Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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La governance nelle società a partecipazione pubblica tra diritto comune e diritto speciale (di Paolo Benazzo)


SOMMARIO:

1. Considerazioni introduttive: complessità ed eterogeneità del fenomeno in punto di fattispecie e di disciplina legale - 2. Le linee di evoluzione (sul piano dell'ordinamento giuridico) del fenomeno delle partecipazioni societarie pubbliche - 3. L'erosione 'virtuosa': dal (diritto) singolare al (diritto) comune - 4. Il nuovo diritto societario comune tra pubblico e privato - 5. (Segue): alcuni corollari applicativi - 6. (Segue): alcuni corollari di ordine sistematico e qualche considerazione conclusiva - NOTE


1. Considerazioni introduttive: complessità ed eterogeneità del fenomeno in punto di fattispecie e di disciplina legale

Non molto tempo addietro, nell’affrontare il tema delle società pubbliche, si è denunziato come esso costituisca “un territorio dai contorni incerti e male illuminati, a cavallo tra diritto privato (commerciale) e diritto pubblico (amministrativo) nel quale nessuno si sente mai del tutto a casa propria e nel quale rischia di rimanere frustrata la naturale propensione del giurista a muoversi in un mondo di concetti ben delineati” [[1]]. L’incertezza nasce dallo stesso sintagma «società pubblica»; l’incertezza è causata da una realtà articolata, complessa e, di frequente, (strumentalmente) forgiata per finalità non sempre in linea con la legge e le esigenze ad essa sottostanti; l’incertezza è, infine, enfatizzata da un dato normativo frammentato, disorganico e, spesso, distonico. Nell’espressione società pubblica si annidano fattispecie molto diverse, il cui unico minimo comun denominatore può essere rinvenuto nella circostanza che un ente pubblico si avvale dello strumento societario per l’esercizio dell’azione amministrativa, tanto se essa stessa attività più prettamente economico-imprenditoriale, quanto se attività istituzionale o anche solo strumentale alle precedenti. Da qui in poi, tuttavia, la realtà diventa proteiforme e diversamente catalogabile [[2]]. Vuoi in ragione della diversa attività, cui si accennava, di volta in volta esercitata, vuoi, pri­ma ancora, in ragione degli assetti proprietari e di potere, che si articolano, con differenti esternalità, in partecipazioni (in mano pubblica) totalitarie e, nel caso di società «miste», maggioritarie, minoritarie o comunque di controllo, ovvero danno luogo a società sottoposte all’influen­za esterna dell’ente pubblico. Del pari, la stessa natura dell’ente pubblico partecipante o dominante, nonché le modalità con le quali sia avvenuto l’affidamento del servizio, oggetto dell’attività sociale, hanno riflessi, anche marcati, sull’essenza, sulla disciplina e sulle regole organizzative della società pubblica. Non solo. Pure a livello di disciplina legale, come si notava poc’anzi, la realtà è estremamente variegata: accanto infatti a società pubbliche «di diritto comune», si rivengono [continua ..]


2. Le linee di evoluzione (sul piano dell'ordinamento giuridico) del fenomeno delle partecipazioni societarie pubbliche

 È noto come il processo di esternalizzazione delle funzioni pubbliche, progressivamente (verrebbe da dire tumultuosamente) affidate a società esterne (per lo più partecipate dalla p.a.) (processo che ha specialmente interessato la gestione dei servizi pubblici locali, ma non solo), nasca dall’idea di fondo che l’utilizzo del modello organizzativo societario sia da ricondursi a qualificate ragioni di opportunità che derivano (a loro volta), come ancora di recente sottolineato [[11]], dall’affermarsi di due istanze: l’una, che vede nella normativa sull’azione della p.a. uno statuto inadeguato a regolare l’esercizio di attività economiche; l’altra, a detta della quale l’iniziativa economica pubblica deve assumere le stesse forme dell’iniziativa privata, onde evitare pregiudizi all’efficienza del mercato. A livello fattuale, il dato più evidente è che il fenomeno è venuto esplodendo in tutti i sensi, per quantità e per modalità (distorta) di utilizzo concreto. È un fatto a tutti noto come – soprattutto sul piano delle partecipate da enti locali – il ricorso alla società si sia trasformato da strumento (positivo) di «efficienza operativa» a (mero) strumento di «conservazione di privilegi» (leggasi affidamenti diretti) o di (formale) «allocazione esterna» in elusione dei vincoli di trasparenza e di spesa altrimenti incombenti sull’azione pubblica. Sul piano della disciplina legale, si possono idealmente distinguere tre fasi seppur non esattamente ordinabili in sequenza cronologica. La prima (che risale al codice civile del 1942) è quella per così dire della «omologazione» del pubblico al privato: il codice civile dedicava al fenomeno delle partecipazioni pubbliche in società di capitali un’attenzione marginale (Sezione XII – Delle società con partecipazione dello Stato e di enti pubblici) concentrata unicamente (in tre soli articoli) sul profilo della nomina dei membri degli organi sociali interni ad opera del socio pubblico (artt. 2458-2460 c.c.): a dimostrazione di come l’opzione di fondo, dell’epoca, fosse nel senso di assoggettare, per quanto più possibile, anche il socio pubblico (e le dinamiche della presenza del pubblico) al diritto societario comune [[12]]. La [continua ..]


3. L'erosione 'virtuosa': dal (diritto) singolare al (diritto) comune

 Concentrerei l’attenzione, in questa sede, su quello che ho convenzionalmente definito il processo di erosione «virtuosa». A tale riguardo comincerei con il ricordare come sia lo stesso diritto societario comune [[17]] ad aver subito nel tempo un processo di evoluzione in virtù del quale esso si presenta oggi con non pochi elementi di forte impatto sulla possibilità di coniugare in modo adeguato ed efficiente la presenza del pubblico anche all’interno del codice organizzativo comune, senza per ciò solo doverne imporre, per legge o per mano dei giudici, uno stravolgimento. Fermo restando poi che anche la riforma del 2003 pare confermare la scelta a suo tempo trasfusa nel codice del 1942 in tema di nomina (e revoca) alle cariche sociali: cfr. i due nuovi artt. 2449 e 2450 c.c. della (attuale) Sezione XIII – Delle società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici [[18]]. Il rilievo vale in primo luogo per il modello azionario, a livello tanto «patrimoniale», quanto «amministrativo». E infatti, quanto al primo, si rammenti che: (i) le partecipazioni societarie possono essere non proporzionali ai conferimenti (art. 2346, 4° comma, c.c.); (ii) la qualità di socio è acquisibile anche per effetto di apporti patrimoniali non immediatamente imputabili a capitale (art. 2346, 5° comma, c.c.); nonché, per quanto riguarda il secondo livello, (iii) ampia è la libertà di creare categorie di azioni fornite di diritti (anche solo amministrativi) diversi (art. 2348 c.c.); (iv) altrettanto ampia è la possibilità di diversificare i diritti di voto con depotenziamento delle varie categorie di azioni, anche con limitazioni o scaglionamenti collegati ai pacchetti azionari di riferimento (art. 2351 c.c.); (v) vige infine il principio per cui pure soggetti diversi dagli azionisti possono procedere alla designazione di membri degli organi sociali (mercé il possesso di strumenti finanziari partecipativi: art. 2351, 5° comma, c.c.). Ancora, a livello di assetti organizzativi interni, particolarmente importante ai fini della possibilità di coniugare in modo appropriato istanze pubbliche (legate alla partecipazione azionaria) ed efficiente perseguimento dell’interesse sociale (pur sempre di lucro e di valorizzazione delle partecipazioni), è la nuova formulazione [continua ..]


4. Il nuovo diritto societario comune tra pubblico e privato

Se è vero che, come mi è parso di poter cogliere dagli accenni sopra fatti, si sta registrando una sostanziale convergenza del pubblico verso il privato, del diritto speciale verso il diritto comune, con la conseguente (implicita) riaffermazione del primato del diritto privato su quello pubblico, il profilo successivo sul quale interrogarsi è di verificare se e in che modo il diritto (privato) comune sia di per sé in grado di dare equilibrio alle diverse istanze che si fronteggiano: la necessità di assicurare efficienza all’azione amministrativa per il tramite dello strumento societario; l’esigenza di preservare la parità di condizioni sul mercato tra pubblico e privato; l’obiettivo, infine, di prevenire (contenere e sanzionare) abusi, eccessi, sprechi o distorsioni dell’azione pubblica. Procediamo dunque alla verifica eseguendo, per così dire, qualche «carotaggio».   a) Condizione indispensabile perché risulti legittimo l’affidamentoin housedei servizi di interesse economico è la sussistenza del «controllo analogo». Si tratta, come noto, di una nozione dai contorni non esattamente definiti (anche nella giurisprudenza comunitaria) [[33]], ma che sembra potersi identificare nella situazione di influenza (pure congiunta) determinante del socio pubblico – al di là delle prerogative di norma spettanti al socio in quanto tale in sede assembleare e in presenza di un organo amministrativo titolare di ampi e autonomi poteri – su decisioni strategiche inerenti alla gestione della società. A tal fine, non mi pare difficile rilevare come particolarmente adatto si dimostri il codice organizzativo della s.r.l., stante la possibilità di costruire su base statutaria una profonda e capillare «immanenza» del socio, anche su base singolare, nella (e sulla) gestione societaria (arg. ex art. 2468, 3° comma, e 2479, 1° e 2° comma, c.c.). D’altro canto, la possibile controindicazione, che si anniderebbe nel nuovo art. 2476, 7° comma, c.c., sarebbe a sua volta adeguatamente «sterilizzabile», non tanto mercé l’adozione statutaria di un sistema organizzativo di tipo capitalistico, quanto piuttosto, come già da altri opportunamente evidenziato [[34]] e come avremo modo di rilevare tra poco, attraverso l’attenta applicazione [continua ..]


5. (Segue): alcuni corollari applicativi

La stella polare pare dunque indirizzare (di nuovo) il cammino verso il primato del diritto societario comune e verso una sua applicazione su basi generali, in virtù dell’operatività di regole e principi altrettanto generali e non già differenziati in base a privilegi singolari assicurati per grazia «legislativa». Se così è, si possono immediatamente trarre alcuni corollari, vuoi applicativi, vuoi di ordine sistematico. Prendiamo le mosse dai primi e più immediati. Anche in questo caso, mi limiterò a qualche esempio. Allo stato, non vi sarebbe ragione, in primo luogo, perché non si debba affermare un lettura estensiva del già citato art. 19, 6° comma, d.l. 1° luglio 2009, n. 78, conv. in legge 3 agosto 2009, n. 102 – in tema di interpretazione autentica dell’art. 2497 c.c. e di conseguente individuazione dei potenziali soggetti destinatari della disciplina comune [con tutto ciò che ne consegue in punto di obblighi di pubblicità e trasparenza (artt. 2497-bis e 2497-ter c.c.); di postergazione dei finanziamenti (art. 2497-quinquies, c.c.); di responsabilità risarcitoria (art. 2497, 1° comma, c.c.)] – senza riserve o esenzioni privilegiate, all’intero comparto delle società pubbliche, quali che ne siano i soci pubblici partecipanti, gli assetti proprietari, le attività svolte o le condizioni di affidamento dei servizi [[47]]. Del pari, pienamente da condividere, in secondo luogo, è l’opinione di chi si è espresso a favore di un’applicazione in senso restrittivo – e dunque non divergente dalle ordinarie prerogative spettanti uti socius all’azionista della s.p.a. o al socio non amministratore di s.r.l. – del diritto di informazione e di accesso alla documentazione sociale, anche in caso di partecipazione totalitaria o prevalente di un ente pubblico [[48]]. Ciò comporta la preferenza per una lettura restrittiva dell’art. 43, 2° comma, t.u.e.l. (“i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato”), con la conseguente riaffermazione, in termini gerarchicamente sovraordinati, del [continua ..]


6. (Segue): alcuni corollari di ordine sistematico e qualche considerazione conclusiva

Anche sul piano sistematico, peraltro, si possono tentare (pur sempre per cenni) alcune considerazioni conclusive. Un primo corollario potrebbe essere quello di (ri)affermare – in via generale – il primato del diritto privato: non già in chiave meramente ideologica, quanto invece (e soltanto) efficientistica, nella misura in cui un’appropriata applicazione delle regole del diritto societario comune pare infatti costituire di per sé uno strumento ottimale per assicurare un’amministrazione secondo criteri di corretta gestione imprenditoriale delle risorse, scevra da manipolazioni «per finalità abusive, dirette a creare in vitro una sorta di azienda speciale, organica dell’ente per alcuni fini e separata per altri» [[53]]. Se così fosse, ne conseguirebbe, a fronte della prevalente, per non dire necessaria, applicazione del diritto societario comune, l’arretramento della specialità dal piano del diritto privato a quello del diritto pubblico: è all’interno di quest’ultimo e nel rispetto delle norme proprie del diritto pubblico che si dovrebbe sindacare (e dunque sanzionare) la non correttezza dell’azione della pubblica amministrazione, tanto nel far uso dello strumento societario, quanto nell’in­fluen­zarne e indirizzarne il concreto funzionamento. Il che porterebbe, in primo luogo, a rimarcare la necessità di operare con regole apposite, dal lato dell’ente pubblico, sul piano della trasparenza e dell’informativa contabile, patrimoniale e finanziaria, con l’implementazione, all’interno degli stessi enti pubblici, di norme adeguate in tema di trasparenza e di evidenza, nella rappresentazione contabile e finanziaria degli enti medesimi, degli oneri connessi alla partecipazione societaria su basi consolidate [[54]]. Il che, in secondo luogo, segnerebbe altresì la necessità di una responsabilizzazione (anche erariale) dell’apparato pubblico in caso di (i) non adeguata valorizzazione e attivazione di stru­menti propri del diritto societario privato; (ii) di abusiva utilizzazione di strumenti e prerogative propri del diritto societario privato [[55]]. E se, per un verso, ciò dovesse condurre a rimarcare l’inutilità di (molte) norme speciali le quali, pur nel legittimo intento di contenere, ridurre e [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2011