Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sensibilità comuni, uso della comparazione e convergenze interpretative: per una Methodenlehre unitaria nella riflessione europea sul diritto dei gruppi di società (di Vincenzo Cariello)


SOMMARIO:

1. Le tesi oggetto di dimostrazione. - 2. Permanente importanza (sebbene non più centralità esclusiva) del diritto tedesco dei gruppi. - 3. Sostanziale ripiegamento della prospettiva di armonizzazione del diritto generale dei gruppi. - 4. Uso interpretativo del diritto comparato e convergenze spontanee dei diritti nazionali dei gruppi. - 5. Uso interpretativo del diritto comparato e dogmatica giuridica (cenni). - 6. Disciplina dell’attività di direzione e coordinamento tra specialità e generalità. - 7. Principi di corrretta gestione societaria e imprenditoriale. - 8. Interesse di gruppo. - 9. Segue. Interesse di gruppo e crisi nel gruppo (cenni). - 10. Segue. Interesse di gruppo e tecnica dei vantaggi compensativi. - 11. Tre proficue prospettive di uso interpretativo del diritto comparato dei gruppi. - 12. Segue. Diritto tedesco. - 13. Segue. Diritto francese. - 14. Segue. Diritto angloamericano. - 15. Alcune “assonanze” nel diritto italiano. - 16. Conclusione (con una postilla sulla necessaria libertà di pensiero del chierico della scienza) - NOTE


1. Le tesi oggetto di dimostrazione.

Mi propongo di dimostrare che: (i) nei tempi correnti, il diritto generale dei gruppi è uno dei settori del diritto societario nei quali più fecondo si può rivelare il c.d. uso interpretativo del diritto comparato; (ii) l’uso interpretativo del diritto comparato può funzionare come strumento per promuovere, confermare e/o rafforzare una convergenza delle esperienze nazionali nella materia, vera alternativa alle ormai depotenziate, al di là di contrari proclami e attestazioni, istanze di effettiva armonizzazione generale; (iii) esistono concreti ed eclatanti esempi di una già avvenuta ovvero in atto convergenza dei diritti giurisprudenziali idonea a spianare la strada a un consapevole e non occultato uso intepretativo del diritto comparato dei gruppi.


2. Permanente importanza (sebbene non più centralità esclusiva) del diritto tedesco dei gruppi.

Nel diritto dei gruppi – la citazione è tratta dal Forum Europaeum sui gruppi di società del 1998 1 –, l’esame del proprio ombelico, come avviene in molti stati dell’UE da parte di alcuni dei (là considerati) principali giuristi, è cosa del XX secolo; in passato, quando vigeva il diritto comune in Europa, si era già molto più avanti 2. Che il diritto dei gruppi di società sia, per usare le parole di K. Hopt 3, uno dei (sei) temi principali del diritto comparato delle società è affermazione non difficilmente verificabile. Cosa si debba comparare, come fare uso della comparazione e dove essa conduca, viceversa, è interrogativo ricco d’implicazioni, di vario genere: di politica del diritto, metodologiche, interpretative, applicative. Da più parti si osserva che il ruolo dell’esperienza tedesca non deve essere più sopravvalutato. Sempre K. Hopt ha scritto, sono solo 3 anni fa, che il diritto tedesco dei gruppi di società «non è più un articolo da esportazione» 4. Oggi, nella stessa Germania, è difficilmente contestabile l’impietosa sentenza emessa da Karsten Schmidt 5: l’edificio di un diritto del gruppo di imprese non è rintracciabile nel diritto azionario. M. Lutter parlava di «diritto dei gruppi incompiuto» 6. Non è identificabile un progetto di costruzione, solo un’armatura e regole statiche. I singoli diritti nazionali sono troppo avanti nella riflessione per potere accettare, non senza rigetto, e comunque non senza discutere e procedere a revisioni, l’imposizione e la predominanza dell’esperienza tedesca. A mio avviso, però, essa resta di continuo orientamento, se non nelle soluzioni (o in tutte le soluzioni), nell’emersione e messa a fuoco di diversi e significativi problemi, teorici e applicativi, che agitano la materia. Semmai, è indiscutibile che l’esperienza tedesca non si atteggia più quale unica in grado di forgiare soluzioni e innescare riflessioni destinate a circolare nel panorama continentale, e non solo, assumendo valenza paradigmatica. Difetta, attingendo alla fraseologia della materia, una direzione unitaria tedesca del diritto dei gruppi.


3. Sostanziale ripiegamento della prospettiva di armonizzazione del diritto generale dei gruppi.

Un secondo dato, sempre di partenza, appare agevolmente accertabile: la diffusa, progressivamente emergente convinzione, a prescindere e nonostante affermazioni di segno opposto, della non fattibilità, futura, di una Vollharmonisierung del diritto dei gruppi 7. Pure, e ancora prima, non è difficile constatare 8 che, per il passato e il presente, lo stesso diritto dei gruppi risulta essere una delle aree non armonizzate del diritto societario europeo 9. La tendenza di politica del diritto pare essere quella di superare l’assenza di armonizzazione generale del diritto dei gruppi tramite l’affermazione di una armonizzazione di principi 10. Tendenza che però, a sua volta, s’imbatte in ostacoli e oppositori in particolare in Germania, anche a livello politico: basta leggersi la netta presa di posizione contraria alle proposte contenute nel Green Paper del 5 aprile 2011 espressa dal Deutsche Bundestag nella seduta del 6 luglio 2011. Che quando l’armonizzazione tocca la materia dei gruppi diventi difficile partire da esigenze ampiamente condivise in materia appunto di armonizzazione legislativa – si badi, non di soluzioni convergenti – lo dimostrano, solo per fare un ulteriore esempio, le risposte offerte al documento di consultazione dell’EC Internal Market and Services sulla creazione di un framework europeo della gestione delle crisi, in relazione alla parte del documento concernente i trasferimenti infragruppo quale strumento di prevenzione dei dissesti bancari 11. Vi è di più: sono fermamente convinto che anche nelle domande, che sono ciclicamente oggetto, da decenni, di consultazioni, circa l’opportunità, la necessità, l’auspicio di una vera e completa armonizzazione del diritto dei gruppi (ancora da ultima, la consultazione lanciata il 20 febbraio 2012 sul futuro del diritto societario europeo – IX, 19 –, chiusasi il 15 maggio 2012) si annidi in realtà la convinzione (o la rassegnazione) che la prospettiva di armonizzazione sia da tempo tramontata o non più realisticamente praticabile. Così che il titolo di un saggio di otto anni fa dello spagnolo José Miguel Embid Irujo 12, reso in forma di affermazione, oggi sarebbe proponibile, più realisticamente, sotto forma di interrogativo, anche se ferma resta l’affermazione iniziale per cui l’hard core del dibattito non [continua ..]


4. Uso interpretativo del diritto comparato e convergenze spontanee dei diritti nazionali dei gruppi.

In questo scenario assai sinteticamente rappresentato delle tendenze regolative del fenomeno, il diritto europeo dei gruppi di società si continua a porre (anche) attualmente domande epocali. Riprendendo il titolo di un recentissimo saggio 14, ci si deve interrogare di nuovo su quali siano le questioni future della ricerca e riflessione sul diritto dei gruppi. La tesi centrale che oggi vorrei perorare è così ancora meglio precisabile: il progresso delle idee e delle soluzioni in materia di diritto dei gruppi può avvenire prevalentemente rivitalizzando e rinvigorendo, sul piano metodologico, il c.d. uso interpretativo del diritto comparato. Anche per il diritto generale dei gruppi, in prospettiva, pare davvero che alla scelta del­l’armonizzazione sovranazionale vada nei fatti sostituendosi e possa essere sostituita la convergenza dei diritti nazionali, nella tensione anche delle diverse fonti di produzione, essenzialmente tramite la c.d. circolazione diretta delle idee giuridiche 15. È percepibile e isolabile una tendenza sempre più sviluppata a elaborare, anche nel diritto dei gruppi, degli Universalwerkzeuge che garantiscano applicazioni di soluzioni uniformi per macro problemi generali. In questa direzione, l’uso interpretativo del diritto comparato, al di là della sua teorizzazione, può essere praticato e produrre effetti di soluzioni convergenti ma pure di soluzioni divergenti 16, idonee a provocare anche l’emersione di diverse sensibilità nell’enucleazione dei problemi rilevanti. Le stesse soluzioni poi vanno misurate sull’analogia nella regolamentazione degli assetti di interessi, sulla possibilità che la soluzione di diritto coincida sebbene ottenuta con regole specifiche diverse ma in fondo ispirate a e da stessi principi. I legislatori nazionali, pure in quei paesi dove esistono discipline cc.dd. generali di gruppi, possono anche restare ai margini di questo processo senza che esso risulti per questo esposto all’insuccesso. Tutto ciò riflesso della circostanza che vede l’uso del diritto comparato, come ci ricorda Marcus Lutter, tradotto non solo nell’esame delle disposizioni di altri paesi, bensì delle loro dottrine e giurisprudenze 17. Chiarisco subito che la mia forte propensione a incoraggiare un uso interpretativo del diritto comparato da parte anche dei giudici, se, da un lato, [continua ..]


5. Uso interpretativo del diritto comparato e dogmatica giuridica (cenni).

Emerge già distintamente che l’uso interpretativo del diritto comparato è, in definitiva, anche l’espressione di una ben definita istanza metodologica 36. Con un’avvertenza che potrebbe sembrare esuli dalla presente riflessione ma che, al contrario, funziona come ulteriore premessa a essa: non vi è contrapposizione netta tra metodologia giuridica e dogmatica. Come si è anche di recente precisato da parte dei teorici del diritto, «la dogmatica giuridica è strutturalmente prossima alla metodologia giuridica» 37, sebbene propriamente debba restarne distinta con riferimento alla dipendenza rispetto alla c.d. semantica della legge. A chi poi il dogmatismo invocherebbe per formulare una critica di astrattismo e inconcludenza allo studioso che ne sarebbe reo, consiglierei, oltre che la lettura di un recentissimo volume pubblicato in Germania 38, di scorrere l’Editoriale, a firma di Ulrich Noack, sul fascicolo n. 8 (agosto) del 2011 di Der Konzern. Rispondendo a Carsten Peter Claussen, il quale ebbe a dire che egli milita a favore del diritto e contro la dogmatica, Noack si limita a osservare che anche attraverso la dogmatica il diritto «si sviluppa». La riflessione sulla dogmatica si diversifica, nel segno però, come l’ha definita di recente il civilista tedesco Rolf Stürner, non solo di una sua apertura e rivisitazione ma pure di una difesa della sua “valenza” (Wertigkeit) 39.


6. Disciplina dell’attività di direzione e coordinamento tra specialità e generalità.

Le necessarie premesse di metodo mi permettono ora di entrare nel cuore della trattazione odierna. Lo faccio assumendo un dato che pare scontato ma che forse non lo è davvero sul piano (appunto) metodologico: (pure) nel diritto dei gruppi, le regole di sanzione 40 sono la reazione alla violazione di regole di azione, di organizzazione e di procedimento 41; nel contempo, soprattutto nell’approccio della giurisprudenza (e, in qualche modo, altrimenti non potrebbe essere), queste ultime vengono isolate, formulate, delineate ed enunciate, per lo più in via incidentale, essenzialmente in sede di fissazione delle regole di sanzione. L’elaborazione di questi insiemi di regole è costantemente attraversata e segnata, anzitutto, dal tema del loro reale tasso di deroga alla disciplina delle società non raggruppate. Su tale profilo dell’indagine non mi tratterrò. Non posso sorvolare su esso, tuttavia, senza almeno avere osservato che, nella nostra esperienza, ciò che deve essere forse ripensato è il tema della (reale o presunta) c.d. specialità della disciplina degli artt. 2497 ss. e del conseguente tasso di (reale o presunta) deroga alle c.d. disposizioni generali da intendersi come quelle disciplinanti analoghe questioni di società non coinvolte da direzione e coordinamento. Ciò non si può fare oggi, però, senza prima affrontare il tema più generale della tenuta della tradizionale interpretazione del brocardo lex specialis derogat (legi) generali (corrispondente alla massima generi per speciem derogatur) 42. Segnalo, al riguardo, che, sebbene non diffusamente compreso, e a dispetto delle traduzioni largheggianti del brocardo, è in effetti controverso 43 tra gli stessi studiosi della specialità se davvero le norme speciali deroghino (sempre) alle norme generali e per quali ragioni. Ciò che appare invero studiato è l’antinomia tra norma speciale e norma generale e la giustificazione del c.d. principio di specialità come tecnica di soluzione di antinomie tra norma speciale e nor­ma generale, come pure la specialità, ma non la questione vera e propria della deroga della nor­ma speciale alla norma generale 44, nella quale sono comprese le deroghe alle norme non solo incompatibili ma pure compatibili, sicché la specialità non serve solo per prevenire o risolvere [continua ..]


7. Principi di corrretta gestione societaria e imprenditoriale.

In secondo luogo, l’elabo­razione delle regole soprattutto di responsabilità, ma pure di azione, di organizzazione e di procedimento, nel e del gruppo, risulta altrettanto costantemente orientata verso l’identificazione dei principi di corretta gestione societaria imprenditoriale e la definizione della loro natura di principi o di clausole generale 49, anche secondo differenti declinazioni 50. Ritengo che occorra però essere pienamente consapevoli che le questioni ricostruttive e interpretative poste dal riferimento ai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale sono lungi dall’esaurirsi in quella, pur importante, della loro identificazione e tipizzazione; fermo restando che, credo, essi operino in modo diverso a seconda non solo della posizione organizzativa e finanziaria (soprattutto, ma non solo) della diretta, ma pure della “qualità” e del “tipo” dell’attività di direzione e coordinamento esercitata; e altrettanto fermo restando, ovviamente, che la scelta di affidarsi a “principi” incide sulla capacità di enforcement della previsione normativa 51. Mi sembra, ad esempio, che debba guadagnare progressiva centralità (anche) l’interrogativo relativo alla derogabilità di tali principi ovvero di obblighi di condotta e azione desunti da (e in applicazione di) questi principi; come pure quello concernente la portata applicativa “esterna” dei principi. In quest’ultimo caso, a mio avviso, si devono meglio definire i termini in cui essi presiedono anche alle regole di azione esterna della capogruppo, nel senso che tali principi mi pare possano e debbano essere tenuti in considerazione anche ai fini della responsabilità della “madre” per atti o fatti della “figlia” che abbiano arrecato danni a terzi non soci o creditori della “figlia” (pensando al diritto italiano, viene in mente la possibilità di affermare la responsabilità della capogruppo per avere “imposto” ovvero tollerato un abuso della pubblicità – indebitamente omessa ovvero attuata – della soggezione ad attività di direzione e coordinamento e tale abuso abbia prodotto danni a terzi ai sensi dell’art. 2497-bis, 3° comma, c.c.).


8. Interesse di gruppo.

Si assume che, nell’ambito del diritto dei gruppi, l’interesse di gruppo sia (in qualche modo) derogatorio delle regole generali (in particolare) di azione, di organizzazione e di sanzione. Invero, l’interesse di gruppo costituisce, da sempre, uno dei poli di attrazione resistenti del residuale tentativo di armonizzazione; o, preferibilmente, al di fuori di questo, oggetto di una raccomandazione di riconoscimento. Ma sull’interesse di gruppo, oggi come da sempre, non vi è affatto una soddisfacente coesione interpretativa nell’ambito delle differenti esperienze; più precisamente, proprio sulle sue accezioni e rilevanze, oltre che nella sussistenza di sue sicure basi dispositive di riconoscimento. Ponendo attenzione, ad esempio, alla nostra esperienza, mi risulta spontaneo evocare, tra altre, la recisa, e da non sottovalutare, recente statuizione (a livello di obiter) contenuta in una decisione dei giudici milanesi 52, secondo la quale l’interesse di gruppo non assurge nell’art. 2497 c.c. a requisito di liceità dell’attività di direzione e coordinamento, attesa anche «l’estre­ma difficoltà di individuare l’interesse di gruppo». In questa prospettiva, l’interesse di gruppo appare defilato, potendo la società che dirige e coordina agire anche nell’interesse proprio o altrui (e non di gruppo), purché l’operazione – si precisa – sia almeno economicamente neutra per la diretta 53. In effetti, a meglio riflettere, l’interesse di gruppo, se da una parte sembra non necessariamente di per sé evocato dal riferimento, nell’art. 2497, 1° comma, c.c., all’esercizio dell’at­tività di direzione e coordinamento, dall’altra parte pare dovere o potere restare estraneo all’interesse, rispettivamente, proprio ovvero altrui menzionato nella medesima disposizione. Semmai, un sentore dell’interesse di gruppo lo si avverte nel continuum tra primo e secondo periodo dell’art. 2497, 1° comma, c.c., là dove è previsto che il danno prodotto per perseguimento non corretto di un interesse estraneo a quello proprio di società diretta e coordinata può risultare mancante «alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento». In ogni caso, oggi, in modo ancora più [continua ..]


9. Segue. Interesse di gruppo e crisi nel gruppo (cenni).

Su un piano sempre di direttive generali dell’indagine, occorre condurre aggiuntivi e continui approfondimenti sulla dimensione operativa del perseguimento dell’interesse di gruppo in presenza di crisi isolate di imprese del gruppo ovvero di crisi propagate a più imprese di gruppo. In questo senso, il salto qualitativo dell’indagine – v. anche dopo – può essere propiziato da un ulteriore intensificarsi della riflessione sui doveri di direzione unitaria dell’impresa “in zona d’in­solvenza” ovvero già entrata in stato di insolvenza in connessione con la possibile, se non doverosa riqualificazione degli scenari di perseguimento dell’interesse di gruppo in presenza di singole componenti imprenditoriali interessate da crisi prossime o già sfociate in trattamenti concorsuali. Come non pensare, in questa prospettiva di riflessione, ai sempre più diffusi inviti a ri-definire lo status dei doveri degli organi di società prossima all’insolvenza, sovraindebitata o insolvente? Si rammenti, in particolare, come, in tale contesto, in Europa, da parte di taluni 72, la stessa business judgment rule risulti essere intesa, ma non senza contrasti, trasfigurarsi nella insolvency judgment rule, relativamente all’adozione di decisioni imprenditoriali in fase di già attivata procedura d’insolvenza. Con chiare assonanze – come appureremo – con atteggiamenti e posizioni, soprattutto, di giurisprudenza e dottrina statunitensi. Il tema, di per sé, anche nei diritti continentali (oltre che negli USA: v. dopo), è ormai prossimo a maturazione e approdi normativi, là dove si parla, sempre più con insistenza 73, di codificazione dei doveri di gestione nella crisi 74, capitolo centrale del c.d. diritto dell’organiz­za­zione dell’impresa in crisi. In altre parole, occorre sottoporre a seria verifica la possibilità che, in corrispondenza di un aggravamento dello stato di crisi di una impresa di gruppo, si assottigli di per sé, per la capogruppo e per i gestori della stessa impresa versante in tale stato, la legittimità di scelte imprenditoriali riguardanti quest’ultima corrispondenti o anche corrispondenti all’interesse di gruppo, divenendo progressivamente sempre più prevalente, fino ad assumere valenza esclusiva, il perseguimento del solo [continua ..]


10. Segue. Interesse di gruppo e tecnica dei vantaggi compensativi.

L’interesse di gruppo presiede, in particolare, al funzionamento del meccanismo compensativo, nella sua duplice portata di criterio di organizzazione delle regole di azione e procedimentali (o, per chi preferisca fondere le due prospettive, delle regole procedimentali di azione) nel gruppo e di criterio di determinazione dell’esistenza o meno di una responsabilità di e nel gruppo. Molte riflessioni si potrebbero svolgere, anche di segno critico, su tale meccanismo o, piuttosto, sulle sue propagandate, e a volte distorte, prassi applicative. La mia convinzione – tutt’altro che scontata, attesi appunto alcuni riscontri teorici e pratici che accompagnano l’uso della tecnica – è che l’invocazione e l’impiego del meccanismo compensativo, ancora una volta in Italia ma anche in altre esperienze, deve essere conforme ai e supportato dai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale del e nel gruppo: nel senso che un impiego del meccanismo compensativo in contrasto con questi principi renderà lo stesso meccanismo inidoneo alla produzione di effetti esonerativi della responsabilità, ma, anzi, potendo funzionare da fattore di aggravamento di questa responsabilità. In questo senso, sono convinto, ad esempio, che il meccanismo compensativo non possa operare in situazioni di forte tensione finanziaria e patrimoniale, di crisi o di prossimità all’insolvenza dell’impresa inserita nel gruppo. O più precisamente e meglio, secondo la corretta impostazione di buona parte della giurisprudenza penalistica (quella incline a distinguere la infedeltà patrimoniale dell’art. 2634, comma 3, c.c. dalla bancarotta fraudolenta impropria ex art. 216 e 223, 1º comma, legge fall.), sebbene non vi è chi non colga la non piena corrispondenza tra art. 2497, 1° comma, secondo periodo, e 2634, 3° comma, c.c.: (i) il vantaggio compensativo cessa allorché venga operato un trasferimento di ricchezza (anche prestazione di garanzie), senza alcuna contropartita economica, da una società in difficoltà economiche ad altra del medesimo gruppo in analoghe difficoltà, considerato che, in tal caso, nessuna prognosi positiva è possibile 75; (ii) non si versa più nell’ambito del vantaggio compensativo, neppure civilistico, quando un atto dannoso cagiona il dissesto della società gestita, a [continua ..]


11. Tre proficue prospettive di uso interpretativo del diritto comparato dei gruppi.

Se tentiamo a questo punto di meglio articolare scenari e prospettive, in particolare giurisprudenziali, nei quali l’uso interpretativo del diritto comparato dei gruppi si presenta più propizio, non avremmo soverchie difficoltà ad appurare che, in questi scenari e contesti, forse del tutto evidentemente e inevitabilmente, le riflessioni sulle regole di organizzazione, di azione, di procedimento, quando esistenti, sono – come già anticipato – il portato di precorsi argomentativi o statuizioni elaborate in sede di determinazione di regole di sanzioni: in particolare, di quelle regole che permettono talvolta di superare il principio, di portata generale, per cui la società “madre” non risponde, se non volontariamente, delle obbligazioni incombenti sulla “figlia” verso terzi con i quali la stessa “figlia” abbia instaurato contatti giuridicamente rilevanti. La giurisprudenza europea, nei principali paesi dove la riflessione sui gruppi appare più affinata (Germania, Svizzera, Francia; Gran Bretagna; in modo non irrilevante anche in Olanda, Spagna e Portogallo), ha elaborato senza dubbio tecniche di tutela che, a prescindere dalla loro derivazione da soluzioni legali specifiche in materia di gruppi, hanno rappresentato e rappresentano il retroterra di istanze di “convergenze senza armonizzazioni” anche assai di recente rappresentate. Rispetto a molti di questi percorsi giurisprudenziali stranieri (a prescindere dalla circostanza che essi vengano praticati in paesi con o meno discipline generali dei gruppi) il giurista di diritto italiano, compreso il giudice, è bene si ponga con apertura d’animo e d’intelletto, propenso e disposto ad attentamente considerarne le soluzioni – alcune delle quali, ben inteso, dallo stesso giudice italiano raggiunto tramite simili o pure differenti percorsi argomentativi –, pur sempre alieno da pratiche acriticamente recuperatorie dell’altrui e con spiccata attenzione ai margini (appunto) di utilizzazione interpretativa del diritto comparato, in funzione esplicativa e applicativa della nostra disciplina. Ma pure consapevole del fatto che, anche laddove esso dovesse appurare la non praticabilità nel proprio diritto di alcuni di quei percorsi argomentativi e di alcune di quelle correlate conclusioni, tale conclusione avrà nondimeno assolto a una non irrilevante funzione metodologica [continua ..]


12. Segue. Diritto tedesco.

Guardando a questi tre percorsi nei quali l’uso interpretativo del diritto comparato si presenta, almeno nelle premesse, proficuo, e iniziando dalla Germania, l’attenzione del comparatista è attirata: (a) dalla condivisibile resistenza a riconoscere la responsabilità da affidamento nella capogruppo derivante da semplice rappresentazione dell’appartenenza al gruppo 86, in linea, a ben vedere (sebbene talvolta si trovi affermato il contrario), con la costante giurisprudenza svizzera. Giurisprudenza elvetica che esclude la responsabilità da affidamento nella capogruppo per indicazioni di carattere generale in merito all’esistenza di una relazione di gruppo, nel contempo attestando la meritevolezza di protezione di quella fiducia che derivi da un comportamento della società madre suscettibile di evocare aspettative sufficientemente concrete e determinate 87; (b) dall’affermazione di una tendenziale, ma non assoluta, discrezionalità della capogruppo a procedere a scelte di ristrutturazione del gruppo 88; come pure dall’attestazione dell’assen­za di un obbligo della capogruppo di salvataggio e dalla tenuta dell’alternativa “Sanieren oder Ausscheiden” 89. In questo senso, bisogna approfondire i margini che si aprono alla lettura “liberalizzante” di decisioni del Bundesgerichtshof tedesco in tema, appunto, di non necessaria correlazione tra obblighi azionari di buona fede e attività di risanamento patrimoniale/finan­ziario 90; (c) dalla permanente possibilità di ricostruire la responsabilità della capogruppo in termini di Existenzvernichtungshaftung 91; (d) dalla tendenza a escludere l’operatività nel gruppo del contratto con effetti protettivi ver­so terzi. Svolgo alcune brevi considerazioni quanto alle ultime due prospettive di riflessione menzionate. A) Penso risulti necessario, ancora oggi, anche per il giurista italiano, non dimenticare di tenere sempre presente la differenza tra Existenzvernichtungshaftung e Zahlungshaftung (§§ 64 S. 3 GmbHG e 92 Abs. 2 S. 3 AktG; 15a InsO): essa risiede nella constatazione che nella prima fattispecie è in discussione una valutazione della posizione dei soci, nella seconda della condotta dei gestori92. In particolare, il giurista italiano che pratichi ovvero che si predisponga a praticare scenari di un uso [continua ..]


13. Segue. Diritto francese.

Alcune delle superiori tendenze interpretative della giurisprudenza tedesca riecheggiano in decisioni dei giudici francesi. Penso soprattutto alle statuizioni secondo cui: (a) l’autonomia della società non può essere alterata, e la responsabilità della “madre” affermata, sulla base dell’uso (del semplice uso) dello stesso logo da parte di “madre” e/o “figlia” o in forza di dichiarazioni sulla stampa relative alle pratiche di gruppo da parte della “ma­dre” 102; (b) la “madre” non può essere impegnata contrattualmente dalla “figlia” senza il suo consenso 103; (c) non costituisce abuso di beni sociali la messa a disposizione della “madre” da parte della “figlia” di un avanzo di tesoreria, se l’atto si iscrive in una logica economica di gruppo e non è provato che il movimento di tesoreria abbia fatto correre alla “figlia” dei rischi importanti senza contropartita sufficiente, non proporzionati alle sue possibilità reali, permettendo di prevenire difficoltà gravi per l’avvenire 104 (evidente la pertinenza della statuizione anche ai margini di funzionamento del meccanismo compensativo); (d) è assente un obbligo della “madre” di finanziare la “figlia” per far fronte alle sue obbli­gazioni, anche ove questa presti un servizio pubblico 105. Nel contempo non può non darsi conto di altre decisioni che, senza alterare i principi che stanno alla base dei menzionati orientamenti, approdano a conclusioni motivatamente orientate ad affermare la responsabilità della “madre” 106 in ipotesi di: (e) confusion des patrimonies o di fictivité 107; e la prospettiva opera in modo emblematico nel diritto concorsuale, là dove, come da tempo affermato, la confusione di patrimoni tra “madre” e “figlia” può condurre alla responsabilità della prima per insufficienza dell’attivo della seconda, sebbene siano non infrequenti gli atteggiamenti restrittivi 108. Dal canto suo, l’at­teg­giamento della giurisprudenza favorevole a riconoscere la confusione di patrimoni 109 richiede, tra l’altro, una relazione di dipendenza economica e giuridica totale e anormale; (f) sussistenza dell’apparenza di unità economica [continua ..]


14. Segue. Diritto angloamericano.

Le spinte che animano, nel vecchio continente, la definizione di parametri sufficientemente e ragionevolmente equilibrati idonei a funzionare, da una parte, quale tecnica d’imputazione alla “madre” di una responsabilità per obbligazioni proprie di sue “figlie” verso terzi e, dall’altra, quali criteri di orientamento per la gradazione contenutistica e per la direzione soggettiva dei doveri di azione della capogruppo e dei gestori delle “figlie” si ritrovano, con ulteriore arricchimento di sfumature, nella giurisprudenza statunitense. Paradigmatiche a mio avviso le anche recenti elaborazioni, per un verso, intese a una risistemazione della piercing corporate veil theory (“dottrina” tutt’altro che oggetto di definitiva sistemazione); per altro, focalizzate sulla definizione della destinazione soggettiva dei doveri fiduciari di socio controllante e di amministratori della controllata in caso di società “figlie” in zone of insolvency (o in twilight zone o diventate financialy troubled) e sul­l’eventuale autonoma identificazione di una fattispecie di responsabilità for deepening insolvency. Parto dalla rivisitazione e risistemazione della piercing corporate veil theory. La posizione nettamente prevalente nella giurisprudenza USA, ancora oggi 113, è di conservare l’integrità della separate entity doctrine a meno che la holding domini la “figlia” e sia coinvolta in condotte fraudolente, illegali o improprie 114. Ancora di recente, si è ribadito che il «percing the corporate veil è un rimedio straordinario limitato a casi che presentano circostanze eccezionali» 115. Anche in UK, si continuano a registrare resistenze a estendere la responsabilità di una società di un gruppo per i debiti di un’altra, anche se fallita. Si è scritto che «the indipendent status of a separate corporation is a very sacred cow» 116; ma vi sono dei rebel judges. Storicamente, uno di questi è Lord Denning. In Littelwood Stores v. Inland Revenue Commissioners 117, egli parla della “figlia” come di una “creatura”, di un “pupazzo”. Lo stesso Lord Denning, a fronte delle critiche del mondo accademico inglese 118, in D.H.N. Food Distribs. Ltd. v. Tower Hamlets London Borough Council 119 conferma la sua tesi, [continua ..]


15. Alcune “assonanze” nel diritto italiano.

Se adesso si volge lo sguardo, in via conclusiva, al diritto italiano, e sempre nella prospettiva metodologica dell’uso interpretativo del diritto comparato, mi pare del tutto spontaneo pensare ad alcuni dei superiori scenari quando ci si trova a leggere, in particolare, quanto talvolta statuito dalla giurisprudenza del nostro paese. Nel dettaglio, penso, tra l’altro: (i) all’affermazione secondo cui «non esiste un obbligo di assistenza finanziaria, a maggior ragione se incondizionato, isolabile in capo alla società che esercita attività di direzione e coordinamento in quanto tale, anche laddove si acceda ad una accezione più ampia di responsabilità …, come riferibile alla assunzione di scelte strategiche “di gruppo” direttamente condizionanti (in negativo) le prospettive operative» della diretta 158; come all’affermazione per la quale è assente un obbligo di legge della capogruppo di rispondere delle obbligazione delle “figlie” 159; (ii) alle pronunce 160 che non impongono alla “madre” di mettere in condizioni la “figlia”, finanziandola direttamente o con sottoscrizione di aumento di capitale o altrimenti, la quale non fosse in grado di farlo da sé, di sfruttare un’occasione di affari che può essere sfruttata dalla stessa “madre” 161. In altre parole, gli attori non potrebbero addurre che il soggetto che eserciti attività s’indebiti o ricapitalizzi o finanzi per consentire alla diretta «di cogliere un’op­portunità economica che, altrimenti, le sfuggirebbe» 162. Tuttavia, va precisato che il rispetto dei principi di corretta gestione presuppone il “non scardinamento” del «necessario punto di equilibrio…tra il soddisfacimento degli interessi delle società controllate e quelli della società controllante rectius, del gruppo, tale da consentire la soddisfazione per tutti i soggetti coinvolti nelle operazioni realizzate» 163; (iii) all’assunto – il quale parrebbe intuitivo, ma che in realtà richiede di essere confermato – che l’attività di direzione e coordinamento non costituisce presupposto sufficiente per estendere alla società che dirige le responsabilità contrattuali verso terzi della diretta, in quanto due soggetti [continua ..]


16. Conclusione (con una postilla sulla necessaria libertà di pensiero del chierico della scienza)

Spero di avere gettato dei ponti per unire o di avere dimostrato che esistono ponti che già uniscono i diritti dei gruppi, al di là della e a prescindere dall’armonizzazione. Nel farlo, confido di essere rimasto fedele all’insegnamento metodologico, per me insuperato, di Gino Gorla: «la comparazione…è un processo quasi circolare di conoscenza che va dal­l’uno all’altro termine, e dall’altro ritorna sull’uno e così via; e arricchisce in tal modo sempre più la conoscenza dell’uno e dell’altro …» 165. Con una postilla apparentemente fuori tema. È necessario che nei confusi tempi correnti lo studioso, il chierico della scienza, si ponga e ponga con forza il tema della sua “libertà di pensiero e di servizio” nei confronti della politica, anche di quella dei cc.dd. tecnici. Soprattutto oggi, dove, riprendendo un passo di un sempre più attuale (e profetico) saggio di Luigi Einaudi del 1938, «c’è un balbettio, ci sono parole sconnesse, si odono mozioni d’affetto. Manca il ragionamento» 166. Anche oggi, invece, vi sono tracce diffuse, secondo forme diverse e ancora più preoccupanti rispetto al passato, di quello che il filosofo francese Julien Benda – era il 1927 – definiva il tradimento dei chierici della scienza 167. Credo che le condizioni per manifestare e difendere la libertà di pensiero e di proposta dello studioso siano le stesse che Albert Camus additava, nel 1939, come centrali e imprescindibili nel suo Manifesto sulla libertà di stampa: la lucidità, l’opposizione, l’ironia e l’ostinazione.


NOTE
Fascicolo 2 - 2012