Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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Il discrimine tra le società e gli altri enti di natura associativa: il principio lucrativo può davvero considerarsi superato? (Nota a sentenza del BGH, 11 settembre 2018 – II ZB 11/17) (di Mattia Facci)


CORTE SUPREMA FEDERALE

BGH, 11 settembre 2018 – II ZB 11/17

 

II ZB 11/17 ordinanza dell’11 settembre 2018 in materia di registro delle associazioni

L’11 settembre 2018, la seconda sezione civile della Corte suprema federale (composto dal presidente Prof. Dr. Drescher, e dai giudici Born e Sunder, dal giudice B. Grüneberg e dal giudice V. Sander) ha deciso quanto segue

Dispositivo:

Il ricorso della parte interessata contro l’or­dinanza del 20° Senato civile del Tribunale regionale superiore di Celle del 14 marzo 2017 è respinto a sue spese.

Omissis.

Motivi:

I

1. La parte interessata aspira ad ottenere l’i­scri­zione dell’associazione nel registro delle associazioni.

2. L’articolo 2 dello statuto dell’associazione dispone quanto segue:

«Lo scopo dell’Associazione è quello di detenere e gestire il patrimonio dell’Associazione acquisito dai suoi membri attraverso contributi volontari secondo le regole della gestione a lungo termine di un patrimonio privato, in modo che l’As­sociazione non agisca in qualità di imprenditore sul mercato e non costituisca un’impresa o un’o­perazione economica».

3. A norma dell’articolo 4 dello statuto non vengono riscosse quote associative. Gli associati sono liberi di promuovere lo scopo dell’asso­cia­zione con contributi volontari. Ai sensi del­l’ar­ticolo 7 n. 1 e dello statuto, l’assemblea generale decide in merito alla distribuzione di un’ecce­denza della gestione patrimoniale.

4. Il tribunale del registro ha emesso un’or­dinanza provvisoria secondo la quale la domanda di registrazione della parte doveva essere rigettata. Il tribunale di primo grado non ha accolto l’impugnazione proposta dalla parte interessata contro tale ordinanza. Il tribunale di seconde cure ha respinto il ricorso. Con il ricorso avverso la decisione dalla corte d’appello, la parte interessata continua a chiedere la registrazione del­l’as­sociazione.

II

5. Il giudice dell’impugnazione aveva sostanzialmente motivato la sua decisione come segue:

 6. norma del § 21 BGB può essere iscritta nel registro delle associazioni solo l’associazione il cui scopo non sia quello di esercitare un’at­tività economica. Si è sempre di fronte ad un’at­tività economica se l’associazione svolge attività imprenditoriale nei confronti di terzi sul mercato, svolge funzioni imprenditoriali in parte per i suoi membri e in parte verso terzi o agisce imprenditorialmente esclusivamente nei confronti dei suoi associati. Secondo il cosiddetto «privilegio dello scopo secondario», un’associazione può anche svolgere attività imprenditoriali nella misura in cui queste sono ausiliarie e subordinate allo scopo principale ideale e costituiscono uno strumento per raggiungerlo.

6. Alla luce di tali condizioni, il ricorrente, il cui unico scopo, senza ulteriori spiegazioni, è l’am­ministrazione del patrimonio versato dai membri dell’associazione, non può in ogni caso essere iscritto nel registro delle associazioni ai sensi del § 21 BGB. Una dichiarazione contenuta nello statuto per cui lo scopo dell’associazione non è diretto ad un’attività economica rappresenta solamente una considerazione di diritto non vincolante per la determinazione della sua registrabilità. Tale formulazione non contiene un’indicazione dello scopo che consentirebbe al tribunale del registro di esercitare un controllo. È responsabilità dell’associazione formulare il proprio statuto in modo tale da consentirne l’iscri­zione nel registro delle associazioni. Oltre all’in­dicazione dello scopo dell’associazione, per l’i­scrizione nel registro delle associazioni è richiesta anche una descrizione dei principali progetti dell’associazione in modo tale che il tipo di attività futura dell’associazione possa essere determinato e classificato.

III

7. Il ricorso della parte interessata non può essere accolto.

Omissis.

14. La decisione del Tribunale di seconde cure resiste ad un controllo di diritto. Un’associazione il cui unico scopo statutario è la gestione del patrimonio dell’associazione secondo le regole della gestione a lungo termine di un patrimonio privato non può in ogni caso essere iscritta nel registro delle associazioni se lo statuto dà ai membri la possibilità di decidere di devolvere [senza vincolo di destinazione, n.d.r.] un’eccedenza della gestione patrimoniale.

15. Per l’iscrizione nel registro delle associazioni è necessario, ai sensi del § 21 BGB, che lo scopo dell’associazione non sia diretto allo svolgimento di un’attività economica. I presupposti per l’esistenza di un’attività economica ai sensi della presente norma sono in linea di principio soddisfatti se l’associazione sviluppa le proprie attività imprenditoriali secondo una pianificazione permanente e diretta verso l’esterno, vale a dire andando oltre l’area interna dell’associa­zio­ne, che miri all’ottenimento di vantaggi patrimoniali a beneficio dell’associazione o dei suoi membri[1]. Tuttavia, non è sempre incompatibile con lo scopo e l’attività di un’associazione ideale, anche tenendo conto delle finalità protettive di cui ai §§ 21 e 22 BGB, la conduzione di un’attività economica. Un’associazione può essere qualificata un’asso­ciazione non economica anche se sviluppa attività imprenditoriali al fine di raggiungere i suoi obiettivi ideali, a condizione che queste attività siano ausiliarie e subordinate allo scopo principale non economico e siano strumentali al suo raggiungimento [2].

16. Uno degli strumenti che consentono il raggiungimento dello scopo principale è di regola l’amministrazione del patrimonio dell’associa­zione. Questo è tra l’altro anche uno degli obblighi fondamentali di un’associazione con un orien­tamento non economico[3]. I doveri gestori del­l’organo amministrativo obbligano quest’ulti­mo a gestire correttamente il patrimonio. In particolare, il consiglio di gestione deve garantire la conservazione del patrimonio dell’associazione e il tempestivo adempimento delle obbligazioni dell’associazione[4].

17. Tuttavia, il limite della registrabilità è superato allorquando lo scopo esclusivo dell’associa­zione è l’amministrazione del patrimonio dell’as­sociazione e questa sia finalizzata all’otte­ni­mento di benefici patrimoniali a favore dei membri del­l’associazione, in quanto vi è la possibilità di decidere di distribuire tra gli associati gli eventuali profitti. In questo caso lo scopo principale del­l’associazione non è rivolto ad uno scopo ideale.

18. Non occorre dunque decidere se un’as­so­­ciazione il cui unico scopo è la gestione del proprio patrimonio debba essere esclusa dall’i­scri­zione nel registro delle associazioni già solo per questo motivo. Alla domanda in letteratura non viene data una risposta uniforme. Al­l’op­posto, vi è un ampio consenso, e giustamente, sul fatto che un’associazione che gestisce il patrimonio e dà ai suoi membri la possibilità di ritirare i profitti non può essere un’associazione ideale[5].

19. Un’associazione il cui unico scopo statutario è quello di gestire il patrimonio della stessa secondo le regole di un sistema di gestione a lungo termine di un patrimonio privato e il cui statuto dà ai suoi membri la possibilità di decidere di devolvere un’eccedenza del sistema di gestione patrimoniale svolge un’attività economica ai sensi dei §§ 21, 22 BGB. Una gestione patrimoniale privata volta a generare surplus per i suoi membri richiede lo sviluppo di un’auto­noma attività imprenditoriale pianificata a lungo termine, diretta da un amministratore. Questo collegio ha già preso in considerazione le tipologie di realtà associative che il legislatore ha previsto quali forme associative contrapposte alle associazioni dotate di scopo ideale: sono le società (s.p.a., s.r.l., ecc.). Il legislatore ha visto la contrapposizione nel fatto che il loro interesse sociale determina le loro attività, che sono finalizzate al profitto aziendale e al vantaggio economico del singolo individuo[6]. Detto importante criterio di differenziazione rileva anche in questo caso 

20. Anche gli interessi di tutela dei creditori si oppongono alla registrazione di un’associazione che gestisce il suo stesso patrimonio e nella quale sono consentite distribuzioni di utili ai suoi membri.

21. Contrariamente a quanto affermato nel ricorso, non era necessario che il Tribunale del­l’im­pugnazione stabilisse in quale misura gli interessi dei creditori potessero essere in concreto pregiudicati. Secondo lo statuto della parte interessata, non è in ogni caso escluso che questa possa agire anche nei confronti di chi non è socio nell’ambito della gestione patrimoniale prevista, ad esempio se affitta o dà in locazione terreni. Tuttavia, le disposizioni dei §§ 21 e 22 BGB si basano, per ragioni di sicurezza dei traffici giuridici, in particolare la tutela dei creditori, sull’idea del legislatore di rinviare le realtà associative che perseguono finalità economiche alle forme giuridiche commerciali previste per tale scopo, e di impedire l’attività economica delle associazioni ideali, a meno che non si tratti semplicemente di un’attività economica che serve ai principali scopi non materiali dell’associazione nell’ambito del cosiddetto privilegio dello scopo secondario. Queste considerazioni legislative tengono conto del fatto che gli interessi dei creditori sono particolarmente toccati da un’attività economica diretta verso il mercato e che tali interessi sono stati presi in considerazione molto di più dalle disposizioni applicabili alle persone giuridiche di diritto societario e da altre norme del diritto commerciale che dalle disposizioni del diritto delle associazioni. Infatti, mentre in un’asso­cia­zione ideale le disposizioni di tutela dei creditori sono limitate alle norme sull’obbligo del consiglio di gestione di presentare istanza di insolvenza e di liquidazione dell’associazione [7], una persona giuridica di diritto commerciale è soggetta in primo luogo, nell’interesse dei creditori, a disposizioni imperative in materia di capitale minimo, di contabilità, pubblicità e revisione contabile, nonché sul potere – illimitato – di rappresentanza dei suoi rappresentanti organici e dei suoi rappresentanti volontari[8]. La possibilità di distribuzione degli utili aumenta anche l’in­cen­tivo ad assumere rischi imprenditoriali considerevoli[9] e può portare ad una riduzione della quota di capitale proprio [10].

22. Oltre ai creditori dell’associazione, anche gli interessi dei creditori personali dei membri dell’as­so­ciazione sarebbero messi in pericolo se il partecipante fosse registrato. Questo in quanto il carattere non patrimoniale dell’associazione di appartenenza, la cui partecipazione non è effettivamente pignorabile (§§ 38; 1273, co. 2, primo periodo; 1274, co. 2, BGB; § 851 ZPO), porta con sé che il suo valore economico non sia accessibile dal creditore e quindi si possano sviluppare enclaves di irresponsabilità se i membri del­l’associazione versano in associazione i propri beni personali perché vengano amministrati generando profitto[11].

23. La doglianza in punto di diritto secondo cui la Corte d’appello non avrebbe riconosciuto la libertà di associazione sancita dall’articolo 9.1 Grundgesetz non può essere accolta.

24. La libertà di associazione richiede una forma giuridica. Essa si basa su norme che inserisco­no le libere associazioni e le loro attività nel­l’ordinamento giuridico generale, garantiscono la

 

sicurezza dei rapporti giuridici, tutelano i diritti dei membri e tengono conto degli interessi di terzi o anche degli interessi pubblici che necessitano di protezione. Tuttavia, il legislatore non è completamente libero nella sua formulazione; deve piuttosto orientarsi sulla tutela del bene giuridico previsto nell’articolo 9.1 Grundgesetz e deve, in linea di principio, preservare i presupposti e le esigenze imperative della libera associazione nella necessaria conciliazione degli interessi (BVerfG 50, 290, 354 s.; 84, 372, 378 s.). Se questi principi sono rispettati, le norme che disciplinano i presupposti per la costituzione di associazioni non costituiscono in linea di principio una violazione dei diritti fondamentali [12]. Questo non si verifica nel caso di specie, e in particolare il rifiuto di registrare il soggetto interessato non si basa su un’interpretazione dei §§ 21, 22 BGB che viola l’articolo 9, co. 1, Grundgesetz, poiché non è restrittiva e non limita quindi l’accesso.

25. Non è necessario decidere se la registrazione dell’interessato debba essere rifiutata anche perché il suo scopo non è sufficientemente specificato.

The dividing line between companies and other collective organization: shall the lucrative purpose be truly considered overcome?

On September 11th, 2018, the BGH stated that an association could not have legal personality if its charter allows the distribution of profits to its member, since a provision of this kind, de facto, could hide a company behind the association label. The reasoning of the Court in this judgment, in particular, provides a valuable opportunity for an overall recognition of the principles and rules governing the law of private association in Germany. The result of this review will show the systematic centrality of the lucrative purpose, a concept which, moreover, is not even made explicit in the German legal system, because of its abstract nature. The analysis of §§ 21 and 22 BGB will give the opportunity to draw a parallel with the Italian law and observe how also in the Italian legal system the profit principle plays an important role in the typological distinction of collective institutions. This principle is therefore still relevant and should not be overlooked, even though several parties have expressed opinions to the contrary even in a supranational and comparative context.

SOMMARIO:

1. Lo scopo di lucro oggi: un elemento sempre più evanescente - 2. La sentenza in sintesi - 3. Ordinamento tedesco e italiano a confronto tra disciplina delle associazioni e norme residuali per l'esercizio di un’attività di impresa in forma collettiva - 4. Breve chiosa sulla perdurante rilevanza del principio lucrativo - NOTE


1. Lo scopo di lucro oggi: un elemento sempre più evanescente

L’intro­du­zione della figura delle società benefit [13], la revisione della disciplina in materia di impresa sociale [14] e la riforma del terzo settore [15] hanno di recente riacceso il dibattito, ormai più che secolare [16], relativo all’essenzialità o meno dello scopo di lucro all’interno del novero degli elementi su cui si fonda il negozio giuridico societario. Il tema è noto e non è di certo questa la sede per approfondire ex professo le complesse tematiche coinvolte, avendo il presente scritto il ben più misurato proposito di evidenziare al riguardo come il diritto vivente sembri ancora solidamente ancorato alle costruzioni dogmatiche «classiche» che vedono invece il lucro soggettivo come «il» criterio guida per l’attuazione dello scopo sociale, pure a fronte di un trend (non solo) legislativo sempre più nel senso di un superamento dello scopo egoistico quale fine ultimo dell’attività di impresa esercitata in forma societaria [17]. Nell’ambito degli ordinamenti continentali [18] si è invero giunti a questa conclusione considerando come i precetti che costituirebbero l’emersione normativa della citata tendenza a considerare recessivo lo scopo di lucro siano rimasti sino ad ora confinati in settori del tutto singolari del diritto societario, non suscettibili di sconfessare le regole generali del sistema, attesa tra l’altro l’eterogeneità di ratio che li sostiene. In questo quadro si inserisce anche la sentenza in commento, che ben si presta a fornire all’interprete italiano alcuni ulteriori spunti nella misura in cui attribuisce proprio allo scopo di lucro un peso determinante per la distinzione tra società ed enti associativi diversi all’interno di un ordinamento – quello tedesco – che, com’è noto, non prevede espressamente il lucro soggettivo quale elemento caratterizzante l’istituto societario. La sentenza de qua, in particolare, permetterà di porre l’attenzione sulla stretta interdipendenza tra la componente endosocietaria del principio lucrativo e quella extrasocietaria; espressioni queste con cui si fa riferimento all’attitudine del predetto principio a fungere tanto da criterio informativo dell’attività gestoria degli amministratori quanto da discrimine causale idoneo a [continua ..]


2. La sentenza in sintesi

La sentenza in commento trae origine dal rigetto di una domanda di registrazione di un’associazione “non economica» (nicht wirtschaftlicher Verein) [19] da parte dell’ufficio preposto; decisione ritenuta poi corretta da tutti i successivi gradi di giudizio, in ultima istanza anche dal Bundesgerichtshof. La mancata registrazione era stata motivata dall’autorità amministrativa osservando che lo statuto associativo non disponeva, a fronte di un’attività descritta come di “gestione patrimoniale”, l’obbligo di riscuotere qualsivoglia quota associativa; dall’altro lato però concedeva all’assemblea il potere di decidere in ordine alla distribuzione di un’eventuale eccedenza prodotta dalla gestione patrimoniale, così permettendo – in ipotesi – una devoluzione dell’avanzo di esercizio anche agli associati. Prima di addentrasti specificamente nell’iter logico seguito dal BGH, giova compiere una premessa terminologica sulla portata di quello che può definirsi il perno concettuale attorno al quale ruota in definitiva tutta la decisione, vale a dire il concetto di “scopo” (Zweck), essenziale per comprendere la sistematica del Vereinsrecht [20] e il suo rapporto con il Gesellschaftsrecht. Il dato normativo tedesco non distingue [21] – come invece fa quello italiano (art. 2247 c.c.) – lo scopo-mezzo (l’esercizio in comune di un’attività economica; sott.: produttiva di nuova ricchezza, come arg. ex art. 2248 c.c.) dallo scopo-fine (quello di dividere gli utili), in accordo con il principio di astrattezza dell’ordinamento (Abstraktionsprinzip), che rifugge qualsivoglia connotazione causale degli istituti giuridici. Posta allora la neutralità causale dell’ordinamento tedesco, è agevole comprendere come il concetto di scopo a cui la Corte Suprema federale farà più volte riferimento non potrà collimare con la categoria a cui l’interprete italiano è abituato a fare riferimento: la causa del negozio plurilaterale con comunione di scopo. Si consenta, ciononostante, per il momento, l’utilizzo di una terminologia il più possibile fedele a quella utilizzata dal BGH, a costo di impiegare in maniera sibillina il termine “scopo”; ci sarà modo, in seguito, di esplicitare i vari distinguo del caso. [continua ..]


3. Ordinamento tedesco e italiano a confronto tra disciplina delle associazioni e norme residuali per l'esercizio di un’attività di impresa in forma collettiva

È di tutta evidenza come una sentenza dall’esito analogo a quella in epigrafe, con gli opportuni distinguo nell’iter argomentativo, avrebbe potuto essere emessa anche da un giudice italiano se solo nel nostro ordinamento l’ufficio del registro svolgesse un controllo sostanziale e non meramente formale [29]. Il tratto peculiare che viene qui in rilievo, a ben vedere, è dunque non tanto il risultato ottenuto, quanto il contesto ordinamentale in cui la decisione in oggetto è stata emessa. In Italia, infatti, gli enti del libro primo e le società risultano collocati in due settori dell’ordinamento tra loro apparentemente non comunicanti: per collocazione topografica, principî, elaborazione dottrinale e rilevanza applicativa (quando invece così non dovrebbe oramai essere; basti pensare alla disciplina della trasformazione eterogenea ex artt. 2500-septies ss. c.c. introdotta con la riforma organica del 2003); alterità questa che invece non si percepisce in maniera così netta nell’ordinamento tedesco, in quanto la sistematica del BGB, che come è noto procede dal generale al particolare, fa sì che molti dei principî cardine delle strutture associative debbano essere ricercati proprio nelle norme dettate per le associazioni [30]. Ciò giustifica l’analisi che verrà svolta in appresso, che permetterà di cogliere delle sfumature in tema di «principio lucrativo» che sarebbe più complesso percepire altrimenti [31].   3.1. La disciplina delle associazioni nell’ordinamento tedesco. – Il diritto degli enti associativi (Vereinsrecht) trova le sue norme cardine nei §§ 21 e 22 BGB, che regolano, rispettivamente, l’acquisto della capacità giuridica delle associazioni “non economiche” (nicht wirtschaftliche Vereine), che avviene mediante l’iscri­zio­ne nel registro del tribunale distrettuale, e di quelle “economiche” (wirtschaftliche Vereine), che avviene invece per il tramite di un provvedimento governativo di natura concessoria [32]. I §§ 21 e 22 BGB distinguono così due diverse categorie di enti sulla base del mezzo strumentale impiegato per il raggiungimento dello scopo associativo: solo un wirtschaftlicher Verein potrebbe perseguirlo attraverso un’attività di impresa [33]. Le similitudini [continua ..]


4. Breve chiosa sulla perdurante rilevanza del principio lucrativo

Le profonde assonanze tra l’ordinamento tedesco e quello italiano consegnano all’inter­prete un dato su cui riflettere. Non si può infatti non prendere atto di come, al netto delle più elaborate ricostruzioni dogmatiche di matrice dottrinale che si stanno affacciando sullo scenario culturale prima ancora che normativo, il diritto vivente sino ad ora abbia guardato – e continui a farlo – al principio lucrativo come il vero e proprio criterio discretivo suscettibile di distinguere le due strutture organizzative che maggiormente inverano la categoria dei contratti plurilaterali con comunione di scopo: associazioni e società. Posta per entrambi gli enti la possibilità di perseguire uno scopo di lucro oggettivo, solo le seconde possono perseguire un fine egoistico. È sulla natura di questa «possibilità» [52] che attualmente si attesta il più recente dibattito in tema di corporate social responsibility (CSR). Dibattito nient’affatto trascurabile sia per l’autorevolezza dei contributi sia per le possibili ricadute tanto sistematiche quanto operative che un’eventuale presa di posizione sul punto potrebbe arrivare a produrre [53]. Pare però che il ragionamento condotto fino a qui in materia di CSR nella misura in cui indica le società come delle strutture organizzative sostanzialmente neutre in grado di perseguire finalità delle più varie, anche eventualmente bilanciando lo scopo egoistico con altri di carattere sociale, dia per scontato un passaggio argomentativo, che viene però sollecitato dalla decisione in commento. Nel ragionare sull’essenzialità o meno dello scopo di lucro soggettivo in ottica di responsabilità sociale d’impresa, infatti, si è per lo più adottata una prospettiva esclusivamente interna alla società, che si risolve, in buona sostanza – almeno secondo i più [54] – in una questione di obblighi degli amministratori e conseguente responsabilità. Il paradigma da cui si è (correttamente) partiti per mettere a fuoco gli aspetti problematici di questo “nuovo” modo di leggere l’interesse sociale è quello delle grandi società quotate, le public companies [55], le quali, però, sono rette da principî in parte speciali nel panorama del diritto societario. Nella [continua ..]


NOTE