Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Gli azionisti e l'assemblea nelle società quotate tra mito e realtà (di Giuseppe Guizzi)


SOMMARIO:

1. Azionisti e sovranità assembleare: 'come l’araba fenice …' - 2. Il significato dei poteri della minoranza nell'impostazione originaria del t.u.f. e nelle modifiche del 2005-2006 - 3. L'attuazione della direttiva sugli shareholders'rights: la legittimazione al voto secondo la regola della record date come elemento che accentua lo spostamento dei processi decisionali al di fuori dell'assemblea - 4. Segue: le nuove discipline sulla rappresentanza e deleghe di voto come strumento di stabilizzazione del controllo - 5. Segue: le nuove regole sull'informazione pre-assembleare. Verso la configurazione dell'assemblea quale luogo privilegiato di informazione? - 6. Il ruolo dell'assemblea nella nuova disciplina delle operazioni con parti correlate: il limitato significato del meccanismo di whitewash in rapporto ad un preteso recupero della 'sovranità assembleare' - NOTE


1. Azionisti e sovranità assembleare: 'come l’araba fenice …'

 Nel celebre secondo terzetto della scena di apertura del Così fan tutte Don Alfonso – “vecchio filosofo” come recita la didascalia che appare sul libretto – osserva che la ricerca della fedeltà nelle donne è come la ricerca dell’“araba fenice/ che vi sia ciascun lo dice/ ove sia nessun lo sa”. Chi parla indubbiamente non è vecchio, e meno che mai può considerarsi filosofo. Ma certo non può fare a meno di esprimere quella stessa punta di cinico disincanto, tipica del memorabile personaggio mozartiano, nel momento in cui è chiamato ad illustrare quale sia, nell’espe­rien­za giuridica italiana, il ruolo dell’assemblea nelle società quotate, e ad esprimere, in una visione di sintesi, quali possano essere le nuove prospettive che vengono dischiuse dalle recenti modifiche introdotte nel nostro ordinamento in attuazione della direttiva 2007/36/CE – novità che spetterà agli amici che parleranno dopo di me in questi due giorni analizzare nel dettaglio. Mi sembra, infatti, che il problema della riattribuzione all’assemblea, e quindi per tal via ai soci, di un ruolo se non sovrano quanto meno centrale nella dialettica interna all’impresa societaria [[1]], e quindi della costruzione di una disciplina strumentale a consentir loro di poter esprimere con pienezza i propri diritti di partecipazione ai processi decisionali – così rivitalizzando la funzione della junta des accionistas (come adombra il titolo dell’altra sessione di questo pomeriggio) – si atteggi, davvero, come la ricerca del mitico animale. Si tratta, infatti, di una ricerca di lunghissima data, se solo si pone mente alla circostanza che del problema dell’apatia e del disinteresse degli azionisti, della loro disinformazione, del rischio dello svuotamento di significato dell’assemblea quale luogo decisionale, e di quali potessero essere gli strumenti idonei per porre rimedio a tale situazione, si discuteva in Italia sin dai primissimi anni del secolo scorso [[2]], nell’ambito di quel lungo processo di elaborazione di progetti di riforma del codice di commercio ottocentesco e che avrebbe poi condotto al codice civile unificato del 1942, e che dei medesimi problemi si è continuato, ciclicamente, a discutere anche all’indomani della codificazione del 1942, [continua ..]


2. Il significato dei poteri della minoranza nell'impostazione originaria del t.u.f. e nelle modifiche del 2005-2006

Per cercare di comprendere quale sia, o possa essere, il significato delle nuove regole in punto di diritti e prerogative degli azionisti nelle società quotate, credo convenga muovere da una breve riflessione su quello che è il quadro normativo di riferimento su cui esse si sono venute ad innestare. Ebbene, sotto questo profilo non credo si possa ragionevolmente dubitare che i principali interventi del legislatore, a far data dall’entrata in vigore del Testo Unico dell’Intermediazione Finanziaria n. 58/1998 – che è il testo normativo in cui nel nostro ordinamento ha incominciato a prendere forma, con una organicità via via crescente, lo statuto normativo della società quotata – sono stati solo apparentemente nel senso di un rafforzamento dell’istanza partecipativa del­­l’azionista, e di un rafforzamento dei suoi diritti di voice. Rispetto all’impostazione che emergeva dal t.u.f., e non solo nella sua versione originaria, mi sembrano ancora particolarmente attuali le considerazioni svolte ormai quasi dieci anni or sono da Berardino Libonati in un convegno organizzato da Assonime (l’associazione italiana delle società per azioni) e contraddistinto da un titolo – “L’assemblea e gli azionisti” – evocativo proprio del medesimo tipo di problema di cui ci stiamo occupando oggi. Vale a dire la considerazione che tutte le principali disposizioni con cui si è perseguito l’obiettivo del rafforzamento nella dialettica assembleare del ruolo degli azionisti, ovviamente di quelli diversi dai detentori di partecipazioni di controllo, si presentavano già prima facie prive di una reale effettività [[4]]. Gli inevitabili limiti di tempo in cui deve contenersi questo intervento non permettono di diffondersi sul punto. Mi limiterò pertanto solo a due esempi indicativi, ritengo, della scarsa rispondenza, tra le soluzioni adottate in allora, rispetto all’obiettivo pure in thesi perseguito: si pensi, da un lato, alle disposizioni volte a disciplinare i quorum per l’assemblea straordinaria di terza convocazione, e, dall’altro lato, a quelle dettate in tema di sollecitazione delle deleghe. Ed invero quanto alle prime risulta evidente che la riduzione dei quorum per delibere di centrale rilievo organizzativo, se denota una tendenza alla facilitazione e [continua ..]


3. L'attuazione della direttiva sugli shareholders'rights: la legittimazione al voto secondo la regola della record date come elemento che accentua lo spostamento dei processi decisionali al di fuori dell'assemblea

È dunque su questo quadro, così sommariamente delineato, che vengono ad incidere le nuove disposizioni frutto del recepimento della direttiva. Si tratta, allora, di chiedersi in che misura esse possano contribuire a rafforzare l’istanza di una partecipazione effettiva di tutti gli azionisti e a rendere l’assemblea qualcosa di più del vuoto rito di cui si è fin qui fatto cenno. La mia sensazione è che le novità introdotte tradiscano probabilmente l’intento – appunto se l’intento è davvero quello che si è descritto – finendo per collocarsi in una linea che non attenua bensì, sotto certi profili, accentua lo stacco tra l’assemblea come riunione di investitori interessati a concorrere costruttivamente a quel pur limitato ambito di decisioni riservato alla loro competenza, e assemblea come autentico momento di formazione di quelle decisioni. Anche qui il tempo è troppo ridotto per un’analisi di dettaglio, e debbo limitarmi solo ad alcune osservazioni generali. Ma non credo di sbagliare di molto se dico che sono proprio le disposizioni che più innovano rispetto al sistema previgente – vale a dire, per un verso, quelle che indicano le condizioni con cui si legittimano individualmente i soci a partecipare all’as­sem­blea e ad esprimere il diritto di voto e, per altro verso, quelle che riscrivono integralmente l’istituto della rappresentanza in assemblea – che per molti aspetti possono contribuire a radicalizzare l’impostazione per cui le decisioni sono assunte tendenzialmente dagli azionisti di controllo e fuori dalla dialettica assembleare. Ed invero, quanto alle nuove regole in punto di legittimazione all’intervento in assemblea e ad esercitare tutti i diritti corporativi correlati alla partecipazione sociale [[12]], (e che non si esauriscono poi soltanto in quello di voto; si pensi al diritto di formulare proposte, integrando l’ordine del giorno, ma anche – e si tratta di una prerogativa di non secondario rilievo – quello di presentare liste per la nomina delle cariche sociali) non vi è dubbio che il sistema della cd. record date, come introdotto dal nuovo art. 83 sexies t.u.f. e ai sensi del quale quella legittimazione si misura sulla base dell’esistenza della titolarità di azioni ad una data fissa e predeterminata [continua ..]


4. Segue: le nuove discipline sulla rappresentanza e deleghe di voto come strumento di stabilizzazione del controllo

Se la regola dell’individuazione dei legittimati al voto sulla base del sistema della record date risulta evidentemente più orientata alle istanze di mobilizzazione dell’investimento – e anzi di ottimale mobilizzazione, perché, se le considerazioni che precedono hanno, come credo, un fondo di verità, esso permette di monetizzare un doppio valore, quello delle azioni come tali, e quello, più specifico, del voto [[19]] nel contesto di una determinata, specifica, assemblea a cui si è ancora legittimati a intervenire – che non funzionale a permettere il superamento della tendenziale apatia dell’azionista, e ad incentivarlo, appunto uti socius, alla partecipazione al processo decisionale, il discorso potrebbe sembrare all’ap­parenza ben diverso rispetto alle disposizioni con cui si è inteso integralmente riscrivere la disciplina della rappresentanza in assemblea, sia dettando regole ad hoc che attraverso le disposizioni degli artt. 135-novies, decies e undecies t.u.f. [[20]] superano il rigore dei divieti soggettivi e dei limiti quantitativi che anche dopo la riforma organica l’art. 2372 c.c. continuava a prevedere pure per le società quotate (norma ora divenuta definitivamente inapplicabile a queste ultime ai sensi dell’art. 2325-bis, 2° comma), sia rimodellando l’istituto della sollecitazione di deleghe attraverso la rimozione di quei presupposti (necessaria intermediazione della raccolta e obbligo di un possesso azionario minimo per il soggetto interessato a darvi impulso e che assumeva la posizione di committente della medesima) che rendevano la procedura di difficile e complessa applicazione. Eppure, anche qui dubito che la soluzione – pur sicuramente orientata in thesi, attraverso l’of­­ferta di un’estrema varietà di strumenti tra loro concorrenti, a ridurre l’apatia del piccolo azionista risparmiatore e a stimolarne la partecipazione attiva all’assemblea – possa davvero contribuire al conseguimento del risultato programmato. Anzi, mi sembra che, per com’è stata concretamente costruita, la disciplina finisca anch’essa per aprire lo spazio ad esiti che vanno in realtà in controtendenza rispetto ad un ipotetico obiettivo di favorire la coesione di piccoli azionisti capaci, appunto grazie alla forza [continua ..]


5. Segue: le nuove regole sull'informazione pre-assembleare. Verso la configurazione dell'assemblea quale luogo privilegiato di informazione?

Se si condividono le considerazioni sin qui svolte appare, allora, abbastanza evidente che anche il quadro normativo come modificato per effetto del recepimento della direttiva finisce per offrire un apporto molto ridotto alla possibilità di accrescere la propensione alla partecipazione all’assemblea anche di quegli azionisti che sono tendenzialmente apatici, assumendo per essi la partecipazione un significato solo ed esclusivamente finanziario, e soprattutto alla possibilità di incrementare la loro propensione ad esercitare i diritti di voice ai fini di concorrere alle scelte che attengono al “governo” della società. Resta semmai da chiedersi se la direttiva, così come recepita nel nostro ordinamento, non possa piuttosto dischiudere una prospettiva diversa da quella pure ad essa implicitamente sottointesa; vale a dire non già quella, attraverso la rimozione degli ostacoli che possono distogliere l’investitore dall’intervenirvi, di “rivitalizzare” l’assemblea come luogo di formazione delle decisioni, in cui le stesse possano essere assunte in esito a un dibattito effettivo, bensì quella volta ad esaltare l’assemblea come luogo istituzionalmente deputato a garantire ai soci un flusso costante di informazioni non solo sulla consistenza attuale ma anche sul futuribile del loro investimento, e quindi per tal via su quelle che sono le prospettive dell’attività sociale, le sue linee strategiche, la sua possibile evoluzione eventualmente anche in comparazione a quelli che sono i principali competitor nel mercato in cui essa opera; dunque quel tipo di soft information attinente all’andamento corrente della gestione e alle sue linee di sviluppo cui di regola il singolo azionista, specie ove si tratti del piccolo azionista, non ha accesso. Insomma, in una parola, in un luogo – come suggeriva, in un’ottica de iure condendo lo scritto di Libonati che ho rammentato all’inizio della mia relazione, ma come in fondo, con una sostanziale identità di accenti anche qui in Spagna nel medesimo arco di tempo veniva suggerito dal “rapporto Olivencia” [[28]], dove si prospettava una configurazione della junta come «simple foro de comunicación de la sociedad con sus inversores» – in cui si possa dischiudere ad ogni socio quel dettaglio [continua ..]


6. Il ruolo dell'assemblea nella nuova disciplina delle operazioni con parti correlate: il limitato significato del meccanismo di whitewash in rapporto ad un preteso recupero della 'sovranità assembleare'

Un discorso che si proponga di tratteggiare, seppure in via di inevitabile sintesi, quale spazio vi può essere, oggi, nell’ordinamento italiano per rafforzare la voice degli azionisti in sede di riunione assembleare, e del se possa prospettarsi per quest’ultima una maggiore centralità, non credo che si possa, però, concludere senza accennare brevemente anche a quello che insieme con l’attuazione della direttiva 2007/36/CE ha rappresentato, nell’anno in corso, l’altro grande intervento potenzialmente capace di incidere in maniera sensibile, in parte ridefinendolo, sul ruolo dell’assemblea; vale a dire la promulgazione, da parte dalla Consob, a valle di un lungo e tormentato iter, del regolamento n. 17221, con il quale, dando esecuzione alla delega prevista dall’art. 2391-bis c.c., sono stati dettati i principi cui le società le cui azioni sono negoziate sui mercati regolamentati debbono attenersi nella disciplina delle “operazioni con parti correlate” [[31]]. Gli è che nel contesto di una disciplina pensata per garantire una maggiore trasparenza e soprattutto correttezza nelle decisioni aventi ad oggetto il compimento di operazioni in cui – in ragione della peculiare caratterizzazione soggettiva di colui che risulta controparte della società (le parti correlate di cui si ragiona nel regolamento sono costituite, infatti, da quelle particolari categorie di soggetti, note allo IAS 24, che possono esercitare una influenza diretta o indiretta nei processi decisionali, ovvero soggetti a questi ultimi anche indirettamente collegati) – è sempre latente il rischio di una strumentalizzazione dell’operazione non per realizzare l’inte­res­se comune dei soci, bensì per permettere, agli azionisti di riferimento ovvero al mana­ge­ment [[32]], di procedere alla cd. estrazione dei benefici privati del controllo, la Consob ha ritenuto di dover riservare uno spazio tutt’altro che marginale anche all’assemblea. Il tempo a disposizione non mi consente di soffermarmi sulle novità del regolamento con il dovuto dettaglio e che sono di sicuro rilievo anche sotto il profilo del rafforzamento del diritto di informazione riconosciuto agli azionisti [[33]]. Credo, però, che in questo contesto sia utile soprattutto segnalare come la soluzione ipotizzata – [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2011