Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Verso uno statuto dei diritti dei soci di società in crisi (di Lorenzo Stanghellini)


È ormai acclarato che, in presenza di determinate condizioni, la forma societaria si rivela utile per la migliore soluzione della crisi. Essa consente infatti di attribuire ai creditori pretese verso la società, resa nuovamente solvibile all’esito di una ristrutturazione finanziaria che sostituisce la liquidazione del patrimonio. Questa nuova strada impone di ripensare i diritti dei soci di una società in crisi. Alcuni di tali diritti, quale quello di veto sull’emissione di nuove partecipazioni, devono essere demoliti, altri devono invece essere individuati, soprattutto in un contesto generale che sempre più spinge ad anticipare il momento di emersione della crisi e dunque rende meno netta la distinzione fra società in crisi e società in bonis. Il risultato è che, anche sulla scorta della Direttiva 1023/2019, si è passati, per i soci di società in crisi, da un diritto astratto al plusvalore latente (e spesso inesistente) a una pretesa su un ben più concreto surplus da ristrutturazione. Il rinnovato ruolo dei soci nella ristrutturazione presuppone la ricostruzione di un quadro adeguato di diritti informativi e partecipativi, che dovrebbero avere diversa intensità a seconda di quanto è grave la crisi e di quale strumento è utilizzato per gestirla.

Towards a charter of shareholders’rights of distressed companies

There is an increasing awareness, both in Italy and in Europe, that the corporate form may be exploited to overcome the financial distress of a company more effectively. When the debtor has such form, its financial restructuring restores viability, without going through a liquidation of the estate, and allows to assign to creditors interests in, and/or claims towards, what has become a sound company. However, the impact of corporate reorganizations on shareholders entails a comprehensive reconsideration of their rights. In particular, certain rights, as the traditional veto power over the issuance of new shares, needs to be dismantled, while new rights must be awarded to shareholders, also considering, from a more general perspective, that the increasing pressure towards early addressing financial distress, as a by-product, blurs the distinction between solvent and distressed companies. It comes to light, taking also into consideration the Directive 1023/2019, that shareholders of distressed companies are, indeed, entitled with a (non-enforceable) expectation on the restructuring surplus, rather than a right to a (rarely existent) excess in the counterfactual scenario of a liquidation of the estate. It is therefore necessary to define a charter of the shareholders’rights of distressed companies, including information, procedural, and economic rights, that adjust according to the harshness of the distress and the tool chosen to tackle it.

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SOMMARIO:

1. Informazione e diritti dei soci di società in crisi: un capitolo da scrivere - 2. Una certezza ormai acquisita: l’utilizzabilità della forma societaria per gestire la crisi - 3. Dalla pars destruens alla pars construens - 4. Segue: l’incidenza del contesto di anticipazione dell’emersione della crisi - 5. Dal diritto al plusvalore latente alla pretesa sul surplus da ristrutturazione? - 6. I diritti dei soci nelle società in crisi ma ancora in bonis - 7. I diritti dei soci nelle società in ristrutturazione - 8. I diritti dei soci nelle società insolventi - 9. Il vuoto del Codice della crisi e dell’insolvenza in materia di diritti dei soci - 10. Nota bibliografica


1. Informazione e diritti dei soci di società in crisi: un capitolo da scrivere

Il nostro ordinamento sembra dare scarso rilievo all’informazione verso i soci in relazione alla crisi della società. Le norme che, in modo specifico, disciplinano il tema dell’informativa da dare ai soci in situazioni di contingenze sfavorevoli si riducono all’obbligo di convocare senza indugio l’assemblea in caso di perdite patrimoniali rilevanti (artt. 2446 e 2482-bis c.c.). Nessuno specifico obbligo di anticipare l’annuale informativa di bilancio è previsto in relazione a situazioni di tensione finanziaria o al rischio di insolvenza, che pure sono suscettibili di indurre la perdita della continuità aziendale più rapidamente delle semplici perdite patrimoniali. La mancanza – se di mancanza si tratta – appare particolarmente significativa in relazione a società con capitale esiguo o nullo, come le s.r.l., per le quali è difficile pensare a una perdita che sia significativa ma non già grave. Su questo torneremo al termine del lavoro. Il quadro è ancora più oscuro se dai diritti all’informazione si passa ai diritti che i soci vantano nella crisi della società, sia dal punto di vista della partecipazione al procedimento con cui la crisi viene gestita (strumento stragiudiziale o procedura concorsuale), sia dal punto di vista delle aspettative patrimoniali che i soci possono vantare al suo esito. È vero che il sistema, dal punto di vista dell’informazione e del procedimento, si completa attraverso i doveri degli amministratori (SCIUTO; ABRIANI [2] per la prospettiva del gruppo di società): anche tali doveri, peraltro, devono essere meglio definiti. Più in generale, inoltre, si avverte l’esigenza di una ricognizione delle varie fonti (norme espresse e principi, norme nazionali ed europee) che consenta di definire quali siano i diritti dei soci, anche alla luce delle molte novità arrecate dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, di seguito “CCI”), che su questo specifico punto, tuttavia, tace (infra, par. 9). È ciò che qui cercheremo di fare, percorrendo vari passaggi: 1) la verifica del fatto che, in presenza di determinate condizioni (da individuare con precisione), la forma societaria si rivela utile per la migliore soluzione della crisi, consentendo che, mediante una ristrutturazione finanziaria [continua ..]


2. Una certezza ormai acquisita: l’utilizzabilità della forma societaria per gestire la crisi

È un dato ormai acquisito che la forma societaria consente di gestire la crisi non soltanto con la tradizionale modalità della liquidazione del patrimonio (e successiva ripartizione del ricavato), ma anche mediante la riorganizzazione della struttura finanziaria della società, con conseguente riallocazione dei diritti sul suo patrimonio. Per effetto di una ristrutturazione finanziaria, il patrimonio resta nella titolarità dello stesso soggetto (la società), mentre sono i diritti sul soggetto a mutare, con una tendenziale riduzione o con un azzeramento della posizione dei soci esistenti, cui subentrano nuovi investitori o gli stessi creditori, che compensano in parte la perdita del credito con un’aspettativa di proventi futuri. Perché la ristrutturazione sia vantaggiosa anche per i creditori, dunque, occorrono precise condizioni, di cui le principali sono che la continuità conservi i valori aziendali e che tale conservazione non sia ugualmente possibile mediante una liquidazione (anche sotto forma di cessione dell’azienda in esercizio). La ristrutturazione finanziaria consente di risolvere alcune delle criticità connesse alla liquidazione (discontinuità soggettiva che fa perdere contratti e valori intrasferibili, scarsa liquidità del mercato, difficoltà di garantire agli acquirenti il valore dei beni ceduti, fuga dei dipendenti-chiave, ecc.), ma ne crea altre, perché a somme certe, da distribuire secondo una gerarchia ben conosciuta, si sostituiscono valori ipotetici. Il tema delle ristrutturazioni finanziarie è estremamente complesso e pone questioni del tutto nuove, anche in relazione al frequente utilizzo di strumenti finanziari partecipativi, con il connesso tema dell’allocazione, fra soci e possessori di strumenti finanziari, delle eventuali ulteriori perdite prodotte dalla società ristrutturata (su cui rinvio a N. ABRIANI [1], 336, e L. STANGHELLINI, 2718). Uno dei problemi più gravi, e il più interessante in questa sede, è quello dei diritti dei soci esistenti: diritti informativi, amministrativi e patrimoniali da adattare e plasmare in un contesto in cui la posizione dei soci è sì indebolita, ma nondimeno non può essere cancellata senza adeguate garanzie procedimentali. Per la verità, la novità e la complessità della ristrutturazione finanziaria sono [continua ..]


3. Dalla pars destruens alla pars construens

È tempo adesso di ricostruire. Accertato che (anche) i diritti dei soci possono essere incisi in caso di crisi della società, occorre individuare quali diritti, informativi e decisionali, essi abbiano: in poche parole, occorre provare, come detto, a costruire uno “statuto” dei diritti dei soci delle società in crisi. L’operazione non è facile, e a mio avviso può condurre solo a risultati in divenire. Il contesto in cui operiamo è infatti in rapida evoluzione. Come abbiamo visto, la conquista del campo del diritto societario è avvenuta in situazioni in cui, data la gravità dei sacrifici subiti dai creditori, la posizione “proprietaria” dei soci era anche politicamente indifendibile: quando una società propone un concordato preventivo in cui offre il 30 per cento ai suoi creditori, non è credibile affermare che possa esistere un plusvalore latente che spetta ai soci. In questo contesto, la presa del controllo della società in concordato mediante una proposta concorrente dei creditori (una sorta di “OPA ostile”), legittimata dall’art. 163 della legge fallimentare e confermata dall’art. 90 CCI (che a tutela dei soci esistenti ha abbassato fino al 20 per cento la soglia di soddisfazione dei creditori chirografari che preclude le proposte concorrenti dei creditori), non priva i soci di alcunché, dato che i presupposti in presenza dei quali tale presa di controllo è consentita (cumulativamente, perdita di capitale, crisi finanziaria, grave sacrificio per i creditori) sono tali da escludere che vi siano plusvalori latenti spettanti ai soci. Né le coordinate fondamentali del problema cambiano se invece di usare la stessa società si utilizza una società di nuova costituzione: ciò che pare decisivo, come più avanti chiarirò in dettaglio, è se vi è o no un plusvalore, non quale società viene utilizzata per la ristrutturazione. Se il caso Parmalat, in cui lo sbilancio ammontava a molte volte l’attivo, fosse stato gestito (anziché con la costituzione di una newco e con il conferimento dell’attivo a questa) con azzeramento dei soci e riemissione delle azioni ai creditori (in sostanza, con un bail-in), credo che nessuno avrebbe pianto una lacrima per i soci, mentre se un plusvalore vi fosse davvero stato, non sarebbe bastato lo stratagemma [continua ..]


4. Segue: l’incidenza del contesto di anticipazione dell’emersione della crisi

Questi interrogativi divengono sempre più attuali alla luce del massiccio sforzo che a più livelli è in corso per anticipare il momento in cui la crisi “emerge”, cioè, tecnicamente, il momento in cui viene reso manifesto che non è più possibile proseguire la gestione in modo ordinario. Evidenze empiriche qualitative e quantitative confermano la diffusa percezione che, non solo in Italia, la crisi è rilevata troppo tardi (cfr. L. STANGHELLINI, R. MOKAL, C.G. PAULUS, I. TIRADO, 5, e i dati della ricerca empirica disponibili al sito www.codire.eu). È inoltre dimostrato che una rilevazione tempestiva produce risultati migliori per i creditori, sia in termini di percentuali promesse dal debitore, sia in termini di corrispondenza fra quanto promesso e quanto effettivamente realizzato (A. DANOVI, S. GIACOMELLI, P. RIVA, G. RODANO). La spinta verso l’anticipazione del momento in cui la crisi viene affrontata è dunque ben comprensibile. Concorrono in questa direzione la normativa in materia bancaria, la normativa europea in materia di procedure c.d. “preventive” (Direttiva 1023/2019) e la normativa nazionale in materia di crisi di impresa. In concreto, l’obiettivo dell’antici­pazione dell’emersione della crisi viene perseguito mediante una serie di azioni sotto vari fronti, sommariamente così raggruppabili: 1) incremento dell’autoconsapevolezza dei gestori dell’impresa rispetto agli indicatori di crisi. In questa direzione spingono: a) l’art. 3 della Direttiva 1023/2019, che impone agli Stati membri di provvedere “affinché i debitori abbiano accesso a uno o più strumenti di allerta precoce chiari e trasparenti in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza e di segnalare al debitore la necessità di agire senza indugio”, ed elenca una serie di strumenti, fra i quali servizi di consulenza mirati che sensibilizzino il debitore sulla necessità di agire per evitare un deterioramento della situazione e lo assistano in questa direzione; b) il sistema che ruota attorno al nuovo art. 2086, comma 2, c.c., che nella sua prima parte impone all’impresa societaria (sotto la responsabilità esclusiva dei suoi amministratori, anche per le società diverse dalla s.p.a.) di dotarsi di “un assetto [continua ..]


5. Dal diritto al plusvalore latente alla pretesa sul surplus da ristrutturazione?

Quando una società fallisce (o, a seguito dell’entrata in vigore del CCI, viene assoggettata a liquidazione giudiziale) e il suo patrimonio viene liquidato non vi è luogo a doglianze circa la privazione di un plusvalore: sono i fatti a dimostrare se vi è un plusvalore o, come di solito accade, non ve n’è alcuno. Il problema ha invece ragione di porsi in tutti i casi in cui non si fa luogo alla liquidazione forzata del patrimonio o la si sostituisce con un metodo alternativo di soluzione della crisi, cioè in quei casi in cui non si ha la prova concreta di quale sia il valore. In questo contesto è legittimo il dubbio se provocare l’estinzione dei diritti dei soci sia una lesione del loro diritto di proprietà (inteso nel senso della CEDU), perché tale estinzione, come si è visto, è possibile solo se il valore economico della loro partecipazione è zero (si vedano le sentenze della CGUE sopra citate, nonché Corte Europea dei diritti dell’uomo, 10 luglio 2012, causa Grainger c. Regno Unito, pronunziata nel caso Northern Rock). Il tema dell’esistenza di un possibile plusvalore rispetto all’ammontare dei debiti, in presenza di una causa di estinzione della partecipazione, è antico. Esso è stato studiato in passato soprattutto in situazioni grigie (la ricapitalizzazione a maggioranza), nelle quali può verificarsi la cancellazione della partecipazione di uno o più soci, pur continuando la società a esistere (L. MENGONI, A. SANTONI [2], 342). Come è noto, è prevalsa la soluzione che consente la continuità aziendale, in sostanza essendosi ritenuto che il diritto del socio sia sufficientemente tutelato dal diritto d’opzione, cioè dalla possibilità di sottoscrivere l’aumento di capitale. L’esistenza di un eventuale surplus rispetto ai valori contabili, di cui il socio sarebbe privato non sottoscrivendo l’aumento, è ormai rilevato da pochi, che si limitano a dedurne la conseguenza che, in caso di riduzione del capitale a zero, anche nella s.p.a. (e non solo nella s.r.l., dove ciò è espressamente disposto dall’art. 2481-bis, comma 1, c.c.) non sarebbe consentita l’esclusione totale del diritto d’opzione (come vedremo, anche questa conclusione è stata recentemente rimessa in [continua ..]


6. I diritti dei soci nelle società in crisi ma ancora in bonis

Occorre innanzitutto occuparci di cosa accada ai soci nella situazione in cui la società è sì in crisi, ma è ancora in bonis. Ai nostri fini, definirei “in bonis” una società che non ha intrapreso alcun percorso di risanamento oppure che, pur avendolo intrapreso, non ha ancora fatto domanda di accesso a uno strumento o a una procedura di ristrutturazione, né a fortiori è stata assoggettata a una procedura di fallimento/liquidazione giudiziale. Quindi è in bonis una società che sta predisponendo un piano attestato di risanamento, non destinato a essere sottoposto al giudice (art. 67, comma 3, lett. d, l. fall., e art. 56 ss. CCI), o anche che sta preparando un accordo di ristrutturazione o un concordato preventivo, fino a che non deposita una domanda giudiziale. È dal momento del deposito di una domanda, infatti, che si produce un mutamento delle regole di gestione, a partire da quelle sul capitale sociale (art. 182-sexies l. fall. e artt. 64 e 89 CCI), e può prodursi la sospensione delle azioni esecutive e cautelari dei creditori. Questa distinzione resterà sostanzialmente valida anche con l’attuazione della Direttiva 1023/2019, che ricollega gli effetti per la società e i creditori a procedure che, sia pur in certi casi “leggere” e informali, si svolgono pur sempre sotto il controllo del giudice. Il tema della società nella c.d. twilight zone, cioè nella situazione in cui la sua sopravvivenza è a rischio, è stato studiato quasi esclusivamente sotto l’angolazione dei doveri degli amministratori e delle modificazioni che tali doveri subiscono in conseguenza della crisi. In quest’ottica, è principio consolidato nel nostro ordinamento che nella loro gestione gli amministratori di una società in crisi devono tenere in considerazione anche gli interessi dei creditori, dato che vi è la possibilità che in conseguenza delle perdite subite siano costoro, e non più i soci, a sopportare il rischio d’impresa (per tutti, A. MAZZONI, F. BRIZZI [1], C. ANGELICI, 248; per una declinazione dei doveri degli amministratori alla luce del CCI si veda A. ROSSI; per un’attenta analisi della problematica in relazione ai poteri gestori dei soci di s.r.l., cfr. P. AGSTNER [1]). In caso di gestione non conforme alla tutela [continua ..]


7. I diritti dei soci nelle società in ristrutturazione

Le regole di gestione, l’assetto di governance e gli equilibri fra soci, amministratori e creditori cambiano radicalmente allorché la società abbia fatto accesso a una procedura o a uno strumento per il risanamento (o, come vedremo più avanti essere possibile, vi sia stata trascinata da terzi). Tali strumenti possono avere i seguenti esiti attesi: a) una ristrutturazione solo con il consenso di alcuni creditori, sufficiente a ripristinare le condizioni di normale esercizio dell’impresa: tipico, nel nostro ordinamento, l’accordo di ristrutturazione (art. 182-bis fall. e artt. 57-60 CCI); b) una ristrutturazione solo con il consenso di alcuni creditori, ma in condizioni idonee a creare un vincolo per altri creditori che abbiano posizione giuridica e interessi analoghi ai consenzienti: tipico, nel nostro ordinamento, l’accordo di ristrutturazione ad efficacia estesa (art. 182-septies fall., che consente di vincolare solo i creditori finanziari, e art. 61 CCI, che consente di vincolare qualsiasi creditore) e il concordato preventivo senza classi (art. 160 l. fall. e art. 85, comma 3, lett. c, CCI); c) una ristrutturazione basata sul voto dei creditori, che consente la c.d. “ristrutturazione trasversale”, e dunque consente di vincolareanche intere classidi creditori dissenzienti: tipico, nel nostro ordinamento, il concordato preventivo con formazione di classi (art. 160 ss. l. fall. e art. 84 ss. CCI). Queste tre grandi tipologie concettuali sono presenti con chiarezza anche nella Direttiva 1023/2019, che distingue fra meri effetti protettivi della negoziazione e del­l’esecuzione del piano, che spettano in ogni caso (artt. 6-7, artt. 17-18), effetti di vincolo per creditori della stessa classe (artt. 9-10), e ristrutturazione trasversale (art. 11). L’apertura di un procedimento, quale che sia il suo esito atteso fra i tre sopra descritti, presuppone che l’insolvenza sia “probabile” (art. 2, lett. a, CCI, e art. 4, par. 1, Direttiva 1023/2019), e dunque certifica l’esistenza di un rischio per i creditori. Ne consegue che in questo caso il legame fra i soci e gli amministratori si indebolisce, e questi ultimi devono adottare condotte che riducano il rischio di insolvenza e, in ogni caso, che riducano al minimo l’eventuale sacrificio per i creditori (in questo senso, oltre alle norme nazionali, il già visto art. 19 della Direttiva [continua ..]


8. I diritti dei soci nelle società insolventi

La disponibilità di efficienti strumenti di ristrutturazione giustifica la totale espropriazione del debitore insolvente, si tratti di persona fisica, ente o società. Con l’accertamento dell’insolvenza, infatti, scatta l’esigenza di riallocare il patrimonio più rapidamente possibile, cedendo gli attivi residui al migliore offerente. La Direttiva 1023/2019 non si occupa delle procedure di vera e propria insolvenza, lasciate alla competenza esclusiva degli Stati membri. Questo, a mio avviso, non significa che rivive la tutela per i soci prevista dalla Direttiva 1132/2017: credo si possa ben sostenere che se la loro tutela è attenuata in caso di ristrutturazione, essa è ancor più debole in caso di insolvenza, e le stesse risalenti sentenze della Corte di Giustizia sopra citate (supra, par. 2) offrono indicazioni nel senso del­l’inapplicabilità della disciplina europea a tutela dei soci quando a carico della società è stata aperta una procedura di liquidazione coattiva. In questo contesto, poco spazio di interlocuzione sembra residuare, anche a livello di normativa europea, per i soci, né essi possono impedire l’utilizzo, nel­l’interesse dei creditori, della forma societaria, nei ristretti limiti in cui questa possa essere utile anche in caso di insolvenza (il caso Parmalat ne è stato un buon esempio): in questo senso è appunto uno dei pochi spunti del CCI nella materia di cui qui ci occupiamo, che esamineremo subito infra. Vi sono due eccezioni all’assolutezza di questa conclusione. In primo luogo, anche nel caso di insolvenza è sempre consentita una sorta di “ultima chiamata” da parte dei soci, costituita dal concordato fallimentare (art. 124 ss. l. fall.) e, nel CCI, dal concordato nella liquidazione giudiziale (art. 240 ss.) che, seppur con penalizzazioni temporali e di contenuto, può essere presentato dal “debitore”, e dunque dalla società (e per essa, salva deroga statutaria, dai suoi amministratori; si veda G. FERRI [2], 250 ss., per l’esame dei rimedi all’eventuale ostruzionismo dei soci all’attuazione del concordato). La relativa proposta deve essere approvata dai creditori, e dunque deve essere per loro conveniente rispetto alla liquidazione del patrimonio. In secondo luogo, nel CCI (art. 264) è previsto che il curatore possa [continua ..]


9. Il vuoto del Codice della crisi e dell’insolvenza in materia di diritti dei soci

Pur nell’opinabilità delle conclusioni qui raggiunte, è indubbio che sia urgente una definizione di quali sono i diritti dei soci di società in crisi. Come abbiamo detto, l’urgenza diventa particolarmente forte in un contesto, quale quello creato dal CCI, di anticipazione del momento di emersione della crisi. Se questo è vero, il vuoto del CCI sul punto è sconfortante. Nessuna norma, infatti, regola la situazione dei soci nel concordato preventivo, e si sarebbe pensato che essi fossero spazzati via dal necessario rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione (art. 85, comma 6), che come abbiamo visto la giurisprudenza di Cassazione ha interpretato come APR almeno nei rapporti fra creditori (supra, par. 5); ma in senso diverso milita un’altra norma, secondo cui nel concordato con continuità aziendale, anche indiretta (cioè tramite altro soggetto), il ripristino dell’equi­librio economico finanziario viene conseguito nell’interesse non solo dei creditori, ma anche “dell’imprenditore e dei soci” (art. 84, comma 2). L’in­con­sapevolezza di questo importante tema ha portato a principi fra loro incompatibili: si applica o non si applica nel concordato l’APR? E se non si applica, come pare di capire, essa non si applica nemmeno nel concordato con continuità indiretta, che è molto simile a una liquidazione? Si noti che si tratta di questioni centrali per il nostro diritto dell’economia, dato che milioni di piccole imprese hanno diritto di sapere in anticipo cosa accadrebbe ai loro soci in caso di crisi. Nel CCI non è mai prevista la partecipazione dei soci al procedimento, e nemmeno la loro informazione, né è previsto espressamente il loro diritto di opporsi, che possiamo riconoscer loro solo includendoli nella generale categoria formata da “qualsiasi interessato”, come tale legittimato a opporsi all’omologazione dell’ac­cordo di ristrutturazione e del concordato (art. 48, comma 2; così, già in precedenza, R. SACCHI, 782, e L. BENEDETTI [1], 775 ss.). Ma con l’opposizione essi non sembrano legittimati a contestare un eventuale carattere espropriativo della proposta che violasse il loro “diritto di proprietà” come sopra individuato sulla scorta delle fonti europee, in quanto il CCI (art. 112) concede [continua ..]


10. Nota bibliografica