Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
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Esclusione dell´unico accomandatario e procedimento decisionale (nota a Trib. Napoli, 13 gennaio 2015) (di Carlo Limatola)


TRIBUNALE DI NAPOLI, 13 gennaio 2015 – De Matteis – E.S. c. A.R. e M.R.

Società di persone – Società in accomandita semplice – Socio accomandatario – Esclusione – Estremi

(Artt. 2286, 1° comma, 2315 c.c.)

Integra le gravi inadempienze ex art. 2286, 1° comma, c.c. (disposizione applicabile al socio di s.a.s. ai sensi del rinvio operato dall’art. 2315 c.c.) il contegno del­l’unico accomandatario ed amministratore della società il quale consenta una gestione non ordinata tollerando l’intromissione di altri soggetti estranei. (1)

Società di persone – Decisioni dei soci – Procedimento assembleare – Essenzialità – Esclusione

(Art. 2287 c.c.)

Non esiste nella disciplina legale delle società di persone la previsione dell’organo e del metodo assembleare, per cui l’assunzione delle decisioni sociali, anche di esclusione del socio, può avvenire in forma non collegiale. (2)

Società di persone – Società in accomandita semplice – Socio “occulto” – Estremi – Diritto di voto – Condizioni

(Artt. 2247, 2252, 2287 c.c.)

Nelle società di persone l’assunzione della posizione giuridica di socio discende da un atto o da un comportamento a contenuto negoziale, sebbene non esteriorizzato, che incide sulle vicende giuridiche dell’ente.

Non può essere ammesso al voto (nella fattispecie, in materia di esclusione) un soggetto non indicato nell’atto costitutivo e di cui non è stata fornita alcuna prova dell’esistenza del rapporto sociale e dell’adempimento dei relativi obblighi. (3)

Omissis

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

  1. S., socio accomandatario della M. G. S.a.s. di E. S. & C., premesso che con altro giudizio instaurato dinanzi al tribunale di Napoli (omissis) aveva chiesto il riconoscimento della qualità di soci occulti di C. Ge., S. V. e (per l’interposta persona di A. R.) C. Gi. e l’accertamento delle gravi inadempienze commesse dai convenuti, concludendo per la loro esclusione dalla società ex art. 2286 c.c., ha citato in giudizio A. R. e M. R. al fine di ottenere la dichiarazione di nullità della delibera assembleare di esclusione dalla compagine societaria, adottata nei suoi confronti in data 30 aprile 2013. In via cautelare, ha chiesto la sospensione (anche inaudita altera parte) della suddetta delibera o, in alternativa, la sospensione ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa della definizione del procedimento (omissis), il tutto con vittoria di spese di giudizio. L’attore ha dedotto come motivi posti a fondamento della propria domanda: 1) la violazione del principio di maggioranza, il cui rispetto è necessario ai fini della validità della delibera, non essendo stati computati i soci (occulti) C. Ge., S. V. e C. Gi.; 2) il difetto di legittimazione di A. R., rivestendo la stessa unicamente il ruolo di “figura di riferimento” del marito C. Gi.; 3) l’assoluta insussistenza delle gravi inadempienze di cui all’art. 2286 c.c.; 4) l’inefficacia della delibera, perché sottoposta ad accertamento giurisdizionale nel procedimento (omissis).

I convenuti M. R. ed A. R., tempestivamente costituti con comparsa di risposta depositata in data 08 agosto 2013, hanno eccepito sia l’inam­missibilità e l’infondatezza della domanda cautelare, sia l’infondatezza della domanda di accertamento della nullità della delibera, contestando specificamente i motivi posti dall’attore a fondamento dell’atto di citazione. I convenuti hanno sostenuto: 1) che non si computano, nella deter­minazione della maggioranza necessaria ai fini delle deliberazioni assembleari, i soci occulti, non indicati nell’atto costitutivo della società; 2) che A. R. è legittimata a partecipare ed a votare nelle decisioni prese dall’assemblea, in quanto indicata nel contratto istitutivo della società; 3) che la mancata distribuzione degli utili ed i comportamenti di mala gestio posti in essere da E. S. integrano una giusta causa di esclusione dalla compagine sociale; 4) che l’accertamento incidenter tantum della validità della delibera, nel procedimento (omissis), è finalizzato unicamente alla verifica, in quel giudizio, della persistenza del­l’interesse ad agire dell’attore; il tutto con vittoria di spese di giudizio.

Con decreto presidenziale del 19.07.2013 è stata rigettata l’istanza cautelare inaudita altera parte; all’udienza del 13.08.2013 il giudice ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso cautelare ed ha rimesso gli atti al Presidente per l’even­tuale riunione con il procedimento (omissis).

A seguito della decisione di non disporre la riunione dei due giudizi, in quanto pendenti in diversi gradi del procedimento, sono stati chiesti e concessi i termini di cui all’art. 183, comma 6,c.p.c., con deposito delle relative note. Con ordinanza del 10.10.2014 il giudice ha rigettato le istanze istruttorie formulate dalla parte attrice, rinviando la causa per la precisazione delle conclusioni.

All’udienza del 21.10.2014 le parti hanno rassegnato così le proprie

CONCLUSIONI

l’avv. P. B. per la parte attrice: “si riporta ai propri scritti difensivi, reitera tutte le istanze, anche istruttorie, formulate e conclude per l’ac­co­glimento della domanda, chiedendo che il giudice rimetta la causa in decisione con la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.”;

l’avv. F. M. per le parti convenute M. R. e A. R.: “conclude per il rigetto della domanda e per la conseguente condanna alle spese di lite per parte attrice. Chiede che la causa venga riservata in decisione”.

La causa è stata trattenuta in decisione con la concessione del termine di 20 giorni per il deposito di comparse conclusionali (depositate dall’at­tore in data 07.11.2014 e dai convenuti in data 10.11.2014) e di ulteriori 20 giorni per repliche (depositate dai convenuti in data 01.12.2014).

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Il petitum del presente giudizio è costituito dall’accertamento della validità della delibera assembleare del 30.04.2013, assunta dai soci accomandanti A. R. e M. R. mediante comparsa di risposta, depositata in data 06.05.2013 nel procedimento (omissis), con cui è stata disposta l’esclusione dell’unico socio accomandatario della M. G. s.a.s. di E. S. & C.

L’istante ha, invero, dedotto l’invalidità della suddetta deliberazione sia in punto di legittimazione attiva, sia per quanto concerne il merito della decisione ai sensi dell’art. 2286 c.c.

Nella premessa dell’atto di citazione parte attrice ha richiamato gli atti del giudizio (omissis), avente ad oggetto l’accertamento della qualità di soci occulti della M. G. s.a.s. di E. S. & C. di C. Gi., C. Ge. e S. V., e l’esclusione degli stessi a causa delle gravi inadempienze compiute nella gestione della società.

Occorre premettere che, sebbene si tratti di controversie oggettivamente connesse, il presente procedimento riguarda esclusivamente l’oppo­sizione alla delibera assembleare di esclusione di E. S. a norma dell’art. 2287 c.c. (norma pacificamente applicabile anche alle società in accomandita semplice, cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 8570 del 2009 [cit. in nota]).

  1. In via preliminare, si osserva che è possibile, in un società in accomandita semplice, deliberare l’esclusione dell’unico socio accomandatario, in mancanza di alcuna precisazione sul punto da parte del legislatore; l’art. 2286 c.c. si limita, infatti, a prescrivere che, nell’ipotesi in cui la società sia composta di soli due membri, la decisione di esclusione spetta al tribunale (“Alle società in accomandita semplice è applicabile, in virtù del rinvio, operato dall’art. 2315 cod. civ., alla disciplina concernente le società in nome collettivo, ivi comprese quelle semplici – rinvio subordinato dalla stessa norma codicistica alla compatibilità di detta disciplina con la particolare struttura delle società in accomandita semplice – la normativa di cui agli artt. 2286 e 2287 cod. civ. … Tale disposizione, infatti, non presenta profili di incompatibilità, neanche nella ipotesi in cui il socio da esclu­dere sia l’unico accomandatario, con la struttura particolare della società in accomandita semplice, caratterizzata dalla presenza di due categorie di soci … essendo la descritta disciplina conciliabile con i poteri di controllo di cui il socio accomandante dispone”, Corte di Cassazione, sentenza n. 15197 del 2001 [cit. in nota]).

La legittimità della delibera prescinde, altresì, dalla convocazione preventiva dell’assemblea e del socio da escludere, non essendo stabilito dal legislatore uno specifico procedimento necessario per l’assunzione di tale decisione (Corte di Cassazione, sentenza n. 6394 del 1996 [cit. in nota]). Non esiste, invero, nella disciplina legale delle società di persone la previsione dell’organo e del metodo assembleare, per cui è possibile che la manifestazione di volontà dei singoli soci avvenga in modo non contestuale; nello stesso senso, la comunicazione al socio escluso non richiede l’adozione di specifiche formalità, essendo sufficiente un qualsiasi fatto o atto idoneo a portare a conoscenza dell’interessato la delibera, per consentire allo stesso di proporre tempestivamente opposizione (“Nella disciplina legale delle società di persone manca la previsione del­l’organo e del metodo assembleare, con la conseguenza che, dovendosi adottare la delibera di esclusione di un socio, non è necessario che siano consultati tutti i soci, né che essi manifestino contestualmente la propria volontà attraverso una delibera unitaria, essendo sufficiente raccogliere le singole volontà idonee a formare la richiesta maggioranza e comunicare la delibera di esclusione al socio escluso, affinché egli sia posto in condizione di esercitare la facoltà di opposizione dinanzi al tribunale”, Corte di Cassazione, sentenza n. 153 del 1998 [cit. in nota]).

Risulta, pertanto, sicuramente in grado di garantire l’effettiva conoscenza della decisione di esclusione, adottata nei confronti di E. S., il deposito della comparsa di costituzione, contenente la delibera di cui all’art. 2287 c.c., nel procedimento (omissis) introdotto anch’esso da parte attrice. Tale assunto trova conferma proprio nel­l’avvenuta proposizione del presente procedimento di opposizione alla delibera, secondo il principio del raggiungimento dello scopo.

  1. Con riferimento al profilo della legittimazione al voto della delibera di esclusione del 30.04.2013, parte attrice ha dedotto il mancato rispetto del principio di maggioranza imposto dall’art. 2286 c.c., sostenendo che della società M. G. s.a.s. di E. S. & C. avrebbero fatto parte, oltre allo stesso attore, M. R., C. Ge., S. V. e C. Gi. (quest’ultimo in luogo della moglie A. R. per interposizione fittizia). Ne discenderebbe, secon­do l’assunto di parte attrice, che la delibera di esclusione non è stata adottata dalla maggioranza dei soci, in quanto, da un lato, non sono stati considerati, nel computo dei voti, i soci occulti e, dall’altro, alla deliberazione ha partecipato A. R., alla quale è attribuibile una veste esclusivamente formale, essendo indicata nell’atto costitutivo della società in modo fittizio e come “figura di riferimento” del marito C. Gi. (motivi 1 e 2 del­l’atto di citazione, da trattare unitariamente per la vicinanza delle questioni da affrontare).

Nell’ambito delle norme relative alle società di persone, l’art. 2257 c.c. riconosce ad ogni membro l’amministrazione (disgiuntiva) dell’ente. Invero, l’acquisizione della qualità di socio (sia essa considerata un vero e proprio status di carattere privatistico, in quanto situazione di appartenenza ad un ordinamento collettivo, oppure un diritto soggettivo nascente dal contratto di società) com­porta il riconoscimento di una serie di posizioni giuridiche attive e passive, tutelate dall’or­di­na­mento sia nei confronti della società, sia nei confronti degli altri soci e dei terzi.

A prescindere, pertanto, dalla veste formale con cui tale qualità possa essere, in concreto, riconosciuta (attraverso una sentenza oppure attraverso un atto in cui sono indicati espressamente i membri della società, come il contratto costitutivo e gli atti modificativi dello stesso), la posizione giuridica di socio discende necessariamente da un atto o da un comportamento a contenuto negoziale, che incide sulle vicende giuridiche relative all’ente.

L’acquisto della qualità di socio può, difatti, avvenire attraverso l’adesione originaria al contratto plurilaterale di società o attraverso una manifestazione di volontà successiva e modificativa dello stesso; oppure per effetto dell’acquisto inter vivos o mortis causa di una quota di partecipazione della società (sul punto, si veda anche Corte di Cassazione, sentenza n. 2539 del 1990 (Giur. it., 1990, I, 1, 1727): “Nelle società di persone l’acquisto della quota sociale non è sufficiente a far acquistare la qualità di socio ed insorgere la responsabilità dell’acquirente per le obbligazioni sociali nonché a determinare la connessa estensione del fallimento della società all’ac­qui­rente stesso, occorrendo invece che si realizzi il suo effettivo inserimento nell’organismo sociale mediante il patto con gli altri soci che comporta, attraverso l’assunzione della qualità di socio, i connessi diritti ed obblighi verso la società, gli altri soci e i terzi”).

Peraltro, i limiti e le condizioni imposti dal legislatore all’acquisizione della qualità di socio, successivamente alla stipula del contratto costitutivo, si spiegano, nell’ambito delle società di persone, alla luce del principio della non libera trasferibilità della quota, in quanto si tratta di un contratto concluso intuitus personae, in considerazione della struttura e degli interessi coinvolti in tale tipo di società. Ne discende, come logico corollario, la necessità del consenso unanime di tutti i soci per le modifiche, soggettive ed oggettive, dell’atto costitutivo delle società di persone, salvo che sia stata prevista, con l’accordo di tutti i soci, una clausola derogatrice, con cui si consente la modifica a maggioranza (art. 2252 c.c.).

Tra i diritti di amministrazione, lato sensu intesi, correlati alla qualità di socio rientra il diritto di voto, con cui i membri della società esprimono il proprio parere e manifestano i propri interessi nelle ipotesi espressamente previste dalla legge, compresa, per quanto rileva in questa sede, la volontà di escludere un socio dalla compagine collettiva, ai sensi dell’art. 2287, comma 1, c.c.

Ai fini del riconoscimento del diritto di voto nelle delibere assembleari rileva, quindi, l’acqui­sizione della qualità di socio, con i diritti (e gli obblighi) che ne discendono, ed è alla stregua di tale principio che occorre trovare una soluzione alla rilevanza del voto dei soci non indicati nel­l’atto costitutivo ai fini della validità delle decisioni assembleari deliberate a maggioranza.

Ebbene, si è osservato che per quanto concerne i rapporti interni alla società e le posizioni soggettive di cui i singoli membri sono titolari, la questione va risolta sotto il profilo negoziale, vale a dire con riferimento alla volontà dei soci di modificare (anche da un punto di vista soggettivo) il contratto originario, deliberando l’immis­sione nella compagine sociale di altri membri.

Non sussiste, invero, tra le parti quell’esigenza di tutela dei terzi che è posta a fondamento della categoria dei soci occulti di creazione giurisprudenziale, quale “sanzione” volta ad assicurare la condizione dei terzi nelle ipotesi in cui, attraverso il c.d. patto di occultamento, coloro che agiscono nell’interesse della società non manifestano, all’esterno, la propria posizione (la giurisprudenza ha sostenuto, al riguardo, che nell’ipotesi di abuso della personalità giuridica da parte di un soggetto che utilizzi lo schermo societario per sottrarsi ad una determinata disciplina di natura giuridica o anche fiscale, la sanzione da applicare consiste proprio nell’applicazione delle medesime norme di diritto che le parti avrebbero voluto eludere, Corte di Cassazione, sentenza n. 804 del 2000, Società, 2000, 846).

Inter partes non viene in rilievo una situazione di apparenza (colpevole) cui l’ordinamento pone rimedio alla luce del principio di buona fede e del legittimo affidamento dei terzi, quanto piuttosto il contratto di costituzione della società (un atto, quindi, a contenuto negoziale) stipulato tra le parti, da cui discende, come si è osservato, il riconoscimento dello status di socio, con i diritti e gli obblighi previsti dall’atto costitutivo e dalla legge.

Ed è vero che l’atto costitutivo può essere modificato, con il consenso di tutti i soci, anche per facta concludentia (non essendo l’iscrizione nel registro delle imprese una condizione di esistenza né di validità degli atti di costituzione nelle società di persone, venendo in rilievo la diversa figura della società irregolare), tuttavia tale volontà deve risultare provata in modo certo ed univoco, dovendo dimostrarsi, seppur senza che ciò risulti all’esterno verso i terzi, la volontà certa di tutti i soci di modificare l’atto costitutivo nel senso di far entrare nella compagine sociale altri membri.

Mentre, quindi, l’esigenza della tutela dei terzi è garantita con la pubblicazione nel registro delle imprese dell’atto costitutivo e con l’obbligatorietà del nome del socio accomandatario nella ragione sociale, nell’ambito dei rapporti interni tra i soci è necessaria la volontà di tutti i membri di modificare il rapporto sociale con la partecipazione di altri soggetti; in mancanza di tale prova, l’even­tuale intromissione di persone estranee alla com­pagine collettiva non può che rilevare sotto il diverso profilo dell’inadempimento degli obblighi nascenti dal contratto a carico dei soci accomandatari, come meglio si vedrà in seguito.

Nei confronti dei terzi, quindi, è sufficiente l’accertamento della manifestazione esteriore del vincolo sociale, attraverso la prova che i c.d. soci occulti agiscono all’esterno in modo da ingenerare, nei soggetti con cui entrano in contatto, la convinzione di essere membri di una società (tra le tante, Corte di Cassazione, sentenza n. 9250 del 2006, Mass. Giust. civ., 2006: “La società di fatto, sebbene inesistente nella realtà, può apparire esistente di fronte ai terzi quando due o più persone operino nel mondo esterno in modo da determinare l’insorgere dell’opinione ragionevole che essi agiscano come soci e del conseguente le­git­timo affidamento circa l’esistenza della società stessa: in tale ipotesi, a tutela della buona fede dei terzi, è sufficiente che il soggetto che abbia trat­tato col socio apparente provi un comportamento che, secondo l’apprezzamento insindacabile del giudice di merito, sia idoneo a designare la società come titolare del rapporto. In tal caso incombe sulla società apparente la prova che controparte fosse consapevole dell’inesistenza del vincolo sociale e quindi non meritevole di tutela”).

Al contrario, nell’ambito dei rapporti interni, ai fini della prova dell’esistenza del vincolo sociale, è necessario l’accertamento di tutti i requisiti richiesti dall’ordinamento per la conclusione del contratto di società. Ed invero, la prova del rapporto sociale (art. 2247 c.c.) consiste nella dimostrazione dei seguenti elementi (Cass. 7624/1997, in Il Fall. n. 11/1998 [cit. in nota]; Cass. n. 9030/1997, in Il Fall. n. 6/1998 [cit. in nota]; Cass. n. 8154/1990 [cit. in nota]; App. Milano 14/1/1992 [Giur. it., 1993, I, 2, 262]; Trib. Napoli 17/7/1996 [cit. in nota]):

– il conferimento di beni o servizi per la formazione di un patrimonio comune;

– la partecipazione agli utili ed alle perdite;

– l’intenzione di vincolarsi e collaborare per conseguire risultati patrimoniali attraverso lo svol­gimento in comune di un’attività economica, sia nel senso che ciascun socio ha il potere di determinare l’attività sociale, sia nel senso che i risultati positivi e negativi di ciascun atto sociale ricadono su tutti i soci (c.d. affectio societatis).

Le argomentazioni svolte si rendono ancora più rilevanti nell’ambito delle società in accomandita, in considerazione dell’esistenza di due categorie di soci, di cui una soltanto avente poteri di gestione e di amministrazione. Per garantire la tutela dei soci accomandanti e di quelli in minoranza, è necessario assicurare sia il principio dell’unanimità dei consensi per le modifiche del­l’at­to costitutivo, sia il rispetto del voto a maggioranza nelle delibere assembleari con cui sono decisi i momenti più importanti della vita della società.

Pertanto, ai fini della rilevanza del (non) voto dei soci “occulti” nella delibera impugnata, parte attrice avrebbe dovuto articolare una prova volta a dimostrare, in modo specifico e puntuale, che anche C. Ge., S. V. e C. Gi. sono effettivamente soci della M. G. s.a.s. di E. S. & C., in quanto tutti i membri originari – compreso l’attore, che è peraltro l’unico socio accomandatario – hanno manifestato la volontà di modificare la composizione iniziale della società, con la conseguente dimostrazione dell’esistenza del rapporto sociale anche nei confronti di tali soggetti.

Diversamente, in punto di allegazione, con la comparsa di cui al secondo termine dell’art. 183, comma 6, c.p.c., l’attore non ha dedotto circostanze tali da dimostrare la volontà unanime dei soci originari, previsti nell’atto costitutivo, di far entrare nella società C. Gi., C. Ge. e S. V.

È vero che la prova de qua può essere data con presunzioni, purché siano però gravi, precise e concordanti; con le richieste istruttorie l’attore ha allegato per lo più attività meramente materiali ed occasionali, inidonee a dimostrare la sussistenza di un potere di gestione e di amministrazione effettivo e costante, tale da legittimare la qualifica di socio (seppur occulto) della M. G. s.a.s. di E. S. & C. (parte attrice ha dedotto, in particolare, circostanze relative ad attività di cassa, di gestione del denaro contante o di incasso dei soldi prelevati dalle macchinette elettroniche utilizzate per la raccolta scommesse, senza neppure allegare il carattere sistematico delle medesime attività; sul punto, si veda Corte di Cassazione, sentenza n. 6299 del 2007 [Mass. Giust. civ., 2007] ove, ai fini della dimostrazione del rapporto sociale, i giudici di legittimità richiedono la prova di comportamenti che “ancorché riguardanti il solo momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società, siano, per la loro sistematicità e per ogni altro elemento concreto, ricollegabili ad una costante opera di sostegno del­l’attività di impresa, qualificabile come collaborazione di un socio al raggiungimento degli scopi sociali”).

Solamente con riferimento alla posizione di C. Gi. le allegazioni di parte attrice possono ritenersi più specifiche in relazione alla sua partecipazione alla società. È noto, tuttavia, che per la dichiarazione di invalidità della delibera assembleare è necessaria la prova che la manifestazione del voto del soggetto escluso sarebbe stata determinante ai fini della legittimità della decisione. Nel­l’ipotesi de qua, l’eventuale partecipazione alla delibera del solo C. Gi. non avrebbe potuto determinare (dovendosi aver riguardo alla maggioranza numerica e non per quote: Cass. n. 536/1953 [Dir. fall., 1953, II, 145) il venir meno della maggioranza necessaria per deliberare l’esclusione dalla società di E. S., con la conseguente irrilevanza della sua posizione.

Né alcune valore giuridico può rivestire l’as­sun­to di parte attrice secondo cui non dovrebbe computarsi, nel calcolo della maggioranza, il voto di A. R., in quanto “figura di riferimento” del marito C. Gi.

Invero, l’atto costitutivo è, nell’ambito dei rapporti societari, la fonte del rapporto sociale, da cui derivano i diritti e gli obblighi delle parti, per cui non può porsi in dubbio la qualità di socia di A. R., come risultante dal contratto del 16.03.2010, potendo al più porsi, nella fase di esecuzione del rapporto societario, un problema di inadempimento del contratto medesimo (non ricorrente nel caso di specie, considerato altresì che la convenuta è mera socia accomandante).

Con riferimento alla posizione di A. R., avendo parte attrice dedotto la sua qualità di “mera figura di riferimento” del marito C. Gi., la prova della fittizietà della sua posizione all’interno della compagine sociale – volta a dimostrare che la volontà delle parti, al momento della stipula del contratto, era simulata e diretta, invece, a considerare socio effettivo C. Gi. – non potrebbe in ogni caso essere data per testimoni a norma del­l’art. 1417 c.c., in quanto diretta a dimostrare l’esistenza del rapporto dissimulato (non per l’illiceità dello stesso) tra le parti.

D’altronde, con riferimento specifico al diritto di voto, è evidente l’intenzione del legislatore di riconoscere a tale situazione giuridica attiva una particolare importanza nell’ambito della gestione societaria, per l’esigenza di assicurare a tutti i membri dell’ente collettivo pari diritti.

Indicativa, in tale senso, è la disposizione di cui all’art. 2344, ultimo comma, c.c., prevista nel­l’ambito delle società di capitali: il socio che sia in mora con i versamenti in favore della società non può esercitare il diritto di voto. Emerge da tale norma la corrispettività esistente, nell’in­ten­tio legis, tra le posizion[i] giuridiche attive e quelle passive discendenti dal contratto di società; ed invero, trattandosi di un ente collettivo, il legislatore interviene prevedendo una serie di disposizioni minime (tipiche e legali), per garantire al­l’interno della compagine sociale i diritti inviolabili ed il rispetto dei doveri inderogabili (art. 2 Cost.)

Ne discende, alla luce di un criterio di ragionevolezza, che non può essere ammesso al voto un socio c.d. occulto, di cui non è stata fornita prova alcuna dell’adempimento agli obblighi sociali.

  1. Per quanto concerne il merito della decisione assunta con la delibera del 30.04.2013 sussistono gli inadempimenti addebitati ad E. S. e legittimanti l’esclusione dello stesso dalla società a norma dell’art. 2286 c.c., con riferimento agli obblighi previsti dalla legge e dal contratto.
  2. S. è l’unico socio accomandatario della M. G. s.a.s., titolare dell’amministrazione della società per il raggiungimento dello scopo sociale.

Non risulta contestato tra le parti, al contrario, che nella gestione della società è stata consentita l’intromissione di altri soggetti (C. Gi., C. Ge. e S. V.), legati all’istante da rapporti familiari.

Si legge nella memoria di cui al secondo termine dell’art. 183, comma 6, c.p.c., depositata dalla parte attrice: “Proprio la gestione irregolare della società ha condotto S. E. alla ribellione, che in più di una occasione cercava di porre argini a tale gestione irresponsabile, circostanza che ha portato come conseguenza il suo progressivo allontanamento dall’amministrazione della società stessa. Da tutto ciò derivava, anche in ragione dei rapporti familiari in essere, il definitivo deterioramento del matrimonio tra E. S. e C. D., figlia di C. Ge. e sorella di C. Gi.”.

Emerge dalle stesse dichiarazioni della parte attrice che la società è stata gestita da E. S. per assecondare le proprie dinamiche familiari, tollerando, nella sua qualità di socio accomandatario, l’intromissione da parte di soggetti estranei alla compagine collettiva finché i suoi rapporti personali con la moglie e con la sua famiglia non si sono deteriorati.

L’istante, invero, nonostante la irregolare amministrazione in cui si trovava la società, non si è attivato per rimuovere la situazione di mala gestio, limitandosi, soltanto dopo la rottura del proprio matrimonio, ad allontanarsi dalla società ed a proporre un’azione giudiziaria per l’esclu­sione dei c.d. soci occulti, dimostrando di non perseguire, in via primaria ed esclusiva, il raggiungimento dello scopo sociale.

Il comportamento di E. S., oltre a risultare contrario ai principi di buona fede e di collaborazione, applicabili ai rapporti societari, consente di sostenere che l’istante ha utilizzato la società di cui era socio accomandatario per scopi personali, mutando il proprio atteggiamento nella gestione della M. G. s.a.s. in relazione ai suoi rapporti familiari, non ritenendo il raggiungimento dei fini sociali l’obiettivo primario da raggiungere attraverso l’amministrazione della società.

Inadempienze rilevanti ai fini della esclusione di E. S. si rinvengono anche nel lungo ritardo per il deposito del conto di gestione e nella mancata distribuzione degli utili della società; si tratta di condotte chiaramente poste in essere in violazione degli obblighi nascenti non solo dal contratto sociale, ma anche dalla legge, trattandosi peraltro di una società lucrativa con oggetto com­merciale. Tali circostanze non risultano contestate tra le parti, in quanto l’attore si è limitato a giustificare (senza dimostrare) la mancata distribuzione (ai soci ’regolari’) degli utili con l’ap­propriazione degli stessi da parte dei soci occulti.

È evidente, tuttavia, che nella società in accomandita semplice, stante la distinzione legalmente prevista tra le due diverse categorie di soci, spetta agli accomandatari non solo il potere-dovere di gestire in modo corretto la società per il perseguimento dei fini sociali, ma anche, sotto diverso profilo, l’obbligo di controllare il buon andamento dell’ente collettivo (anche sub specie di onere di vigilanza sull’operato altrui), evitando o attivandosi per porre rimedio alle eventuali difficoltà insorte.

I comportamenti addebitabili all’istante devono, pertanto, ritenersi connotati da un grado di gravità tale da legittimare l’esclusione del socio a norma dell’art. 2286 c.c.

Infine, si rileva che con l’introduzione del giudizio (omissis), con cui parte attrice ha chiesto il riconoscimento della qualità di soci occulti di C. Ge., C. Gi. e S. V. e la contestuale esclusione degli stessi dalla compagine collettiva, l’istante ha dimostrato, ancora una volta, di non improntare i propri comportamenti al raggiungimento degli scopi sociali (cfr. Cass. 6200/1991 [Giur. it., 1992, I, 1, 886], secondo cui “La gravità delle
inadempienze del socio che, ai sensi dell’art. 2286, primo comma, cod. civ., può giustificare l’e­sclusione dello stesso dalla società, ricorre non soltanto quando le dette inadempienze siano tali da impedire del tutto il raggiungimento dello scopo sociale, ma anche quando, secondo l’incensu
­rabile apprezzamento del giudice del merito, abbiano inciso negativamente sulla situazione della società, rendendone meno agevole il perseguimento dei fini”).

Con il deteriorarsi dei propri rapporti familiari, invero, E. S. ha chiesto l’esclusione di una intera categoria di soci (accomandanti), circostanza che può determinare l’estinzione della società se entro sei mesi la categoria di soci non è (ri)costi­tuita.

L’attore ha, dunque, consentito una gestione non ordinata della compagine sociale, tollerando situazioni dipendenti esclusivamente dalla propria sfera familiare e confondendole con gli scopi della società.

  1. Infine, alcun valore può essere riconosciuto in questa sede alla verifica incidentale richiesta dai convenuti nel procedimento (omissis) circa la validità della delibera, in quanto si tratta di un accertamento volto a fondare la insussistenza, in quel procedimento, dell’interesse ad agire del­l’at­­to­re, in quanto decaduto, a seguito del passaggio di trenta giorni dalla comunicazione della delibera, dalla qualità di socio.

Ritenuta, in conclusione, la sussistenza della legittimazione ad assumere la delibera e delle gravi inadempienze di cui all’art. 2286, la domanda non può trovare accoglimento.

  1. Le spese seguono la soccombenza, a norma dell’art. 91 c.p.c., e si liquidano come in dispositivo, comprese quelle relative alla fase cautelare.

P.Q.M.

Il tribunale di Napoli, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da E. S. nei confronti di A. R. e M. R., così provvede:

  1. a) rigetta la domanda;
  2. b) condanna E. S. al pagamento delle spese del giudizio in favore di A. R. e M. R., che si liquidano in euro 5.000,00, oltre accessori di legge, per compensi. Così deciso in Napoli il 18 dicembre 2014.

    (omissis)

SOMMARIO:

Esclusione dell’unico accomandatario e procedimento decisionale - 1. Il caso e la normativa di riferimento - 2. La posizione della giurisprudenza - 3. L’evoluzione della dottrina in materia di esclusione dell’unico accoman­datario. Il commento - 4. (Segue). L’emersione di soci non indicati nell’atto costitutivo - 5. (Segue). I riflessi sul procedimento decisionale - NOTE


Esclusione dell’unico accomandatario e procedimento decisionale

1. Il caso e la normativa di riferimento

In seguito alla decisione di esclusione dell’unico socio accomandatario ed amministratore di una s.a.s. è sollevata opposizione al tribunale ai sensi dell’art. 2287, 2° comma, c.c. Si contesta, in particolare, la sussistenza degli estremi per l’applicazione dell’art. 2286, 1° comma, c.c. e, in termini generali, la validità del procedimento adottato, in considerazione del mancato coinvolgimento di alcuni soggetti, ritenuti membri della compagine a titolo di soci “occulti”. Il provvedimento annotato, pertanto, oltre a soffermarsi sugli estremi dell’esclusione dell’accomandatario, affronta anche la delicata questione relativa all’emersione in una società di persone di uno o più soci non indicati nell’atto costitutivo. Si tratta di profili di sicuro interesse per le problematiche affrontate, in quanto il coinvolgimento di nuovi componenti non assume rilievo in relazione alla sottrazione di uno o più patrimoni personali alle pretese dei creditori sociali, ma ai fini della determinazione della loro effettiva appartenenza all’impresa comune, anche in funzione del corretto svolgimento del procedimento decisionale. Non è allora in discussione – come sovente si riscontra nel panorama giurisprudenziale – la tutela dei terzi [1], allorché la prova del rapporto associativo può essere desunta anche da indici presuntivi, in assenza della puntuale dimostrazione dei requisiti previsti dalla legge [2]. L’appartenenza di uno o più soggetti alla società assume rilievo, invece, sul piano organizzativo ed, in particolare, in riferimento alla loro legittimazione a prendere parte alle decisioni sociali, con specifico riguardo alla validità dell’esclusione, decisa ai sensi dell’art. 2287 c.c. È inevitabile, quindi, il ricorso alla verifica degli estremi per l’acquisto della qualità di socio, anche se solo per fatti concludenti, per cui l’indagine si concentra sull’accertamento dei requisiti richiesti dagli artt. 2252 e 2247 c.c. [3]. Tali problematiche si innervano, poi, nella peculiare struttura di una società in accomandita semplice e si intrecciano con l’antico dibattito relativo all’esclusione del­l’u­nico accomandatario, con peculiare attenzione ai profili procedimentali.


2. La posizione della giurisprudenza

Il provvedimento aderisce all’orienta­mento giurisprudenziale consolidato secondo cui in una società in accomandita semplice è ammessa l’esclusione anche del­l’unico accomandatario, con decisione adottata a maggioranza dai soli accomandanti. Si supera, così, la diversa ricostruzione che, in passato, valorizzava la contrapposizione tra le due distinte categorie [4]: si negava, infatti, l’applicazione della norma de qua, talvolta ritenendo che la fattispecie implicasse anche la revoca del gerente [5], talaltra concludendo per l’applicazione analogica dell’art. 2287, 3° comma, c.c., che riguarda l’ipotesi di società costituita da due soli componenti [6]. La soluzione qui accolta è coerente con la posizione attualmente riconosciuta all’accomandante e si concilia con la concezione sempre meno restrittiva assunta anche in giurisprudenza sul suo ruolo all’interno della s.a.s. [7]. Anche in relazione agli estremi dell’e­sclu­sione il provvedimento torna su questioni già note, sia in relazione ai motivi che possono essere addotti, che in merito al procedimento adottato, su cui si è assistito in passato ad una contrapposizione tra le pronunce delle corti e le opinioni espresse in dottrina [8]. Nella prima prospettiva, si segue la tesi che reputa causa di esclusione del socio, quando costui è anche amministratore, la violazione di doveri inerenti all’esercizio della funzione di governo. La tesi è stata sostenuta in passato alla luce della clausola generale che imporrebbe a ciascun membro un dovere di collaborazione [9], sebbene nella variante che non richiede un comportamento positivo, ma vieta l’as­sunzione di atteggiamenti ostruzionistici o comunque dannosi per la società, anche in considerazione del ruolo complessivamente ricoperto nella medesima [10]. Sul piano del procedimento, poi, la sentenza aderisce al consolidato orientamento che – salvo qualche isolata eccezione [11] – esclude che nei tipi personali occorre adottare in via generale il metodo assembleare, fatta salva la possibilità di una puntuale indicazione convenzionale in tal senso [12]: si è anche affermato in giurisprudenza che la decisione potrebbe essere adottata in maniera non contestuale ed in alcuni casi persino con il coinvolgimento della sola maggioranza [continua ..]


3. L’evoluzione della dottrina in materia di esclusione dell’unico accoman­datario. Il commento

In parallelo rispetto al dibattito giurisprudenziale, anche la dottrina ha mostrato orientamenti difformi in relazione all’appli­ca­bilità dell’art. 2287, 1° comma, c.c. all’e­sclu­sione dell’unico accomandatario. In alcuni casi, si è affermato che tale esito sarebbe precluso dalla necessità di ricorrere alla più stringente disciplina in materia di revoca dell’amministratore, in quanto l’e­spulsione del socio implica in questo caso anche la destituzione del gerente; anzi, proprio in questa prospettiva, si è ritenuto che la procedura prevista dalla legge sia in via di principio incostituzionale, non essendo richiesta l’unanimità, come per la destituzione del gerente ai sensi dell’art. 2259, 1° comma, c.c., che costituisce un provvedimento di minore gravità [22]. In altri ordinamenti, invero, come quello spagnolo, non si dubita che anche i soci accomandanti abbiano diritto di prendere parte alla decisione di esclusione del socio colectivo [23], sebbene tale disciplina richieda l’unanimità dei consensi [24]. Quando il soggetto da escludere è anche amministratore, però, non basta la decisione unanime, ma occorre altresì una pronuncia del giudice (art. 132 codígo de comercio) [25]. Non diversamente avviene in Germania, dove la legge prescrive per l’accomandita un rinvio alla disciplina della oHG [26]. Nel diritto interno, invece, si è posto l’ac­cento sul riferimento posto dall’art. 2315 c.c. all’applicazione delle norme in materia di s.n.c. “in quanto compatibili”. Secondo questa ricostruzione, svariate disposizioni non supererebbero il vaglio di compatibilità richiesto dalla legge, valorizzando la contrapposizione tra le due categorie di soci, una sola delle quali esposta alla responsabilità patrimoniale per i debiti sociali ed al fallimento personale. In questa prospettiva, l’esclusione dell’unico accomandatario non potrebbe aver luogo seguendo il procedimento prescritto dall’art. 2287 c.c., in quanto per questa via si lascerebbe ai soli soci accomandanti anche la facoltà di incidere sulle posizioni amministrative: e tale esito sarebbe inaccettabile, in quanto nella s.a.s. il socio accomandante non potrebbe richiedere neanche la revoca per giusta causa dell’amministratore ai [continua ..]


4. (Segue). L’emersione di soci non indicati nell’atto costitutivo

Attesa l’ammissibilità dell’esclusione dell’unico accomandatario decisa dalla maggioranza dei soci accomandanti, si pone il problema dell’interferenza dell’emer­sione di uno o più componenti non indicati nell’atto costitutivo sul procedimento di e­sclusione, al quale costoro non abbiano preso parte. Tale profilo non trova una chiara soluzione nella formulazione del­l’art. 2287 c.c., che si riferisce ad una decisione della maggioranza, senza richiedere espressamente il coinvolgimento di tutti i soci. L’indicazione non è decisiva nel senso della possibilità di ricorrere al metodo della raccolta interna, in quanto, da una parte, questo dato letterale è tanto debole quanto quello di segno inverso relativo alla deliberazione dell’esclusione, che all’opposto suggerisce la necessità di una formale riunione [48]; dall’altra, è significativo il dato storico rappresentato dell’evoluzione normativa in materia, da cui emerge che originariamente il riferimento alla sola maggioranza fosse limitato alla mera legittimazione a richiedere l’espulsione del socio in via giudiziale [49]. Invero, la questione relativa agli effetti del mancato coinvolgimento di uno o più membri è stata affrontata in dottrina prevalentemente in relazione alla necessità di convocare anche l’escludendo, ferma restando la possibilità di quest’ultimo di partecipare alla sola discussione preliminare. La tesi favorevole – in verità minoritaria – argomenta, tra l’altro, dalla circostanza che la permanenza della qualità di socio fino al momento in cui il provvedimento acquista efficacia implica la legittimazione ad essere convocato e quindi a difendersi preventivamente, tentando di determinare l’esito della decisione [50]. Nell’ipotesi considerata la pretermissione di uno o più soggetti deriva, invece, dal man­cato acclaramento della loro posizione, che richiede un’indagine preliminare relativa alla ricorrenza dei presupposti di legge. A tale riguardo, è bene precisare che la conclusione cui si è giunti in riferimento ai rapporti tra revoca dell’amministratore ed esclusione permettono di prescindere dal­l’indagine relativa alla definizione della categoria di appartenenza dei sedicenti membri [51], in quanto la scelta [continua ..]


5. (Segue). I riflessi sul procedimento decisionale

La dimostrazione dell’effettiva partecipazione di uno o più soci non indicati nell’atto costitutivo non è fine a se stessa, ma è prodromica ad appurarne l’impatto sul procedimento di esclusione. Tale procedura, secondo l’opinione più diffusa, non passa necessariamente per l’adozione del metodo assembleare, al pari di quanto si riscontra in ordinamenti affini al nostro [64]. È stata superata, infatti, la tesi contraria [65], che ha argomentato talora dalla necessaria esistenza di una struttura corporativa o quanto meno di un’organizzazione collegiale nei tipi personali [66] (anche come conseguenza del loro presunto carattere personificato [67], talaltra dalla necessità di rispettare il principio del “giusto procedimento” [68], quando non si è proposta l’estensione per analogia della disciplina della comunione [69]. Resta comunque ferma la possibilità di istituire un organo deliberativo tramite una specifica indicazione in tal senso in sede convenzionale [70]; inoltre, a prescindere dal­l’adozione di un simile assetto, si è rilevato che il rispetto della collegialità risulta necessario quanto meno in relazione a decisioni particolarmente delicate, come nel caso di esclusione del socio [71], là dove si richiede il coinvolgimento contestuale di tutti, in funzione di una discussione preliminare [72]. La soluzione, del resto, è coerente con la complessiva regolamentazione delle società di persone [73] ed è confortata dal raffronto con la disciplina della società a responsabilità limitata [74], con particolare riguardo all’istituto dell’esclusione ex art. 2473-bis c.c. [75]. Invero, non può tacersi che il problema dei margini dell’autonomia statutaria in materia di espulsione del socio dalla compagine è stato affrontato prevalentemente in relazione ai profili sostanziali, con particolare riferimento all’ammissibilità di clausole di esclusione convenzionale ed al contenuto del sindacato esercitatile dal giudice sulla conseguente decisione [76]. Gli aspetti procedurali, invece, sono stati per lo più osservati da una prospettiva più generale, in considerazione della circostanza che l’art. 2287 c.c. è l’unica disposizione che regola un procedimento [continua ..]


NOTE