Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Problemi aperti di fund governance dei fondi chiusi (di Paolo Carrière)


SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il potere di sostituzione della SGR da parte della maggioranza assembleare dei sottoscrittori - 3. Contenuto e limiti del potere di sostituzione della SGR - 4. L'assetto delle competenze gestorie tra sottoscrittori e SGR: una questione aperta - NOTE


1. Premessa

Nel presente articolo approfondisco alcune tematiche di fund governance oggi riscontrabili nel comparto del risparmio gestito e, specificamente, dei fondi comuni di investimento di tipo chiuso che originano dalla modifica normativa intervenuta con l’introdu­zione del comma 2-bis dell’art. 37 t.u.f. operata dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 [[1]]. Tale innovazione normativa induce infatti delicate e complesse problematiche di fund governance fin qui sostanzialmente ignorate ma tornate oggi di stretta attualità, essendo stato solo recentissimamente emanato il lungamente atteso regolamento ministeriale [[2]] a completamento della citata norma primaria e, per altro verso, costituendo oggetto di riflessione da parte della Banca d’Italia che a tal fine ha avviato una consultazione [[3]] fi­nalizzata a modificare alcune disposizioni del suo reg. 14 aprile 2005. Con il citato comma 2-bis dell’art. 37 t.u.f. è stata dunque per la prima volta prevista e disciplinata l’assemblea dei sottoscrittori alla quale sono demandate “deliberazioni vincolanti per la società di gestione del risparmio” e, in particolare, “sulla sostituzione della società di gestione del risparmio, sulla richiesta di ammissione a quotazione ove non prevista e sulle modifiche delle politiche di gestione”. L’assemblea in questione è convocata dal consiglio di amministrazione della SGR “anche su richiesta dei partecipanti che rappresentino almeno il 10 per cento del valore delle quote in circolazione”. Essa delibera con il voto favorevole “del 50 per cento più una quota degli intervenuti in assemblea” essendo comunque previsto un quorumdeliberativo che non potrà essere inferiore al 30 per cento del valore di tutte le quote in circolazione. È infine previsto che tutte le deliberazioni dell’assemblea siano trasmesse alla Banca d’Italia per l’approvazione, intendendosi approvate quando non sia intervenuto diniego entro quattro mesi dalla trasmissione. La modifica normativa in questione ha dunque introdotto – un po’ in sordina – un nuovo soggetto, l’assemblea dei partecipanti, prima del tutto sconosciuto alla disciplina dei fondi comuni di investimento e che si pone oggi, almeno potenzialmente, come un vero nuovo protagonista nei delicati [continua ..]


2. Il potere di sostituzione della SGR da parte della maggioranza assembleare dei sottoscrittori

Il comma in parola – sulla cui genesi all’interprete ben poco aiuto possono offrire i lavori preparatori [[7]] della legge che lo ha introdotto nel 2003 nel corpus del t.u.f. – pare chiaramente sottendere l’esigenza di apprestare una più incisiva ed efficace tutela ai sottoscrittori dei fondi “chiusi”. Essi infatti si vedono in tal modo garantita la possibilità di sostituire – osservando specifiche regole di procedura (e.g.: procedimento assembleare, quorum di investitori rappresentativo di una percentuale minima di quote del fondo) – il soggetto che gestisce il patrimonio ad essi riconducibile, qualora siano in disaccordo con le scelte discrezionali di asset management adottate dallo stesso, atteso che per quegli investitori – a differenza di quanto avviene nei fondi “aperti” – non è consentito liquidare in qualsiasi momento l’investimento effettuato. Una tale scelta che ad una prima analisi può apparire più che coerente (ma allora tardiva) ove si consideri che la dialettica tra sottoscrittori e SGR è riconducibile a quella tipicamente intercorrente tra “proprietari” e “gestori” (o principal-agent) in maniera non dissimile (ed anzi se possibile qui ancor più evidente) da quanto avviene in ambito societario – laddove costituisce un dato scontato della corporate governance la facoltà primaria dei soci, “proprietari”, di nominare, revocare e sostituire gli amministratori del loro investimento in capitale di rischio – ad un esame più approfondito, quale quello che ci accingiamo a impostare, potrà apparire perlomeno incompleta (aprendo tutta una serie di problematiche che vengono lasciate però senza indicazioni) se non discutibile, venendo a determinare una improvvida e confusa ibridazione di modelli – quello contrattuale dei fondi comuni con quello corporativo della SICAV – che nel sistema collettivo del risparmio offrono (offrivano) soluzioni diverse tra loro alternative e internamente coerenti al sistema della gestione collettiva del risparmio. Come evidente, la facoltà di sostituzione del gestore ad opera della maggioranza degli investitori non può infatti non determinare una profonda alterazione negli assetti originari di fund [continua ..]


3. Contenuto e limiti del potere di sostituzione della SGR

Analizzati dunque i profili di coerenza sistematica della facoltà oggi riconosciuta all’assemblea degli investitori di sostituire la SGR nel corso del periodo di durata del fondo e segnalati i delicati profili di fund governance a cui tale situazione dà luogo, ci si può ora interrogare se esistano e quali siano o debbano ritenersi i limiti “sostanziali” all’esercizio della relativa facoltà. Al riguardo nulla è previsto espressamente dall’art. 37, comma 2-bis, t.u.f., che impone esclusivamente regole di procedura relative all’adozione della delibera di sostituzione da parte dell’assemblea dei sottoscrittori. La soluzione a tale quesito non può dunque che fondarsi, in via generale, sull’analisi del rapporto giuridico che lega i sottoscrittori del fondo al gestore professionale del medesimo. La qualificazione di tale relazione è risultata però, da subito, tutt’al­tro che pacifica e, nella assenza di alcuna significativa giurisprudenza sul punto [[18]], nella dottrina, sin dall’inizio, a fronte di chi ha sostenuto che si trattasse di un rapporto riconducibile al mandato, la maggioranza degli autori ha escluso tale inquadramento, ritenendo che la relazione in questione avesse carattere sui generis, dovendosi ricondurla ad un contratto “atipico” c.d. “di partecipazione” o “di gestione”. Le ragioni di chi propendeva per la tesi dell’assimilabilità del rapporto de quo al mandato [[19]] facevano leva, essenzialmente, sul tenore letterale dell’art. 36, 5° comma, t.u.f. che prevede che “la società promotrice e il gestore assumono solidalmente verso i partecipanti al fondo gli obblighi e le responsabilità del mandatario”. Da un tale dato testuale discenderebbe dunque la coincidenza del contratto di partecipazione al fondo di investimento de quo con il contratto di mandato, quale forma “generale” e paradigmatica della gestione di un patrimonio (nell’interesse) altrui. Chi si schierava a favore della tesi del “contratto di partecipazione” o “di gestione” [[20]] sottolineava invece che nel rapporto sottoscrittori-gestore manca (per lo meno sino ad ora?) qualsiasi potere dei primi di ingerenza, istruzione e intervento nella gestione, [continua ..]


4. L'assetto delle competenze gestorie tra sottoscrittori e SGR: una questione aperta

E infatti, altro, connesso e delicatissimo profilo di fund governance che pareva poter essere oggi dischiuso dalla modifica normativa di cui ci stiamo qui interessando – l’introduzione del nuovo comma 2-bis dell’art. 37 t.u.f. – in linea con quanto osservabile con sempre maggior frequenza nella prassi negoziale dei fondi chiusi e, specie, immobiliari, che interviene ad incidere pesantemente sui consolidati e delicati equilibri che regolano oggi la dialettica “sottoscrittori-SGR” nel nostro ordinamento finanziario, determinando una latente mutazione genetica di tali fondi, attiene alla progressiva erosione di poteri gestori a favore dei sottoscrittori e a discapito della SGR. In particolare ci riferiamo qui al crescente fenomeno che vorrebbe progressivamente trasferiti spazi vieppiù crescenti di potestà gestoria a favore di comitati rappresentativi dei/composti dai sottoscrittori – variamente nominati – a fronte di una pari e corrispondente esautorazione della SGR alla quale sola, tuttavia, nell’attuale architettura normativa continuano a far capo in via esclusiva le prerogative gestorie del patrimonio del fondo; prerogative che essa è poi tenuta ad esercitare in regime di piena autonomia [[25]] e sotto la propria responsabilità. Sempre più diffusa, nell’ambito dei regolamenti dei fondi, specie di natura chiusa e specie di tipo immobiliare, è (era) infatti la presenza di comitati variamente denominati cui sono attribuite funzioni ora di tipo consultivo, ora di tipo decisionale, ora di controllo su profili di natura squisitamente gestoria; tutti volti, comunque, ad incentivare e a garantire con gradi diversi di intensità la partecipazione dei sottoscrittori alle scelte di investimento demandate al gestore “istituzionale” (la SGR). A seconda dei casi, il ruolo di volta in volta assegnato a tali comitati può presentare diversa portata (in tema di obbligatorietà) ed efficacia (in tema di vincolatività o meno per la SGR); anche l’effettiva rappresentatività e professionalità di essi risulta variamente articolata, potendosi osservare gradi diversi di loro “democraticità” e la rispondenza dei loro componenti a requisiti di professionalità diversi e variabili a seconda dei casi. La ricostruzione in termini civilistici corretti di [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2011