez. un., 19 dicembre 2009, n. 26806, ha individuato il criterio discretivo cardine alla base del riparto di giurisdizione tra la Corte dei Conti e l’autorità giudiziaria, a fronte della mala gestio degli organi delle società a partecipazione pubblica, anziché nel consueto concorso dei noti elementi soggettivi (la sussistenza di un rapporto di impiego o di servizio, anche temporaneo, con la P.A. e l’esercizio della relativa funzione, insieme al dolo o la colpa grave dell’autore del danno) ed oggettivi (da riconoscersi nell’esistenza di un danno erariale, come pregiudizio alla P.A., e del nesso di causalità fra danno e condotta dolosa o gravemente colposa dell’autore del danno), nel senso piuttosto di puntare decisamente l’accento sul profilo oggettivo della sussistenza o meno di un danno erariale: assumendo che, in presenza di un danno qualificabile come “erariale”, il P.M. contabile può esperire l’azione risarcitoria anche nei confronti di soggetti formalmente estranei al rapporto di servizio con l’ente pubblico, in quanto contrattualmente legati alla società partecipata e non al socio pubblico (quali appunto amministratori e sindaci della stessa società). E, stando al consolidato orientamento innescato dalla citata decisione del 2009, il danno erariale sarebbe configurabile solo in presenza di un danno, patrimoniale o non patrimoniale, prodotto direttamente nella sfera patrimoniale dell’ente pubblico: il che potrebbe verificarsi, ad esempio, in presenza di un danno all’immagine del socio pubblico; oppure al ricorrere dei presupposti di altro danno parimenti diretto al socio ai sensi dell’art. 2395 c.c. [[7]]. Un’ulteriore e differente ipotesi di danno erariale – come tale idonea ad incardinare la giurisdizione contabile – veniva ravvisata, alla stregua della richiamata giurisprudenza dell’ultima decade, nel danno prodotto alla partecipazione societaria detenuta dall’ente pubblico, quale conseguenza della condotta negligente dei soggetti che, in qualità di rappresentanti e/o dipendenti del socio pubblico, avessero trascurato (per lo più, [continua ..]


5. La nuova decisione Cass., sez. un., n. 26283/2013 e l'espansione della responsabilità erariale nelle società in house

Un passo ulteriore rispetto alla richiamata giurisprudenza avviata nel 2009 veniva compiuto dalle Sezioni unite della Cassazione con la pure rilevantissima decisione Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283, rel. Rordorf, che nel prendere le mosse da Cass., sez. un., n. 26806/2009 e dalla successiva giurisprudenza conforme, perviene a considerazioni peculiari in ordine alle società c.d. in house [[8]]. La premessa è che “fin quando non si arrivi a negare la distinzione stessa tra ente pubblico partecipante e società di capitali partecipata, e quindi tra la distinta titolarità dei rispettivi patrimoni, la giurisdizione della Corte dei Conti in tema di risarcimento dei danni arrecati dai gestori o dagli organi di controllo al patrimonio della società potrebbe fondarsi soltanto: o su una previsione normativa che eccezionalmente lo stabilisca, “quantunque si tratti di danno arrecato ad un patrimonio facente capo non già ad un soggetto pubblico bensì ad un ente di diritto privato – previsione certo possibile, ma che allo stato non appare individuabile in termini generali nell’ordinamento”, oppure sull’attribuzione alla stessa società partecipata della qualifica di ente pubblico, onde il danno arrecato al suo patrimonio potrebbe qualificarsi senz’altro come danno erariale. Ciò con l’avvertenza che quest’ultima soluzione “appare però ben difficilmente predicabile, perché trova un solido ostacolo nel disposto della L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 4, a tenore del quale occorre l’in­ter­vento del legislatore per l’istituzione di un ente pubblico”. Sennonché, secondo la citata decisione, si impone “un’ulteriore riflessione quan­do ci si trovi in presenza di quel particolare fenomeno giuridico […] che va sotto il nome di in house providing”, ipotesi quest’ultima che ricorre “quando la società affidataria sia interamente partecipata dall’ente pubblico, eserciti in favore del medesimo la parte più importante della propria attività e sia soggetta al suo controllo in termini analoghi a quelli in cui si esplica il controllo gerarchico del­l’ente sui propri stessi uffici” (cfr. il disposto dell’art. 113, 4° comma, d.lgs. n. 267/2000, T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali): dove per [continua ..]


6. Lifting the veil fra ente pubblico e società in house?

Salta agli occhi invero un qualche eccesso argomentativo in tale discorrere di una “evidente anomalia del fenomeno dell’in house nel panorama del diritto societario”, individuata e rimarcata dalle sez. un. della Suprema Corte nella citata sentenza n. 26283/2013 al punto dal negare che la società in house, al di là del nomen società, sia una “persona giuridica autonoma e distinta dai soggetti che in essa agiscono e per il cui tramite essa stessa agisce”. E da proclamare con più di qualche enfasi che “il velo che normalmente nasconde il socio dietro la società è dunque squarciato: la distinzione tra socio (pubblico) e società (in house) non si realizza più in termini di alterità soggettiva” [[10]]. Culminando nell’assunto per cui “L’uso del vocabolo società qui serve solo allora a significare che, ove manchino più specifiche disposizioni di segno contrario, il paradigma organizzativo va desunto dal modello societario”; e però “di una società di capitali, intesa come persona giuridica autonoma cui corrisponda un autonomo centro decisionale e di cui sia possibile individuare un interesse suo proprio, non è più possibile parlare”. La società in house non sarebbe dunque un soggetto giuridico autonomo rispetto alla pubblica amministrazione che ne è socia, nel senso che nessuna autonomia patrimoniale e alterità soggettiva vi sarebbe fra società e socio pubblico, bensì unicità del soggetto (pubblico) e del suo patrimonio [[11]]. Eccessi argomentativi questi, sembra, che avrebbero dovuto condurre all’ulte­rio­re esito della non fallibilità delle società in house, se è vero che esse sono un tut­t’uno indistinto soggettivamente con il socio pubblico da cui promanano. Sennonché quegli stessi esiti saranno ben presto messi in forse da pronunce e disposizioni di legge successive, come subito vedremo [[12]].


7. La correzione di tiro di Cass. n. 3196/2017 e lo spettro della responsabilità illimitata dell'ente pubblico socio

Dicevo poc’anzi di alcuni eccessi argomentativi delle sez. un. del 2013, nel­l’affermare l’assenza di alterità soggettiva e autonomia patrimoniale delle società in house, pur con il temperamento costituito dall’affermata separazione del patri­monio allocato presso la società partecipante rispetto al restante patrimonio del­l’ente partecipante. Nel confermare la fallibilità di una società siffatta, la Cassazione con la sentenza del 7 febbraio 2017, n. 3196, est. Ferro, si incarica qualche anno dopo di correggere il tiro – che avrebbe potuto condurre altrimenti, come accennato, all’esclu­sione del fallimento, ribadendo piuttosto che anche nelle società in house “il rapporto tra società ed ente è [perciò] di assoluta autonomia, non essendo consentito al secondo di incidere unilateralmente sullo svolgimento dello stesso rapporto e sull’attività della società mediante poteri autoritativi, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario e mediante la nomina dei componenti degli organi sociali”. Ben si avvedeva la Corte che, condotto alle estreme conseguenze il ragionamento del 2013, “l’annullamento ad ogni effetto della soggettività dell’esaminata società, a ben vedere, procurerebbe altresì l’altro paradosso di un’azione dei creditori sociali della società in house che diverrebbero tutti creditori diretti dell’ente pubblico”, contraddicendo il fine stesso perseguito dall’ente pubblico nell’avvalersi della struttura societaria privatistica, nel senso di delimitare la propria responsabilità per le obbligazioni assunte dalla società partecipata al solo patrimonio in essa allocato. La citata decisione si preoccupa allora di precisare – reinterpretando quella insidiosa “puntata” delle sez. un. – “che anche l’intento di Cass., sez. un., n. 26283/2013 è solo quello di preservare l’erario dalla mala gestio degli organi sociali di società strumentali, in un’ottica selettiva e di rafforzamento della responsabilità che ne investe gli organi, come poi recepito dal cit. legislatore del 2016”. È importante credo questo spunto, secondo cui l’orizzonte giustificativo del­l’affermazione di una [continua ..]


8. Il T.U. ex d.lgs. n. 175/2016. Responsabilità degli organi sociali e fallibilità

Veniamo dunque alla disciplina introdotta dal T.U., d.lgs. n. 175/2016. Le nuove disposizioni sembrano raccogliere e organizzare gli esiti della descritta evoluzione interpretativa, senza però sgombrare il campo da ogni incertezza. L’art. 12, comma 1, si apre enunciando una regola di generale soggezione alle disposizioni di diritto societario in materia di responsabilità degli organi («1. I componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali»), per poi subito delimitarne la portata con alcune clausole di salvezza. La prima e generale regola si pone in consonanza, e si integra al contempo con ulteriori importanti previsioni. Per un verso infatti il generale rinvio alla ordinaria disciplina civilistica è coerente con l’art. 1, 3° comma, T.U., secondo cui «Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato». Per altro verso, la fattispecie di responsabilità di diritto societario comune è qui arricchita e qualificata dai peculiari profili della disciplina della gestione delle società a controllo pubblico: – è arricchita, in caso di eventuale integrazione degli strumenti di governo societario ai sensi dell’art. 6, 3° comma, T.U. (regolamenti interni, codici di condotta, programmi di responsabilità sociale d’impresa), dagli ulteriori correlativi doveri di osservanza; – è qualificata dalle previsioni in ordine alla tendenziale unicità dell’ammi­nistratore e, in caso di strutturazione consiliare dell’organo amministrativo, alla necessaria attribuzione di deleghe di gestione a un solo amministratore (art. 11, 9° comma); – è integrata dai doveri di predisporre “specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale” informandone l’assemblea, ai sensi dell’art. 6, 2° comma, T.U., nonché dai doveri di allerta e di attivazione in caso di crisi aziendale, di cui all’art. 14, 2° comma, T.U. [[13]]; – è connotata dalla definitiva esclusione di ogni coesistenza della [continua ..]


9. L'art. 12 T.U., d.lgs. n. 175/2016: responsabilità civile e responsabilità erariale

L’affermata fallibilità delle società a partecipazione pubblica, incluse le società in house – come dimostra l’ult. comma dell’art. 14 T.U. n. 175/2016, nel riferirsi “alla dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti”, facendo così specifico ed espresso riferimento proprio alle società in house [[15]] – dirada i dubbi che per lungo tempo hanno agitato questo tema [[16]], e dà ulteriore impulso ad una tendenza al progressivo aumento di tali fallimenti, specie nelle società partecipate da enti locali, complice la crisi di molte amministrazioni pubbliche del genere. Con l’ulteriore effetto del moltiplicarsi dei casi di esercizio delle azioni di responsabilità da parte delle curatele fallimentari, azionando sia la pretesa relativa alla responsabilità verso la società sia quella verso i creditori sociali, e sollecitando ad affrontare ancora una volta il tema dei rapporti con la giurisdizione contabile: con la particolarità che, nei casi fin qui oggetto della nota giurisprudenza della Cassazione, ad essere stata dapprima proposta era l’azione contabile, rispetto alla quale veniva sollevata la questione di giurisdizione; mentre nei casi più recenti, in ragione del già ricordato moltiplicarsi dei fallimenti e in seno a questi delle iniziative delle Curatele ai sensi dell’art. 146 legge fall., è que­st’ultima azione ad essere per prima avviata, sollevandosi rispetto ad essa la questione di giurisdizione a vantaggio della giurisdizione contabile. L’attuale disposto dell’art. 12, stabilita l’anzidetta regola generale di rinvio al diritto societario comune, detta due ulteriori previsioni: quella che fa «salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house»; e l’altra per cui «È devoluta alla Corte dei conti, nei limiti della quota di partecipazione pubblica, la giurisdizione sulle controversie in materia di danno erariale di cui al comma 2». Al 2° comma, lo stesso art. 12 dà peraltro una definizione di danno erariale, secondo cui «Costituisce danno erariale il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla [continua ..]


10. Danno erariale e giurisdizione contabile nelle società in house: ambiguità del dato normativo

La lettura in continuità con i precedenti interpretativi, segnatamente con la recente giurisprudenza di legittimità, anche della previsione dedicata alle società in house nel 1° comma (primo periodo) dell’art. 12 T.U. n. 175/2016 [[17]], apre invece a interrogativi meno agevoli da sciogliere. Cosa vuol dire che è fatta “salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house”? Al di là della discrasia testuale, per cui dapprima, nella parte iniziale dell’art. 12, si parla di “organi di amministrazione e di controllo”, poi si fa salva la giurisdizione contabile per “amministratori” e “dipendenti” di società in house (come se tale riserva di giurisdizione non si riferisse anche agli organi di controllo, il che parrebbe assurdo ritenere), la domanda è: il “danno erariale” di cui si parla è lo stesso definito dal 2° comma? Cioè unicamente il danno diretto ed immediato a carico del patrimonio e dei valori, anche non patrimoniali, di pertinenza dell’ammi­ni­strazione pubblica socia? A volere accedere a questa lettura – nel senso della valenza della definizione di danno erariale di cui al 2° comma rispetto all’intero contenuto precettivo dell’art. 12 – salvo per ciò, che la precisazione “nei limiti della quota di partecipazione pubblica”, contenuta al comma 1, ultimo periodo, dell’art. 12, varrebbe solo per le società a partecipazione pubblica diverse dalle società in house, le quali ultime sono per definizione a controllo pubblico totalitario – ne conseguirebbe che non competono alla giurisdizione contabile le azioni volte a risarcire il danno subìto direttamente dal patrimonio dalla società in house, trattandosi di danno non erariale poiché non direttamente arrecato al patrimonio dell’ente pubblico socio. Così ragionando, rientra anzitutto nell’ambito della giurisdizione ordinaria l’azione sociale di cui all’art. 2393 c.c., esperita dalla società in bonis o dalla curatela fallimentare (art. 146 legge fall.) –, in quanto diretta a reintegrare il patrimonio sociale del danno inferto alla società partecipata (e non all’ente pubblico partecipante) a causa della [continua ..]


11. L'azione dei creditori sociali e i limiti del giudizio contabile

Una simile conclusione, per quanto forse corrispondente alle intenzioni del legislatore storico, lascia però assai perplessi per varie ragioni. Si è già notato in precedenza – richiamando le correzioni di tiro compiute da Cass. n. 3196/2017 rispetto alla tesi di Cass., sez. un., n. 26283/2013 della sostanziale immedesimazione soggettiva fra società in house e socio pubblico – che un simile modo di argomentare collide con l’innegabile alterità soggettiva e diversa titolarità dei due patrimoni, quello intestato alla società e quello dell’ente partecipante, e con l’autonomia patrimoniale che ne regolamenta i rapporti. Si aggiunga che la conclusione volta a squarciare il velo della personalità giuridica delle società in house “unilateralmente” (i.e., solo a vantaggio del socio pubblico) e non “bilateralmente” – ovvero portando alle estreme conseguenze la supposta immedesimazione tra il patrimonio del socio e quello della società, con la conseguente affermazione di una responsabilità illimitata del primo per le obbligazioni sociali – consentirebbe all’ente pubblico di cumulare i benefici del regime privatistico e di quello pubblicistico, in contrasto con i fondamentali principi del diritto delle società di capitali, posti a tutela degli interessi dei terzi che con tali società entrino in contatto. Quest’ultimo profilo induce peraltro ad osservare che, in ogni caso, anche ove volesse aderirsi ad una simile lettura autonoma (rispetto al comma 2 dell’art. 12 T.U.) ed estensiva del danno erariale specificamente riferito alle società in house, non sembra potrebbe comunque restarvi assorbita l’azione dei creditori sociali, onde far valere la responsabilità degli organi sociali nei loro confronti a norma del­l’art. 2394 c.c. Torno a ricordare che, secondo l’opinione prevalente, l’azione dei creditori sociali ha natura autonoma (anziché surrogatoria, come pure si è talora ed anche autorevolmente sostenuto) [[19]]. Ed è volta ad attribuire ai creditori un ristoro diretto del pregiudizio subito – a carico della propria garanzia patrimoniale – a causa della lesione dell’integrità del patrimonio della società debitrice. Invero il giudizio contabile, per sua natura, è volto a risarcire [continua ..]


12. Giurisdizione concorrente del giudice ordinario e del giudice contabile, anche nelle società in house

Sono appunto considerazioni siffatte a guidare l’iter argomentativo delle recenti ordinanze n. 22406/2018 e n. 10019/2019 della Suprema Corte a Sezioni unite, richiamate al principio di questo scritto, a partire dalla “conseguenzialità della scelta del paradigma privatistico” e dalla ormai riconosciuta fallibilità (prima nella giurisprudenza, e cfr. Cass., 7 febbraio 2017, n. 3196, poi anche nella legislazione, con l’attuale art. 14 T.U. n. 175/2016) delle società a partecipazione pubblica, nel senso che la scelta del legislatore “di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità” [[21]]; il che impone di riconoscere anche nelle società partecipate da enti pubblici l’intangibile “rilevanza dell’esi­genza di tutela degli interessi dei creditori”, implicata dalla stessa affermata fallibilità (per la generalità delle società a partecipazione pubblica, cfr. art. 14 T.U. cit.), che, ove si negasse loro l’attivazione delle responsabilità civilistiche degli organi sociali e della correlativa giurisdizione civile, risulterebbe invece “pretermessa”. Una tutela prioritaria dei creditori sociali – aggiunge la Suprema Corte – che, nella misura in cui non soddisfatta dalla sola applicazione della responsabilità e giurisdizione contabile, giustifica altresì l’affermazione della giurisdizione del giudice ordinario pure con riferimento alla domanda proposta dalla Curatela fallimentare ex art. 2497 c.c. onde far valere la responsabilità da abuso di direzione e coordinamento dell’ente pubblico socio unico, in quanto anch’essa fra l’altro diretta a far valere una responsabilità “oltre che nei confronti dei soci, anche dei creditori sociali «per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società»” [[22]]. E ciò – qui sta il primo degli ulteriori approdi di Cass. n. 22406/2018, [continua ..]


NOTE