Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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“Interessi” degli azionisti e partecipazione “differenziata” ai processi decisionali (considerazioni sul c.d. whitewash nelle società aperte) (di Fabrizio Guerrera)


SOMMARIO:

1. Conflitti d’interesse e devoluzione agli azionisti “indipendenti” del potere sulle decisioni “pericolose” - 2. Sterilizzazione e depotenziamento del voto degli azionisti “interessati” nella disciplina del conflitto d’interesse societario - 3. Segue. Lo scomputo dei voti delle azioni “interessate” dal quorum deliberativo: regole e problemi - 4. Tecniche di traslazione e bilanciamento del potere decisionale a favore degli azionisti “indipendenti” nel Regolamento OPC e nel Regolamento Emittenti - 5. Segue. Struttura, validità ed efficacia delle delibere e decisioni assunte con la partecipazione dei soci disinteressati - 6. Coinvolgimento “selettivo” degli azionisti nei processi decisionali e nuovi strumenti di democrazia azionaria. - 7. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Conflitti d’interesse e devoluzione agli azionisti “indipendenti” del potere sulle decisioni “pericolose”

La previsione di vari casi di “sterilizzazione” o di “depotenziamento” del diritto di voto inerente alle azioni dei soci di maggioranza o interessati (c.d. whitewash) 1 – con relativo “ri-bilanciamento” del potere decisionale a favore delle minoranze – nell’ambito della recente disciplina regolamentare della Consob in materia di operazioni con parti correlate 2 e di offerte pubbliche di acquisto 3, ha attirato l’at­ten­zione degli interpreti sulle peculiarità tecniche e sulla valenza organizzativa del congegno nella governance delle società con azioni “quotate” o “diffuse”. Ne è scaturita una serie di riflessioni di sicuro interesse intorno alla sua incidenza sul procedimento assembleare, alle clausole statutarie per ciò occorrenti, alla struttura e all’efficacia delle deliberazioni (o decisioni) approvate secondo quelle regole, nonché alla portata del coinvolgimento (anche extra-assembleare) dei soci nei processi decisionali, rispetto al sistema di ripartizione delle competenze e alle modalità di funzionamento degli organi sociali 4. Le decisioni in relazione a cui questo meccanismo opera (o, meglio, può operare), nelle società quotate o aperte, si configurano come “pericolose” per una parte dei soci, in quanto suscettibili di essere adottate dalla maggioranza – sia essa stabile o occasionale – sostanzialmente “a discapito” degli altri azionisti: o di riflesso, perché potenzialmente pregiudizievoli per la società, e quindi lesive della redditività e del valore delle partecipazioni, o direttamente, perché limitative o soppressive del diritto a disinvestire tramite l’adesione a un’OPA. La tecnica adottata in queste situazioni per neutralizzare il rischio di abusi e di distorsioni – in alternativa ad altre possibili, quali il divieto di voto o il controllo di correttezza – consiste nel prevedere il c.d. majority-of-the-minority vote 5, assegnando un ruolo determinante alla maggioranza dei soci “disinteressati”: in positivo, mediante il “passaggio di mano”, oppure solo in negativo, mediante il “potere di blocco”. In entrambi i casi, si attribuisce alle minoranze attive e partecipi alle [continua ..]


2. Sterilizzazione e depotenziamento del voto degli azionisti “interessati” nella disciplina del conflitto d’interesse societario

Se si condivide la tesi appena prospettata, secondo cui la c.d. majority-of-the-minority solution sarebbe deputata a supplire all’insufficienza o ineffettività delle regole sul conflitto d’interessi e, più in generale, sul controllo di correttezza sugli atti deliberativi (c.d. fairness test), conviene, allora, che l’indagine muova dall’ana­lisi dei meccanismi di “sterilizzazione” o “depotenziamento” del voto dei soggetti in conflitto d’interessi previsti dal diritto comune delle s.p.a. Ciò, allo scopo di delinearne affinità e differenze rispetto al congegno – tipico del c.d. whitewash – della devoluzione agli azionisti di minoranza (o, meglio, “disinteressati”) del potere di determinare, in misura più o meno ampia, la delibera assembleare o la decisione collettiva, basato anch’esso sulla selezione o limitazione “preventiva” dei soci legittimati a partecipare. La disciplina del conflitto d’interessi (art. 2373 c.c.) rappresenta, di per sé, l’am­bito elettivo di emersione della partecipazione personale e differenziata degli azionisti (rectius, dei soggetti legittimati all’intervento e al voto in assemblea) 14 al processo decisionale della società. La peculiarità della posizione di chi concorre, in situazione di “conflitto” (o in posizione di “dominio” e di possibile “abuso”), ad approvare una decisione vincolante per tutti i soci (anche dissenzienti), dipende dalla coincidenza soggettiva tra la spettanza di un potere di voto “determinante” e la titolarità (o la gestione per conto altrui) dell’interesse “confliggente” con quello (o con quelli) su cui la decisione è destinata a incidere 15; e, per altro verso, giustifica la necessità di uno speciale regime giuridico, consistente, appunto, nella (più o meno severa e radicale) privazione della forza vincolante del voto rispetto agli altri partecipanti, senza cui risulterebbe minata alla radice l’efficienza organizzativa del principio maggioritario. Peraltro, queste tecniche di tutela rispondono ai principi generali del sistema, mostrando capacità di espandersi al di là dell’ambito degli organismi collegiali e delle comunioni [continua ..]


3. Segue. Lo scomputo dei voti delle azioni “interessate” dal quorum deliberativo: regole e problemi

Il c.d. whitewash, invece, come prima si diceva, opera in una serie di situazioni individuate sul piano generale, ma sufficientemente determinate – si pensi alla definizione delle “parti correlate” o delle “operazioni di maggior rilevanza” o delle ipotesi di esenzione “condizionata” dall’OPA obbligatoria –, che consentono, perciò, di meglio “amministrare” il processo decisionale mediante l’attribuzione di pre­rogative o poteri più o meno ampi al “sotto-gruppo” degli independent shareholders, formato esclusivamente da azionisti esenti da posizioni contigue o conflittuali e pregiudicabili dalle decisioni pericolose. Questi sono individuati sulla base di una selezione oggettiva, ma flessibile e multiforme, così come vari e mutevoli sono i “conflitti orizzontali”, nella realtà della s.p.a. aperta, soprattutto se non soggetta a controllo stabile ed esposta a dinamiche competitive interne. Ciò evita, appunto, di dover rimettere la soluzione del problema all’iniziativa del singolo azionista (il quale decida di astenersi esternando l’interesse “incompatibile”) ovvero all’ampliamento statutario a tutti i casi di astensione “volontaria” della regola prevista dall’art. 2368, 3° comma, c.c.; come pure, d’altra parte, di affidarsi unicamente al rimedio dell’impugnazione della delibera invalida, che potrebbe produrre, oltretutto, un inatteso sovvertimento dei rapporti di forza interni alla società per effetto della riduzione ex post del quorum deliberativo assembleare conseguente allo “scomputo” dei voti del socio in conflitto (v. infra). Vale la pena di richiamare, al riguardo, gli sviluppi ermeneutici dell’art. 2368, 3° comma, c.c., là dove stabilisce le condizioni perché le azioni del socio in conflitto d’interessi non vengano conteggiate nella maggioranza dei presenti o nella quota di capitale richieste per l’approvazione della delibera. La norma, sebbene dettata per i soli casi di astensione motivata del socio con espresso riferimento alla situazione di conflitto 24, non è considerata d’ostacolo a una diversa regolamentazione statutaria dell’astensione rispetto al quorum deliberativo dell’assemblea [continua ..]


4. Tecniche di traslazione e bilanciamento del potere decisionale a favore degli azionisti “indipendenti” nel Regolamento OPC e nel Regolamento Emittenti

Su queste basi si può innestare un’analisi più meditata delle tecniche di traslazione o redistribuzione del potere decisionale a favore degli azionisti “indipendenti”, nelle varie ipotesi contemplate dal Regolamento sulle Operazioni con parti correlate e dal Regolamento Emittenti, procedendo a una classificazione – anzitutto, dal punto di vista “strutturale” – delle corrispondenti decisioni o deliberazioni (o consultazioni), che peraltro non sempre hanno ad oggetto o riguardano “operazioni” 36. La prima e fondamentale distinzione da considerare è quella tra le ipotesi in cui si richiede l’assenza del voto contrario e le ipotesi in cui si richiede, invece, la maggioranza dei voti favorevoli degli azionisti “indipendenti” (diversi, secondo i casi, dall’offerente, dall’acquirente della partecipazione rilevante o dai soci che detengono, singolarmente o congiuntamente, la partecipazione di maggioranza relativa). È evidente, infatti, che altro è attribuire agli independent shareholders (in specie, alla majority-of-the-minority) il potere di paralizzare, esprimendo un certo numero di voti contrari, la decisione potenzialmente pregiudizievole dei loro interessi; altro è attribuire loro “in positivo” un ruolo e un peso determinante, richiedendo l’approvazione con il voto favorevole della maggioranza degli stessi. Questa distinzione – si osservi per inciso – corrisponde solo tendenzialmente a quella tra deliberazioni assembleari e decisioni extra-assembleari (o “referendarie”), approvate in mancanza di alcuna “adunanza”, mediante l’espressione del voto su una apposita “scheda” trasmessa dalla società 37. Nel primo caso, si hanno effetti simili a quelli prodotti dalla previsione legale (art. 2393, 6° comma, c.c.) o statutaria 38 di un “quoziente di blocco” o “negativo”, e tuttavia più incisivi e – se si vuole – stimolanti, giacché si richiede la “non opposizione” della maggioranza dei soci attivi disinteressati (cioè, privi di interessi particolari sulla materia della decisione, ma disponibili a rendersi partecipi delle vicende societarie), anziché di un’aliquota anonima [continua ..]


5. Segue. Struttura, validità ed efficacia delle delibere e decisioni assunte con la partecipazione dei soci disinteressati

A questo punto, è emersa con sufficiente evidenza la distinzione – se si vuole “trasversale” rispetto ai due ambiti della disciplina regolamentare – tra le deliberazioni assembleari (per cui si rende necessario coordinare la partecipazione “differenziata” degli azionisti indipendenti col regime del procedimento), e le decisioni collettive, assunte da parte dei soli azionisti disinteressati e fuori dalla competenza dell’assemblea (per cui non possono richiamarsi de plano le regole ordinarie di formazione e validità delle delibere). In entrambe le ipotesi, però, la partecipazione “selettiva” al processo decisionale degli aventi diritto non dipende da un dato statutario formale, avente rilievo organizzativo – qual è quello dato dall’esistenza di azioni di categoria speciale, fornite di peculiari diritti patrimoniali o amministrativi (art. 2348 c.c.)  51 o di strumenti finanziari partecipativi (art. 2346, 6° comma, c.c.) che generano tipicamente, a loro volta, dei “conflitti orizzontali” nella s.p.a. a struttura finanziaria complessa – bensì da fattori contingenti e soggettivi, che concernono proprio la relazione d’interesse che intercorre (anche indirettamente) tra gli azionisti e l’oggetto o gli effetti di una data deliberazione (o decisione). A differenza dei conflitti legati alla diversità ontologica (id est, di regolamentazione negoziale) delle forme di partecipazione alla società e alle scelte “politiche” (allocative, distributive, riorganizzative, ecc.) degli organi sociali e determinati dall’impatto che esse hanno sui “diritti” degli investitori e finanziatori della società 52, questa collisione interna degli interessi degli azionisti si atteggia come puramente accidentale e fattuale nella sua genesi. Nondimeno, la predetta relazione d’interesse è – come tale – considerata rilevante per la definizione del “sotto-gruppo” degli azionisti accomunati dalla stessa posizione d’interesse in concreto, sulla base di una normativa inderogabile, anziché essere rimessa all’autonomia privata o alla libertà negoziale. Ciò determina, appunto, nelle società aperte, una più accentuata variabilità delle regole del [continua ..]


6. Coinvolgimento “selettivo” degli azionisti nei processi decisionali e nuovi strumenti di democrazia azionaria.

A questo punto si profilano più chiaramente il senso e la portata delle nuove forme di coinvolgimento “selettivo” degli azionisti nei processi decisionali caratteristici delle società aperte o quotate, che sono organizzati in modo da soddisfare l’esigenza di amministrare i conflitti interni tra azionisti (o gruppi di azionisti) che possono insorgere in concomitanza all’assunzione di date decisioni, sia in seno all’assemblea, risolvendosi allora in una peculiare disciplina del relativo procedimento, sia al di fuori di essa, cioè in un contesto extra-assembleare. Non servirebbe, evidentemente, riproporre in generale il tema della “sovranità” dell’assemblea o del “riequilibrio” dei suoi poteri rispetto all’organo amministrativo 70 o della sua “rivitalizzazione” (anche sotto il profilo dei poteri di voice dei soci) 71, poiché non vengono qui in rilievo – sul piano della forma di organizzazione dell’impresa – la struttura corporativa della società o la separazione tra proprietà e controllo o il c.d. rapporto di agenzia tra azionisti e managers, ma piuttosto la modalità di funzionamento dell’assemblea in particolari contesti critici e, sotto altro profilo, l’attitudine di formule organizzative diverse dalla deliberazione (in quanto tale, riferibile alla società, ai sensi dell’art. 2377, 1° comma, c.c.) a prevenire o risolvere i conflitti interni all’azionariato. Del resto, sebbene più estese che in altri sistemi 72, le competenze legali o statutarie dell’organo assembleare appaiono pur sempre individuate e circoscritte, a confronto con la preminenza e centralità degli amministratori nell’organizzazione della società e con la generalità, autonomia e tendenziale esclusività del loro potere di gestione dell’impresa nella disciplina della s.p.a. 73. L’interferenza “istituzionale” degli azionisti nel processo decisionale societario, in funzione di indirizzo, supervisione e monitoraggio sulla gestione manageriale dell’impresa, resta quindi limitata ed episodica, anche a voler accreditare le interpretazioni più estensive in ordine alle competenze c.d. implicite o non scritte 74 dell’assemblea. Inoltre, essa va comunque coordinata [continua ..]


7. Considerazioni conclusive

Da queste riflessioni si ricava l’idea che l’assemblea, nella s.p.a. quotata, sia divenuta ormai soltanto uno dei possibili luoghi di risoluzione del potenziale contrasto tra gli interessi degli azionisti: luogo necessario in ragione della valenza societaria della decisione da assumere e dell’osservanza, rispetto al contesto in cui esso si manifesta, delle regole della competenza organica; ma sostituibile invece, in situazioni diverse, da altre modalità organizzative di consultazione e volizione collettiva, parimenti in grado di esprimere l’orientamento e le istanze degli azionisti-investitori (seppure non con riguardo all’“impresa comune” e alle clausole del “contratto sociale”, per esprimersi in termini tradizionali). D’altronde, l’assemblea (che, di per sé, costituisce un “sistema di interazione” tra i soci)89, ha registrato, a sua volta, significativi mutamenti di struttura e di funzione. Proprio l’emersione a livello normativo delle istanze di tutela degli azionisti as investors consente di apprezzare la tendenza all’ampliamento della dimensione spazio-temporale e, in ultima analisi, alla “destrutturazione” dell’assemblea della s.p.a. aperta, e soprattutto quotata, che sembra evolvere verso delle forme di dialogo continuo con gli azionisti e tra gli azionisti, alla stregua di un Aktionärforum 90. Alla disgregazione “fisica” dell’organo rappresentativo della totalità dei soci – che è, in fondo, un riflesso della crisi della struttura corporativa e dello scopo lucrativo comune della società aperta (e, se si vuole, dell’istituto stesso del conflitto d’interessi, posto a presidio di esso) – ha fatto riscontro la nascita di nuove forme di raggruppamento parziale e occasionale e di organizzazione extra-sociale e precaria degli interessi degli azionisti, che si svolgono al di fuori delle regole della collegialità assembleare, secondo formule di “democrazia diretta” grandemente agevolate dal ricorso alle tecnologie informatiche e telematiche. Il coinvolgimento “selettivo” degli azionisti, in funzione degli interessi inerenti all’investimento posti a repentaglio dalla decisione, rappresenta una risposta a [continua ..]


NOTE