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Il presidente del consiglio di amministrazione di s.p.a.
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Sommario:
1. Disciplina della presidenza e “procedimentalizzazione” dell’amministrazione nel nuovo diritto azionario. - 2. Funzione del presidente. Direzione dei lavori: il rapporto presidente-c.d.a. - 2.1. (Segue): il rapporto presidente – singoli consiglieri. - 2.2. (Segue): deroghe ai poteri presidenziali. - 3. Convocazione del collegio: il rapporto presidente-collegio. - 3.1. (Segue): il rapporto presidente – singoli consiglieri. - 3.2. (Segue): deroghe ai poteri presidenziali. - 4. Fissazione dell’ordine del giorno e controllo dell’informazione endoconsiliare: il rapporto presidente-collegio. - 4.1. (Segue): il rapporto presidente-singoli consiglieri. - 4.2. (Segue): deroghe ai poteri presidenziali. - 5. Obblighi del presidente e monitoring del consiglio. - 5.1. (Segue): riflessi applicativi. - 6. Attribuzione di deleghe gestionali al presidente e adeguatezza degli assetti organizzativi. - NOTE
1. Disciplina della presidenza e “procedimentalizzazione” dell’amministrazione nel nuovo diritto azionario.
Nel perseguire la “procedimentalizzazione” dell’amministrazione di s.p.a., la riforma delle società di capitali (d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, attuativo della legge 3 ottobre 2001, n. 366) ha dedicato particolare attenzione alla figura del presidente del c.d.a., al quale vengono oggi riconosciuti sia poteri-doveri di “coordinamento” sia poteri-doveri di “propulsione” dell’azione collegiale [1] e, al contempo, negati poteri individuali in tema di gestione dell’impresa [2]. Nonostante la sua indubbia modernità [3], tale disciplina resta peraltro muta, o risulta ambigua, con riferimento a diversi aspetti di particolare rilevanza nella prospettiva prescelta dalla riforma: su alcuni dei quali preme qui soffermarsi. Innanzitutto, restano irrisolti interrogativi, per molti versi tradizionali, circa la ripartizione dei poteri organizzativi tra presidente e altri consiglieri di amministrazione. Problemi che emergono in tutta la loro rilevanza soprattutto nelle fattispecie di organi amministrativi a composizione eterogenea, tipiche delle società di maggiori dimensioni; e che sono particolarmente complessi, non soltanto perché devono essere distintamente analizzati con riferimento a ciascuno dei poteri tipici del presidente, ma anche perché devono osservarsi sia dal punto di vista del rapporto presidente – collegio, sia nella prospettiva del rapporto presidente [continua ..]
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2. Funzione del presidente. Direzione dei lavori: il rapporto presidente-c.d.a.
L’analisi dei profili testé selezionati deve muovere dalla considerazione che il presidente del c.d.a. è una figura preposta ad assicurare il funzionamento per un verso ordinato e, per altro verso, dialetticodell’organo collegiale: è questa l’impostazione più coerente, perlomeno ove si accolga – come a nostro avviso è preferibile – l’idea che la funzione della collegialità nel contesto societario in esame [4] risiede nella promozione della unitarietà dell’amministrazione pluripersonale [5], intesa non soltanto come “coerenza” dell’azione ma anche come “partecipazione” alla stessa da parte di tutti gli amministratori [6]. Se in quest’ottica si comprende l’attribuzione al presidente di ampi poteri direttivi [7] (il cui scopo specifico è di assicurare un ordinato ed efficiente svolgimento delle riunioni), resta da stabilire in quale modo si atteggi al riguardo il rapporto tra il presidente e gli altri membri del collegio. Sembra infatti che il dato normativo non contenga indicazioni decisive in proposito: sebbene l’art. 2381, 1° comma, c.c., attribuisca al presidente il potere di coordinamento dei lavori senza menzionare espressamente alcun ruolo in proposito da parte degli altri componenti del collegio [8], ciò non può essere risolutivo, se è vero che [continua ..]
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2.1. (Segue): il rapporto presidente – singoli consiglieri.
Meno problematica risulta, invece, la posizione dei singoli componenti del collegio. È chiaro, in particolare, che riconoscere un ruolo diretto nella materia del coordinamento dei lavori ai singoli consiglieri di amministrazione (un ruolo non mediato, cioè, dalla deliberazione del plenum) significherebbe tradire le esigenze basilari sottese alla disciplina di questo profilo dell’attività collegiale: infatti, considerato che lo scopo di tale normativa è quello di assicurare l’ordinato e regolare svolgimento delle riunioni, è naturale che le necessarie attribuzioni siano riservate ad una figura unitaria; figura che – salve le competenze sovraordinate del consiglio [18] – deve quindi essere uni-personale, non “diffusa”. Pertanto, si deve escludere che in questo ambito siano riconosciute dalla legge, o riconoscibili statutariamente, competenze in capo ai singoli consiglieri di amministrazione, quantomeno in linea di principio. Il problema è più complesso, tuttavia, per quel che riguarda il potere di rinviare l’adunanza. È infatti astrattamente pensabile che ciascun consigliere abbia il diritto o il potere di ottenere il rinvio dell’adunanza, al fine di poter approfondire la conoscenza delle materie all’ordine del giorno [19]. Al riguardo, è necessario distinguere tra la disciplina legale e il ruolo [continua ..]
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2.2. (Segue): deroghe ai poteri presidenziali.
Proseguendo lungo la linea di ricerca qui prescelta, resta da vedere in che misura sia consentito all’autonomia privata derogare alle competenze legali del presidente del consiglio di amministrazione. Anche a tal proposito, il dato normativo è poco concludente: esso, infatti, affidando il rinvio all’autonomia privata ad una clausola di salvezza delle previsioni statutarie “diverse”, non chiarisce se le clausole fatte salve siano solo quelle integrative del modello legale oppure anche quelle in deroga allo stesso [24]. E anche a tal proposito gli interpreti sono divisi, discutendosi tra una tesi che ammette tout court la derogabilità delle norme di legge [25] e una tesi più restrittiva [26]. Al riguardo, sembra in linea di principio più convincente l’ipotesi più restrittiva. Sembra sicuro, in primo luogo, che debbano considerarsi illegittime clausole che abroghino, in tutto o in parte, i poteri di direzione delle riunioni consiliari oggettivamente considerati (dall’accertamento della legittimazione degli intervenuti fino alla proclamazione del deliberato), poiché si tratta di momenti essenziali dello svolgimento dell’attività collegiale [27]. Né si potrebbe correttamente addurre in contrario un generico richiamo all’autonomia privata, poiché – se è vero che la radice [continua ..]
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3. Convocazione del collegio: il rapporto presidente-collegio.
Procedendo nell’analisi dei poteri di coordinamento, occorre soffermarsi sulle questioni poste dal potere di convocazione, cominciando dal profilo del rapporto presidente – collegio. Sebbene il dato normativo sia silente, e nonostante il punto non risulti essere stato particolarmente approfondito tra gli interpreti [32], non sembra particolarmente problematico, alla luce delle riflessioni precedenti, delineare una soluzione alla questione. In particolare, una volta ammessa la sovranità del collegio sulla direzione dei propri lavori, coerenza vuole che analoga posizione esso rivesta con riguardo alla propria convocazione: anche sotto quest’ultimo profilo, infatti, si pongono gli stessi problemi di coerenza ed efficienza dell’amministrazione che sono sottesi alla prevalenza delle deliberazioni del plenum sulle decisioni del presidente in tema di svolgimento dell’attività consiliare; né sembra che il collegio si trovi nella impossibilità di auto-convocarsi, quantomeno in assoluto [33]. In mancanza di dati normativi contrari, ne consegue che – alla stregua dello stesso modello legale (essendo superfluo, allora, l’intervento statutario in proposito) – l’interesse partecipativo degli altri amministratori è tutelato anche con riferimento alla possibilità di determinare (a maggioranza) modo, tempo e luogo della convocazione del collegio.
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3.1. (Segue): il rapporto presidente – singoli consiglieri.
Diversamente si atteggia il profilo dei rapporti tra presidente e singoli consiglieri di amministrazione. Il riferimento è non tanto alla possibilità di riconoscere agli (ad) altri amministratori (o a gruppi più o meno cospicui di essi) un potere immediato di convocazione del collegio: nonostante non manchino precedenti nel diritto comparato né voci contrarie anche autorevoli [34], a tal proposito sembrano valere i rilievi già esposti riguardo al potere di direzione dei lavori consiliari, nel senso della necessaria unitarietà (e quindi uni-personalità o, tutt’al più, collegialità) della figura competente in materia, pena il rischio di incoerenza ed inefficienza dell’amministrazione. Mancando indicazioni legislative in senso contrario [35], è quindi da escludere il riconoscimento implicito nel sistema [36], come anche la riconoscibilità per statuto [37], di un potere di convocazione più o meno “diffuso” tra i consiglieri [38]. Ciò che qualifica il problema della convocazione del consiglio – e ne giustifica la trattazione autonoma – è il dato, già da più parti notato [39], che l’eventuale potere di intervento in proposito da parte di amministratori diversi dal presidente non si presenta in termini “monolitici”, ben potendosi immaginare uno scenario nel quale – [continua ..]
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3.2. (Segue): deroghe ai poteri presidenziali.
Può derogarsi al potere presidenziale di convocazione del collegio? Anche con riferimento a questa questione gli interpreti sono divisi [49]. A nostro avviso – esclusa la rinunciabilità della convocazione come fase dell’attività collegiale in sé e per sé considerata, data la sua inerenza (nella società per azioni) alla inderogabile regola collegiale [50] – per quanto riguarda eventuali “traslazioni” di competenza, sembra che si debba pervenire ad una conclusione positiva, quantomeno tendenzialmente. Infatti, si può dubitare della essenzialità di tale potere alla funzione minima della presidenza, dato che il carattere concorrente (quindi non pienamente discrezionale) della competenza in esame rende meno pressante l’esigenza di un correttivo sul piano delle modalità di nomina del suo titolare (v. supra, par. 2.2). Tuttavia, non sembra potersi trascurare, innanzitutto, il fatto che l’eventuale attribuzione del potere di convocazione a figure eventuali o comunque (giuridicamente) “precarie” (come, ad es., l’amministratore delegato) possa pregiudicare la funzionalità del consiglio (il quale, ove la figura competente dovesse mancare o comunque venire meno, ad es. per la revoca della delega, potrebbe trovarsi nella impossibilità di operare) [51]. In secondo luogo, le clausole che sottraggano al presidente la [continua ..]
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4. Fissazione dell’ordine del giorno e controllo dell’informazione endoconsiliare: il rapporto presidente-collegio.
Nella prospettiva della “propulsione” dell’attività consiliare (di promozione, cioè, della qualità e della rilevanza dell’azione collegiale) vengono in rilievo il potere di controllo dell’informazione consiliare e il potere di fissazione dell’ordine del giorno [53]. Poteri, questi, che possono essere trattati in modo contestuale, poiché non soltanto assolvono ad una unitaria funzione; ma, a ben vedere, si pongono similmente rispetto alle questioni interpretative al centro della presente indagine. Per quel che riguarda i temi legati al rapporto (legale e statutario) tra poteri del presidente e poteri degli altri componenti del consiglio di amministrazione (come gruppo o come singoli), l’analisi trae ulteriore giovamento dal fatto che i problemi posti dalle norme in tema di controllo dell’informazione e di ordine del giorno non sono sostanzialmente dissimili da quelli già affrontati a proposito della disciplina della convocazione del collegio. Non a caso si tratta di aspetti che spesso gli interpreti hanno toccato alquanto fugacemente in modo specifico. Quanto al rapporto tra presidente – consiglio di amministrazione, si può notare – pur in mancanza di indicazioni normative univoche e nonostante la apparente mancanza di approfondimenti sul punto – che sia per quanto riguarda la “adeguatezza” [54] dell’informazione [continua ..]
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4.1. (Segue): il rapporto presidente-singoli consiglieri.
Più complesso è il problema posto dal rapporto tra presidente e singoli consiglieri di amministrazione, sebbene tale maggiore complessità non sia stata sempre avvertita nelle indagini in materia. Anche sotto tale profilo la necessità di contemperare la partecipazione (arg. ex art. 2381, ult. comma, c.c.) [56] con la coerenza e l’efficienza dell’amministrazione porta ad escludere ipotesi (sistematiche o statutarie) di attribuzione (più o meno) “diffusa” di competenze piene in materia. Ciò che, tuttavia, non esclude la ammissibilità di clausole statutarie che attribuiscano ai singoli consiglieri di amministrazione poteri “rafforzati” di interazione col presidente in tema di informazione, eventualmente circoscrivendone l’ambito soggettivo di fruizione attraverso parametri quantitativi o qualitativi: si pensi, ad es., al lead independent director (o presiding director), figura di origine anglosassone ma ampiamente conosciuta anche dalla prassi delle società quotate italiane, nelle quali ha, tra l’altro, il ruolo di collaborare con il presidente del consiglio di amministrazione affinché il suo compito di controllo dell’adeguatezza informativa sia adempiuto correttamente, senza essere pregiudicato dall’assunzione di incarichi esecutivi [57]. Per altro verso, le suddette istanze lasciano senz’altro [continua ..]
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4.2. (Segue): deroghe ai poteri presidenziali.
Meno significative le analogie che, con i temi già affrontati, si riscontrano per quanto riguarda le questioni relative alla derogabilità dei poteri presidenziali in tema di informazione e fissazione dell’ordine del giorno, sebbene – come si vedrà tra breve – anche a tal proposito non manchino del tutto punti di contatto. Resta fermo, peraltro, che anche sotto tale profilo l’analisi dei due poteri può procedere in modo unitario. Sul punto la dottrina è fortemente divisa. In particolare, da un lato, vi è chi ritiene che i poteri in questione possano non soltanto essere imputati diversamente rispetto al modello di default, ma possano anche essere del tutto rimossi [64]. Dall’altro, vi è chi è dell’avviso opposto su entrambi i punti [65] o, perlomeno, ritiene che, sebbene sia possibile sottrarre le competenze in esame al presidente per attribuirle ad altri, le stesse non possano essere in sé e per sé eliminate in quanto parti essenziali del modello legale di organizzazione della collegialità nel profilo “evoluto” che questa ha assunto con la riforma [66]. In verità, le risposte finora prospettate con riferimento ai problemi in questione sembrano peccare di massimalismo. Certo sembra, in primo luogo, che le competenze presidenziali in tema di controllo dell’informazione consiliare e di fissazione [continua ..]
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5. Obblighi del presidente e monitoring del consiglio.
Particolarmente delicato è il quesito circa l’estensione oggettiva dei poteri del presidente, giacché – trattandosi certamente di poteri-doveri – implica quello concernente la delimitazione del rischio di responsabilità connesso alla carica e, in particolare, del rischio di responsabilità per violazione di obblighi specifici di comportamento [77]. Il problema riguarda soprattutto l’esercizio dei poteri di controllo dell’informazione fornita dai delegati al collegio e di fissazione dell’ordine del giorno. Si tratta di stabilire, per un verso, se il potere-dovere di sovrintendere ai flussi informativi sia circoscritto all’informazione pre-consiliare oppure si estenda all’informativa periodica prescritta dalla legge (artt. 2381, 5° comma, c.c.; 150, t.u.f.) e/o dallo statuto [78]. Per altro verso, occorre determinare se il potere presidenziale di fissare l’ordine del giorno possa e debba esercitarsi (tendenzialmente) rispetto alle sole materie di competenza esclusiva del collegio (perché non delegabili e/o non delegate) oppure si estenda anche alle materie rientranti nella competenza dei delegati (e da questi effettivamente esercitate in autonomia). È chiaro, poi, che tali problemi – postulando un ruolo di controllo del presidente rispetto ai delegati – si pongono nella sola ipotesi che il presidente non sia titolare di deleghe [continua ..]
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5.1. (Segue): riflessi applicativi.
Diverse, e assai significative, sono le questioni applicative sollecitate dalle ipotesi appena sostenute. È allora opportuno, onde chiarire la logica delle riflessioni qui offerte, svilupparne quantomeno alcune in questa sede. In primo luogo, dalle riflessioni sin qui condotte sembra emergere una particolare caratterizzazione dell’obbligo di agire informato del presidente. Infatti, tale obbligo, essendo espressione-specificazione del criterio di amministrazione diligente, deve essere concretizzato alla luce (anche) della “natura dell’incarico” ricoperto dal singolo amministratore (art. 2392, 1° comma, c.c.) [87], risentendo così della “perizia” allo stesso (in certa misura) richiesta [88]. Né sembra incoerente ritenere che la posizione del presidente del consiglio di amministrazione, pur non assurgendo al rango di organo autonomo, integri i presupposti di un “incarico” nel senso inteso dalla norma in riferimento [89]. Sulla base di tali premesse sembra allora legittimo affermare che se, in generale, per il consigliere “non esecutivo” (privo di particolari incarichi) l’obbligo di agire informato comporti il dovere di esaminare con attenzione ed eventualmente approfondire le informazioni “spontaneamente” fornite dai delegati (nonché di acquisire le informazioni ulteriori necessarie per assumere iniziative deliberative in merito alla delega [continua ..]
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6. Attribuzione di deleghe gestionali al presidente e adeguatezza degli assetti organizzativi.
Una volta prefigurato un simile rapporto dialettico tra presidente e organi delegati, si comprende l’opportunità di riflettere sul problema del cumulo dei ruoli di presidente e di amministratore delegato nelle società di maggior rilievo. Al riguardo, non sembra offrire spiragli il testo dell’art. 2381, co. 1°, c.c., il quale – non vietando espressamente il cumulo di deleghe – sembra legittimare tale assetto [98]. D’altra parte, sono falliti ulteriori tentativi di introdurre una regola contraria [99]. Giova sottolineare che si tratta di scelta tutt’altro che irragionevole. Infatti, le valutazioni in merito non possono prescindere dagli inconvenienti in termini di costi che una soluzione radicale del problema possa comportare: è chiaro, in particolare, che là dove dovesse escludersi la stessa liceità di un cumulo di ruoli, si delineerebbe un assetto probabilmente troppo gravoso per le società di minori dimensioni [100]. Non sembra, però, che la questione possa considerarsi definitivamente chiusa [101]. Le interpretazioni finora proposte al riguardo non risultano, invero, sufficientemente attente al problema. L’analisi più approfondita condotta in proposito si è invero limitata ad affermare che la soluzione formalmente recepita non è del tutto esente da pregi anche sotto il profilo della garanzia di effettività del ruolo [continua ..]
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