Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Amministratori indipendenti ed incarichi esecutivi (di Alessandro M. Luciano)


SOMMARIO:

1. Introduzione. - 2.A). La “genesi” dell’amministratore indipendente. - 3. La disciplina degli amministratori indipendenti nell’ordinamento italiano: un quadro di insieme. - 4. Gli amminstratori indipendenti nel regolamento Consob sulle operazioni con parti correlate. - 5. Amministratori indipendenti ed incarichi esecutivi: incompatibilità assoluta? - 6. Segue. Partecipazione al comitato esecutivo, deleghe amministrative, presidenza del c.d.a. - NOTE


1. Introduzione.

La questione relativa al ruolo che gli amministratori indipendenti possono (rectius, devono) svolgere nella governance societaria rappresenta uno degli argomenti maggiormente dibattuti fra gli studiosi e gli operatori pratici, e ciò anche in conseguenza delle innovative previsioni contenute nel recente regolamento emesso dalla Consob in materia di operazioni con parti correlate [1]. Come si evidenzierà meglio nel prosieguo, la generale valorizzazione delle funzioni di tale categoria di amministratori – che costituisce uno degli aspetti sui quali maggiormente si starebbe realizzando un processo di “livellamento” degli ordinamenti societari dei Paesi c.d. avan­zati intorno ad una serie di principi e regole comuni [2] – non è stata accompagnata dalla previsione di uno statuto legislativo organico e (sempre) consapevole da parte del legislatore italiano, che si è limitato ad abbozzare alcuni frammenti di disciplina, suscitando numerose perplessità [3]. Deve, pertanto, considerarsi con la dovuta accuratezza il rischio che il freddo “trapianto” di questo istituto – concepito in un contesto economico-giuridico, quale quello statunitense, fondamentalmente diverso da quello dell’ordinamento ricevente – possa causare gravi e pericolose “crisi di rigetto” [4]. Tanto premesso, questo contributo intende soffermarsi sui principi normativi che disciplina­no l’amministratore indipendente così come sulle funzioni che può svolgere in seno all’organo amministrativo, con particolare riguardo alla questione riguardante la possibilità che a questi vengano affidati incarichi esecutivi. Scopo del lavoro è, pertanto, verificare se funzioni e caratteristiche di tale categoria di amministratori risultino conciliabili con l’amministrazione c.d. “attiva” e, nel caso in cui si ritenga di dare risposta positiva a tale quesito, se tale compatibilità debba essere valutata come assoluta oppure se debbano ammettersi limiti, ed eventualmente di che tipo. Nonostante la suddetta problematica – così come, in generale, quella riguardante il ruolo che i consiglieri indipendenti possono concretamente svolgere nell’organo amministrativo – risulti essere di centrale importanza al fine di garantire un’effettiva utilità ed operatività di questi [continua ..]


2.A). La “genesi” dell’amministratore indipendente.

Come noto, la categoria degli amministratori indipendenti nasce nelle grandi corporation statunitensi al fine di garantire efficienza alle funzioni di monitoraggio endosocietario sulla gestione [8]. Le ragioni della “genesi” di tali director, in particolare, devono essere rintracciate nel sistema di governance societaria sviluppatosi in conseguenza della grande diffusione (frammentazione, polverizzazione) della proprietà azionaria che caratterizza il sistema capitalistico americano (così come quello inglese [9]). La sostanziale assenza di azionisti di riferimento, nello specifico, fa sì che i soci non siano «in grado di esercitare praticamente alcun controllo sui conferimenti che essi stessi o i loro predecessori hanno dato all’impresa» [10]. Conseguenza di ciò è l’affermazione della c.d. “separazione della proprietà dal controllo” [11]. L’“apatia razionale” dei soci, pertanto, ha generato «una nuova forma di assolutismo, ed ha relegato i proprietari nella posizione di coloro che forniscono i mezzi che a loro volta rendono possibile ai nuovi despoti di esercitare i loro poteri» [12] (c.d. modello del «controllo di amministrazione [13]». In tali termini si spiega la detta separazione fra proprietà e controllo: pur essendo formalmente gli azionisti i proprietari della società, costoro non esercitano sostanzialmente alcuna delle prerogative connesse a tale status. «La ricchezza finanziaria», quindi, «viene detenuta dagli azionisti come una forma di investimento passivo, e tutto il controllo dell’impresa» – ove con tale espressione si vuole intendere il potere di assumere le decisioni strategiche di maggiore rilievo – «è in mano agli amministratori» [14]. Nelle corporation statunitensi ed inglesi [15], quindi, come risaputo, è proprio nel rapporto fra soci ed amministratori che si producono i più rilevanti problemi di agency [16] (managerial agency problem [17]), sì che sarà soprattutto rispetto a queste problematiche relazioni che il diritto societario avrà il compito di ridurre tali “costi”. Gli independent director rappresentano proprio una figura “creata” al fine di rispondere a queste esigenze: per mezzo degli stessi si vuole garantire il [continua ..]


3. La disciplina degli amministratori indipendenti nell’ordinamento italiano: un quadro di insieme.

L’ordinamento giuridico italiano prevede in via cogente la presenza in seno all’organo amministrativo di consiglieri indipendenti [33] (in caso di adozione del sistema tradizionale o dualistico di amministrazione e controllo [34]) solo con riguardo alle società per azioni quotate [35]. Per quanto riguarda la nomina di tali amministratori deve, innanzi tutto, rilevarsi che uno degli aspetti sui quali maggiormente si è soffermata la critica della dottrina riguarda il principio normativo per il quale sono direttamente i soci ad eleggere sia i controllori che i controllati [36]. Nella competenza assembleare in relazione alla nomina, pertanto, si individua il primo grave “vizio originario” dell’organo di controllo [37]. Tali osservazioni – effettuate, in passato, in relazione al collegio sindacale – possono essere parimenti riproposte per gli amministratori indipendenti che, come i sindaci (con i quali condividono, pur se da un punto di vista essenzialmente differente, il ruolo di riduttori dei costi di agency) nascono macchiati da questo “peccato originale” [38]. Per quanto, poi, riguarda i requisiti di indipendenza [39], il legislatore si limita ad operare un “timido” [40] rimando a quanto previsto in relazione al collegio sindacale (e, dunque, alla disciplina di cui all’art. 148, 3° comma, t.u.f. [41], così come a quanto eventualmente stabilito da codici di comportamento [42]. Una disciplina specifica per gli amministratori indipendenti è stata, invece, espressamente prevista dal codice redatto dal Comitato per la Corporate Governance di Borsa Italiana s.p.a. [43] La normativa autoregolamentare prevede – anche nella sua ultima versione del 2011 con la tipica genericità che contraddistingue questo tipo di fonti [44] – che il consiglio di amministrazione debba essere formato da un numero “adeguato” di indipendenti. Costoro sono ritenuti tali nel caso in cui manchino relazioni (attuali o recenti) con l’emittente (o con soggetti legati a questa) idonee a condizionare attualmente l’autonomia di giudizio [45]. È previsto, inoltre, un elenco delle circostanze che, se presenti, dovrebbero generalmente portare a ritenere un amministratore non indipendente, fermo restando che tali ipotesi non possono considerarsi tassative [46].


4. Gli amminstratori indipendenti nel regolamento Consob sulle operazioni con parti correlate.

Di particolare interesse rispetto alle finalità della presente indagine risulta essere, in fine, la presa in esame delle disposizioni del “nuovo” regolamento in materia di operazioni con parti correlate emanato dalla Consob dopo una gestazione particolarmente lunga e travagliata (che sembra non volersi definitivamente concludere [47]). Tale disciplina, infatti, prevede un ruolo “parzialmente esecutivo” per gli amministratori indipendenti, per i quali si stabilisce, fra l’altro, il necessario coinvolgimento anche nella fase istruttoria e delle trattative. Questa normativa risulta di essenziale importanza non solo in ragione di quanto espressamente previsto, ma anche per gli spunti ed i suggerimenti che, più o meno direttamente, fornisce all’interprete in relazione alla generale indagine riguardante il ruolo che può essere svolto dagli indipendenti nel consiglio di amministrazione. Le operazioni con parti correlate – definibili generalmente come quelle le cui controparti sono «legate da qualche rapporto con la “parte” società, in persona di un esponente di essa» – necessitano di una particolare regolamentazione in quanto risultano per loro natura, altamente “pericolose”: esse infatti «configurano una delle forme più tipiche e significative con cui può manifestarsi (…) il conflitto di interesse fra i soggetti che detengono la proprietà delle azioni (tutti gli azionisti) ed i soggetti che esercitano il controllo (i manager e/o alcuni azionisti rilevanti)» [48]. Gli “strumenti” che possono essere utilizzati al fine di disciplinare tali operazioni sono svariati [49]. Al contrario di quanto avviene negli ordinamenti anglosassoni [50], gli obblighi pubblicitari previsti nei Paesi dell’Europa continentale sono abbastanza ridotti [51], ed il filtro (che dovrebbe operare a favore) delle operazioni vantaggiose (per la società) si svolge sostanzialmente a livello endosocietario. In tale contesto la valorizzazione del ruolo degli amministratori indipendenti appare non solo opportuna, ma del tutto auspicabile [52]: costoro, infatti, sono (rectius: dovrebbero essere) dotati non solo dell’autonomia di giudizio indispensabile per poter valutare l’effettiva convenienza dell’operazione per (tutti) i soci ma, altresì, della sensibilità [continua ..]


5. Amministratori indipendenti ed incarichi esecutivi: incompatibilità assoluta?

Tanto rilevato, è possibile, a questo punto, interrogarsi definitivamente in merito all’oggetto centrale della presente indagine, e cioè riguardo all’effettiva condivisibilità dell’assunto secondo il quale nel nostro ordinamento sussisterebbe una sostanziale incompatibilità fra l’indipendenza di un amministratore e l’affidamento a questi di incarichi esecutivi. In relazione a tale problematica si deve innanzi tutto ricordare che la breve analisi della “genesi” della categoria degli amministratori indipendenti effettuata in precedenza ha consentito, in primis, di verificare che il ruolo svolto nelle corporation anglo-americane dagli executive director ha come logica conseguenza l’affermazione di una figura di independent che, per effettuare l’opera di “controbilanciamento” del potere degli executive al quale è chiamato, non deve essere in alcun modo coinvolto nelle dinamiche gestionali. La nozione di indipendenza da adottare nell’ordinamento italiano è sostanzialmente differente da quella appena descritta, essendo in tal caso i costi di agency più rilevanti da collocare nel rapporto fra soci di maggioranza e di minoranza (e non in quelli fra soci ed amministratori). Se tanto è vero, l’eventuale affidamento di incarichi esecutivi sembrerebbe essere, nel nostro ordinamento, astrattamente compatibile con l’indipendenza degli amministratori: lo svolgimento di un’attività operativa, infatti, non potrebbe portare, di per sé, ad un’alterazione di quella (particolare) autonomia di giudizio che a costoro si richiede [64]. Su aspetti differenti, in altre parole, si gioca la partita dell’indipendenza degli amministratori in Italia. È necessario, d’altra parte, rilevare che gli indipendenti sono pur sempre ordinari consiglieri di amministrazione e in quanto tali risultano dotati di tutte le prerogative e dei doveri tipici di questo ufficio. Alle competenze più propriamente amministrative si sommano, tuttavia, quelle relative al monitoraggio dell’attività degli esecutivi, sì che nel bilanciamento fra tali diverse “anime” deve rintracciarsi un equilibrio proporzionato idoneo a garantire un’armonica fusione fra le due funzioni [65]. Deve, inoltre, altresì considerarsi che al contrario di quanto avviene nei Paesi anglosassoni [continua ..]


6. Segue. Partecipazione al comitato esecutivo, deleghe amministrative, presidenza del c.d.a.

Una volta enunciati i principi di cui sopra in termini generali, appare opportuno verificare in che modo gli stessi si potrebbero atteggiare applicandoli, innanzi tutto, alle fattispecie tipiche di delega amministrativa. Il riferimento è alle due ipotesi di cui all’art. 2381, 2° comma, c.c.: l’amministrazione delegata e i comitati esecutivi. La differenza fra i due organi è riassumibile, come noto, nel fatto che mentre il comitato esecutivo è organo pluripersonale “dominato” dal principio collegiale, l’amministratore delegato è organo unipersonale (pur essendo certamente ipotizzabile la presenza in capo alla stessa società di più a.d.) del tutto svincolato dal suddetto principio [70]. Tanto premesso, l’eventuale partecipazione degli amministratori indipendenti al comitato esecutivo non presenta particolari profili di criticità, ma sembrerebbe essere, all’opposto, auspicabile. In sostanza, se si vuole attribuire un significato alla presenza degli indipendenti negli organi amministrativi sembrerebbe necessario riconoscere a costoro il “passaporto” per l’ingresso negli organi collegiali esecutivi [71]. Tale soluzione risulta, fra l’altro, condivisa dal codice di autodisciplina di Borsa Italiana s.p.a., il quale – anche nell’ultima versione del dicembre 2011 – fra i commenti di cui all’art. 3, sancisce la compatibilità fra l’indipendenza di un amministratore e la partecipazione al comitato esecutivo nei limiti in cui ciò non comporti un coinvolgimento sistematico nella gestione corrente o determini un notevole incremento del compenso rispetto a quello degli altri amministratori non esecutivi [72]. Il discorso diviene più complesso, tuttavia, nel momento in cui si valuta la compatibilità dello status di indipendente con quello di amministratore delegato della compagine sociale: tale ultimo istituto, difatti, comporta una personalizzazione dell’attività esecutiva in conseguenza della quale l’amministratore non è più chiamato a collaborare alla formazione della deliberazione collegiale, ma agisce uti singulus. In questa ipotesi, pertanto, si potrebbe certamente realizzare – in astratto – uno squilibrio fra le funzioni dell’amministratore indipendente a decisivo discapito di quella passiva la quale, come evidenziato in [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2012