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Caveat socius! L´efficacia ultra partes della pronuncia di condanna di società personale (nota a Trib. Pisa, 10 luglio 2012)
Luca Della Tommasina
TRIBUNALE DI PISA, 10 luglio 2012 – Sammarco Presidente – Balsamo Relatore
Società in nome collettivo – Responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali – Titolo esecutivo – Efficacia riflessa – Iscrizione di ipoteca giudiziale sui beni del socio
(Artt. 2674-bis, 2291, 2304 c.c.; art. 477 c.p.c.)
La sentenza di condanna pronunciata contro una società in nome collettivo costituisce titolo esecutivo anche in confronto dei singoli soci: sulla base di essa, il creditore potrà iscrivere ipoteca giudiziale sui beni del socio, ancorché quest’ultimo sia rimasto estraneo al relativo giudizio di cognizione. (1)
Il Tribunale di Pisa, riunito in camera di consiglio nelle persone dei Sigg. Magistrati:
Dott. M. Sammarco Presidente
Dott. M. Balsamo Giudice rel.
Dott. M. Viani Giudice,
ha emesso la seguente
Ordinanza
sul ricorso presentato dalla società COFAPI SOC. COOP. diretto ad ottenere l’accertamento dell’iscrizione ipotecaria sui beni di proprietà di Paola Barbieri e Catia Sparapani ai sensi degli art. 2674-bis c.c. e 113-ter disp. att. c.c.; sentite le parti e sentito il P.M.:
la sentenza di condanna pronunciata in un processo tra il creditore della società ed una società di persone costituisce titolo esecutivo anche contro il socio illimitatamente responsabile, in quanto dall’esistenza dell’obbligazione sociale deriva necessariamente la responsabilità del socio e quindi ricorre una situazione non diversa da quella che, secondo l’art. 477 c.p.c., consente di porre in esecuzione il titolo in confronto di soggetti diversi dalla persona contro cui è stato formato (cfr. Cass. 2009, n. 1040; Cass. 6 ottobre 2004, n. 19946; Cass. 17 gennaio 2003, n. 613; Cass. 8 agosto 1997, n. 7353 ed altre).
L’art. 2304 cod. civ. dispone che, nelle società in nome collettivo, i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali. Vale a dire che i creditori sociali hanno davanti a loro più patrimoni su cui soddisfarsi: il patrimonio della società e quello dei singoli soci illimitatamente responsabili.
È pur vero che la responsabilità della società e quella dei soci non stanno sullo stesso piano, manifestandosi in questo senso uno degli aspetti della cosiddetta soggettività delle società di persone, e che i soci, pur essendo responsabili (art. 2267, primo comma, e 2291, primo comma, cod. civ.), lo sono in via sussidiaria verso la società, nel senso che godono del beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale (2268 e 2304 cod. civ.). Il beneficio opera nel senso che il creditore sociale può rivolgersi direttamente al socio, il quale ha l’onere d’invocare la preventiva escussione, indicando i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi (art. 2268 cod. civ.). Il beneficio di escussione opera, in altre parole, in via di eccezione ed il socio sarà tenuto a pagare, ove non provi – indicandoli specificamente – che nel patrimonio sociale esistono beni, non solo sufficienti, ma prontamente ed agevolmente aggredibili dal creditore istante.
L’esistenza dell’obbligo della società, quindi, è costitutiva dell’obbligo del socio, fatte salve le eccezioni personali di costui. Sul piano processuale, inoltre, la sentenza emessa nei confronti della società in nome collettivo spiega, come titolo esecutivo, effetti riflessi anche nei confronti del socio, la posizione del quale dipende da quella della società, nel senso che qualunque obbligo sociale, in qualsiasi modo sorto, fa nascere in lui l’obbligo corrispondente. Quindi, la sentenza emessa contro la società produce effetti nei confronti del socio e per questi è indifferente essere pregiudicato da un atto compiuto dal rappresentante sociale o da un processo condotto contro di lui (per questi aspetti si veda già Cass. 17 gennaio 2203, n. 613).
Ed è poi appena il caso di aggiungere che, per pacifica giurisprudenza della Suprema Corte, il beneficio d’escussione previsto dal citato art. 2304 c.c. ha efficacia limitatamente alla fase esecutiva, nel senso che il creditore sociale non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo aver agito infruttuosamente sui beni della società, ma non impedisce allo stesso creditore d’agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, sia per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di quest’ultimo sia per poter agire in via esecutiva contro il medesimo, senza ulteriori indugi, una volta che il patrimonio sociale risulti incapiente o insufficiente al soddisfacimento del suo credito (cfr. tra le altre Cass. 26 novembre 1999, n. 13183 e Cass. 4 marzo 2003, n. 3211).
L’accertamento del debito in capo alla società comporta il sorgere dell’anzidetta responsabilità sussidiaria del socio, posto che la sentenza di condanna pronunciata in un processo tra il creditore della società ed una società di persone costituisce titolo esecutivo anche contro il socio illimitatamente responsabile, in quanto dall’esistenza dell’obbligazione sociale deriva necessariamente la responsabilità del socio e quindi ricorre una situazione non diversa da quella che, secondo l’art. 477 c.p.c. consente di porre in esecuzione il titolo in confronto di soggetti diversi dalla persona contro cui è stato formato (cfr. Cass. 6 ottobre 2004, n. 19946; Cass. 17 gennaio 2003, n. 613; Cass. 8 agosto 1997, n. 7553 ed altre).
In conclusione, la sentenza di condanna (ovvero il decreto ingiuntivo esecutivo) pronunciata nei confronti di una s.n.c. costituisce titolo esecutivo anche contro il socio illimitatamente responsabile che non abbia partecipato al processo (Cassazione civile, Sez. III, 17/01/2003, n. 613).
Trattandosi di un provvedimento conclusivo di un procedimento che non comporta esplicazione di una attività giurisdizionale in sede contenziosa, in quanto non ha ad oggetto la risoluzione di un conflitto di interessi, ma il regolamento secondo legge dell’interesse pubblico alla pubblicità immobiliare, non si procede al regolamento di spese.
P.Q.M.
Dichiara la legittimità dell’iscrizione ipotecaria sui beni di proprietà dei soci illimitatamente responsabili della società Farmacia Bertelli snc e dichiara l’inefficacia della riserva apposta dal Conservatore dei Registri Immobiliari.
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Sommario:
1. Il “caso” - 2. Gli argomenti di diritto sostanziale: la dottrina … - 3. … e la giurisprudenza - 4. Il contributo del “diritto processuale” - 4.1. Il giudicato e i terzi - 4.2. Il titolo esecutivo e i terzi - 5. Il commento - 5.1. Soggettività giuridica e responsabilità per le obbligazioni sociali - 5.2. Tra ripensamenti della giurisprudenza e aporie del diritto positivo - 5.3. Riflessioni conclusive - NOTE
1. Il “caso”
Il provvedimento del Tribunale di Pisa affronta una questione di puro diritto: la legittimità o meno dell’iscrizione di ipoteca sugli immobili dei soci di una s.n.c. a fronte di una sentenza che condanna la sola società. A norma dell’art. 2818 c.c., la condanna giudiziale al pagamento di una somma di danaro o all’adempimento di altra obbligazione costituisce titolo «per iscrivere ipoteca sui beni del debitore». Nel caso di specie, debitrice è la società in nome collettivo, convenuta in giudizio dal creditore sociale per l’accertamento dell’obbligazione e per la condanna al suo adempimento; i beni che il creditore intende vincolare a garanzia del proprio credito appartengono, invece, ai singoli soci, nei cui confronti, almeno apparentemente, non si è formato alcun titolo esecutivo, data la loro estraneità al contraddittorio sviluppatosi in ordine all’accertamento del debito sociale: circostanza, questa, che, secondo le valutazioni del conservatore dei registri immobiliari, giustifica l’iscrizione di ipoteca «con riserva», prevista dall’art. 2674-bis c.c. a fronte di «gravi e fondati dubbi» circa la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge per la costituzione della garanzia reale. Cionondimeno, tra il debito sociale e la posizione del singolo socio intercorre una relazione qualificata: un nesso di stretta [continua ..]
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2. Gli argomenti di diritto sostanziale: la dottrina …
La soluzione prospettata dal Tribunale di Pisa è ormai decisamente prevalente in dottrina e in giurisprudenza. Tuttavia, gli argomenti sviluppati dagli interpreti a sostegno dell’efficacia del giudicato “sociale” in danno dei soci non sono espressione di un punto di vista concorde e univoco. La dottrina meno recente ha affrontato la questione partendo dalla natura giuridica della responsabilità del socio per le obbligazioni di società personali. Secondo alcuni autori, l’obbligazione sociale è, in quanto tale, un’obbligazione propria del singolo socio [3]. Non vi sarebbero due distinti rapporti obbligatori: l’obbligazione sociale graverebbe direttamente sui soci, senza alcuna mediazione dello schermo societario. La duplicità si coglierebbe esclusivamente sotto il profilo oggettivo, ossia sotto il profilo della garanzia patrimoniale offerta dall’unico debitore, il socio: il creditore potrà soddisfarsi dapprima sul complesso dei beni che i soci “hanno riunito nel patrimonio sociale” e, in seconda battuta, sui beni facenti capo al patrimonio personale del socio [4]. Unicità dell’obbligazione significa, dal punto di vista processuale, unicità di petitum e causa petendi: il creditore sociale disporrebbe pertanto di un’unica pretesa, e agire giudizialmente nei confronti della società – che per tale via assume la qualifica [continua ..]
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3. … e la giurisprudenza
La concezione della responsabilità del socio di società personali quale responsabilità per debito proprio, ormai decisamente recessiva nel panorama dottrinario, riaffiora a più riprese nella giurisprudenza, anche recente [12], indipendentemente – peraltro – dal riconoscimento o meno della soggettività giuridica ai tipi societari in discorso. Infatti, è possibile registrare, in particolare nella giurisprudenza di legittimità, un filone interpretativo che, pur riconoscendo lo statuto di autonomo soggetto di diritto alle società di persone, ribadisce con forza l’immediata afferenza al socio dei debiti d’impresa alla stregua di un qualunque debito proprio, sì da giustificare, in ultima analisi, un’efficacia nei suoi confronti della sentenza di condanna della società. L’attributo della soggettività giuridica, con riguardo alle società di persone, avrebbe pertanto una valenza meramente relativa: la separazione reciproca tra le sfere giuridiche dei soci e della società risponderebbe ad un’esclusiva finalità di tutela dei creditori sociali. Opererebbe, cioè, nei confronti dei creditori particolari del socio, concretandosi nel vincolo al soddisfacimento prioritario delle obbligazioni assunte dalla società, vincolo impresso al patrimonio sociale dagli artt. 2270 e 2305 c.c. in ragione della sua [continua ..]
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4. Il contributo del “diritto processuale”
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4.1. Il giudicato e i terzi
Il problema dei limiti soggettivi del giudicato si pone con riferimento ai terzi titolari di situazioni giuridiche: a) dipendenti, per ragioni di diritto sostanziale, dall’oggetto di una precedente statuizione, e b) sorte anteriormente all’instaurazione del relativo giudizio[25]. In altre parole, si tratta di stabilire, nel silenzio del dato normativo (che si limita a regolare ipotesi di successione nel diritto controverso lite pendente e post rem iudicatam), se (e in presenza di quali presupposti) la sentenza resa inter alios sul rapporto pregiudiziale renda quest’ultimo incontestabile nel successivo processo avente ad oggetto il rapporto dipendente. Secondo una prima ricostruzione, ogniqualvolta un rapporto intercorrente tra due soggetti sia giuridicamente rilevante ai fini dell’esistenza o del modo di essere di un distinto rapporto intercorrente tra soggetti parzialmente diversi, l’esigenza di coordinamento tra diritto sostanziale e processo impone di perimetrare l’efficacia soggettiva del giudicato adottando come unità di misura i suoi limiti oggettivi: la sentenza che accerta il contenuto del rapporto pregiudiziale tra i suoi legittimi contraddittori sarebbe in grado di spiegare un’efficacia riflessa generalizzata, condizionando – pregiudicando, appunto – il modo di essere di tutte le situazioni giuridiche che da esso dipendono per scelta del diritto sostanziale [26]. Altri interpreti, [continua ..]
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4.2. Il titolo esecutivo e i terzi
In ordine al secondo profilo di indagine, è affermazione costante della stessa giurisprudenza di legittimità che la condanna resa in confronto della società (personale) sia eseguibile anche contro il socio, ricorrendo in proposito un’analogia di presupposti con l’art. 477 c.p.c. [34]. L’affermazione ha una notevole rilevanza sistematica, nella misura in cui postula una coincidenza tra la portata soggettiva del giudicato e la portata soggettiva del titolo esecutivo: superato il principio di necessaria rappresentatività del titolo, sarebbe possibile concepire un’esecuzione ultra partes anche al di fuori delle disposizioni che espressamente la prevedono, e in particolare estendere al processo esecutivo le stesse premesse e gli stessi meccanismi che presiedono al fenomeno della “riflessione” del giudicato civile. In verità, il punto non è affatto pacifico in dottrina. Osservano alcuni autori che “dall’efficacia della cosa giudicata per un terzo non si può mai desumere la sua efficacia per questo terzo come titolo esecutivo” [35]. La ragione è che l’eterointegrazione del titolo-documento presupporrebbe una cognizione preliminare circa la sussistenza dei presupposti dell’estensione ai terzi, laddove invece il nostro ordinamento non istituisce alcun controllo preventivo ai fini dell’identificazione dei [continua ..]
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5. Il commento
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5.1. Soggettività giuridica e responsabilità per le obbligazioni sociali
Nel complesso, la motivazione del provvedimento in esame, facendo leva sull’applicazione analogica dell’art. 477 c.p.c., muove implicitamente da un presupposto del tutto condivisibile: la terzietà del socio rispetto alle obbligazioni di società personali. Il socio illimitatamente responsabile è un garante ex lege di debiti imputabili ad un distinto e autonomo soggetto di diritto, la società. La sostanziale compenetrazione tra socio e società, l’istituzionale difetto di un diaframma corporativo tra le rispettive sfere giuridiche, l’attribuzione in via suppletiva del potere gestorio a tutti i soci della semplice e della collettiva, non valgono a giustificare l’orientamento giurisprudenziale che vede nel socio illimitatamente responsabile il soggetto passivo di un’obbligazione propria [41]: ogni altra considerazione cede di fronte all’assorbente rilievo che “la società acquista diritti e assume obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei medesimi”. In altre parole, l’art. 2266 c.c., ascrivendo in via diretta alla società la titolarità di situazioni sostanziali attive e passive nascenti dall’attività negoziale dei suoi rappresentanti e riconoscendole expressis verbis una propria capacità processuale, scolpisce nitidamente un modello normativo [continua ..]
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5.2. Tra ripensamenti della giurisprudenza e aporie del diritto positivo
Constatata l’impossibilità di fondare una risposta appagante su valutazioni di natura tipologica tratte dalla disciplina positiva delle società personali, converrà ricercare una soluzione sul diverso terreno dei rapporti tra diritto sostanziale e diritto processuale, domandandosi se la disciplina della fattispecie in esame sia tale da giustificare un pregiudizio patrimoniale ultra partes in conseguenza di un provvedimento giurisdizionale di condanna. Dall’analisi della recente giurisprudenza di legittimità è emerso un orientamento complessivamente favorevole all’estensione al socio dell’efficacia esecutiva della condanna sociale, sulla base di un ragionamento che è possibile sintetizzare nei punti seguenti: a) il socio illimitatamente responsabile subisce costantemente gli effetti, positivi e negativi, dell’attività negoziale dei rappresentanti della società: non potendosi invocare nei confronti dell’attività processuale una protezione maggiore di quella accordata in generale dal diritto sostanziale, l’accertamento dell’obbligo sociale, una volta intervenuto il passaggio in giudicato della relativa sentenza, vincolerà il socio nonostante il suo mancato coinvolgimento nella lite; b) data l’unitarietà degli effetti dell’atto-sentenza, non ha senso postulare un’efficacia riflessa del giudicato disgiunta [continua ..]
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5.3. Riflessioni conclusive
Tullio Ascarelli, nel lontano 1937, osservava che l’esigenza di tutelare il terzo contro il pregiudizio che potrebbe derivargli dalla sentenza pronunciata nei riguardi dei titolari del rapporto pregiudiziale “non viene meno quando il presupposto dell’obbligo del terzo (quale è il socio) è costituito dalla sussistenza di un obbligo di altra persona (quale è la società)” [75]. Detto diversamente (e alla luce delle elaborazioni della dottrina successiva): il carattere permanente del vincolo di dipendenza tra situazioni sostanziali non può giustificare di per sé una proiezione ultra partes del giudicato. Del resto, il creditore sociale dispone ab initio di un utile strumento per rendere inattaccabile l’accertamento del suo diritto: estendere il contraddittorio ai singoli soci in veste di litisconsorti (facoltativi) della società debitrice. Certo è che costringere il creditore a dimostrare ex novo, nei confronti dei soci non evocati nel primo giudizio, l’an e il quantum dell’obbligazione sociale, può apparire eccessivo. Sarebbe sufficiente enucleare, all’esito di un’analisi sistematica dei dati di diritto positivo, un principio generale in base al quale l’accertamento inter partes del rapporto pregiudiziale fa stato anche nei confronti del terzo, titolare del diritto (od obbligo) dipendente, salva, per [continua ..]
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NOTE