Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Imputabilità della responsabilità per la violazione dell´art. 101, comma 1, t.f.u.e. ad una società capogruppo per il comportamento illecito della propria controllata: una presunzione davvero inconfutabile? (nota a Corte di Giustizia, III sezione, 10 settembre 2009, causa C-97/08) (di Armin Reinstadler, Andreas Reinalter)


CORTE DI GIUSTIZIA, III Sezione, 10 settembre 2009, causa C-97/08P – Rosas Presidente – Arabadjiev Relatore – Kokott Avvocato Generale – Akzo Nobel NV ed altri (avv.ti van der Woude, Mollica) c. Commissione europea.

Diritto comunitario della concorrenza  Imputabilità delle infrazioni  Responsabilità della società capogruppo per comportamenti anticoncorrenziali delle proprie controllate  Influenza determinante della società capogruppo – Presunzione relativa in caso di detenzione di una partecipazione al 100%.

(Reg. (CE) n. 1/2003, art. 23, n. 1 e 2; artt. 101 e 102 t.f.u.e.)

Il comportamento di una società controllata può essere imputato alla società controllante segnatamente quando, pur avendo personalità giuridica distinta, tale controllata non determina in modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, ma attua sostanzialmente le istruzioni impartitele dalla società controllante, tenuto conto, in particolare, dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che uniscono i due soggetti giuridici. Ciò si verifica perché, in tale situazione, la società controllante e la propria controllata fanno parte di una stessa unità economica e, pertanto, formano una sola impresa, il che consente alla Commissione di emanare una decisione che infligge ammende nei confronti della società controllante, senza necessità di dimostrare il coinvolgimento personale di quest’ultima nell’infrazione. (1)

(Reg. (CE) n. 1/2003, art. 23, n. 1 e 2; artt. 101 e 102 t.f.u.e.)

Riguardo al caso particolare in cui una società controllante detenga il 100% del capitale della propria controllata, la quale abbia infranto le norme comunitarie in materia di concorrenza, tale società controllante può esercitare un’influenza determinante sul comportamento della controllata e, per l’effetto, esiste una presunzione relativa secondo cui detta società controllante esercita effettivamente un’influenza determinante sul comportamento della propria controllata. In siffatte condizioni è sufficiente che la Commissione provi che l’intero capitale di una controllata è detenuto dalla controllante per poter presumere che quest’ultima eserciti un’influenza determinante sulla politica commerciale della controllata. La Commissione potrà quindi ritenere la società controllante solidalmente responsabile per il pagamento dell’ammenda inflitta alla controllata, a meno che la società controllante, cui incombe l’onere di confutare tale presunzione, non fornisca sufficienti elementi di prova idonei a dimostrare che la propria controllata si comporti in maniera autonoma sul mercato. (2)

 

CORTE DI GIUSTIZIA

DELLA COMUNITÀ EUROPEA

TERZA SEZIONE

 

omissis

1 Con la loro impuganzione, la Akzo Nobel NV (in prosieguo: la «Akzo Nobel»), la Akzo Nobel Nederland BV (in prosieguo: la «Akzo Nobel Nederland»), la Akzo Nobel Chemicals International BV (in prosieguo: la «Akzo Nobel Chemicals International»), la Akzo Nobel Chemicals BV (in prosieguo: la «Akzo Nobel Chemicals») e la Akzo Nobel Functional Chemicals BV (in prosieguo: la «Akzo Nobel Functional Chemicals») chiedono alla Corte l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 12 dicembre 2007, causa T-112/05, Akzo Nobel e a./Commissione (Racc. pag. II-5049; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale è stato respinto il loro ricorso diretto all’annullamento della decisione della Commissione 9 dicembre 2004, 2005/566/CE, relativa a un procedimento ai sensi dell’art. 81 del Trattato CE e dell’art. 53 dell’accordo SEE (Caso C.37.533 – Cloruro di colina) (GU 2005, L 190, pag. 22; in prosieguo: la «decisione controversa»).

2 In tale decisione, la Commissione delle Comunità europee ha contestato alle destinatarie un’infrazione unica e continuata dell’art. 81, n. 1, CE e, a decorrere dal 1° gennaio 1994, dell’art. 53, n. 1, dell’accordo 2 maggio 1992 sullo Spazio economico europeo (GU 1994, L 1, pag. 3).

omissis

 

I fatti

5 Secondo gli accertamenti effettuati dalla Commissione, cui fa riferimento il Tribunale nella sentenza impugnata, i fatti all’origine della controversia sono i seguenti.

6 Dopo avere ricevuto, nell’aprile 1999, l’istanza di un produttore americano intesa ad ottenere l’applicazione di misure di clemenza, la Commissione avviava un’indagine sul settore del cloruro di colina a livello mondiale, indagine che ha riguardato il periodo compreso tra il 1992 e la fine del 1998.

7 Il cloruro di colina appartiene al gruppo di vitamine idrosolubili del complesso B (vitamina B4). Esso è utilizzato prevalentemente nell’industria dei mangimi come additivo alimentare. Oltre ai produttori, sul mercato del cloruro di colina operano, da un lato, i trasformatori, i quali acquistano il prodotto dai produttori in forma liquida e lo trasformano, per conto del produttore stesso oppure per proprio conto, in cloruro di colina su supporto, e, dall’altro, i distributori.

8 Le ricorrenti, cinque società appartenenti al gruppo Akzo Nobel, appartengono ai produttori di cloruro di colina. Nel periodo oggetto dell’indagine della Commissione, la Akzo Nobel, società madre del gruppo, deteneva, direttamente o indirettamente, la totalità del capitale delle altre ricorrenti. Infatti, quest’ultima possedeva il 100% del capitale delle proprie controllate: la Akzo Nobel Nederland e la Akzo Nobel Chemicals International. La Akzo Nobel Nederland era proprietaria del 100% del capitale della propria controllata, la Akzo Nobel Chemicals, che a sua volta possedeva l’intero capitale sociale della Akzo Nobel Functional Chemicals.

9 Il fatturato consolidato mondiale dichiarato dalla Akzo Nobel nel 2003, esercizio immediatamente precedente alla decisione controversa, ammontava a EUR 13 miliardi.

10 Per ciò che riguarda lo Spazio economico europeo (SEE), veniva attuata un’intesa a due livelli diversi, ma strettamente connessi, vale a dire il livello mondiale e quello europeo.

11 A livello mondiale, diverse società nordamericane ed europee, tra cui le ricorrenti, partecipavano ad attività anticoncorrenziali tra il giugno 1992 e l’aprile 1994. Soltanto le società europee, tra le quali figuravano anche le ricorrenti, partecipavano alle riunioni di attuazione dell’intesa a livello europeo, durata dal marzo 1994 all’ottobre 1998.

12 La Commissione ha considerato gli accordi conclusi a livello mondiale ed europeo quali unica infrazione complessa e continuata concernente il SEE, cui i produttori nordamericani hanno partecipato per un certo tempo e quelli europei per tutto il periodo oggetto dell’indagine.

13 In data 9 dicembre 2004 la Commissione ha emanato la decisione controversa. All’art. 1 di tale decisione, essa ha accertato che diverse imprese, tra cui le ricorrenti, avendo partecipato ad una serie di accordi e di pratiche concordate concernenti la fissazione dei prezzi, la ripartizione dei mercati nonché ad azioni concertate contro i concorrenti nel settore del cloruro di colina nel SEE, avevano violato l’art. 81, n. 1, CE e l’art. 53 dell’accordo SEE.

14 Per quanto attiene al gruppo Akzo Nobel, la Commissione ha deciso di indirizzare solidalmente e congiuntamente la decisione controversa a tutte le ricorrenti. La Akzo Nobel Nederland, la Akzo Nobel Chemicals International e la Akzo Nobel Chemicals, ovvero le società che le hanno precedute, hanno partecipato direttamente all’in­fra­zione. La Akzo Nobel Functional Chemicals è stata creata come controllata della Akzo Nobel Chemicals nel giugno del 1999. Pertanto, la Commissione ha considerato che la Akzo Nobel Functional Chemicals fosse succeduta giuridicamente alla propria società madre nella maggior parte delle attività nel settore del cloruro di colina precedentemente esercitate da quest’ultima e che, conseguentemente, dovesse anch’essa essere destinataria della detta decisione.

15 Per ciò che riguarda, più precisamente, la Akzo Nobel, la Commissione ha ritenuto che essa costituisse un’u­ni­ca entità economica insieme alle altre persone giuridiche del gruppo Akzo Nobel destinatarie della decisione controversa e che fosse tale entità economica ad aver partecipato all’intesa. La Commissione ha concluso che la detta società era in grado di esercitare un’influenza determinante sulla politica commerciale delle sue controllate, delle quali essa deteneva, direttamente o indirettamente, l’intero capitale sociale, e che era possibile presumere che ciò fosse effettivamente avvenuto. La Commissione ha dunque ritenuto che sussistesse una mancanza di autonomia commerciale delle controllate della Akzo Nobel, il che l’ha indotta a indirizzare la decisione controversa nei confronti di quest’ultima, nonostante il fatto che essa stessa non avesse partecipato all’intesa.

16 La Commissione ha considerato che l’assenza di autonomia commerciale delle società operative o delle unità commerciali del gruppo Akzo Nobel risultasse provata anche dai documenti prodotti dalla Akzo Nobel durante il procedimento amministrativo.

17 Basandosi sulla quota di mercato complessiva di tutte le ricorrenti e, in particolare, sul dato menzionato supra al punto 9, la Commissione, all’art. 2 della decisione controversa, ha inflitto alle ricorrenti, in solido tra loro, un’ammenda di EUR 20,99 milioni per le infrazioni indicate all’art. 1 di tale decisione.

 

Ricorso dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

18 A sostegno del loro ricorso dinanzi al Tribunale per l’annullamento della decisione controversa, le ricorrenti deducevano tre motivi.

19 La Commissione considerava il detto ricorso irricevibile, sulla base del rilievo che, a suo avviso, esso non sarebbe stato proposto conformemente all’art. 21 dello Statuto della Corte di giustizia e all’art. 44 del regolamento di procedura del Tribunale, o come manifestamente infondato, per quanto concerne la Akzo Nobel Nederland, la Akzo Nobel Chemicals International e la Akzo Nobel Chemicals, dal momento che tale ricorso, che doveva essere considerato come cinque ricorsi individuali, non avrebbe contenuto motivi tali da giustificare l’annullamento della decisione controversa, nella parte in cui essa accertava la responsabilità di tali società o fissava l’importo dell’ammenda nei confronti delle stesse. La Commissione sosteneva, in subordine, che, per gli stessi motivi, risultasse chiaramente che le controllate della Akzo Nobel, benché destinatarie della detta decisione, non avessero interesse ad agire per chiedere l’annullamento di tale decisione.

20 Ai punti 31 e 32 della sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione.

21 Quanto al merito, il primo motivo dedotto dalle ricorrenti atteneva all’erronea imputazione di una responsabilità in solido alla Akzo Nobel, società holding del gruppo, che deteneva, direttamente o indirettamente, il 100% del capitale delle sue controllate.

22 Le ricorrenti sostenevano che l’influenza determinante che una società controllante deve esercitare per vedersi imputare la responsabilità delle azioni della propria controllata dovesse riguardare la politica commerciale stricto sensu di quest’ultima.

23 Di conseguenza, la Commissione sarebbe tenuta a provare, in primo luogo, la possibilità per la società controllante di esercitare un potere di direzione al punto da privare la sua controllata di qualsiasi autonomia nella propria linea di azione commerciale e, in secondo luogo, il fatto di aver esercitato tale potere.

24 Secondo la giurisprudenza comunitaria, sarebbe lecito presumere che una società controllata al 100% applichi le istruzioni impartitele dalla società controllante. Alla luce di tali considerazioni, affinché la Commissione sia tenuta a ritenere responsabile soltanto una controllata, occorrerebbe che quest’ultima determini la propria politica commerciale in gran parte da sola. Qualora quest’ultima circostanza risultasse provata, spetterebbe nuovamente alla Commissione provare, caso per caso, che la società controllante abbia effettivamente esercitato un’influenza determinante.

25 Ne risulterebbe che un’organizzazione unitaria di un complesso di società, come quella del gruppo Akzo Nobel, non sarebbe sufficiente, di per sé, a rendere superflua la necessità di provare l’implicazione effettiva della società controllante.

26 Le ricorrenti ritenevano di aver dimostrato che le controllate della Akzo Nobel determinassero la loro politica commerciale in grande parte da sole e di aver, quindi, confutato la presunzione di cui si era avvalsa la Commissione. Esse sostenevano che quest’ultima avrebbe dovuto provare che la detta società avesse esercitato un’influenza determinante sulla politica commerciale delle altre ricorrenti. Ebbene, la Commissione non avrebbe adempiuto tale obbligo, tenuto conto del fatto che gli elementi, distinti dalla detenzione dell’intero capitale, assunti dalla Commissione per affermare la responsabilità solidale della Akzo Nobel per l’infrazione, sarebbero irrilevanti ovvero erronei.

27 Per quanto attiene al primo motivo dedotto dalle ricorrenti a sostegno del loro ricorso, il Tribunale ha esaminato, in limine, la questione dell’imputabilità del comportamento illecito di una controllata alla sua società controllante rilevando quanto segue:

«57 Occorre anzitutto ricordare che la nozione d’im­presa ai sensi dell’art. 81 CE include entità economiche, ognuna delle quali consiste in un’organizzazione unitaria di elementi personali, materiali e immateriali che persegue stabilmente un determinato fine di natura economica, organizzazione che può concorrere alla realizzazione di un’in­frazione prevista da tale disposizione (v. sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T-9/99, HFB e a./Com­missione, Racc. pag. II-1487, punto 54, e la giurisprudenza ivi citata).

58 Non è quindi una relazione di istigazione a commettere l’illecito tra la controllante e la sua controllata né, a maggior ragione, un’implicazione della prima in tale illecito, ma il fatto che esse costituiscono un’unica impresa nel sopraccitato senso che permette alla Commissione di adottare la decisione che impone ammende nei confronti della società controllante di un gruppo di società. Infatti, occorre ricordare che il diritto comunitario in materia di concorrenza riconosce che varie società appartenenti ad uno stesso gruppo costituiscono un’entità economica e pertanto un’impresa ai sensi degli artt. 81 CE e 82 CE se le società interessate non determinano in modo autonomo il loro comportamento sul mercato (sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, causa T-203/01, Michelin/Commissione, Racc. pag. II-4071, punto 290).

59 Occorre anche rilevare che, per l’applicazione e l’e­secuzione delle decisioni della Commissione in materia di diritto della concorrenza, è necessario identificare un’en­tità dotata della personalità giuridica che sarà destinataria dell’atto (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 20 aprile 1999, cause riunite da T-305/94 a T-307/94, da T-313/94 a T-316/94, T-318/94, T-325/94, T-328/94, T-329/94 e T-335/94, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, detta “PVC II”, Racc. pag. II-931, punto 978).

60 Nel caso particolare in cui una società controllante detenga il 100% del capitale della sua controllata che si sia resa responsabile di un comportamento illecito, esiste una presunzione semplice che tale società controllante eserciti un’influenza determinante sul comportamento della sua controllata (v., in tal senso, sentenza della Corte 25 ottobre 1983, causa 107/82, AEG/Commissione, Racc. pag. 3151, punto 50, e sentenza PVC II, citata al punto 59 supra, punti 961 e 984), e che esse costituiscano quindi un’unica impresa ai sensi dell’art. 81 CE (sentenza del Tribunale 15 giugno 2005, cause riunite T-71/03, T-74/03, T-87/03 e T-91/03, Tokai Carbon e a./Commissione, punto 59). Incombe quindi alla società controllante che contesta dinanzi al giudice comunitario una Decisione della Commissione che le infligge un’ammenda per il comportamento della sua controllata confutare tale presunzione fornendo elementi di prova idonei a dimostrare l’autonomia della sua controllata (sentenza del Tribunale 27 settembre 2006, causa T-314/01, Avebe/Commissione, Racc. pag. II-3085, punto 136; v. anche, in tal senso, sentenza della Corte, 16 novembre 2000, causa C-286/98 P, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione, Racc. pag. I-9925; in prosieguo: la “sentenza Stora”, punto 29).

61 A tale riguardo, occorre evidenziare che, pur essendo vero che, ai punti 28 e 29 della sentenza Stora, citata al precedente punto 60, la Corte ha menzionato, oltre alla detenzione del 100% del capitale della controllata, altre circostanze, quali la mancata contestazione dell’influenza esercitata dalla controllante sulla politica commerciale della sua controllata e la rappresentanza comune delle due società durante il procedimento amministrativo, ciò non toglie che tali circostanze siano state rilevate dalla Corte solo con l’obiettivo di mostrare tutti gli elementi su cui il Tribunale aveva fondato il suo ragionamento, per concludere che questo non era fondato solamente sulla detenzione dell’intero capitale della controllata da parte della società controllante. Pertanto, dal fatto che la Corte abbia confermato la valutazione del Tribunale in tale causa non può derivare la modifica del principio enunciato al punto 50 della sentenza AEG/Commissione, citata al precedente punto 60.

62 Alla luce di tali considerazioni, è sufficiente che la Commissione provi che l’intero capitale di una controllata sia detenuto dalla controllante per concludere che que­st’ultima esercita un’influenza determinante sulla sua politica commerciale. La Commissione potrà, in seguito, ritenere la società controllante solidalmente responsabile per il pagamento dell’ammenda inflitta alla sua controllata, a meno che tale società non provi che la sua controllata non applica sostanzialmente le direttive che essa impartisce e si comporta, pertanto, in maniera autonoma sul mercato.

63 Occorre anche esaminare, nell’ambito delle presenti osservazioni preliminari, l’argomento, che occupa un posto essenziale negli atti delle ricorrenti, secondo cui l’influenza presunta della società controllante per effetto della detenzione dell’intero capitale della sua controllata si riferirebbe alla politica commerciale stricto sensu di questa (…). Secondo le ricorrenti, rientra in questa politica, per esempio, la strategia di distribuzione e dei prezzi. Pertanto, secondo tale argomento, la controllante potrebbe invertire la presunzione dimostrando che è la controllata che gestisce tali aspetti specifici della sua politica commerciale senza ricevere direttive al riguardo.

64 A tale titolo, è necessario menzionare che, nel­l’am­bito dell’analisi dell’esistenza di un’entità economica unica tra diverse società che fanno parte di un gruppo, il giudice comunitario ha esaminato se la società controllante potesse influenzare la politica dei prezzi (v., in tal senso, sentenze della Corte 14 luglio 1972, causa 48/69, Imperial Chemical Industries/Commissione, Racc. pag. 619, punto 137, e causa 52/69, Geigy/Commissione, Racc. pag. 787, punto 45), le attività di produzione e di distribuzione (v., in tal senso, sentenza della Corte 6 marzo 1974, cause 6/73 e 7/73, Istituto Chemioterapico Italiano e Commercial Solvents/
Com­missione, Racc. pag. 223, punti 37 e 39-41), gli obiettivi di vendita, gli utili lordi, le spese di vendita, il “cash flow”, le giacenze e il marketing (sentenza del Tribunale 12 gennaio 1995, causa T-102/92, Viho/Com­missione, Racc. pag. II-17, punto 48). Tuttavia, non può dedursene che solo tali aspetti rientrino nella nozione della politica commerciale di una controllata ai fini dell’ap­pli­cazione degli artt. 81 CE e 82 CE nei confronti della società controllante.

65 Al contrario, risulta da tale giurisprudenza, nel combinato disposto con le considerazioni di cui ai precedenti punti 57 e 58, che incombe alla società controllante sottoporre alla valutazione del Tribunale ogni elemento relativo ai vincoli organizzativi, economici e giuridici intercorrenti con la propria controllata e che essa considera atto a dimostrare che la controllante e la controllata non costituiscono un’entità economica unica. Ne risulta anche che, nella sua valutazione, il Tribunale deve tener conto di tutti gli elementi sottopostigli dalle parti, il cui carattere e la cui importanza possono variare a seconda delle caratteristiche proprie di ciascun caso di specie.

66 È alla luce di tali considerazioni che occorre verificare se la Akzo Nobel e le sue controllate destinatarie della [decisione controversa] costituiscano un’entità economica unica».

28 Ai punti 67-85 della sentenza impugnata, il Tribunale ha esaminato quindi i diversi elementi del fascicolo e ha dichiarato che le ricorrenti non erano riuscite a confutare la presunzione secondo cui la Akzo Nobel, la società controllante detentrice del 100% del capitale delle sue controllate destinatarie della decisione controversa, esercitava un’influenza determinante sulla politica di queste ultime. Il Tribunale ha quindi concluso che tale società costituiva, unitamente alle altre ricorrenti, un’impresa ai sensi dell’art. 81 CE, senza necessità di verificare se essa abbia influenzato il comportamento di queste ultime, e ha respinto il primo motivo dedotto dalle ricorrenti a sostegno del loro ricorso.

29 Per quanto attiene al secondo e al terzo motivo, relativi, rispettivamente, alla violazione dell’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003, considerato che l’importo dell’am­menda oltrepassa il 10% del fatturato della Akzo Nobel Functional Chemicals realizzato nel 2003, nonché alla violazione dell’obbligo di motivazione riguardo all’im­puta­zione della responsabilità in solido alla Akzo Nobel, il Tribunale li ha respinti, rispettivamente, ai punti 90 e 91 ed ai punti 94-96 della sentenza impugnata. Al successivo punto 97, esso ha quindi respinto in toto il ricorso sottoposto al suo esame.

 

Conclusioni delle parti

30 Con la loro impugnazione, le ricorrenti chiedono che la Corte voglia:

– annullare la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il motivo relativo all’erronea imputazione della responsabilità solidale della Akzo Nobel;

– annullare la decisione controversa nella parte in cui addebita la responsabilità per l’infrazione alla Akzo Nobel, e

– condannare la Commissione a tutte le spese del giudizio, ivi compresi sia il procedimento di primo grado sia l’impugnazione, nella parte in cui riguardano il motivo dedotto nella presente impugnazione.

31 La Commissione conclude per il rigetto dell’im­pu­gnazione e per la condanna delle ricorrenti alle spese.

omissis

 

Nel merito

41 A sostegno della loro impugnazione, le ricorrenti deducono un motivo unico con il quale esse sostengono che, respingendo il motivo relativo all’erronea attribuzione della responsabilità dell’infrazione alla Akzo Nobel, il Tribunale avrebbe erroneamente applicato la nozione di «impresa» di cui all’art. 81 CE e all’art. 23, n. 2, del regolamento n. 1/2003. Questo motivo si articola su due capi distinti.

Sul primo capo del motivo unico, relativo all’erronea definizione dell’onere della prova incombente alla Commissione per quanto attiene all’assenza di autonomia della controllata

 

Argomenti delle parti

42 Le ricorrenti sostengono che il Tribunale abbia applicato un criterio giuridico erroneo nell’accertamento se le controllate della Akzo Nobel agissero in maniera autonoma o meno sul mercato.

43 Secondo le ricorrenti, di regola, grava sulla Commissione l’onere di provare l’effettivo esercizio di un’influenza commerciale determinante della società controllante sulla sua controllata. Tuttavia, al fine di rendere meno gravoso tale onere della prova, la Corte avrebbe stabilito una presunzione semplice.

44 Nella citata sentenza Stora, la Corte avrebbe espressamente precisato che la sola detenzione del 100% del capitale di una controllata non sarebbe di per sé sufficiente a dimostrare la responsabilità della società controllante, qualora sia contestato l’esercizio di un’influenza commerciale determinante su tale controllata. Nella detta sentenza, la Corte avrebbe quindi seguito il ragionamento del­l’av­vocato generale Mischo, esposto al paragrafo 48 delle sue conclusioni relative alla causa medesima, nelle quali si afferma che, se l’onere incombente alla Commissione di dimostrare che la società controllante abbia effettivamente esercitato un’influenza determinante sul comportamento della sua controllata diventa meno gravoso nel caso di detenzione del 100% del capitale di quest’ultima, un elemento ulteriore rispetto alla quota di partecipazione resta pur sempre necessario, potendo essere peraltro costituito da indizi di prova.

45 Pertanto, la detenzione dell’intero capitale della sua controllata, unitamente all’esistenza di indizi supplementari, darebbe origine a una presunzione secondo cui la controllata non avrebbe agito in maniera autonoma sul mercato. La Commissione non potrebbe dunque eludere l’onere della prova ad essa incombente limitandosi a richiamare la circostanza che la società controllante detiene il 100% del capitale della sua controllata. Essa dovrebbe fornire altresì ulteriori indizi in grado di dimostrare che la società controllante eserciti effettivamente un’influenza determinante sulla sua controllata. Il Tribunale avrebbe violato tale principio laddove ha dichiarato che era sufficiente che la Commissione provasse che l’intero capitale di una controllata sia detenuto dalla sua società controllante per concludere che quest’ultima eserciti un’influenza determinate sulla politica commerciale di tale controllata.

46 Inoltre, in due altre sentenze, vale a dire le sentenze 15 settembre 2005, causa T-325/01, DaimlerChrysler/ Commissione (Racc. pag. II-3319), nonché 26 aprile 2007, cause riunite T-109/02, T-118/02, T-122/02, T-125/02, T-126/02, T-128/02, T-129/02, T-132/02 e T-136/02, Bolloré e a./Commissione, (Racc. pag. II-947), il Tribunale avrebbe correttamente applicato il principio richiamato al punto precedente, dichiarando che l’elemento relativo alla detenzione dell’intero capitale della controllata, se è pur vero che costituisce un forte indizio dell’esistenza di un potere di influenza, esercitato dalla società controllante, sul comportamento di tale controllata sul mercato, non è sufficiente, di per sé, per permettere di imputare la responsabilità del comportamento di quest’ultima alla società controllante, restando pur sempre necessario un elemento supplementare rispetto al tasso di partecipazione, che può essere peraltro costituito da indizi.

47 Le ricorrenti contestano parimenti al Tribunale di aver alleggerito l’onere della prova gravante sulla Commissione e, quindi, di aver adottato un’interpretazione di tale onere della prova che violerebbe i diritti della difesa. Infatti, la Commissione sarebbe obbligata a fornire quelli che esse ritengono degli indizi supplementari, come risulta dalla citata sentenza Stora, come da esse interpretata, nella fase della comunicazione degli addebiti e non soltanto in quella della decisione. Orbene, nella comunicazione degli addebiti, la Commissione avrebbe basato la sua intenzione di ritenere responsabile in solido la Akzo Nobel soltanto sul fatto che tale società deteneva il 100% del capitale delle società partecipanti all’infrazione. Per contro, nella decisione controversa, essa si sarebbe fondata anche su presunti indizi supplementari, ai sensi della detta sentenza Stora, i quali sarebbero stati elaborati artificiosamente, snaturando gli elementi fatti valere dalle ricorrenti nella loro risposta alla comunicazione degli addebiti.

48 Infine, le ricorrenti censurano il punto 62 della sentenza impugnata, nel quale il Tribunale, dichiarando che, per confutare la presunzione in questione, si deve provare che la controllata non applichi, sostanzialmente, le direttive emesse dalla società controllante, avrebbe accolto una soluzione che comporta che tale presunzione possa essere confutata soltanto nel caso in cui le direttive siano state impartite dalla società controllante.

49 La Commissione sostiene che la circostanza che la controllata abbia una personalità giuridica distinta da quella della società controllante non è sufficiente per escludere l’imputazione del suo comportamento a quest’ultima, in particolare quando la controllata non determina in modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, ma applica sostanzialmente le istruzioni impartite dalla società controllante. Sarebbe superfluo verificare se quest’ultima si sia effettivamente avvalsa del suo potere di influenzare in maniera determinante la politica commerciale della propria controllata quando il 100% del capitale della stessa è detenuto dalla società controllante.

50 Nella citata sentenza Stora, la Corte non avrebbe rimesso in discussione tale principio. Essa avrebbe affermato che, quando una controllata è detenuta al 100% dalla sua società controllante, si presume che quest’ultima eserciti il suo potere di influenzare il comportamento della propria controllata. Secondo la Commissione, se è pur vero che la Corte ha dichiarato, al punto 29 della citata sentenza Stora, che il Tribunale poteva legittimamente basarsi su tale presunzione, in particolare dopo aver constatato che la società controllante si era presentata, nel corso del procedimento amministrativo, come interlocutore unico della Commissione in relazione all’infrazione in esame, la Corte ha fatto riferimento a quest’ultimo elemento in via subordinata, in quanto elemento supplementare a favore del­­l’im­­putabilità dell’infrazione alla società controllante.

51 Una serie di sentenze del Tribunale avrebbero applicato la detta presunzione, richiamandosi alla citata sentenza Stora, senza subordinare l’applicazione della stessa alla produzione di indizi supplementari. Le già citate sentenze DaimlerChrysler/Commissione nonché Bolloré e a./Com­­mis­­sione non metterebbero in discussione l’applicazione di tale presunzione. Infatti, nelle due dette sentenze, il Tribunale avrebbe confuso la nozione di controllo sulla controllata con quella di esercizio di tale controllo, ove soltanto quest’ultima è presunta allorquando l’intero capitale della controllata è detenuto dalla società controllante. Inoltre, gli indizi supplementari sarebbero stati presi in esame in occasione dell’analisi delle prove prodotte al fine di confutare la presunzione.

52 Per quanto riguarda l’argomento relativo alla violazione dei diritti della difesa, la Commissione ritiene che l’esistenza di presunzioni nel diritto comunitario in materia di concorrenza non sia inusuale. Comunicando all’impresa interessata che essa intende basarsi su una presunzione, la Commissione offrirebbe all’impresa stessa l’opportunità di prendere posizione su tale punto e di fornirle ogni documento idoneo a suffragare la propria posizione. Dal momento che è l’impresa a possedere tutte le informazioni relative al suo funzionamento interno, tale ripartizione dell’onere della prova sarebbe del tutto logica.

53 Per quanto riguarda la censura formulata contro il punto 62 della sentenza impugnata, la Commissione sostiene che essa riposi su un’erronea lettura di una frase estratta dal suo contesto. Il Tribunale avrebbe inteso affermare che una controllata è un’entità economica au­tonoma se essa non segue le direttive della sua società controllante. Ciò si verificherebbe tanto nel caso di assenza di direttive quanto nel caso di mancata osservanza delle direttive.

 

Giudizio della Corte

54 Si deve rilevare, in limine, che il diritto comunitario in materia di concorrenza riguarda le attività delle imprese (sentenza 7 gennaio 2004, cause riunite C-204/00 P, C-205/00 P, C-211/00 P, C-213/00 P, C-217/00 P e C-219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I-123, punto 59), e che la nozione di impresa abbraccia qualsiasi soggetto che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico del soggetto stesso e dalle sue modalità di finanziamento (v., segnatamente, sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione, cit., punto 112; 10 gennaio 2006, causa C-222/04, Cassa di Risparmio di Firenze e a., Racc. pag. I-289, punto 107, nonché 11 luglio 2006, causa C-205/03 P, FENIN/Commissione, Racc. pag. I-6295, punto 25).

55 La Corte ha inoltre precisato che la nozione di impresa, nell’ambito di tale contesto, dev’essere intesa nel senso che essa si riferisce a un’unità economica, anche qualora, sotto il profilo giuridico, tale unità economica sia costituita da più persone, fisiche o giuridiche (sentenza 14 dicembre 2006, causa C-217/05, Confederación Española de Empresarios de Estaciones de Servicio, Racc. pag. I-11987, punto 40).

56 Qualora un ente di tal genere violi le regole della concorrenza, esso è tenuto, secondo il principio della responsabilità personale, a rispondere di tale infrazione (v., in tal senso, sentenze 8 luglio 1999, causa C-49/92 P, Commissione/Anic Partecipazioni, Racc. pag. I-4125, punto 145; 16 novembre 2000, causa C-279/98 P, Cascades/Commissione, Racc. pag. I-9693, punto 78, nonché 11 dicembre 2007, causa C-280/06, ETI e a., Racc. pag. I-10893, punto 39).

57 L’infrazione al diritto comunitario in materia di concorrenza deve essere imputata in maniera inequivocabile alla persona giuridica alla quale potranno essere inflitte am­mende e la comunicazione degli addebiti dev’essere in­viata a quest’ultima (v., in tal senso, sentenze Aalborg Portland e a./Commissione, cit., punto 60, e 3 settembre 2009, cause riunite C-322/07 P, C-327/07 P e C-338/07 P, Papierfabrik August Koehler e a./Commissione, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 38). È parimenti necessario che la comunicazione degli addebiti indichi a che titolo a una persona giuridica vengano addebitati i fatti invocati.

58 Secondo costante giurisprudenza, il comportamento di una controllata può essere imputato alla società controllante in particolare qualora, pur avendo personalità giuridica distinta, tale controllata non determini in modo autonomo la sua linea di condotta sul mercato, ma si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società controllante (v., in tal senso, sentenze Imperial Chemicals Industries/Commissione, cit., punti 132 e 133; Geigy/Commissione, cit., punto 44; 21 febbraio 1973, causa 6/72, Europemballage e Continental Can/Com­mis­sione, Racc. pag. 215, punto 15, nonché Stora, cit., punto 26), in considerazione, in particolare, dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che intercorrono tra le due entità giuridiche (v., per analogia, le citate sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 117, nonché ETI e a., punto 49).

59 Infatti, ciò si verifica perché, in tale situazione, la società controllante e la propria controllata fanno parte di una stessa unità economica e, pertanto, formano una sola impresa, ai sensi della giurisprudenza citata supra ai punti 54 e 55. Così, il fatto che una società controllante e la propria controllata costituiscano una sola impresa ai sensi dell’art. 81 CE consente alla Commissione di emanare una decisione che infligge ammende nei confronti della società controllante, senza necessità di dimostrare l’implicazione personale di quest’ultima nell’infrazione.

60 Riguardo al caso particolare in cui una società controllante detenga il 100% del capitale della propria controllata che abbia infranto le norme comunitarie in materia di concorrenza, da un lato, tale società controllante può esercitare un’influenza determinante sul comportamento di tale controllata (v., in tal senso, sentenza Imperial Chemical Industries/Commissione, cit., punti 136 e 137), e, dal­l’altro, esiste una presunzione semplice secondo cui la detta società controllante esercita effettivamente un’influenza determinante sul comportamento della propria controllata (v., in tal senso, citate sentenze AEG /Commissione, punto 50, e Stora, punto 29).

61 Alla luce di tali considerazioni è sufficiente che la Commissione provi che l’intero capitale di una controllata sia detenuto dalla controllante per poter presumere che quest’ultima eserciti un’influenza determinante sulla politica commerciale di tale controllata. La Commissione potrà poi ritenere la società controllante solidalmente responsabile per il pagamento dell’ammenda inflitta alla propria controllata, a meno che tale società controllante, cui incombe l’onere di confutare tale presunzione, non fornisca sufficienti elementi di prova idonei a dimostrare che la propria controllata si comporta in maniera autonoma sul mercato (v., in tal senso, sentenza Stora, cit., punto 29).

62 Come giustamente rilevato dal Tribunale al punto 61 della sentenza impugnata, se è pur vero che la Corte, ai punti 28 e 29 della citata sentenza Stora, ha menzionato, oltre alla detenzione del 100% del capitale della controllata, altre circostanze, quali la mancata contestazione dell’in­fluen­za esercitata dalla controllante sulla politica commerciale della propria controllata e la rappresentanza comune delle due società durante il procedimento amministrativo, ciò non toglie che tali circostanze siano state rilevate dalla Corte solo con l’obiettivo di mostrare tutti gli elementi su cui il Tribunale aveva fondato il suo ragionamento e non per subordinare l’applicazione della presunzione menzionata al punto 60 della presente sentenza alla produzione di indizi supplementari relativi all’effettivo esercizio di un’in­fluenza della società controllante.

63 Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, il Tribunale non è incorso in alcun errore di diritto dichiarando che, nel caso in cui la società controllante detenga il 100% delle quote della propria controllata, esiste la presunzione relativa secondo cui tale società controllante esercita un’in­fluenza determinante sul comportamento della propria controllata.

64 Di conseguenza, dal momento che la Commissione non è tenuta, per quanto attiene all’imputabilità dell’in­fra­zione, a produrre, nella fase della comunicazione degli addebiti, elementi ulteriori rispetto alla prova relativa alla detenzione da parte della società controllante del capitale delle proprie controllate, l’argomento delle ricorrenti relativo alla violazione dei diritti della difesa non può essere accolto.

65 Per quanto attiene alla censura formulata contro il punto 62 della sentenza impugnata, è sufficiente rilevare che dal medesimo non risulta affatto che il Tribunale avrebbe limitato le possibilità di invertire la presunzione men­zionata supra al punto 60 soltanto ai casi in cui la società controllante abbia emesso direttive. Al contrario, dai punti 60 e 65 della sentenza impugnata si evince che il Tribunale ha adottato una posizione relativamente ampia al riguardo, dichiarando, segnatamente, che incombe alla società controllante sottoporre alla valutazione del Tribunale ogni elemento relativo ai vincoli organizzativi, economici e giuridici che intercorrono tra la stessa e la propria controllata, idonei a dimostrare che esse non costituiscono un’unica entità economica.

66 Ne consegue che il primo capo dell’unico motivo dedotto dalle ricorrenti a sostegno della loro impugnazione deve essere respinto in quanto infondato.

Sul secondo capo del motivo unico, relativo alla definizione erronea della nozione di politica commerciale della controllata

 

Argomenti delle parti

67 Secondo le ricorrenti, il Tribunale ha erroneamente ritenuto che aspetti diversi da quelli menzionati al punto 64 della sentenza impugnata rientravano nella politica commerciale della controllata sulla quale la società controllante esercita un’influenza determinante e che gli elementi relativi ai vincoli organizzativi, economici e giuridici intercorrenti tra la società controllante e la propria controllata sarebbero pertinenti per provare l’autonomia di quest’ulti­ma.

68 La politica commerciale andrebbe rapportata al comportamento sul mercato e sarebbe limitata alla produzione di beni e servizi che un’impresa, in un determinato territorio e in un determinato momento, vende a talune condizioni ai consumatori. Essa non comprenderebbe ulteriori aspetti.

69 Secondo le ricorrenti, estendere la nozione di politica commerciale al di là del comportamento della controllata sul mercato equivarrebbe a introdurre un regime di responsabilità oggettiva che sarebbe contrario al principio della responsabilità personale garantito dalla giurisprudenza della Corte.

70 La Commissione afferma che la valutazione circa la necessità di riferirsi a una definizione ampia ovvero ristretta della nozione di politica commerciale è priva di rilievo ai fini della valutazione dell’esistenza di un’impre­sa unica, per la quale la Corte preferisce piuttosto considerare i vincoli economici e organizzativi intercorrenti tra le società.

71 Per quanto attiene all’argomento relativo alla previsione di una responsabilità oggettiva, la Commissione ritiene che non esista un principio di responsabilità oggettiva nel diritto comunitario in materia di concorrenza, dal momento che le decisioni della Commissione non imputano una responsabilità alle società senza che ne venga fornita la prova. Non sarebbe contrario al principio della responsabilità personale ritenere responsabile una società controllante per le azioni di una controllata della quale essa detenga l’intero capitale.

 

 

Giudizio della Corte

72 Come rilevato supra al punto 58, il comportamento di una controllata può essere imputato alla società controllante segnatamente quando, pur avendo una personalità giuridica distinta, tale controllata non determina in modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, ma applica sostanzialmente le istruzioni impartitele dalla società controllante.

73 Ne risulta, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 87-94 delle sue conclusioni, che il comportamento della controllata sul mercato non può costituire l’unico elemento in grado di determinare la responsabilità della società controllante, essendo piuttosto uno dei segni dell’esi­stenza di un’unità economica.

74 Dallo stesso punto 58 della presente sentenza risulta inoltre che, al fine di stabilire se una controllata determini in maniera autonoma il suo comportamento sul mercato, devono essere presi in considerazione non soltanto gli elementi indicati al punto 64 della sentenza impugnata, ma altresì tutti gli elementi pertinenti relativi ai vincoli economici, organizzativi e giuridici che legano tale controllata alla società controllante, i quali possono variare a seconda dei casi e non possono essere elencati in modo tassativo.

75 Ne consegue che il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto per quanto riguarda il settore nel quale la società controllante esercita l’influenza sulla propria controllata.

76 Tale conclusione non è contraddetta dall’argomento delle ricorrenti relativo a una responsabilità oggettiva.

77 Va rilevato in proposito che, come risulta dal punto 56 della presente sentenza, il diritto comunitario in materia di concorrenza si fonda sul principio della responsabilità personale dell’entità economica che ha commesso l’in­fra­zione. Orbene, se la società controllante rientra in tale unità economica, che, come affermato supra al punto 55, può essere costituita da più persone giuridiche, tale società controllante è considerata responsabile in solido dei comportamenti anticoncorrenziali unitamente alle altre persone giuridiche che formano tale unità. Infatti, anche se la società controllante non partecipa direttamente all’infra­zione, essa esercita, in tale ipotesi, un’influenza determinante sulle controllate che hanno partecipato ad essa. In tale contesto ne deriva che la responsabilità della società controllante non può essere considerata una responsabilità oggettiva.

78 Conseguentemente, il secondo capo del motivo unico dedotto dalle ricorrenti a sostegno della loro impugnazione non può essere accolto, ragion per cui l’impu­gna­zione deve essere dichiarata infondata in toto.

omissis

SOMMARIO:

1. Il caso - 1.1. La decisione della Commissione … - 1.2. … e la vicenda giudiziale - 2. La normativa di riferimento - 2.1. Il cartel enforcement della Commissione - 2.2. Le ammende inflitte dalla Commissione - 3. Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali - 3.1. Il nesso (procedurale) tra unità economica e imputazione dell’attività anticoncorrenziale … - 3.2. … e questioni aperte - 4. Il commento - 4.1. La presunzione (semplice) di influenza determinante - 4.2. Gli elementi per confutare la presunzione - 4.3. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Il caso

1.1. La decisione della Commissione …

Nella decisione Cloruro di colina [1] la Commissione aveva rilevato una partecipazione attiva nel cartello da parte di Akzo Nobel Nederland BV, Akzo Nobel Chemicals International BV, Akzo Nobel Chemicals BV e Akzo Nobel Functional Chemicals BV, tutte società facenti parte del gruppo Akzo Nobel NV, mentre non era stata provata la partecipazione diretta della capogruppo. Ciononostante, la decisione di infrazione veniva notificata anche alla capogruppo, ravvisando la Commissione un’unità eco­nomica tra le predette società. A riprova del­l’u­nità economica la Commissione aveva considerato il mero collegamento finanziario tra le società, dando per scontata l’influenza decisiva della capogruppo sulle controllate in considerazione della detenzione del 100% delle quote nelle controllate. Ad avviso della Commissione, in siffatti casi, incomberebbe alla società interessata di fornire la controprova che, nonostante la detenzione del 100% delle quote nella controllata, non avesse esercitato un’in­fluen­za decisiva. Di preminente interesse è l’iter argomentativo della Commissione, la quale ha corroborato la propria tesi adducendo la sentenza Stora [2], in cui la Corte aveva, per contro, espressamente sancito che la Commissione dovrebbe allegare ulteriori circostanze per poter invocare l’influenza decisiva.


1.2. … e la vicenda giudiziale

Akzo Nobel impugnava la decisione della Commissione davanti al Tribunale di primo grado, contestando l’assunto della Commissione secondo cui dalla (mera) detenzione dell’intero capitale sociale di una controllata scaturisca una presunzione semplice dell’unità economica tra la capogruppo e la controllata. Le ricorrenti argomentavano che l’influenza de­ter­minante che una società controllante deve esercitare per vedersi imputare la responsabilità delle azioni della propria controllata dovrebbe riguardare la politica commerciale stricto sensu di quest’ultima. La Commissione dovrebbe quindi provare, in primo luogo, la concreta possibilità che la società controllante eserciti un potere di direzione tale da privare la propria controllata di qualunque autonomia nella sua linea d’azione commerciale, e, in secondo luogo, il fatto di aver effettivamente esercitato tale potere [3]. Il Tribunale, tuttavia, ha stabilito che è sufficiente che la Commissione provi che la totalità del capitale di una controllata sia detenuta dalla controllante, per concludere che quest’ultima eserciti un’influenza de­terminante sulla politica commerciale della prima [4]. Spetterebbe alla società ricorrente provare che non sussista un tale potere decisivo sulla politica della controllata. A ciò non osterebbe il dictum della sentenza Stora, non dovendosi intendere la menzione di ulteriori circostanze, accanto a quella della detenzione del 100% del capitale sociale nella controllata, come requisito da provare necessariamente dalla Com­missione per sostenere l’unità economica delle società facenti parte del gruppo. Invero, «pur essendo vero che, ai punti 28 e 29 della sentenza Stora […] la Corte ha menzionato, oltre alla detenzione del 100% del capitale della controllata, altre circostanze, quali la mancata contestazione dell’influenza esercitata dalla controllante sulla politica commerciale della sua controllata e la rappresentanza comune delle due società durante il procedimento amministrativo, ciò non toglie che tali circostanze siano state rilevate dalla Corte solo con l’obiettivo di mostrare tutti gli elementi su cui il Tribunale aveva fon­dato il suo ragionamento, per concludere che questo non era fondato solamente sulla detenzione della totalità del [continua ..]


2. La normativa di riferimento

2.1. Il cartel enforcement della Commissione

La questione dell’imputabilità della responsabilità per la violazione delle norme antitrust ad una società controllante per il comportamento illecito di una pro­­pria controllata, affrontata dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza in commento, non è certo un argomento di sola recente discussione in giurisprudenza [11] ed in dottrina [12]. Al giorno d’oggi, invece, è di preminente interesse pratico lo stare decisis della Corte nella parte in cui ha dato vita alla presunzione relativa secondo la quale il comportamento di una società che abbia infranto le regole della concorrenza di cui agli artt. 101 e 102 t.f.u.e. può essere imputato alla società holding quando quest’ultima detiene il 100% del capitale sociale della controllata [13]. La sentenza in commento è senz’altro un ulteriore passo nel continuo rafforzamento dei poteri della Commissione nel cosiddetto cartel o antitrust enforcement [14], ossia nella repressione delle attività anticoncorrenziali. Infatti, partendo dall’assunto che i cartelli sono “un cancro al libero gioco della concorrenza” [15], i poteri d’indagine della Commissione – in ossequio ai principi cardini dell’economia di mercato aperta e della libera concorrenza [16] e in applicazione dell’art. 103 t.f.u.e. – sono stati considerevolmente rafforzati con l’entrata in vigore del Regolamento (CE) n. 1/2003 [17]. Per l’effetto, anche l’intera fining policy, cioè l’applicazione di sanzioni per la violazione delle norme antitrust comunitarie, è profondamente cambiata. Le ragioni per siffatto rafforzamento si rinvengono, in primis, nell’inidoneità del regime di autorizzazione, applicato sotto il vigore del previgente Regolamento (CEE) n. 17/62 [18], ad effettivamente perseguire nell’Unione dei 27 lo scopo di reprimere le restrizioni più gravi [19]; in secundis, nella raffinatezza delle imprese di trovare i modi più svariati di collusione [20] e nel conseguente impiego intenso delle risorse amministrative per rilevarle; ed in tertiis, nelle sanzioni poco deterrenti per le imprese che forniscano informazioni lacunose e/o non veritiere [21].


2.2. Le ammende inflitte dalla Commissione

Accanto al rafforzamento dei poteri d’indagine, la Commissione ha completamente riscritto gli orientamenti per il calcolo delle ammende del 1998 [22], emanando nel 2006 i nuovi fining guidelines [23] che concretizzano l’art. 23, comma 2, lett. a), Reg. n. 1/2003 in duplice maniera: l’obiettivo non è solamente quello di sanzionare le imprese concretamente coinvolte (effetto dissuasivo specifico), ma anche quello di dissuadere altre imprese dall’assumere o dal continuare comportamenti contrari agli articoli 101 e 102 t.f.u.e. (effetto dissuasivo generale). Tale cambiamento di rotta della Commissione ha portato ad un considerevole innalzamento delle ammende inflitte [24], peraltro con aspre critiche della dottrina [25] che ne censura la violazione dei principi della legalità, determinatezza e tassatività, principi penalistici ritenuti applicabili anche al procedimento antitrust [26]. Prevede l’art. 23, comma 2, cpv. 2, Reg. n. 1/2003 che il cap massimo dell’ammenda inflitta per la violazione delle disposizioni materiali del diritto antitrust europeo non può superare il 10% del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente. La stessa norma prevede, inoltre, che l’ammenda è inflitta a «ciascuna impresa o associazione di imprese partecipanti all’infrazione». L’art. 23, comma 3, Reg. n. 1/2003 sancisce, poi, che per la determinazione dell’ammenda occorre tener conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata. Tali criteri sono applicabili sia per violazioni formali (art. 23, comma 1) che materiali (art. 23, comma 2) del diritto della concorrenza [27]. Proprio il fatto che la normativa stessa non contiene elementi concreti per determinare le ammende, la Commissione dispone di un certo margine di discrezionalità. Essa non è tenuta né a ricorrere a formule matematiche [28] né a rinunciare al margine di discrezione nell’applicazione di formule matematiche [29]. La Corte ha statuito che la gravità del­l’in­frazione è accertata tramite un gran numero di elementi, quali le circostanze proprie del caso di specie, il contesto in cui questo si inserisce e l’efficacia dissuasiva delle ammende, senza però formulare un elenco vincolante o esaustivo dei criteri [continua ..]


3. Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali

Il divieto di cui all’art. 101 t.f.u.e. è indirizzato a “imprese” [33] e sanziona le intese fra imprese operanti sul mercato. Esulano, pertanto, dal predetto divieto le intese intra-group (nella dottrina tedesca si parla, al riguardo, di Konzernprivileg), le intese cioè endosocietarie nell’ambito di uno stesso gruppo d’im­pre­se, in cui la società capogruppo gode di un’influenza determinante sulle controllate [34]. Tuttavia, quando una società controllata compie atti in violazione delle norme antitrust, tali atti possono essere imputati all’intera holding, se la società capogruppo esercita un’influenza determinante sulla controllata. Nel leading case ICI c. Commissione la Corte ha statuito che «la circostanza che l’affiliata abbia personalità giu­ridica distinta da quella della società madre non basta ad escludere la possibilità d’imputare a que­st’ultima il comportamento della prima. In considerazione dell’unita di questo complesso, l’attività delle affiliate può essere imputata, in determinati casi, alla società madre» [35]. Ciò si verifica, in particolare, nei casi in cui «l’affiliata, pur avendo personalità giuridica distinta, non decide in modo autonomo quale dev’essere il suo comportamento sul mercato, ma applica in sostanza le direttive impartitele dalla società madre» [36]. In tali casi la costante prassi della Commissione [37] e delle Corti europee [38]considera le società coinvolte come un’unica unità economica e, per l’effetto, come un’unica impresa ai sensi degli artt. 101 e 102 t.f.u.e.. In forza di questa prassi amministrativa e giudiziaria non solo è possibile imputare le violazioni delle regole antitrust, oltre alla società controllata autrice della violazione, anche alla società madre che non ha partecipato attivamente all’intesa illecita [39]. Oltre al­l’estensione del cerchio dei destinatari delle ammende, l’imputazione infatti sortisce effetti considerevoli anche sull’ammontare dell’ammenda stessa. Il cap del 10% per l’applicazione dell’ammenda finale ex art. 23, comma 2, cpv. 2, Reg. n. 1/2003 non viene calcolato [continua ..]


3.1. Il nesso (procedurale) tra unità economica e imputazione dell’attività anticoncorrenziale …

Esaminando più da vicino la giurisprudenza delle Corti europee, pare che ci sia una certa forzatura nel collegare al concetto della mera unità economica la piuttosto grave conseguenza dell’imputazione di una a­t­tività anticoncorrenziale della società controllata alla società madre [42]. A ben vedere, però, il ragionamento dei giudici comunitari parte, in limine, dalla nozione di impresa vista e considerata come soggetto esercente un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico del soggetto stesso e delle sue modalità di finanziamento [43]. In tal modo, ossia trascurando lo status giuridico individuale, la Corte fa confluire nella nozione di impresa anche le mere unità economiche, pur se queste sono costituite da più persone, fisiche o giuridiche che siano [44]. In forza del principio della personalità delle sanzioni, una persona, fisica o giuridica, nonché, in base al predetto ragionamento, anche l’unità economica, possono essere sanzionate per fatti ad esse individualmente ascritti o ascrivibili [45]. Il problema di fondo per i giudici europei si presenta, quindi, proprio nella mancata individualizzazione dell’unità economica come soggetto a sé stante perché sprovvista di personalità giuridica [46]. Pertanto, una volta determinata l’unità economica, è comunque indispensabile imputare l’attività anticoncorrenziale e la conseguen­te sanzione ad un soggetto giuridicamente individuabile e sanzionabile, ed a questo punto i giudici devono necessariamente ritornare al concetto del­l’unità economica per determinare, in seno ad essa, se la condotta illecita sia imputabile alla società controllata oppure alla società capogruppo. Così ricostruito, il concetto dell’unità economica è il nesso per affermare la responsabilità e la sanzionabilità della società madre


3.2. … e questioni aperte

Secondo la giurisprudenza comunitaria, l’imputa­zio­ne della responsabilità alla società capogruppo presuppone che la controllata, autrice materiale della violazione antitrust, non abbia determinato in modo autonomo il proprio comportamento sul mercato, ma abbia in sostanza seguito le direttive impartitele dalla controllante, in considerazione dei vincoli economici e giuridici intercorrenti tra di loro [47]. In sostanza, il deficit di autonomia della controllata si basa su due elementi: (i) la possibilità di un’altra società di esercitare un’influenza decisiva sulla politica commerciale, e (ii) l’effettivo esercizio del potere di influenza [48]. L’esatta portata di questi due presupposti non era, fino alla sentenza qui in commento, chiara. In particolare, non era chiaro se un mero collegamento finanziario (detenzione di quote fino al 100%) sia sufficiente per determinare un’influenza decisiva, o se, invece, sia necessario che la Commissione alleghi ulteriori elementi a sostegno e prova della dipendenza della controllata dalla controllante (e, di conseguenza, dell’esistenza dell’unità economica). La giurisprudenza comunitaria nella sentenza Stora aveva suggerito che la mera dimostrazione della detenzione del 100% del capitale non sarebbe di per sé sufficiente per stabilire la responsabilità della società controllante, ma la Commissione sarebbe tenuta ad indicare ulteriori circostanze ed elementi per dimostrare l’influenza decisiva della società madre sulla controllata [49]. Tale assunto è stato confermato nella sentenza Bolloré, secondo la quale «l’elemento relativo alla detenzione della totalità del capitale della controllata, sebbene costituisca un forte indizio del­l’e­sistenza, in capo alla società controllante, di un potere di influenza determinante sul comportamento della controllata sul mercato, non è sufficiente, di per sé, per permettere di imputare la responsabilità del comportamento della controllata alla società controllante» [50]. In tale contesto si inseriva, quindi, la sentenza Akzo Nobel in commento.


4. Il commento

4.1. La presunzione (semplice) di influenza determinante

Tornando quindi al caso di specie, la Corte ha confermato la sentenza del Tribunale, richiamando la giurisprudenza costante secondo cui il comportamento di una controllata può essere imputato alla società controllante in particolare qualora, pur avendo personalità giuridica distinta, tale controllata non determini in modo autonomo la sua linea di condotta sul mercato, ma si attenga, in sostanza, alle istruzioni che le vengono impartite dalla società controllante, in considerazione, in particolare, dei vincoli economici, organizzativi e giuridici che intercorrono tra le due entità giuridiche [51]. Per quanto riguarda il caso particolare in cui una società capogruppo detenga il 100% del capitale sociale della controllata che, a sua volta, abbia violato le norme di concorrenza, esiste una presunzione semplice secondo cui la società con­­trollante eserciti un’influenza determinante sul comportamento della sua controllata e che esse costituiscano quindi un’unica impresa nel senso del diritto della concorrenza [52]. È sufficiente, pertanto, che la Commissione provi che l’intero capitale di una controllata sia detenuto dalla controllante per concludere che quest’ultima esercita un’influenza de­terminante sulla politica commerciale della prima [53], a meno che la controllante, cui incombe l’one­re di confutare tale presunzione, non fornisca elementi di prova idonei a dimostrare l’autonomia della sua controllata sul mercato [54]. Anche la Corte, ad abundantiam, procede ad una analisi interpretativa della sentenza Stora, aderendo alla tesi del Tribunale: gli ulteriori elementi comprovanti l’influenza determinante erano stati, dunque, addotti al solo fine di mostrare tutti gli elementi su cui, in quell’occasione, il Tribunale aveva fondato il suo ragionamento, ma non per subordinare l’ope­ra­tività della presunzione di influenza determinante al­l’indicazione di elementi supplementari relativi al­l’ef­fettivo esercizio dell’influenza determinante [55].


4.2. Gli elementi per confutare la presunzione

Veniva tematizzato, in corso di causa, anche il quesito in che cosa possa concretamente consistere la confutazione della presunzione di influenza deter­minante. A proposito, le ricorrenti avevano censurato la sentenza del Tribunale anche in quanto esso avrebbe illegittimamente esteso il concetto di “influenza determinante” a tutti i legami organizzativi, eco­nomici e giuridici [56], mentre, ad avviso di Akzo Nobel, il concetto dovrebbe essere riferito unicamente alla politica commerciale in senso stretto, ossia ai concreti comportamenti della controllata sul mercato. La Corte, sul punto, seguiva le conclusioni del­l’Av­­vocato generale, ravvisando nel comportamento della controllata sul mercato solo uno dei plurimi segni dell’esistenza di un’unità economica [57], impregiudicata restando la possibilità di prendere in considerazione tutti gli elementi pertinenti, da individuarsi caso per caso, relativi ai vincoli economici, organizzativi e giuridici che legano la controllata alla casa madre [58]. Per l’effetto, non solo istruzioni, direttive o prerogative codecisorie impartite o esercitate in concreto in materia di fissazione dei prezzi, di attività produttive o distributive o di analoghi aspetti decisivi per il comportamento sul mercato sono parametri di rilievo per l’influenza determinante della società madre sulla controllata; in un gruppo societario, anzi, la politica commerciale unitaria può essere desunta anche indirettamente dall’insieme dei vincoli economici e giuridici in relazione, ad esempio, alla strategia dell’impresa, alla politica aziendale, ai piani operativi, agli investimenti, alle capacità, alla dotazione finanziaria, alle risorse umane e alle questioni giuridiche, con effetti e ripercussioni sul comportamento delle controllate e dell’intero gruppo societario sul mercato [59].


4.3. Considerazioni conclusive

Certo, allora, che la prova contraria di cui viene onerata la società controllante si presenta, per la verità, quasi una probatio diabolica. Pertanto, una società capogruppo che detiene il 100% del capitale di una controllata e che vede recapitarsi la comunicazione degli addebiti [60] per un’infrazione delle norme antitrust europee posta in essere dalla controllata, sin dall’inizio dovrà allegare ogni elemento utile a confutare la presunzione a suo carico. Si può ragionevolmente sperare nella riuscita della prova contraria quando (i) la società madre è una società di investimento e si comporta come mero investitore finanziario; (ii) la società madre detiene solo provvisoriamente e per un breve periodo di tempo una partecipazione del 100% nella controllata; (iii) la società madre non può, per motivi giuridici, esercitare pienamente il proprio controllo al 100% sulla controllata [61]. La stessa Corte UE, nella recente sentenza General Química, ha avuto modo di osservare che i giudici europei sono obbligati a valutare ogni elemento relativo ai nessi di natura organizzativa, economica e giuridica tra una società madre e la sua controllata, atti a dimostrare che le due società non costituivano, all’epoca dell’infrazione, un’unica entità economica [62]. Così la Corte ha valorizzato e sviluppato l’ap­proc­cio del case by case già delineato nella sentenza Akzo Nobel in commento, prevenendo il pericolo che la presunzione relativa dell’influenza determinante tramutasse in presunzione, invece, assoluta [63], rispettivamente sancendo l’obbligo di valutare ogni elemento probatorio offerto a proprio discarico dalla società incolpata dopo aver ricevuto la comunicazione degli addebiti [64]. Pare comunque opportuno, se non addirittura necessario, che le imprese predispongano ed attuino un efficace compliance program, come del resto è racco­mandato dalla stessa Commissione [65], sia per ridurre i rischi di possibili infrazioni delle norme comunitarie della concorrenza, sia per ridurre l’am­menda inflitta nel caso in cui dovesse, ciononostante, capitare un’infrazione. L’agguato, però, non man­ca nemmeno qui, in quanto le imprese devono prestare attenzione al fatto che [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2012