Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Società a partecipazione pubblica: funzione gestoria, obblighi informativi ed emersione dei fattori di rischio (di Vincenzo De Sensi)


Le linee guida OCSE sulle società pubbliche hanno ispirato il cosiddetto “Testo Unico Madia”. La sua struttura normativa si basa su un’inter­se­zione tra il diritto societario e della crisi di impresa, secondo un nuovo approccio finalizzato a sollecitare interventi tempestivi a fronte di fattori di rischio. Questo obiettivo incide sui doveri fiduciari degli amministratori, chiamati ad agire nel migliore interesse dell’impresa e quindi dei creditori in frangenti di crisi. La nostra legislazione valorizza il socio pubblico secondo parametri che gli impongono di rispettare il diritto societario, esercitando in particolare i diritti che gli competono nella compagine ed evitando, così, un ruolo meramente passivo. A questo proposito è interessante notare il ruolo degli amministratori rispetto all’assemblea, soprattutto con riguardo alle informazioni inerenti la continuità aziendale. Il programma di valutazione del rischio aziendale, che è redatto annualmente dagli amministratori, assicura queste informazioni anche nel­l’ottica della previsione degli interventi da adottare per far fronte a situazioni di pre-insolvenza. Un altro intento della nostra legislazione è quello di migliorare la professionalità del socio pubblico per svolgere un ruolo e una funzione attivi nel monitorare un’efficiente governance aziendale. E quando si configura un controllo analogo, l’azionista pubblico può esercitare un’influenza diretta sugli amministratori, determinando così un momento critico per l’incidenza su decisioni gestorie di carattere strategico che coinvolgono la loro responsabilità. Criticità che si acuisce in momenti di crisi.

State owned enterprises: governance, information duties and risk treatment

The OECD guidelines on state owned enterprises have inspired our national law, so-called “Testo Unico Madia”. Its framework is based on an intersection between corporate and insolvency law according to a new approach for ensuring prompt interventions in the face of risk factors. This purpose has direct effects on fiduciary duties of the directors to act in the best interests of enterprise and creditors on emerging special situations. Our legislation pays attention also to the public owner who should follow corporate law and exercise its shareholder’s rights to avoid a passive role. In this regard it is interesting to note the relationship between board of directors and general shareholders meeting, especially for information concerning the enterprise viability. The annual economic and financial program, which is drawn by the directors, ensures this information and could become an important tool to face a pre-insolvency situation. This program is a helpful source of information and involves the collegiality board work. Another purpose of our legislation is to enhance state shareholder professionalism who is called to play an active role and function in monitoring an efficient corporate and internal governance. And when a full control is over the company (in house providing), the state shareholder carries on a direct influence on the most significant board decisions. In this case there is a critical juncture because the directors have the ultimate responsibility for the enterprise’s performance.

SOMMARIO:

1. Obiettivi e metodo di analisi - 2. I principi guida OCSE - 3. Organizzazione delle società pubbliche - 4. (Segue). Programma di valutazione del rischio aziendale: funzione (solo?) informativa e ruolo dell'assemblea - 5. Provvedimenti adeguati in caso di perdite - 6. (Segue). Articolazione delle decisioni secondo i parametri di risk assessment-risk treatment e divieto di soccorso finanziario - 7. I piani di risanamento e la disciplina concorsuale della sospensione degli obblighi di intervento sul capitale - 8. Controllo analogo e limiti all'autonomia organizzativa e decisionale nelle società in house - 9. Emersione del rischio nelle società in house, funzione gestoria e ruolo del socio pubblico - 10. Riflessioni di chiusura - NOTE


1. Obiettivi e metodo di analisi

Il d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, nel testo risultante dalle modifiche apportate dal decreto legislativo 16 giugno 2017 n. 100, costituisce il Testo Unico (di seguito anche solo T.U.) delle società a partecipazione pubblica che riordina l’intera materia oggetto nel tempo di vari interventi normativi [[1]]. Il significativo sviluppo di queste società e la loro incidenza non sempre positiva sui bilanci degli enti pubblici – e quindi sul conto consolidato delle amministrazioni pubbliche – hanno posto in termini urgenti un’esigenza di razionalizzazione nell’uso dello strumento societario e di realizzazione di più elevati standard di efficienza nell’organizzazione e nella gestione delle relative attività. Difatti, l’art. 1, 2° comma del T.U. puntualizza che le relative disposizioni sono applicate avendo riguardo all’efficiente gestione delle partecipazioni pubbliche, alla tutela e promozione della concorrenza e del mercato, nonché alla razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica. Questo quadro normativo risente poi degli orientamenti giurisprudenziali soprattutto comunitari, che hanno delineato il modello della società in house providing, nonché delle Direttive sui contratti di concessione 23/2014/UE, sugli appalti pubblici nei settori ordinari 24/2014/UE e nei settori speciali 25/2014/UE [[2]] (acqua, energia, trasporti e servizi postali). Nel dibattito che nel tempo si è sviluppato ha avuto risonanza la difficoltà di un difficile equilibrio tra presenza del socio pubblico, controllo pubblico ed autonomia gestionale del management in particolar modo quando l’ente ha dato vita ad una società in house che costituisce (o costituiva …), come noto, una longa manus del­l’am­mi­nistrazione [[3]], priva di autonomia decisionale, alle volte limitata alla sola gestione ordinaria corrente. Non sembra che questo dibattito verrà sopito dalla nuova disciplina; anzi è da ritenere che esso si svilupperà su più ampi orizzonti appena si considerino i molteplici profili di interferenza con il diritto societario “comune”. Il presente lavoro non intende affrontarli tutti, ma solo quelli che attengono all’articolazione dei poteri decisionali con riguardo al rapporto tra amministratori ed assemblea in frangenti di crisi, nonché alle modalità di [continua ..]


2. I principi guida OCSE

I principi Ocse, nella loro ultima versione aggiornata nel 2015, costituiscono –come noto – delle raccomandazioni rivolte ai Governi al fine di assicurare che la gestione delle società partecipate risponda a criteri di efficienza, di trasparenza e di responsabilità del management. Questo fenomeno, infatti, che si inquadra nel più generale contesto del partenariato pubblico – privato, è ampiamente conosciuto anche in altri Paesi ad economia avanzata [[5]]. Da questi principi – di rilevanza internazionale – è quindi possibile trarre criteri interpretativi ed applicativi del Testo Unico in quanto consentono di cogliere la ratio di molte disposizioni ivi contenute. Così ad esempio, il citato art. 1, 3° comma, del T.U. secondo il quale alle società partecipate si applicano la disciplina ordinaria delle società e le norme generali di diritto privato, ove non espressamente derogate, si spiega per il fatto che i Principi Ocse sulle partecipate sono un complemento dei Principi di Corporate Governance, elaborati sempre dall’Ocse, per la governance delle società private. Per cui, il T.U. registra sul punto una tendenza internazionale che porta ad un progressivo allineamento della disciplina delle partecipate a quella delle società private. Proseguendo, l’opzione per l’applicazione delle procedure concorsuali in frangenti di crisi, di cui all’art. 14 del T.U., non risponde solo all’esigenza di porre fine ad un annoso dibattito sulla fallibilità delle partecipate pubbliche ed in particolar modo delle in house, ma tiene conto di una importante considerazione contenuta nel documento Ocse, secondo la quale era opportuno che il management delle pubbliche fosse assoggettato a quel “disciplining factor” rappresentato dal rischio di fallimento, con il possibile carico di responsabilità che ne consegue e con la spinta all’efficienza ed alla trasparenza che questo – tendenzialmente – comporta [[6]]. Ed ancora, la previsione della responsabilità erariale per i casi in cui, nel­l’e­ser­cizio dei diritti di socio, gli enti pubblici partecipanti o comunque i titolari del potere di decidere per essi, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione, risponde alla sollecitazione Ocse a far sì che la gestione della partecipazione pubblica [continua ..]


3. Organizzazione delle società pubbliche

L’art. 6 del T.U. delinea i principi organizzativi delle società a controllo pubblico [[9]], con ciò evidenziando la rilevanza della dimensione organizzativa così come già acquisita dalla disciplina codicistica, ex art. 2381, 3° e 5° comma c.c. La norma è interessante ai nostri fini per tre aspetti di fondo: – il principio della separazione contabile; – la valutazione del rischio di crisi aziendale; – l’implemen­ta­zione dell’assetto organizzativo. Soffermiamoci in breve ad analizzarli. a) Il principio della separazione contabile prevede che, laddove la società a controllo pubblico eserciti attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi[[10]], insieme ad altre attività svolte in regime di mercato, in deroga all’obbligo di separazione societaria di cui al comma 2° bis dell’art. 8 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (la legge antitrust), venga adottato un sistema di contabilità separata per le attività oggetto di diritti speciali o esclusivi e per ciascuna attività. La norma dunque consente lo svolgimento congiunto delle attività per così dire protette e di quelle di mercato senza necessità di costituire un’altra società, ma con il presidio di trasparenza operativa rappresentato dalla separazione contabile. La quale appunto consente di meglio evidenziare e misurare i relativi risultati di gestione. Si tratta di una soluzione del tutto in linea con la duplice esigenza di contenere la moltiplicazione di società pubbliche e, ad un tempo, di assicurare la trasparente gestione delle attività attraverso evidenze contabili separate. b) Si prevede poi che le società “a controllo pubblico” predispongano specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale e ne informino l’assemblea nell’ambito della relazione annuale sul governo societario di cui al 4° comma del­l’art. 6. Ora, il richiamo a questo comma lascia intendere che tale programma debba essere redatto annualmente, posto che la relazione sul governo societario, ivi prevista, viene redatta quale corredo documentale del bilancio di esercizio[[11]]. Tale previsione è di grande interesse. Essa infatti introduce in primo luogo il dovere, in capo agli amministratori, non solo di valutare il rischio di crisi aziendale ma di [continua ..]


4. (Segue). Programma di valutazione del rischio aziendale: funzione (solo?) informativa e ruolo dell'assemblea

Nell’illustrare i principi di organizzazione si è potuto notare che il profilo attinente alla valutazione ed alla gestione del rischio operativo passa attraverso la redazione del programma annuale sul quale, ed attraverso il quale, viene innanzitutto informata l’assemblea. Orbene, prima di addentrarci nel considerare la competenza a redigere il programma, occorre riflettere sulla funzione [[16]] di questa informazione all’assemblea in relazione alla riserva gestoria in capo all’organo amministrativo. Si potrebbe discutere, infatti, se si tratta di una mera informazione partecipativa o, invece, di una informazione che può sollecitare una decisione dell’assemblea con riflessi gestori [[17]]. In via preliminare occorre osservare che il legislatore del Testo Unico ha tenuto ben presente la specificità del socio pubblico il quale, se da un lato rimane nel modello societario delineato dalla disciplina codicistica [[18]], dall’altro però risente dei vincoli operativi propri della sua natura di ente-socio soprattutto nell’evitare dispersione di denaro pubblico. Da qui la previsione in materia di società in house (art. 16, 2° comma) e di società mista pubblico-privata (art. 17, 4° comma) secondo la quale gli statuti delle società per azioni possono contenere clausole in deroga agli artt. 2380-bis e 2409-novies c.c. così potendo determinare una sorta di attenuazione dell’esclusività della funzione gestoria. Limitando per il momento la nostra attenzione alle società miste, va rilevato che se può esserci una tale attenuazione, non è detto però che a ciò corrisponda la previsione di competenze gestorie in capo all’assemblea, atteso che le norme citate sembrano ricondurre tale attenuazione dei poteri gestori degli amministratori nella prospettiva di valorizzare il controllo [[19]] del socio pubblico sulla gestione. L’informazione realizzata con il programma di valutazione del rischio, redatto annualmente, avrebbe quindi, in primo luogo, la funzione di rendere edotta l’as­sem­blea circa i fattori di crisi aziendale senza che con ciò si abbia l’attivazione di una competenza gestoria dell’organo assembleare. L’assemblea infatti sarebbe chiamata a prendere atto dei fattori evidenziati, eventualmente sollecitando gli amministratori a adottare [continua ..]


5. Provvedimenti adeguati in caso di perdite

Esaminati i profili organizzativi e i poteri decisionali, portiamo la nostra attenzione sulla disciplina prevista in caso di perdite. La norma al riguardo rilevante per le società a partecipazione pubblica è quella di cui all’art. 14. Si tratta di una disposizione complessa, articolata in più commi e con intreccio di varie fattispecie. Per tentare di renderne più intellegibile il significato e la portata applicativa possiamo ricondurne il contenuto a tre ordini di fondo (che esamineremo in due paragrafi coordinati): una enunciazione di principio, un criterio operativo generale ed infine criteri operativi specifici secondo i parametri del risk assessment e del risk treatment. L’enunciazione di principio generale è che le società pubbliche, senza eccezione per quelle in house, sono assoggettate alla disciplina del fallimento e del concordato preventivo, nonché, quando vi sono i relativi presupposti, a quella dell’ammi­ni­strazione straordinaria delle grandi e grandissime imprese insolventi. Sembra risolto quindi in radice il lungo dibattito dottrinale e giurisprudenziale che si era animato sulla questione della fallibilità delle in house e quindi sulla possibilità che le stesse potessero accedere o meno al concordato preventivo [[29]]. Questione che si era posta proprio in ragione della mancanza – per queste società–di una autonomia gestionale e finanziaria tale da consentire di identificarle in termini distinti rispetto alla pubblica amministrazione. Se è da salutare con favore una tale previsione, anche in ragione del fatto che è in linea con la riforma organica della crisi (c.d. riforma Rordorf) [[30]], non è detto, però, che sia del tutto sopita la questione della fallibilità delle società in house. Ci si riferisce in particolare alle c.d. società del patrimonio degli enti territoriali. Si tratta di società costituite ai sensi dell’art. 118 del Testo Unico degli Enti locali, di cui al d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e successive modifiche, nelle quali viene conferito il patrimonio indisponibile degli stessi Enti. Sarebbe discutibile in questi casi la stessa configurazione di un’attività distinta ed autonoma rispetto a quella dell’Ente, essendo pensate per migliorare la gestione del patrimonio indisponibile volto a soddisfare bisogni delle [continua ..]


6. (Segue). Articolazione delle decisioni secondo i parametri di risk assessment-risk treatment e divieto di soccorso finanziario

7. I piani di risanamento e la disciplina concorsuale della sospensione degli obblighi di intervento sul capitale

Inquadrate le varie fattispecie dell’art. 14 e portando ora la nostra attenzione su quelle relative al ripianamento delle perdite, va detto che l’obbligo specifico in capo agli amministratori è quello di agire “senza indugio”. Tale obbligo può essere riguardato in relazione alla disciplina concorsuale. Il piano di risanamento, di cui si è detto, potrebbe infatti assumere le forme, oltre che del piano attestato, anche del piano di concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Soffermandoci sul concordato e sugli accordi, l’art. 182-sexies legge fall. prevede che dalla domanda per l’ammissione al concordato preventivo, anche con riserva, dalla domanda per l’omologazione di un accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis legge fall., ovvero della proposta di accordo a norma del 6° comma dello stesso articolo e sino alla omologazione, non si applicano gli artt. 2446, 2° e 3° comma, 2447, 2482 bis, 4°, 5° e 6° comma e 2482-ter c.c. La sospensione dell’obbligo di intervento sul capitale costituisce in effetti una misura che agevola l’accesso della società al concordato, anche in continuità, e al­l’accordo di ristrutturazione in una prospettiva di preferenza per l’opzione del risanamento [[46]]. Anche se la sospensione della relativa disciplina non significa che essa è irrilevante sia perché l’articolo citato dispone che si applica comunque l’art. 2486 c.c. per il periodo anteriore alle domande ed alla proposta, sia perché la questione della ricostituzione del capitale è destinata a riproporsi una volta omologato l’accordo o il concordato. Questo implica, dunque, che le prospettive degli opportuni provvedimenti in caso di perdite oltre il terzo, o del bivio tra ricapitalizzazione o liquidazione della società, in caso di perdita del capitale, possono sfociare o risolversi nell’accesso ad una procedura di risanamento che, in ragione della sua attitudine ad incidere sulla esposizione debitoria, potrebbe essere in grado di riassorbire le perdite patrimoniali della società. L’intervento sull’esposizione debitoria potrebbe pertanto evitare o attenuare l’intervento sul capitale e consentire il risanamento con minor impegno finanziario da parte dei soci. Poiché ciò avviene con incidenza sui [continua ..]


8. Controllo analogo e limiti all'autonomia organizzativa e decisionale nelle società in house

Un intero articolo del T.U. è dedicato alle società in house. Si tratta dell’art. 16, intitolato “Società in house”, che le individua ricorrendo al criterio oggettivo del­l’affidamento diretto di contratti pubblici dalle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo, anche congiunto. Il criterio soggettivo – relativo al controllo analogo da parte dell’Ente – si rinviene, invece, in altra norma: quella di cui all’art. 2 del T.U. che contiene le definizioni generali; nonché nell’art. 5 del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016). Mediante il controllo analogo l’amministrazione esercita sulla società partecipata un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della stessa. Definizione a cui si affianca quella del controllo analogo congiunto esercitato appunto, con il medesimo contenuto, da più amministrazioni partecipanti alla società [[49]]. L’impianto normativo ci dice che sono in house quelle società pubbliche affidatarie senza gara di contratti pubblici e sulle quali l’amministrazione o le amministrazioni partecipanti esercitano un controllo analogo a quello che svolgono sui loro servizi con riguardo agli obiettivi strategici e alle decisioni significative. Dal combinato disposto delle norme richiamate è possibile, in primo luogo, osservare che il controllo sulle in house trova fondamento non solo nella circostanza che una o più amministrazioni pubbliche hanno una partecipazione totalitaria o quasi; ma anche nel fatto che le in house sono affidatarie dirette di uno o più servizi da erogare a favore della o delle stesse controllanti. Abbiamo quindi una duplice dimensione di controllo: interno ed esterno, rispettivamente riconducibile alla partecipazione sociale e all’affidamento del servizio – da svolgersi a favore della o delle amministrazioni partecipanti – regolato dal c.d. contratto di servizio [[50]]. Conferma quanto sin qui rilevato la stessa norma di cui all’art. 16 e precisamente il 6° comma a mente del quale: «Nel caso di rinuncia agli affidamenti diretti, di cui al comma 5, la società può continuare la propria attività se e in quanto sussistano i requisiti di cui all’art. 4. A seguito della cessazione degli affidamenti diretti, perdono efficacia le [continua ..]


9. Emersione del rischio nelle società in house, funzione gestoria e ruolo del socio pubblico

Se per le società partecipate in generale vale quanto abbiamo rilevato circa il condizionamento che deriva dalla presenza del socio pubblico in relazione al divieto del soccorso finanziario, se non a certe condizioni e modalità; in termini ancora più pregnanti si pone questo tema per le in house in forza delle peculiarità appena colte. Si è visto che anche le in house sono soggette all’applicazione della disciplina della crisi e dell’amministrazione straordinaria, così come dispone – con portata generale – l’art. 14, 1° comma del T.U.; il ché sembra comportare anche per le in house l’applicazione degli altri commi dell’art. 14 che riguardano il programma di valutazione del rischio aziendale, di cui occorre informare l’assemblea ed i piani di ristrutturazione/risanamento per il recupero dell’equilibrio economico/finanziario dell’attività. Posto, dunque, che la norma di riferimento sarebbe la medesima sia per le partecipate che per le in house, non risulta agevole l’individuazione di un punto di equilibrio tra la competenza dell’organo gestorio ad adottare gli opportuni ed urgenti provvedimenti a fronte di indicatori di crisi, ai sensi dell’art. 14 del T.U., e l’ope­ratività del controllo analogo che, come anticipato in precedenza, seppure attenuato nella sua portata assoluta, assume tuttavia una valenza pregnante molto più incisiva di quella riconducibile ad un fenomeno di controllo ex art. 2359 c.c. Il livello di tale difficoltà tende poi a complicarsi laddove si osservi che fronteggiare situazioni di crisi implica l’adozione di decisioni che possono assumere diverse modulazioni: da una portata preventiva meramente programmatico/strate­gica, ad una più specifica e di dettaglio con la previsione di precisi interventi alle volte urgenti, passando da decisioni intermedie o interlocutorie in attesa di una migliore configurazione degli scenari operativi. Del resto questa diversa modulazione si ritrova nello stesso art. 14 del T.U. che già in relazione alle società a controllo pubblico prevede una significativa valorizzazione del ruolo dell’assemblea cui è indirizzato il programma di valutazione del rischio e che pone però in capo all’organo amministrativo il dovere di adottare senza indugio i provvedimenti necessari al fine di [continua ..]


10. Riflessioni di chiusura

Va riconosciuto che il tessuto normativo del T.U. presenta profili di ampia interferenza con il diritto societario del quale – si può ormai dire – fanno parte diverse norme di disciplina della crisi, senza che con questo si debba delineare, a livello sistematico, un diritto societario della crisi. L’orientamento del nostro sistema verso l’emersione anticipata della crisi, secondo norme che sembrano definire una vera e propria “governance della crisi” (adeguati assetti organizzativi, flussi informativi, programmazione degli interventi, solvency test, ecc.) hanno avuto indubbia risonanza nella disciplina delle società partecipate, assecondando un deciso percorso di assimilazione delle stesse alla disciplina ordinaria. Riteniamo che questo abbia in qualche modo accentuato le problematiche insite in questo “modello” societario, mettendo a dura prova la presenza del socio pubblico e dei suoi vincoli operativi a fronte della valorizzazione di una disciplina privatistica. Questo si è visto essere un delicato punto di armonizzazione proprio nelle società in house, soprattutto in frangenti di crisi. Se infatti durante societate si percepisce, non solo sul piano teoretico ma proprio su quello operativo, la difficile dinamica tra vincoli dell’ente e disciplina codicistica, ancor di più questa tende a complicarsi quando emergono indicatori di crisi aziendale. Ci sembra dunque di poter delineare in fase conclusiva tre considerazioni. La prima è che, guardando anche ai principi OCSE sulle partecipate, risulta rafforzato il richiamo normativo all’efficienza, alla trasparenza ed alla responsabilità del management. E questo anche laddove si tratti di società in house. Si riempie così di ulteriore contenuto la clausola generale di cui all’art. 2403 c.c. sui principi di corretta amministrazione sui quali il collegio sindacale è chiamato a vigilare e che abbiamo visto essere una norma da leggere in rapporto all’art. 2392 c.c. Il socio pubblico non potrà dunque “chiedere” comportamenti al management che si discostino da tali criteri senza mettere a repentaglio le sorti della società e forse la sua stessa responsabilità civile ed erariale. In secondo luogo, l’attenzione agli indicatori di crisi rientra, per così dire, nel bagaglio operativo del management in via permanente e tale da [continua ..]


NOTE