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Sensibilità comuni, uso della comparazione e convergenze interpretative: per una Methodenlehre unitaria nella riflessione europea sul diritto dei gruppi di società
Vincenzo Cariello
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Sommario:
1. Le tesi oggetto di dimostrazione. - 2. Permanente importanza (sebbene non più centralità esclusiva) del diritto tedesco dei gruppi. - 3. Sostanziale ripiegamento della prospettiva di armonizzazione del diritto generale dei gruppi. - 4. Uso interpretativo del diritto comparato e convergenze spontanee dei diritti nazionali dei gruppi. - 5. Uso interpretativo del diritto comparato e dogmatica giuridica (cenni). - 6. Disciplina dell’attività di direzione e coordinamento tra specialità e generalità. - 7. Principi di corrretta gestione societaria e imprenditoriale. - 8. Interesse di gruppo. - 9. Segue. Interesse di gruppo e crisi nel gruppo (cenni). - 10. Segue. Interesse di gruppo e tecnica dei vantaggi compensativi. - 11. Tre proficue prospettive di uso interpretativo del diritto comparato dei gruppi. - 12. Segue. Diritto tedesco. - 13. Segue. Diritto francese. - 14. Segue. Diritto angloamericano. - 15. Alcune “assonanze” nel diritto italiano. - 16. Conclusione (con una postilla sulla necessaria libertà di pensiero del chierico della scienza) - NOTE
1. Le tesi oggetto di dimostrazione.
Mi propongo di dimostrare che: (i) nei tempi correnti, il diritto generale dei gruppi è uno dei settori del diritto societario nei quali più fecondo si può rivelare il c.d. uso interpretativo del diritto comparato; (ii) l’uso interpretativo del diritto comparato può funzionare come strumento per promuovere, confermare e/o rafforzare una convergenza delle esperienze nazionali nella materia, vera alternativa alle ormai depotenziate, al di là di contrari proclami e attestazioni, istanze di effettiva armonizzazione generale; (iii) esistono concreti ed eclatanti esempi di una già avvenuta ovvero in atto convergenza dei diritti giurisprudenziali idonea a spianare la strada a un consapevole e non occultato uso intepretativo del diritto comparato dei gruppi.
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2. Permanente importanza (sebbene non più centralità esclusiva) del diritto tedesco dei gruppi.
Nel diritto dei gruppi – la citazione è tratta dal Forum Europaeum sui gruppi di società del 1998 1 –, l’esame del proprio ombelico, come avviene in molti stati dell’UE da parte di alcuni dei (là considerati) principali giuristi, è cosa del XX secolo; in passato, quando vigeva il diritto comune in Europa, si era già molto più avanti 2. Che il diritto dei gruppi di società sia, per usare le parole di K. Hopt 3, uno dei (sei) temi principali del diritto comparato delle società è affermazione non difficilmente verificabile. Cosa si debba comparare, come fare uso della comparazione e dove essa conduca, viceversa, è interrogativo ricco d’implicazioni, di vario genere: di politica del diritto, metodologiche, interpretative, applicative. Da più parti si osserva che il ruolo dell’esperienza tedesca non deve essere più sopravvalutato. Sempre K. Hopt ha scritto, sono solo 3 anni fa, che il diritto tedesco dei gruppi di società «non è più un articolo da esportazione» 4. Oggi, nella stessa Germania, è difficilmente contestabile l’impietosa sentenza emessa da Karsten Schmidt 5: l’edificio di un diritto del gruppo di imprese non è rintracciabile nel diritto azionario. M. Lutter parlava di «diritto dei gruppi incompiuto» 6. Non è identificabile un progetto di [continua ..]
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3. Sostanziale ripiegamento della prospettiva di armonizzazione del diritto generale dei gruppi.
Un secondo dato, sempre di partenza, appare agevolmente accertabile: la diffusa, progressivamente emergente convinzione, a prescindere e nonostante affermazioni di segno opposto, della non fattibilità, futura, di una Vollharmonisierung del diritto dei gruppi 7. Pure, e ancora prima, non è difficile constatare 8 che, per il passato e il presente, lo stesso diritto dei gruppi risulta essere una delle aree non armonizzate del diritto societario europeo 9. La tendenza di politica del diritto pare essere quella di superare l’assenza di armonizzazione generale del diritto dei gruppi tramite l’affermazione di una armonizzazione di principi 10. Tendenza che però, a sua volta, s’imbatte in ostacoli e oppositori in particolare in Germania, anche a livello politico: basta leggersi la netta presa di posizione contraria alle proposte contenute nel Green Paper del 5 aprile 2011 espressa dal Deutsche Bundestag nella seduta del 6 luglio 2011. Che quando l’armonizzazione tocca la materia dei gruppi diventi difficile partire da esigenze ampiamente condivise in materia appunto di armonizzazione legislativa – si badi, non di soluzioni convergenti – lo dimostrano, solo per fare un ulteriore esempio, le risposte offerte al documento di consultazione dell’EC Internal Market and Services sulla creazione di un framework europeo della gestione delle crisi, in relazione alla parte del documento concernente i [continua ..]
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4. Uso interpretativo del diritto comparato e convergenze spontanee dei diritti nazionali dei gruppi.
In questo scenario assai sinteticamente rappresentato delle tendenze regolative del fenomeno, il diritto europeo dei gruppi di società si continua a porre (anche) attualmente domande epocali. Riprendendo il titolo di un recentissimo saggio 14, ci si deve interrogare di nuovo su quali siano le questioni future della ricerca e riflessione sul diritto dei gruppi. La tesi centrale che oggi vorrei perorare è così ancora meglio precisabile: il progresso delle idee e delle soluzioni in materia di diritto dei gruppi può avvenire prevalentemente rivitalizzando e rinvigorendo, sul piano metodologico, il c.d. uso interpretativo del diritto comparato. Anche per il diritto generale dei gruppi, in prospettiva, pare davvero che alla scelta dell’armonizzazione sovranazionale vada nei fatti sostituendosi e possa essere sostituita la convergenza dei diritti nazionali, nella tensione anche delle diverse fonti di produzione, essenzialmente tramite la c.d. circolazione diretta delle idee giuridiche 15. È percepibile e isolabile una tendenza sempre più sviluppata a elaborare, anche nel diritto dei gruppi, degli Universalwerkzeuge che garantiscano applicazioni di soluzioni uniformi per macro problemi generali. In questa direzione, l’uso interpretativo del diritto comparato, al di là della sua teorizzazione, può essere praticato e produrre effetti di soluzioni convergenti ma pure di soluzioni divergenti 16, [continua ..]
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5. Uso interpretativo del diritto comparato e dogmatica giuridica (cenni).
Emerge già distintamente che l’uso interpretativo del diritto comparato è, in definitiva, anche l’espressione di una ben definita istanza metodologica 36. Con un’avvertenza che potrebbe sembrare esuli dalla presente riflessione ma che, al contrario, funziona come ulteriore premessa a essa: non vi è contrapposizione netta tra metodologia giuridica e dogmatica. Come si è anche di recente precisato da parte dei teorici del diritto, «la dogmatica giuridica è strutturalmente prossima alla metodologia giuridica» 37, sebbene propriamente debba restarne distinta con riferimento alla dipendenza rispetto alla c.d. semantica della legge. A chi poi il dogmatismo invocherebbe per formulare una critica di astrattismo e inconcludenza allo studioso che ne sarebbe reo, consiglierei, oltre che la lettura di un recentissimo volume pubblicato in Germania 38, di scorrere l’Editoriale, a firma di Ulrich Noack, sul fascicolo n. 8 (agosto) del 2011 di Der Konzern. Rispondendo a Carsten Peter Claussen, il quale ebbe a dire che egli milita a favore del diritto e contro la dogmatica, Noack si limita a osservare che anche attraverso la dogmatica il diritto «si sviluppa». La riflessione sulla dogmatica si diversifica, nel segno però, come l’ha definita di recente il civilista tedesco Rolf Stürner, non solo di una sua apertura e rivisitazione ma pure di una difesa della sua [continua ..]
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6. Disciplina dell’attività di direzione e coordinamento tra specialità e generalità.
Le necessarie premesse di metodo mi permettono ora di entrare nel cuore della trattazione odierna. Lo faccio assumendo un dato che pare scontato ma che forse non lo è davvero sul piano (appunto) metodologico: (pure) nel diritto dei gruppi, le regole di sanzione 40 sono la reazione alla violazione di regole di azione, di organizzazione e di procedimento 41; nel contempo, soprattutto nell’approccio della giurisprudenza (e, in qualche modo, altrimenti non potrebbe essere), queste ultime vengono isolate, formulate, delineate ed enunciate, per lo più in via incidentale, essenzialmente in sede di fissazione delle regole di sanzione. L’elaborazione di questi insiemi di regole è costantemente attraversata e segnata, anzitutto, dal tema del loro reale tasso di deroga alla disciplina delle società non raggruppate. Su tale profilo dell’indagine non mi tratterrò. Non posso sorvolare su esso, tuttavia, senza almeno avere osservato che, nella nostra esperienza, ciò che deve essere forse ripensato è il tema della (reale o presunta) c.d. specialità della disciplina degli artt. 2497 ss. e del conseguente tasso di (reale o presunta) deroga alle c.d. disposizioni generali da intendersi come quelle disciplinanti analoghe questioni di società non coinvolte da direzione e coordinamento. Ciò non si può fare oggi, però, senza prima affrontare il tema più generale della tenuta [continua ..]
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7. Principi di corrretta gestione societaria e imprenditoriale.
In secondo luogo, l’elaborazione delle regole soprattutto di responsabilità, ma pure di azione, di organizzazione e di procedimento, nel e del gruppo, risulta altrettanto costantemente orientata verso l’identificazione dei principi di corretta gestione societaria imprenditoriale e la definizione della loro natura di principi o di clausole generale 49, anche secondo differenti declinazioni 50. Ritengo che occorra però essere pienamente consapevoli che le questioni ricostruttive e interpretative poste dal riferimento ai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale sono lungi dall’esaurirsi in quella, pur importante, della loro identificazione e tipizzazione; fermo restando che, credo, essi operino in modo diverso a seconda non solo della posizione organizzativa e finanziaria (soprattutto, ma non solo) della diretta, ma pure della “qualità” e del “tipo” dell’attività di direzione e coordinamento esercitata; e altrettanto fermo restando, ovviamente, che la scelta di affidarsi a “principi” incide sulla capacità di enforcement della previsione normativa 51. Mi sembra, ad esempio, che debba guadagnare progressiva centralità (anche) l’interrogativo relativo alla derogabilità di tali principi ovvero di obblighi di condotta e azione desunti da (e in applicazione di) questi principi; come pure quello concernente la portata applicativa [continua ..]
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8. Interesse di gruppo.
Si assume che, nell’ambito del diritto dei gruppi, l’interesse di gruppo sia (in qualche modo) derogatorio delle regole generali (in particolare) di azione, di organizzazione e di sanzione. Invero, l’interesse di gruppo costituisce, da sempre, uno dei poli di attrazione resistenti del residuale tentativo di armonizzazione; o, preferibilmente, al di fuori di questo, oggetto di una raccomandazione di riconoscimento. Ma sull’interesse di gruppo, oggi come da sempre, non vi è affatto una soddisfacente coesione interpretativa nell’ambito delle differenti esperienze; più precisamente, proprio sulle sue accezioni e rilevanze, oltre che nella sussistenza di sue sicure basi dispositive di riconoscimento. Ponendo attenzione, ad esempio, alla nostra esperienza, mi risulta spontaneo evocare, tra altre, la recisa, e da non sottovalutare, recente statuizione (a livello di obiter) contenuta in una decisione dei giudici milanesi 52, secondo la quale l’interesse di gruppo non assurge nell’art. 2497 c.c. a requisito di liceità dell’attività di direzione e coordinamento, attesa anche «l’estrema difficoltà di individuare l’interesse di gruppo». In questa prospettiva, l’interesse di gruppo appare defilato, potendo la società che dirige e coordina agire anche nell’interesse proprio o altrui (e non di gruppo), purché l’operazione – si precisa [continua ..]
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9. Segue. Interesse di gruppo e crisi nel gruppo (cenni).
Su un piano sempre di direttive generali dell’indagine, occorre condurre aggiuntivi e continui approfondimenti sulla dimensione operativa del perseguimento dell’interesse di gruppo in presenza di crisi isolate di imprese del gruppo ovvero di crisi propagate a più imprese di gruppo. In questo senso, il salto qualitativo dell’indagine – v. anche dopo – può essere propiziato da un ulteriore intensificarsi della riflessione sui doveri di direzione unitaria dell’impresa “in zona d’insolvenza” ovvero già entrata in stato di insolvenza in connessione con la possibile, se non doverosa riqualificazione degli scenari di perseguimento dell’interesse di gruppo in presenza di singole componenti imprenditoriali interessate da crisi prossime o già sfociate in trattamenti concorsuali. Come non pensare, in questa prospettiva di riflessione, ai sempre più diffusi inviti a ri-definire lo status dei doveri degli organi di società prossima all’insolvenza, sovraindebitata o insolvente? Si rammenti, in particolare, come, in tale contesto, in Europa, da parte di taluni 72, la stessa business judgment rule risulti essere intesa, ma non senza contrasti, trasfigurarsi nella insolvency judgment rule, relativamente all’adozione di decisioni imprenditoriali in fase di già attivata procedura d’insolvenza. Con chiare assonanze – come appureremo – con [continua ..]
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10. Segue. Interesse di gruppo e tecnica dei vantaggi compensativi.
L’interesse di gruppo presiede, in particolare, al funzionamento del meccanismo compensativo, nella sua duplice portata di criterio di organizzazione delle regole di azione e procedimentali (o, per chi preferisca fondere le due prospettive, delle regole procedimentali di azione) nel gruppo e di criterio di determinazione dell’esistenza o meno di una responsabilità di e nel gruppo. Molte riflessioni si potrebbero svolgere, anche di segno critico, su tale meccanismo o, piuttosto, sulle sue propagandate, e a volte distorte, prassi applicative. La mia convinzione – tutt’altro che scontata, attesi appunto alcuni riscontri teorici e pratici che accompagnano l’uso della tecnica – è che l’invocazione e l’impiego del meccanismo compensativo, ancora una volta in Italia ma anche in altre esperienze, deve essere conforme ai e supportato dai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale del e nel gruppo: nel senso che un impiego del meccanismo compensativo in contrasto con questi principi renderà lo stesso meccanismo inidoneo alla produzione di effetti esonerativi della responsabilità, ma, anzi, potendo funzionare da fattore di aggravamento di questa responsabilità. In questo senso, sono convinto, ad esempio, che il meccanismo compensativo non possa operare in situazioni di forte tensione finanziaria e patrimoniale, di crisi o di prossimità all’insolvenza dell’impresa [continua ..]
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11. Tre proficue prospettive di uso interpretativo del diritto comparato dei gruppi.
Se tentiamo a questo punto di meglio articolare scenari e prospettive, in particolare giurisprudenziali, nei quali l’uso interpretativo del diritto comparato dei gruppi si presenta più propizio, non avremmo soverchie difficoltà ad appurare che, in questi scenari e contesti, forse del tutto evidentemente e inevitabilmente, le riflessioni sulle regole di organizzazione, di azione, di procedimento, quando esistenti, sono – come già anticipato – il portato di precorsi argomentativi o statuizioni elaborate in sede di determinazione di regole di sanzioni: in particolare, di quelle regole che permettono talvolta di superare il principio, di portata generale, per cui la società “madre” non risponde, se non volontariamente, delle obbligazioni incombenti sulla “figlia” verso terzi con i quali la stessa “figlia” abbia instaurato contatti giuridicamente rilevanti. La giurisprudenza europea, nei principali paesi dove la riflessione sui gruppi appare più affinata (Germania, Svizzera, Francia; Gran Bretagna; in modo non irrilevante anche in Olanda, Spagna e Portogallo), ha elaborato senza dubbio tecniche di tutela che, a prescindere dalla loro derivazione da soluzioni legali specifiche in materia di gruppi, hanno rappresentato e rappresentano il retroterra di istanze di “convergenze senza armonizzazioni” anche assai di recente rappresentate. Rispetto a molti di questi percorsi [continua ..]
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12. Segue. Diritto tedesco.
Guardando a questi tre percorsi nei quali l’uso interpretativo del diritto comparato si presenta, almeno nelle premesse, proficuo, e iniziando dalla Germania, l’attenzione del comparatista è attirata: (a) dalla condivisibile resistenza a riconoscere la responsabilità da affidamento nella capogruppo derivante da semplice rappresentazione dell’appartenenza al gruppo 86, in linea, a ben vedere (sebbene talvolta si trovi affermato il contrario), con la costante giurisprudenza svizzera. Giurisprudenza elvetica che esclude la responsabilità da affidamento nella capogruppo per indicazioni di carattere generale in merito all’esistenza di una relazione di gruppo, nel contempo attestando la meritevolezza di protezione di quella fiducia che derivi da un comportamento della società madre suscettibile di evocare aspettative sufficientemente concrete e determinate 87; (b) dall’affermazione di una tendenziale, ma non assoluta, discrezionalità della capogruppo a procedere a scelte di ristrutturazione del gruppo 88; come pure dall’attestazione dell’assenza di un obbligo della capogruppo di salvataggio e dalla tenuta dell’alternativa “Sanieren oder Ausscheiden” 89. In questo senso, bisogna approfondire i margini che si aprono alla lettura “liberalizzante” di decisioni del Bundesgerichtshof tedesco in tema, appunto, di non necessaria correlazione tra obblighi [continua ..]
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13. Segue. Diritto francese.
Alcune delle superiori tendenze interpretative della giurisprudenza tedesca riecheggiano in decisioni dei giudici francesi. Penso soprattutto alle statuizioni secondo cui: (a) l’autonomia della società non può essere alterata, e la responsabilità della “madre” affermata, sulla base dell’uso (del semplice uso) dello stesso logo da parte di “madre” e/o “figlia” o in forza di dichiarazioni sulla stampa relative alle pratiche di gruppo da parte della “madre” 102; (b) la “madre” non può essere impegnata contrattualmente dalla “figlia” senza il suo consenso 103; (c) non costituisce abuso di beni sociali la messa a disposizione della “madre” da parte della “figlia” di un avanzo di tesoreria, se l’atto si iscrive in una logica economica di gruppo e non è provato che il movimento di tesoreria abbia fatto correre alla “figlia” dei rischi importanti senza contropartita sufficiente, non proporzionati alle sue possibilità reali, permettendo di prevenire difficoltà gravi per l’avvenire 104 (evidente la pertinenza della statuizione anche ai margini di funzionamento del meccanismo compensativo); (d) è assente un obbligo della “madre” di finanziare la “figlia” per far fronte alle sue obbligazioni, anche ove questa presti un servizio [continua ..]
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14. Segue. Diritto angloamericano.
Le spinte che animano, nel vecchio continente, la definizione di parametri sufficientemente e ragionevolmente equilibrati idonei a funzionare, da una parte, quale tecnica d’imputazione alla “madre” di una responsabilità per obbligazioni proprie di sue “figlie” verso terzi e, dall’altra, quali criteri di orientamento per la gradazione contenutistica e per la direzione soggettiva dei doveri di azione della capogruppo e dei gestori delle “figlie” si ritrovano, con ulteriore arricchimento di sfumature, nella giurisprudenza statunitense. Paradigmatiche a mio avviso le anche recenti elaborazioni, per un verso, intese a una risistemazione della piercing corporate veil theory (“dottrina” tutt’altro che oggetto di definitiva sistemazione); per altro, focalizzate sulla definizione della destinazione soggettiva dei doveri fiduciari di socio controllante e di amministratori della controllata in caso di società “figlie” in zone of insolvency (o in twilight zone o diventate financialy troubled) e sull’eventuale autonoma identificazione di una fattispecie di responsabilità for deepening insolvency. Parto dalla rivisitazione e risistemazione della piercing corporate veil theory. La posizione nettamente prevalente nella giurisprudenza USA, ancora oggi 113, è di conservare l’integrità della separate entity doctrine a meno che la holding domini la [continua ..]
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15. Alcune “assonanze” nel diritto italiano.
Se adesso si volge lo sguardo, in via conclusiva, al diritto italiano, e sempre nella prospettiva metodologica dell’uso interpretativo del diritto comparato, mi pare del tutto spontaneo pensare ad alcuni dei superiori scenari quando ci si trova a leggere, in particolare, quanto talvolta statuito dalla giurisprudenza del nostro paese. Nel dettaglio, penso, tra l’altro: (i) all’affermazione secondo cui «non esiste un obbligo di assistenza finanziaria, a maggior ragione se incondizionato, isolabile in capo alla società che esercita attività di direzione e coordinamento in quanto tale, anche laddove si acceda ad una accezione più ampia di responsabilità …, come riferibile alla assunzione di scelte strategiche “di gruppo” direttamente condizionanti (in negativo) le prospettive operative» della diretta 158; come all’affermazione per la quale è assente un obbligo di legge della capogruppo di rispondere delle obbligazione delle “figlie” 159; (ii) alle pronunce 160 che non impongono alla “madre” di mettere in condizioni la “figlia”, finanziandola direttamente o con sottoscrizione di aumento di capitale o altrimenti, la quale non fosse in grado di farlo da sé, di sfruttare un’occasione di affari che può essere sfruttata dalla stessa “madre” 161. In altre parole, gli attori non potrebbero addurre che il [continua ..]
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16. Conclusione (con una postilla sulla necessaria libertà di pensiero del chierico della scienza)
Spero di avere gettato dei ponti per unire o di avere dimostrato che esistono ponti che già uniscono i diritti dei gruppi, al di là della e a prescindere dall’armonizzazione. Nel farlo, confido di essere rimasto fedele all’insegnamento metodologico, per me insuperato, di Gino Gorla: «la comparazione…è un processo quasi circolare di conoscenza che va dall’uno all’altro termine, e dall’altro ritorna sull’uno e così via; e arricchisce in tal modo sempre più la conoscenza dell’uno e dell’altro …» 165. Con una postilla apparentemente fuori tema. È necessario che nei confusi tempi correnti lo studioso, il chierico della scienza, si ponga e ponga con forza il tema della sua “libertà di pensiero e di servizio” nei confronti della politica, anche di quella dei cc.dd. tecnici. Soprattutto oggi, dove, riprendendo un passo di un sempre più attuale (e profetico) saggio di Luigi Einaudi del 1938, «c’è un balbettio, ci sono parole sconnesse, si odono mozioni d’affetto. Manca il ragionamento» 166. Anche oggi, invece, vi sono tracce diffuse, secondo forme diverse e ancora più preoccupanti rispetto al passato, di quello che il filosofo francese Julien Benda – era il 1927 – definiva il tradimento dei chierici della scienza 167. Credo che le condizioni per manifestare e difendere [continua ..]
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NOTE