Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sez. II – Osservatorio sulla responsabilità sociale dell´impresa (di Francesca Calagna)


SOMMARIO:

La nuova disciplina della “Società Benefit”: profili normativi e incertezze applicative - 1. La Società Benefit come strumento per il perseguimento istituzionale degli obiettivi della responsabilità sociale dell’impresa. La cornice normativa di riferimento. - 2. La disciplina legale: struttura e pubblicità della SB. - 2.1. Segue. La Società Benefit come strumento di sintesi tra scopo di lucro e imprenditoria sociale. Modelli lontani e vicini, le CIC e le B-Corporation. - 3. Vantaggi e svantaggi della nuova Società Benefit: il mancato riconoscimento di “premi di mercato”. - 4. La finalità di beneficio comune e l’interesse sociale. Il gravoso compito del bilanciamento e le sue conseguenze. - 4.1. Segue. Gli atti amministrativi lesivi degli interessi diffusi. - NOTE


La nuova disciplina della “Società Benefit”: profili normativi e incertezze applicative

1. La Società Benefit come strumento per il perseguimento istituzionale degli obiettivi della responsabilità sociale dell’impresa. La cornice normativa di riferimento.

La società che, in aggiunta allo scopo lucrativo, intenda perseguire finalità di beneficio comune e operare in modo responsabile e trasparente di fronte alla società civile, tenendo conto dell’impatto che su di essa ha l’attività economica svolta, dispone oggi della possibilità, introdotta dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208, 376° comma e ss. (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), di costituirsi in forma di “Società Benefit”, sinteticamente indicata dal legislatore con l’acronimo “SB”. L’intervento normativo si segnala, innanzitutto, perché si inserisce tra quelli, di diversa intensità e natura, che ormai da tempo si registrano, sia a livello nazionale sia a livello europeo, e che sono volti alla promozione dei principi della c.d. responsabilità sociale dell’impresa (RSI). Ed invero, il moltiplicarsi degli strumenti di soft law e di riforme in materia nonché la crescente attenzione al tema da parte di dottrina e giurisprudenza, nazionali e sovranazionali, sembrano confermare che l’impresa non è più soltanto un operatore economico che agisce per la massimizzazione degli interessi dei suoi investitori ma che può essere chiamata ad assumere un comportamento socialmente responsabile, vedendosi attribuiti sia il compito di curare interessi diversi e generali imputabili alla collettività sia funzioni attive di perseguimento di uno sviluppo sostenibile, in particolare per quanto concerne le interazioni tra attività economica e ambiente [1]. Nell’ambito del contesto culturale e politico richiamato si colloca l’introduzione della SB e può cogliersene la portata innovativa come strumento legale a disposizione delle società for profit che vogliano anche agire secondo i principi della RSI [2]. Così inquadrata, la nuova disciplina si colloca, peraltro, in un sistema normativo più ampio se si considera che, già in altre occasioni, il legislatore italiano aveva mostrato sensibilità rispetto al tema della responsabilità sociale dell’impresa. Uno degli interventi significativi in tal senso è rappresentato, ad esempio, dalla legge 11 novembre 2011, n. 180, introduttiva di uno Statuto delle imprese [3]. Tale documento, [continua ..]


2. La disciplina legale: struttura e pubblicità della SB.

 In primo luogo, occorre chiarire cosa il legislatore abbia inteso indicare con la locuzione “Società Benefit” (di seguito SB) e quali soggetti possano farvi ricorso. A ciò soccorre il 376° comma della citata legge di stabilità che testualmente descrive le SB come le società che «nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse». Il legislatore chiarisce, al successivo 378° comma, talune delle espressioni che, nella definizione richiamata, rischierebbero di rimanere troppo generiche. Così, il “beneficio comune” è da intendersi come la produzione da parte dell’attività economica di effetti positivi o la riduzione di effetti negativi a vantaggio dei soggetti indicati [lett. a)]; tra gli «altri» portatori di interesse, possibili beneficiari delle esternalità positive prodotte dall’attività economica, rientrerebbero, i soggetti coinvolti, direttamente o indirettamente, nella stessa quali «i lavoratori, i clienti, i fornitori, i finanziatori, i creditori, la pubblica amministrazione e la società civile»[lett. b)] [20]. Quanto all’ambito soggettivo di applicazione, tutte le società di cui al libro V, titoli V e VI, del codice civile possono costituirsi come “Società Benefit” oppure, successivamente alla loro costituzione, deliberare una modifica in tal senso del­l’atto costitutivo o dello statuto (377° e 379° comma). Tali modifiche sono soggette alla pubblicità prevista per ciascun tipo sociale [21]. Da un punto di vista pubblicitario, inoltre, la finalità di beneficio comune può risultare dalla denominazione sociale, attraverso le parole “Società Benefit” o l’ab­breviazione “SB”, e tale denominazione può risultare anche dai titoli emessi, dalla documentazione e dalle comunicazioni con i terzi. In ogni caso, la finalità di beneficio comune perseguita deve risultare dall’oggetto sociale, inclusione che [continua ..]


2.1. Segue. La Società Benefit come strumento di sintesi tra scopo di lucro e imprenditoria sociale. Modelli lontani e vicini, le CIC e le B-Corporation.

Al di là del panorama legislativo richiamato all’inizio, è interessante verificare se quello della Società Benefit resti un caso isolato oppure se sia possibile rintracciare, in altri Paesi, modelli societari assimilabili, “ibridi”, che incorporano le finalità di svolgimento responsabile e sostenibile dell’attività economica, e le integrano con lo scopo di lucro tipico. A livello europeo, un’esperienza significativa è rappresentata dalla Community Interest Company (CIC) inglese che, nell’ultimo decennio, ha rappresentato il modello sulla scorta del quale molti altri Paesi hanno legiferato in materia [28]. Il dato caratterizzante detto modello è costituito da apposite disposizioni che ancorano l’assetto patrimoniale e la distribuzione dei dividendi al perseguimento di finalità di utilità sociale. La CIC è, infatti, un particolare tipo di limited company in cui la finalità di beneficio comune diviene prevalente rispetto all’interesse privato dei soci, come dimostrano sia l’obbligo di destinare il patrimonio alla realizzazione di obiettivi “sociali” sia le linee guida messe a punto dal governo inglese [29]. È di immediata evidenza che si tratta, quindi, di un modello ben più strutturato della SB nostrana, fornito di una regolamentazione dettagliata, capace di incidere in misura significativa sulla società e sul suo sistema di governo [30]. Notevolmente diverso è, inoltre, il rapporto tra l’interesse dei soci e quello della comunità, interessi che non sono nella CIC di uguale peso, tanto da potere essere bilanciati, ma il secondo è prevalente rispetto al primo. Peraltro, l’interesse della comunità ha, nel modello inglese, una connotazione specifica pure rispetto a quello degli altri stakeholders (come lavoratori, consumatori, ecc.), in quanto la comunità è il maggiore stakeholder e riceve rispetto agli altri un trattamento preferenziale. Pertanto, non potendone in questa sede ripercorrere l’intera disciplina ci si limita a mettere in risalto i profili che ne consentono un confronto con il modello della SB in commento: finalità perseguite, sistema di governo e previsione di vantaggi e/o incentivi normativi. Quanto alle ragioni per costituire una CIC (chapter [continua ..]


3. Vantaggi e svantaggi della nuova Società Benefit: il mancato riconoscimento di “premi di mercato”.

Restano, infine, da sondare le ragioni di opportunità che potrebbero indurre una società non solo ad agire in modo responsabile ma a farlo sotto un’etichetta specifica e secondo il modello organizzativo descritto. Profilo questo la cui rilevanza trova espressa conferma anche a livello europeo. Ed infatti, la comunicazione della Commissione europea n. 681 del 2011, già richiamata, evidenzia la stretta connessione tra il successo dei principi della RSI e il riconoscimento di “premi di mercato”, incentivi specifici che motivino le imprese a perseguire obiettivi sociali, anche compensandone i costi (punto n. 2). Se, per un verso, tali incentivi dipendono dalla stessa società civile che delle scelte responsabili beneficia (si veda il punto n. 3.4 della comunicazione secondo cui i consumatori e gli investitori con le loro scelte possono aumentare il premio di mercato);per altro verso, è primariamente rimesso al legislatore il compito sia di sensibilizzare la società civile (con apposite campagne) sia di prevedere incentivi ad hoc, ad esempio attraverso interventi mirati in materia di appalti pubblici (si veda il punto 4.4 ss.) [45]. Tenuto conto di ciò, occorre sottolineare che nessun vantaggio espresso è menzionato a fronte dei numerosi oneri che l’opzione per il regime della SB comporta. Ciononostante, resta il fatto che la scelta di agire in modo socialmente responsabile, specie se rapportata a settori “sensibili” come quello della tutela dell’ambiente o dei rapporti di lavoro, può assicurare all’impresa un ritorno in termini di immagine e, quindi, di profitto [46] derivante tanto dai consumatori – sempre più consapevoli e informati – quanto dagli altri soggetti della società civile [47]. Considerazione questa che deve, verosimilmente, essere stata nella mente dal legislatore che, anche a tal fine, ha previsto che le imprese “responsabili” possano indossare la veste giuridica della SB e far conoscere alla società civile il proprio impegno ma ha cercato, al contempo, di contenerne gli abusi sia predisponendo un sistema ben strutturato di valutazione e verifica dell’effettivo perseguimento di finalità di beneficio comune sia assoggettando la Società Benefit alle disposizioni in materia di pubblicità ingannevole (d.lgs. [continua ..]


4. La finalità di beneficio comune e l’interesse sociale. Il gravoso compito del bilanciamento e le sue conseguenze.

Così sinteticamente ricostruito il quadro normativo di riferimento per gli operatori che intendano adottare lo schema della SB, occorre svolgere un’ulteriore riflessione sull’impatto di tale disciplina sul sistema delle società che possono farvi ricorso. È emerso che la costituzione in forma di SB può rappresentare un’opportunità almeno per il ritorno di immagine che può trarne la società stessa. Al di là di ciò e in ogni caso, essa introduce degli elementi ulteriori rispetto a quelli legali di “irrigidimento” del tipo sociale di riferimento, sia in punto di organizzazione, imponendo l’attribuzione di una funzione dedicata al perseguimento delle finalità di beneficio comune nonché appositi obblighi pubblicitari, sia, soprattutto, in punto di responsabilità degli amministratori [51]. Mentre sul primo profilo ci si è già soffermati, è sul secondo che conviene adesso porre attenzione. Il dovere di bilanciare la finalità di beneficio comune con l’interesse dei soci e di coloro sui quali l’attività può avere un impatto e, quindi, l’obbligo testuale di amministrare in ragione di ciò [52] rappresentano l’aspetto più problematico e, al contempo, più innovativo della disciplina in commento [53]. In altre parole, l’organo amministrativo di una SB è tenuto ad agire in vista del perseguimento di due tipologie di interessi: da un lato, l’interesse dei soci; dal­l’altro, l’interesse sottostante alla finalità di beneficio comune, che deve essere perseguito al pari del primo perché la sua violazione, ove non giustificata da un adeguato bilanciamento, espone gli amministratori a responsabilità allo stesso modo di quanto avviene in caso di violazione dell’interesse sociale, propriamente detto. A ben vedere è forse improprio parlare di due interessi diversi, tra loro semplicemente giustapposti. Per un verso, l’interesse al perseguimento del beneficio comune è sì ulteriore rispetto allo schema tipico prescelto ma diventa della società nel momento in cui questa è costituita in forma di SB. Per altro verso, resta un interesse oggettivamente “nuovo”, perché imputabile alla collettività [continua ..]


4.1. Segue. Gli atti amministrativi lesivi degli interessi diffusi.

Altra e ben più spinosa questione è, invece, quella della legittimazione ad agire avverso gli atti che violano gli obblighi imposti dalla disciplina della SB e, segnatamente, l’ob­bligo di effettuare un corretto bilanciamento. Ed infatti, l’interesse al perseguimento di finalità di beneficio comune è, in quanto tale, imputabile non solo a categorie di individui differenziate e qualificate (ad es., i lavoratori) ma anche, in misura significativa, alla collettività in generale. In questo senso, il riferimento della legge di stabilità alla tutela dell’ambiente e alla promozione di attività culturali e sociali nonché le definizioni delle aree e degli standard di valutazione contenute negli allegati alla stessa legge confermano la rilevanza di interessi diffusi [62] e non è chiaro se tali interessi siano forniti di una tutela specifica avverso gli atti gestori compiuti senza procedere al bilanciamento prescritto [63]. Stando alla lettera della legge, questa non prevede alcuna regola in tal senso ma rinvia alla disciplina legale della responsabilità degli amministratori. Ne deriva, quindi, che, fatti salvi i profili ulteriori eventualmente rilevanti ai fini della responsabilità da illecito aquiliano, la platea dei soggetti legittimati ad impugnare gli atti amministrativi adottati in violazione dell’obbligo di bilanciamento o ad agire contro gli amministratori per la violazione dei doveri imposti dalla legge o dallo statuto non subisce estensioni. D’altra parte, non può non menzionarsi la prospettiva di un raccordo tra la disciplina della SB e quella contenuta nel già ricordato Statuto delle Imprese, introdotto nel 2011, il cui art. 4, 2° comma, riconosce alle associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale, regionale e provinciale la legittimazione ad impugnare «gli atti amministrativi lesivi degli interessi diffusi». Sebbene l’ambito applicativo soggettivo dello Statuto sia quello delle micro, piccole e medie imprese [64], il documento ha, entro tali limiti, una portata generale atteso che i principi in esso contenuti «costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica e principi dell’ordinamento giuridico dello Stato» (art. 1, 2° comma). E di tale portata non si vede perché non debba giovarsi [continua ..]


NOTE