Lo scritto analizza alcuni profili relativi all’organizzazione e alla governance delle società di calcio professionistico, intese come società “di diritto speciale”. Prendendo le mosse dal ruolo del tifoso e dalla sua possibile configurazione come finanziatore dell’impresa, ci si chiede se anche nel nostro Paese, sulla scia delle esperienze estere, siano prospettabili forme di azionariato popolare e, quindi, una riorganizzazione delle società calcistiche.
The paper analyzes some aspects of the organization and governance of professional soccer clubs, considered as “special law” companies. On the basis of the role of the supporter and his possible configuration as a financial backer of the company, it is investigated whether in Italy, on the experience of foreign countries, forms of popular shareholding and, therefore, a reorganization of football clubs are possible.
Keywords: professional football clubs – sports clubs – public shareholding
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1. Introduzione - 2. Il ruolo del tifoso e la sua configurazione come “investitore senza diritti” - 3. La posizione dei tifosi-soci (di minoranza) nelle società di calcio quotate - 4. Modelli organizzativi non societari: le associazioni di calcio “professionistiche” - 5. L’azionariato popolare nel modello tedesco: die 50+1 Regel. Prospettive italiane de iure condendo - 6. Considerazioni conclusive - NOTE
Le società sportive professionistiche, specie quelle calcistiche, costituiscono un fenomeno, prima che ludico e socio-culturale [1], imprenditoriale [2]. Non a caso, la più risalente regolamentazione autoritativa con pretese di completezza del fenomeno associativo riguardò lo sport del calcio: qui, più che in altri sport, maturò l’esigenza di “assicurare un’adeguata corrispondenza tra forme giuridiche e sostanza imprenditoriale dell’attività posta in essere” [3]. Di qui, l’emanazione della legge n. 91/1981 [4], che, nel solco tracciato dalla Delibera FIGC del 16 novembre 1966 [5], nell’art. 10 imponeva alle società di calcio professionistiche l’adozione della forma di società di capitali. Invero, in attuazione della legge delega n. 86/2019, recante riordino e riforma delle disposizioni, tra l’altro, in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, la legge n. 91/1981 è stata abrogata e sostituita dal d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 36. Cionondimeno, la predetta disposizione è rimasta immutata ed è ora contenuta nell’art. 13, 1° comma, d.lgs. n. 36/2021. Tale disposizione ha costituito una – forse la principale – delle ragioni che ha indotto la dottrina ad ascrivere i sodalizi sportivi professionistici al perimetro delle c.dd. “società di diritto speciale” [6]. Difatti, benché nell’abolizione del divieto di distribuzione di utili nelle società sportive professionistiche sia stato ravvisato un “passaggio dal diritto speciale al diritto comune” [7], tali società conservano tuttora indubbi tratti peculiari speciali; tra i quali, oltre a quello richiamato, degni di nota sono la preventiva affiliazione alla FIGC [8], il rafforzamento dei controlli ed il coinvolgimento in questi della FIGC, i limiti all’autonomia privata quali l’obbligo di destinazione di una quota non inferiore al dieci percento a favore delle scuole giovanili di addestramento e formazione tecnico-sportiva e, infine, l’esclusività dell’oggetto sociale, punto su cui si tornerà nel prosieguo. Questi aspetti, singolari, derivano, più in generale, dall’assoggettamento delle società sportive all’ordinamento sportivo oltre che a quello [continua ..]
Il tema non è nuovo, posto che, specie negli ambienti sportivi, già da qualche anno, sulla scia di quanto avviene con successo in altri Paesi europei, si auspica un coinvolgimento dei supporter nella governance delle società di calcio professionistiche. Il dibattito ha ricevuto, però, nuova linfa dalla succitata legge n. 86/2019, che delegava il Governo ad “individuare forme e condizioni di azionariato e altri strumenti di partecipazione popolare per le società sportive professionistiche”[14], e che, in quest’ambito, introduceva la nomina di un organo consultivo deputato alla “tutela degli interessi specifici dei tifosi”[15]; tale organo è oggi disciplinato dall’art. 13, 7° comma, d.lgs. n. 36/2021. Entrambe le disposizioni, su cui si tornerà separatamente subito infra, sembrano affondare le radici in un sentimento, per così dire, “romantico”, per cui il tifoso verrebbe investito, per la prima volta, di un qualche diritto di voice nella gestione. Vieppiù, il coinvolgimento dei tifosi, oltre ad originare un percorso culturale diverso nel calcio professionistico, si propone come utile a concorrere ad arginare sia i fenomeni di mala gestio talora imputabili ai patron, sia le infiltrazioni criminali che possono trovare terreno fertile proprio nelle file delle tifoserie. La novella prende, dunque, le mosse dalla constatazione che il principale propulsore del fenomeno imprenditoriale sportivo è rappresentato dal sentiment del tifoso. Il tifoso è, infatti, senza dubbio annoverabile tra i finanziatori dell’impresa sportiva: biglietti e abbonamenti per lo stadio, abbonamenti tv, gadget vari, rappresentano solo alcuni esempi delle ingenti risorse che costantemente i supporter destinano alle società di calcio. Sicché colse nel segno chi affermò che uno dei problemi principali e peculiari dell’impresa sportiva fosse quello di “conquistare il più possibile fette di supporters e di appassionati, perché questo incide non solo sui biglietti, sul marketing, sulle sponsorizzazioni ma soprattutto sul valore del contratto di cessione dei diritti televisivi” [16]. A ciò si aggiunga un ulteriore – non trascurabile – dato: i tifosi rivestono una indubbia [continua ..]
La forte concentrazione proprietaria che connota le società di calcio italiane rende difficile l’affermazione di modelli proprietari e di governance che coinvolgano le diverse categorie di stakeholder, tra i quali i tifosi. È appena il caso di rammentare che pressoché tutte le squadre militanti in Serie A sono riconducibili ad un unico soggetto economico, o, al più, ad una famiglia. Orbene, tralasciando ipotesi patologiche quali una crisi ovvero altra vicenda singolare, è difficile immaginare che un imprenditore rinunci al “dominio” esclusivo in favore di soggetti estranei al nucleo familiare o, comunque, alla compagine sociale attuale. Giova ora precisare che, ciò che si auspica, è un ingresso dei tifosi nella compagine sociale delle società sportive non fine a se stesso, bensì nella prospettiva di una forma di Mitbestimmung, ossia di cogestione tra soci originari e neo-soci tifosi, sinora del tutto assente nella realtà calcistica italiana. Nell’esperienza italiana vi sono stati taluni – non fortunati – precedenti di azionariato popolare; tra i principali si segnala quello del MyRoma. Quest’ultimo costituisce uno tra i primi modelli associativi di azionariato popolare italiano. Esso è costituito nella forma di supporter trust, sulla base del modello inglese [27], e, come si legge nell’art. 1 del suo Statuto, è un “ente di diritto privato senza scopo di lucro”. Nato secondo i dettami dell’azionariato popolare europeo, si contraddistingue per democraticità e ampia apertura alla partecipazione popolare: vige, infatti, il principio una testa-un voto, non vi sono limiti di natura soggettiva all’ingresso ed è prevista una modesta quota di adesione [28]. Benché esso sia nato con lo scopo di creare una realtà democratica che possa rappresentare i supporter all’interno del club, il risultato è invero lontano dall’obiettivo prefigurato; essendosi trattato, nel caso MyRoma, come in altri [29], di fenomeni di dimensioni infime, giacché i tifosi associati non hanno avuto un concreto incentivo ad investire risorse nell’organizzazione imprenditoriale, né hanno ricevuto un tangibile diritto di voice nella gestione [continua ..]
Occorre, dunque, individuare un differente modello organizzativo, o, comunque, un differente approccio. Potrebbe, intanto, ritrovarsi qualche spunto nelle organizzazioni di calcio non professionistico che sovente impiegano la forma giuridica della cooperativa ovvero dell’associazione non riconosciuta. Si è talora ipotizzato che l’azionariato popolare possa rinvenire il modello più consono in quello della società cooperativa [41]. Tratti distintivi come la variabilità del capitale, il voto capitario e il c.d. principio della porta aperta ben si attaglierebbero ad una società di calcio aperta ai supporter. Sennonché, un primo ostacolo è di natura normativa: il dato positivo, già previsto nell’art. 10 della legge n. 91/1981, e oggi identicamente riprodotto nell’art. 13, 1° comma, d.lgs. n. 36/2021, porta fortemente a dubitare della liceità di una società cooperativa con atleti professionisti. Certo, ragionando de iure condendo, se è vero che il vincolo di forma è finalizzato propriamente all’applicazione delle rigorose disposizioni in tema di costituzione e salvaguardia del patrimonio sociale [42], si potrebbe immaginare l’ammissibilità di una cooperativa di calcio professionistico azionaria. Non si comprende, infatti, perché una società di calcio professionistico possa costituirsi in forma di s.r.l., subordinatamente alla nomina dell’organo di controllo interno [43], e non, invece, in forma di cooperativa per azioni, atteso che a quest’ultima si applicano ex art. 2519 c.c., in quanto compatibili, tutte le disposizioni sulla s.p.a. Neppure lo scopo mutualistico costituirebbe un impedimento, essendo oggi unanimemente riconosciuto che nelle cooperative il lucro, anche soggettivo, non è escluso ma solo limitato. Tanto premesso, ad avviso di chi scrive, il principale ostacolo all’impiego della forma cooperativa è di natura non tanto normativa, quanto pratica. Difatti, in virtù di elementi quali il voto per teste e il tetto massimo alla partecipazione al capitale di ciascun socio, la cooperativa sconta il problema della mancanza di quel “necessario incentivo alla capitalizzazione della società, incentivo che non può mancare” [44] in una società sportiva, che abbisogna di continue risorse per far [continua ..]
Più percorribile potrebbe essere la soluzione – talora prospettata in dottrina – adottata nell’ordinamento sportivo tedesco, ove si è provveduto “scorporando l’attività d’impresa ed imputandola ad un diverso soggetto giuridico, per esempio, ad una società di capitali rispetto alla quale l’associazione assume la posizione di socio di comando o, addirittura, di socio unico” [54]. In passato, tutti i club della Bundesliga erano organizzati nella forma associativa delle eingetragener Verein (eV), di proprietà dei tifosi, e gestiti da membri da costoro eletti. Con la Riforma dello Statuto della Federazione di calcio tedesca (DFB) del 24 ottobre 1998, al fine di incrementare la competitività economica delle squadre, si consentì ai club interessati di integrare l’impresa sportiva in una società di capitali di nuova costituzione, che fosse però controllata dalla preesistente associazione di tifosi. Giova ora precisare che lo scorporo e l’imputazione dell’impresa nei sensi descritti costituirono una facoltà e non un obbligo; come è emerso da uno studio [55], vi sono alcuni club – come l’Amburgo o lo Schalke 04 – che optarono per conservare l’originaria, classica, forma associativa dell’eingetragener Verein. La peculiarità di quest’operazione, che potremmo definire di ingegneria societaria, consiste in ciò: che essa ha consentito ai tifosi di conservare la proprietà e i relativi diritti grazie alla regola del c.d. 50%+1. L’art. 16c, 2° comma, DFB [56] stabilisce che l’associazione debba sempre detenere il cinquanta percento delle azioni con diritto di voto più almeno un altro voto nell’assemblea dei soci della società (di capitali) partecipata [57]. Di particolare rilevanza è il fatto che la norma faccia riferimento ai diritti di voto: sicché ad esser precluso ai terzi è non tanto l’acquisizione di partecipazioni, quanto il conseguimento di diritti di voto, pari o superiori al cinquanta percento [58]. Questo sistema presenta l’indubbio pregio di conciliare, da un lato, l’esigenza di tutela dei terzi che possono fare affidamento su una struttura societaria, e, dall’altro, le [continua ..]
La realizzabilità di un simile intervento riorganizzativo postula, con tutta evidenza, una fattibilità concreta, oltre che giuridica, nel senso che il buon esito di un azionariato popolare richiede l’esistenza di un bacino d’utenza di tifosi, una diffusione della prospettiva alla base dell’azionariato stesso, le necessarie agevolazioni che possano meglio veicolare una siffatta iniziativa, e, naturalmente, la volontà da parte dei tifosi di partecipare all’iniziativa stessa, da incentivare con benefit connessi alla qualità di socio, quali ad esempio sconti su abbonamenti o gadget in omaggio, che possano rendere più appetibile la partecipazione al capitale. Il che, analogamente a quanto realizzato dal Pordenone, nell’ambito di una società costituita in forma di s.p.a. potrebbe agevolmente concretarsi mediante l’emissione di categorie di azioni riservate ai supporter soci e fornite di particolari diritti [63]. Difatti, in virtù della attuale lucratività di tali società, può ritenersi – contrariamente al passato [64] e diversamente dalle società dilettantistiche [65] – pacificamente ammessa la creazione di azioni di categoria speciale, se del caso anche privilegiate sotto il profilo patrimoniale. Tale ultimo aspetto, tuttavia, non si ipotizza possa esaurire il problema dell’attrattività, che deriva dalla mancanza di redditività delle società di calcio professionistico [66]. Difatti, salvo rari casi virtuosi, in concreto queste società non generano utili, bensì perdite: circostanza che ha indotto ad affermare che “le azioni di s.p.a. calcistiche rappresentano una forma di impiego del capitale, se non del tutto inidonea, quantomeno non destinata a soddisfare interessi patrimoniali” [67]. Di qui, la necessità di individuare nuove e diverse fonti di reddito che possano stimolare l’investimento in una società sportiva, cosicché chi, in qualità di socio, finanzi un’impresa calcistica, possa mirare al conseguimento di un beneficio di natura economica. Così, sovente nel contesto sportivo si prospetta la realizzazione di stadi cc.dd. multi-funzionali, con alberghi, musei, palestre, ristoranti, etc., anche situati negli spazi circostanti allo stadio, e che [continua ..]