Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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«Procedure di allerta e di composizione assistita della crisi» e governo delle società per azioni (di Alessandro M. Luciano)


Le «procedure di allerta e di composizione assistita della crisi» – previste allo scopo di rilevare tempestivamente la crisi d’impresa e, pertanto, di intervenire prontamente al fine di comporla – rappresentano probabilmente l’aspetto più innovativo del codice della crisi. Le relative disposizioni, tuttavia, pongono delicati problemi sul piano del diritto societario, con particolare riferimento all’organo amministrativo e a quello di controllo della s.p.a. Lo scritto ha lo scopo di descrivere tali procedure, soffermandosi specificamente su questi aspetti problematici.

«Procedure di allerta e di composizione assistita della crisi» and the corporate governance of the società per azioni

The «procedure di allerta e di composizione assistita della crisi» – provided in order to promptly detect the business crisis and therefore to solve it – probably are the most innovative part of the “codice della crisi”. However, the related rules implicate sensitive problems in terms of corporate law, with special reference to the directors and the audit committee of s.p.a. The paper aims to describe these mechanisms and settlements, focusing on these problematic aspects.

Keywords: alert procedure – amiable settlement – corporate governance – control body – crisis indicators

SOMMARIO:

1. Le «procedure di allerta e di composizione della crisi»: definizione del campo d’indagine - 2. L’“allerta”: condizioni applicative e “attivazione” della procedura - 3. Gli obblighi “interni” di segnalazione: gli «indicatori della crisi» ex art. 13 cod. crisi - 3.1. Segue: «Segnalazione» della crisi, «soluzioni individuate», «iniziative intraprese» - 3.2. Gli obblighi “esterni” di segnalazione - 4. L’OCRI e l’audizione del debitore ex art. 18 cod. crisi - 5. Il procedimento di composizione assistita della crisi (artt. 19 ss. cod. crisi) - 6. Le misure premiali ex art. 25 cod. crisi - 7. Le «procedure di allerta e di composizione assistita della crisi»: alcune considerazioni generali - 8. Allerta e governo della s.p.a.: doveri e responsabilità dell’organo amministrativo - 9. Segue: Gestione dell’impresa azionaria e istituzione degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili - 10. I doveri dell’organo di controllo societario: verso un nuovo “ruolo” del collegio sindacale? - 11. Segue: Responsabilità (e discrezionalità) dell’organo di controllo interno per lo svolgimento dei “nuovi” compiti - NOTE


1. Le «procedure di allerta e di composizione della crisi»: definizione del campo d’indagine

È dato pacificamente acquisito che una «efficace, completa, puntuale, tempestiva rilevazione dei segnali di crisi» [1] ed una successiva – ed ugual­mente tempestiva – adozione delle misure più opportune per comporla, agevola il successo dei tentativi di risanamento delle imprese e minimizza i pregiudizi ai creditori [2]. Per tali ragioni, la pronta – se non anticipata – emersione della crisi rappresenta, da sempre, uno dei principali scopi della normativa in materia. In questa prospettiva si pongono i c.d. «strumenti di allerta» ex art. 12 ss. codice della crisi d’im­presa e dell’insolvenza (cod. crisi) [3], disciplinati in attuazione del disposto dell’art. 4, legge 19 ottobre 2017, n. 155 (la legge-delega), i quali rappresentano probabilmente l’aspetto più innovativo della riforma di cui al d.lgs. 12 febbraio 2019, n. 14 (la Riforma) [4]. Più precisamente, tali “strumenti” [5] consistono in «obblighi di segnalazione» della presenza di indizi della crisi d’impresa che gravano su: i) alcuni organi (lato sensu) societari (obblighi “interni” di segnalazione); ii) determinati creditori pubblici qualificati (obblighi “esterni” di segnalazione). Dagli strumenti di allerta occorre poi distinguere il “procedimento di composizione assistita della crisi” ex art. 19 cod. crisi, al quale il debitore può accedere a seguito della “segnalazione” e che è funzionale a facilitare il raggiungimento di un accordo tra debitore e creditori [6]. Scopo di questo scritto è descrivere gli “strumenti” e il “procedimento” appena menzionati, soffermandosi su alcune tra le principali questioni interpretative che pone la relativa disciplina e tentando di verificare l’“impatto” che i medesimi potrebbero assumere in rapporto allo statuto normativo delle imprese societarie, con particolare riferimento al governo di quelle azionarie.


2. L’“allerta”: condizioni applicative e “attivazione” della procedura

Relativamente ai presupposti soggettivi delle procedure di allerta, queste si applicano a tutti i debitori che svolgono attività d’impresa, purché non “grandi” (art. 12, 4° comma, cod. crisi) [7], comprese le imprese agricole e quelle «minori, compatibilmente con la loro struttura organizzativa» (art. 12, 7° comma, cod. crisi). L’inciso da ultimo menzionato non è di facile interpretazione, soprattutto con riferimento alle “imprese minori” [8]. La prima incertezza concerne il canone al quale ricorrere per formulare il “giudizio di compatibilità” che, qualora abbia esito positivo, comporta l’applicazione della disciplina in esame. L’espressione utilizzata dal codice della crisi (“struttura organizzativa” dell’impresa), per un verso, è polisemica ed eccessivamente generica; per altro verso, non è di uso comune da parte del legislatore, con conseguente impossibilità di fare affidamento su una consolidata prassi applicativa [9]. Non è peraltro chiaro a chi spetti questo giudizio di compatibilità: il medesimo potrebbe anzitutto gravare sui soggetti tenuti ad effettuare la segnalazione (e, quindi, come si chiarirà nel prosieguo, sugli organi societari e sui “creditori pubblici qualificati”), ma qualora – come sembra necessario [10] – si ritenga che spetti anche, in seconda battuta, all’organismo di composizione della crisi (OCRI) [11], occorre chiedersi quali sarebbero le conseguenze di una valutazione di “incompatibilità” da parte del medesimo [12]. Venendo ai presupposti oggettivi dell’“allerta”, è sufficiente al momento rilevare come questi consistono nei «fondati indizi della crisi», l’“esistenza” dei quali dev’essere rilevata, in primo luogo, dagli organi di controllo societari, dal revisore dei conti e dalla società di revisione, ognuno nell’ambito delle proprie funzioni (cfr. art. 14, 1° comma, cod. crisi). Qualora riscontrino la presenza di determinati “indici” [13], costoro devono immediatamente procedere ad una “segnalazione” – realizzata nelle forme di cui all’art. 14, 2° comma, cod. crisi – all’organo amministrativo (obblighi “interni” di [continua ..]


3. Gli obblighi “interni” di segnalazione: gli «indicatori della crisi» ex art. 13 cod. crisi

Quanto agli obblighi di segnalazione “interni”, l’organo di controllo societario e il revisore, ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni, verificano che gli amministratori valutino costantemente l’adeguatezza degli assetti interni, la sussistenza dell’equilibrio economico-finanziario e il prevedibile andamento della gestione. Ugualmente i primi sono tenuti ad assicurarsi che i secondi, se necessario, adottino «idonee iniziative» (v. art. 14, 1° comma, cod. crisi). L’organo di controllo ed il revisore sono altresì tenuti ad informare senza indugio gli amministratori dell’esistenza di fondati indizi di crisi, ossia dell’integra­zione di «indicatori e indici» ex art. 13 cod. crisi. La previsione da ultimo menzionata concerne, dunque, il c.d. “triggering point” (“punto di innesco”, di “detonazione”, ovvero il presupposto applicativo oggettivo delle procedure di allerta), la definizione del quale rappresenta uno degli aspetti più complessi di qualsivoglia procedura finalizzata a comporre la crisi d’impresa [16]. La determinazione di suddetti indicatori è rimessa ad un organismo tecnico (il CNDCEC), il quale li elabora tenuto conto di alcune prescrizioni legislative (cfr. art. 13, 1° e 2° comma, cod. crisi). Considerata la difficoltà (se non l’impossibilità) di fissare dei parametri utili in ogni circostanza per ritenere integrata la crisi di qualsivoglia impresa, la normativa in esame impone al soggetto chiamato ad elaborarli di tenere conto di una serie di variabili (quali, tra le altre, le caratteristiche dell’impresa e dell’attività svolta dal debitore, così come la data di costituzione e di inizio dell’attività) atte a considerarne le peculiarità [17]. In questa prospettiva di necessaria “soggettivizzazione” si pone la “clausola di flessibilità” ex art. 13, 3° com­ma, cod. crisi, in ragione della quale l’impresa che non ritiene adeguati, in rapporto alle sue specificità, i parametri fissati dal CNDCEC, chiarisce i motivi alla base di tale convinzione nella nota integrativa al bilancio. Nello stesso documento sono esposti i differenti “indici” che si ritengono appropriati, i quali devono essere attestati da un professionista [continua ..]


3.1. Segue: «Segnalazione» della crisi, «soluzioni individuate», «iniziative intraprese»

La segnalazione ex art. 14, 1° e 2° comma, cod. crisi, è accompagnata dall’indicazione di un termine congruo (ma comunque non superiore a trenta giorni) entro il quale l’organo amministrativo deve informare su «soluzioni individuate» e «iniziative intraprese». In altri termini, si prevede un obbligo di tempestiva attivazione degli amministratori, che assume le forme, per un verso, della pianificazione di misure anti-crisi e, per altro verso, della pronta attuazione delle stesse. Qualora gli amministratori non procedano nel senso indicato, oppure i soggetti legittimati ad effettuare siffatta segnalazione ritengano che quanto “individuato” e “intrapreso” sia “inadeguato”, i medesimi informano senza indugio l’OCRI [19]. Per mezzo di tale comunicazione, la crisi – che, fino a questo momento, aveva assunto unicamente rilievo “interno” all’impresa – è segnalata all’“esterno”, pur con le varie tutele in termini di riservatezza e confidenzialità garantite dalla disciplina in esame. Gli autori della segnalazione devono agire nei medesimi termini (informazione all’OCRI) anche qualora nei sessanta giorni successivi l’organo amministrativo non adotti quanto “necessario” per superare la crisi. Sulla base dei principi normativi appena esposti, può dunque ritenersi che la verifica dell’operato degli amministratori non riguardi unicamente, in una prospettiva ex ante, le loro “intenzioni” (le «soluzioni individuate», ossia il programma di risanamento esposto agli autori della segnalazione), ma anche, in una prospettiva ex post, le iniziative materialmente assunte nei due mesi successivi all’esposizione di quanto pianificato. Se agiscono nel rispetto del meccanismo di segnalazioni appena descritto (la prima all’organo amministrativo e la seconda, eventuale, all’OCRI), l’organo di controllo e/o il soggetto incaricato della revisione contabile ottengono un esonero di responsabilità con riguardo alle condotte assunte dagli amministratori (cfr. art. 14, 3° comma, cod. crisi) [20].


3.2. Gli obblighi “esterni” di segnalazione

Diversamente da quanto avviene con riferimento agli obblighi “interni” di segnalazione, le condizioni applicative (triggering point) la cui presenza determina l’integrazione degli obblighi “ester­ni” di segnalazione sono dettagliatamente stabilite dal legislatore (cfr. art. 15, 2° comma, cod. crisi) [21]. Le ragioni di tale difformità sono evidenti: considerato che gli obblighi da ultimo menzionati (“esterni”) gravano su specifici creditori, con riguardo ai medesimi è possibile individuare precisamente alcune soglie quantitative concernenti l’ammontare dei debiti superate le quali si ritiene che vi siano indizi di crisi. Differente è la condizione in cui si trovano gli organi societari e il soggetto responsabile della revisione dei conti, ai quali si applicano gli obblighi “interni” di segnalazione: questi esercitano, ognuno per i profili di propria competenza, delle generali funzioni di controllo, le cui risultanze non sono riducibili al superamento di limiti numerici. Venendo al contenuto degli obblighi che gravano sui creditori pubblici qualificati (Agenzia delle Entrate, INPS e agente della riscossione), qualora il debito superi le soglie di legge, costoro sono tenuti a darne informazione al debitore, avvisandolo che se entro novanta giorni non estinguerà (o regolerà alternativamente) il suo debito, ovvero non presenterà domanda di composizione assistita della crisi o di accesso a una procedura di composizione della stessa [22], procederanno con la segnalazione all’OCRI [23]. I creditori qualificati sono fortemente incentivati a rispettare le regole appena esposte [24]: là dove, pur in presenza dei presupposti di legge, questi non effettuino la segnalazione, si applicano le rilevanti sanzioni di cui all’art. 15, 1° comma, cod. crisi [25].


4. L’OCRI e l’audizione del debitore ex art. 18 cod. crisi

In conformità alla generale tendenza alla “de-giurisdizionalizzazione” delle procedure di composizione della crisi, della raccolta delle segnalazioni e della gestione della successiva fase di negoziazione tra debitore e creditore funzionale alla sua composizione in via concordata, si occupa un organismo (OCRI, organismo per la composizione della crisi d’impresa) istituito presso le Camere di commercio [26], il quale rappresenta senza dubbio il principale “protagonista” delle procedure in esame. L’OCRI agisce tramite tre soggetti: il Referente, il suo Ufficio [27] e il Collegio degli esperti. Quest’ultimo è comporto da tre membri [28] individuati tra gli iscritti al­l’Albo di cui all’art. 356 cod. crisi [29]. Il Presidente della sezione specializzata in materia di imprese competente [30], il Presidente della Camera di commercio e l’as­sociazione rappresentativa del settore di riferimento del debitore [31] designano ciascuno un componente (art. 17, 1° comma, cod. crisi). La disciplina in tema di elezione e composizione del Collegio si fonda sui principi di tempestività [32], riservatezza [33], indipendenza [34], competenza e professionalità, quest’ultima da garantire sotto il profilo aziendalistico, contabile e legale. Qualora tra i membri designati manchi uno dei profili richiesti, il Referente nomina un esperto che ne sia dotato in sostituzione del componente designato dal Presidente della camera di commercio [35]. Entro quindici giorni dalla ricezione della segnalazione (o dell’istanza del debitore), l’OCRI convoca il debitore e, sulla base di quanto emerso in occasione di tale audizione, nonché delle informazioni comunque assunte, può archiviare le segnalazioni [36], ovvero individuare insieme al debitore le possibili misure per porre rimedio alla crisi. In tale ultima ipotesi, l’OCRI fissa un termine entro il quale siffatte misure devono essere attuate e se il debitore «non assume alcuna iniziativa» [37], il Collegio informa il Referente, il quale a sua volta ne dà immediata notizia agli autori della segnalazione (cfr. art. 18, 4° e 5° comma, c.c.).


5. Il procedimento di composizione assistita della crisi (artt. 19 ss. cod. crisi)

 Durante la procedura di allerta, il debitore ha facoltà di ricorrere al «procedimento di composizione assistita della crisi» di cui all’art. 19 cod. crisi [38]. A tal fine, egli chiede all’OCRI un termine [39] per esperire, con l’aiuto del medesimo organismo, un tentativo concordato di soluzione della crisi. In questo periodo, il debitore che le avrà richieste dopo l’audizione ex art. 18 cod. crisi, può godere delle misure protettive disposte dal giudice [40] al fine di terminare le trattative [41] (v. art. 20, 1° e 2° comma, cod. crisi) [42]. Qualora il tentativo di composizione della crisi registri esito negativo, l’OCRI invita il debitore a presentare domanda di accesso ad una delle procedure formali di cui all’art. 37 cod. crisi [43]. La presenza dell’Autorità giudiziaria – che nell’ambito delle procedure in esame resta sullo sfondo, salvo che per la concessione delle misure protettive – diviene centrale allorché il Collegio ritenga che l’imprenditore sia insolvente. Più in particolare, in caso di esito negativo del tentativo di composizione della crisi, se il debitore non ha fatto domanda per l’accesso ad una procedura formale di composizione della stessa, l’OCRI informa della sua insolvenza il pubblico ministero [44], il quale a sua volta può presentare ricorso per l’apertura della liquidazione giudiziale [45] (cfr. art. 22 cod. crisi). Tale obbligo di segnalazione al P.M. è particolarmente problematico. In primo luogo, questo rischia di ostacolare il successo della procedura in esame: può facilmente immaginarsi che il timore che l’OCRI agisca nel senso indicato disincentivi fortemente il debitore dal presentare l’istanza di composizione concordata della crisi [46]. Siffatta disciplina, inoltre, fa emergere l’intrinseca contraddittorietà delle funzioni dell’OCRI, organo che tutela contemporaneamente l’interesse dell’imprendi­tore a comporre la crisi e quello dei creditori a non essere pregiudicati dall’insol­venza. Nella prima prospettiva, tuttavia, tale organo è chiamato ad “assistere” il debitore, nella seconda si trova a “sanzionarlo” [47]. Infine, merita osservare come la segnalazione al pubblico ministero [continua ..]


6. Le misure premiali ex art. 25 cod. crisi

Un capitolo fondamentale della normativa in esame è costituito dalle “misure premiali” concesse al debitore che facilita lo svolgimento delle procedure di allerta [49]. Al riguardo, le condizioni applicative consistono alternativamente nella tempestiva presentazione dell’istanza di composizione assistita della crisi ex art. 19 cod. crisi, seguita da un’esecuzione in buona fede delle indicazioni dettate dall’OCRI, ovvero di una domanda di accesso ad una procedura formale di composizione della crisi, non dichiarata successivamente inammissibile (v. art. 25, 1° comma, cod. crisi) [50]. Quanto al contenuto di tali misure, esse sono «davvero rilevanti» [51] ed incidono prevalentemente sul piano penalistico, sull’ammontare dei debiti e delle sanzioni tributarie che gravano sull’imprenditore [art. 25, 1° comma, lett. a), b) e c), cod. crisi], nonché sui termini per la presentazione della proposta di concordato preventivo e di accordo di ristrutturazione dei debiti [art. 25, 1° comma, lett. d), cod. crisi].


7. Le «procedure di allerta e di composizione assistita della crisi»: alcune considerazioni generali

Nel tentativo di formulare alcune prime considerazioni in merito alle «procedure di allerta e di composizione assistita della crisi» occorre, anzitutto, chiarire come, diversamente da quanto siffatta espressione (e, in particolare, il termine “allerta”) sembri suggerire, le medesime non risultino idonee a facilitare l’emersione del rischio che in futuro subentri una “crisi”, ma siano piuttosto funzionali alla corretta regolazione di una condizione patologica già sussistente. Questa constatazione non deve sorprendere: gli indici normativi forniti dalla Legge-delega e dal codice della crisi sono inequivoci in tal senso. Si è già rilevato, del resto, come la condizione applicativa delle procedure in esame sia rappresentata da uno squilibrio reddituale, patrimoniale o finanziario rilevabile tramite appositi indici tali da far ragionevolmente presumere che sussista uno stato di crisi (cfr. art. 13 cod. crisi). Il dichiarato scopo dell’allerta, dunque, non consiste nell’emersione del “rischio di crisi” – ovvero, a seconda della condizione che si intende assumere quale riferimento, di una “crisi prospettica” [52] o “pre-concorsuale” [53] – ma nel facilitare la rilevazione di una crisi già in atto [54]. A siffatte conclusioni occorre pervenire con riferimento sia agli obblighi di segnalazione “interni” che a quelli “esterni”: in ambedue le circostanze l’“attivazio­ne” – nel primo caso, dell’organo di controllo e del soggetto incaricato della revisione contabile e, nel secondo caso, dei creditori pubblici qualificati – presuppone la presenza di condizioni che risultano senza dubbio più “gravi” rispetto a quelle tipiche della c.d. twilight zone [55]. Sempre in una prospettiva generale, merita inoltre osservare che la scansione cronologica prevista dalla normativa suesposta – in ragione della quale tra la segnalazione e l’avvio della procedura formale di composizione della crisi può trascorrere anche un anno – sembra eccessivamente ampia e, quindi, idonea ad inficiare l’obiettivo principale delle procedure in esame [56].


8. Allerta e governo della s.p.a.: doveri e responsabilità dell’organo amministrativo

È evidente che la disciplina concernente le procedure di allerta, oltre che sugli aspetti concernenti la crisi d’impresa e la sua più opportuna regolazione, incide profondamente sul piano del governo societario e, nello specifico, su poteri, doveri, responsabilità nonché, più in generale, sul “ruolo” degli organi sociali. Soffermandosi anzitutto sull’organo amministrativo [57], le regole esposte in precedenza codificano, in modo più o meno esplicito, alcuni compiti già pacificamente riconosciuti nell’ambito della più recente elaborazione in materia. Così, in primo luogo, per il c.d. “dovere conoscitivo-preliminare”, che impone all’organo amministrativo di venire prontamente a conoscenza della presenza di uno stato di crisi, inteso quale squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza dell’impresa societaria [58]. Non vi sono dubbi che siffatto obbligo – previsto espressamente per l’organo di controllo e per il revisore ai sensi dell’art. 14, 1° comma, cod. crisi – gravi anzitutto sugli amministratori. In questo senso si pone anche il “nuovo” art. 2086, 2° comma, c.c., il quale – nei limiti in cui impone a qualsiasi impresa collettiva di istituire un assetto organizzativo la cui adeguatezza è valutata anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale – regola un dovere-presupposto che implicitamente si fonda proprio sulla vigenza del dovere conoscitivo-preliminare degli amministratori. Alle medesime conclusioni è dato pervenire con riferimento ad un obbligo di “attivazione” dell’organo amministrativo che consegue alla presa d’atto della sussistenza della crisi, il quale impone loro di assumere – e, successivamente, di attuare – le iniziative più opportune («misure adeguate», nel lessico del codice della crisi) [59]. Obbligo questo che certamente, da una parte, grava sui titolari della funzione amministrativa societaria a prescindere dalla richiesta dell’organo di controllo ex art. 14 cod. crisi [60] e, dall’altra, era senza dubbio vigente anche nel regime normativo anteriore alla Riforma. Se tuttavia, prima di tale intervento legislativo suddetti com­piti non erano [continua ..]


9. Segue: Gestione dell’impresa azionaria e istituzione degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili

Sempre con riguardo all’organo amministrativo, più problematico risulta l’affidamento di alcune prerogative concernenti le funzioni delle quali il medesimo è titolare anche a soggetti ulteriori rispetto a questo. Tale dato ha fatto emergere un’intrinseca contraddizione della Riforma (perlomeno nella sua formulazione originaria), che trovava difficile soluzione in una prospettiva sistematica. Per un verso, la “nuova” disciplina – peraltro, in modo non sufficientemente meditato e, probabilmente, inopportuno [64] – “estendeva” il principio di esclusività della gestione da parte degli amministratori ai tipi diversi dalla s.p.a. e, quindi, ben al di fuori del contesto nel quale siffatta regola trovava la sua originaria (e corretta) collocazione [65]. Per altro verso, nei limiti in cui prevedeva (ed ancora prevede) prerogative tali da configurare un potere di indirizzo – se non di veto – sulla gestione in capo ad organi differenti da quello amministrativo, l’inter­vento riformatore sembrava minare suddetto principio di esclusività, posto che si stabilisce una sorta di co-gestione dell’impresa in crisi che gli amministratori condividono, a seconda dei casi, con l’organo di controllo societario, col soggetto incaricato della revisione dei conti e con l’OCRI. Relativamente all’organismo da ultimo menzionato – e riservando al prosieguo più puntuali riferimenti all’organo di controllo e al revisore dei conti – la questione in esame si pone soprattutto con riguardo alle previsioni ex art. 18, 4° e 5° comma, cod. crisi, in ragione delle quali, in occasione dell’“audizione” dell’imprenditore, «quando il collegio rileva l’esistenza della crisi, individua con il debitore le possibili misure per porvi rimedio (…)» e successivamente, se alla scadenza del termine prefissato «non assume alcuna iniziativa», lo stesso procede ad informare gli autori delle segnalazioni [66]. A prescindere dall’equivoca formulazione di queste disposizioni – e, più specificamente, dalla difficoltà di determinare con precisione in cosa consista la determinazione “congiunta” di siffatte misure [67] e quando concretamente debba ritenersi che il debitore “non assuma alcuna [continua ..]


10. I doveri dell’organo di controllo societario: verso un nuovo “ruolo” del collegio sindacale?

Quanto all’organo di controllo interno [71], le disposizioni concernenti le procedure in esame sembrano incidere in modo così determinante sulla relativa disciplina, da suggerire, nella generale prospettiva della governance societaria, di riconsiderarne il ruolo e le funzioni [72]. Più in particolare, la Riforma prevede “nuovi” e rilevanti compiti per tale organo, sul presupposto che all’au­mento dei controlli corrisponda una riduzione del rischio di abusi da parte degli amministratori [73]. Il contenuto di siffatti compiti, tuttavia, suscita perplessità: se è vero che la questione concernente la natura dei controlli che spettano al collegio sindacale è annosa e lontana dal giungere ad una soluzione definitiva e condivisa [74], le “nuove” regole prevedono un’“espansione” delle sue funzioni che sembra in ogni caso eccessiva, oltre che – come già rilevato in precedenza – contraddittoria rispetto ad altri principi posti dalla stessa Riforma [75]. Più specificamente, la disciplina sull’allerta traccia una dialettica tra amministratori e sindaci [76] nell’ambito della quale, come si chiarirà nel prosieguo, questi ultimi sono chiamati a formulare valutazioni che sembrano attenere al merito delle scelte imprenditoriali e che, di conseguenza, dovrebbero piuttosto spettare (unicamente) ai titolari della funzione amministrativa [77]. In tale prospettiva merita menzionarsi, anzitutto, il disposto dell’art. 14, 1° com­ma, cod. crisi. Se è vero che questa previsione stabilisce unicamente che l’organo di controllo deve limitarsi a verificare che l’organo amministrativo valuti, assumendo le conseguenti «idonee iniziative», l’adeguatezza degli assetti interni, la sussistenza dell’equilibrio economico e finanziario e il prevedibile andamento della gestione, ugualmente non può ritenersi che siffatta “verifica” si esaurisca in un controllo meramente formale, dovendosi garantire perlomeno che le valutazioni degli amministratori non si basino su istruttorie palesemente insufficienti e che i medesimi non pervengano a conclusioni irragionevoli [78]. L’ “espansione” dei poteri-doveri dell’organo di controllo è ancora più evidente relativamente all’obbligo di [continua ..]


11. Segue: Responsabilità (e discrezionalità) dell’organo di controllo interno per lo svolgimento dei “nuovi” compiti

All’ampliamento dei compiti dell’organo di controllo interno conseguono necessariamente maggiori responsabilità in capo ai suoi membri. Più in particolare, qualora le valutazioni ex art. 14 cod. crisi risultino scorrette o inadeguate, costoro possono essere chiamati a rispondere del danno cagionato ai sensi dell’art. 2407 c.c. Sempre con riguardo al profilo delle responsabilità, emergono inoltre delicati problemi interpretativi relativamente ai rilevanti margini di discrezionalità dei quali si è detto in precedenza [85]. Si tratta, in altri termini, di chiarire se anche ai membri dell’organo di controllo interno si applica, nell’ambito del loro sindacato in merito al corretto esercizio della funzione amministrativa dell’impresa societaria in crisi, la business judgment rule (BJR). Evitando di approfondire un tema così complesso, è sufficiente richiamare due ordini di ragioni che suggeriscono di rispondere positivamente al quesito appena formulato. In primo luogo, se il fondamento della BJR si rintraccia nella fisiologica incertezza dei risultati delle attività economiche e nella conseguente necessità che di eventuali esiti negativi delle stesse si facciano carico i soci e non i gestori [86], non vi sono ragioni per escludere che la medesima ratio valga anche per i componenti dell’organo di controllo interno, nei limiti in cui siano chiamati ad esercitare valutazioni il cui contenuto è riconducibile (in senso lato) alla funzione amministrativa. Ad identiche considerazioni si giunge in ragione dei canoni sulla base dei quali tali giudizi saranno formulati (“idoneità”, “adeguatezza”, “necessità”), i quali, come già osservato, implicano necessariamente ampi margini di discrezionalità. Pertanto, qualora si negasse che a tali margini corrisponde il “safe harbour” della BJR, per un verso, si integrerebbe un’inaccettabile ipotesi di responsabilità oggettiva [87]. Per altro verso, sarebbero configurabili ipotesi – chiaramente inammissibili – in cui di una scelta imprenditoriale assunta dagli amministratori risponderebbero non questi ultimi (in quanto “protetti” dalla BJR), ma soltanto i sindaci (ai quali tale “regola” non si applicherebbe). Merita infine [continua ..]


NOTE