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Gruppi e minoranze non di controllo: dalla tutela risarcitoria a quella “organizzativa” e “procedimentale” (all´alba delle azioni a voto po-tenziato)
Vincenzo Cariello
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Sommario:
1. Una premessa: Alibaba e la quack corporate governance - 2. L’inappagante (e non efficiente) tutela risarcitoria delle minoranze esterne o estranee al potere di direzione e coordinamento (rinvio) - 3.1. A favore di un rafforzamento della tutela “organizzativa” e “procedimentale” (vote and rights, formal minority protection and substantive minority protection) - 3.2. (Segue): paradox of voting e tutela delle minoranze non di comando - 3.3. (Segue): il diritto di minoranze a divenire maggioranza - 3.4. (Segue): una (risalente) prospettiva: sottrazione di ogni diritto di natura amministrativa alle minoranze non di comando e “compensazione riequilibratrice” della maggiorazione della responsabilità del o dei soci di comando - 4.1. Azioni a voto potenziato in funzione di dominio - 4.2. (Segue): azioni a voto potenziato e fisiologica esigenza di accrescimento della (normale) tutela delle minoranze non di comando? Azioni a voto potenziato e “relazioni di potere” tra votanti? - 4.3. (Segue): connessioni e interferenze generiche tra azioni a voto potenziato e tutela delle minoranze non di controllo - 4.4. (Segue): azioni a voto potenziato, attivismo “difensivo” e “offensivo” di determinate minoranze non di comando - 4.5. (Segue): l’esigenza di una rigorosa disciplina delle condizioni, dei presupposti e dei limiti di creazione o emissione delle azioni a voto potenziato. Autotutela e/o eterotutela a protezione delle minoranze non di controllo in presenza di azioni a voto potenziato - 5.1. Tutela procedimentale e organizzativa delle minoranze nei gruppi (tre tesi generali) - 5.2. (Segue): gli attori della tutela procedimentale e organizzativa (cenni) - 5.3. (Segue): sintetici riferimenti ad alcuni strumenti di tutela procedimentale e organizzativa - 5.4. (Segue): uno strumento particolarmente innovativo (e dirompente): voti plurimi scissi dalle azioni, tutela delle minoranze non di controllo e di terzi non soci e l’utilità di una riflessione non prevenuta sul ricorso al Quadratic Voting nel diritto domestico delle s.p.a. - 5.5. (Segue): fattispecie, funzioni ed efficienza del Quadratic Voting - 5.6. (Segue): attivismo e Quadratic Voting - 5.7. (Segue): Quadratic Voting e non soci - 6. Conclusioni - NOTE
1. Una premessa: Alibaba e la quack corporate governance
IPO Alibaba. Sul New York Times del 16 settembre 2014, Lucian Bebchuk mette in guardia dai seri rischi di governance che accompagnano l’investimento nella società. Sulla stessa linea (fortemente critica) si attesta l’editoriale Out of Control, apparso su The Economist del 20-26 settembre 2014. I rischi per gli investitori deriverebbero da diversi fattori combinati: (i) Alibaba Partnership, che raggruppa un gruppo di circa trenta insiders (managers e società a loro affiliate), si è garantita un permanente controllo bloccato pur avendo una piccola percentuale del capitale 1; (ii) in Alibaba esistono diversi modi per stornare valore dalle società figlie e deboli meccanismi per evitarlo 2. Tra l’altro, gli investitori USA sono soci di un veicolo off-shore che neppure è azionista della parent Alibaba, ma che ha con questa un accordo contrattuale che prevede il diritto di ricevere parte del cash flow delle attività del gruppo; (iii) si afferma che gli investitori dovranno temere che un significativo ammontare del valore creato da Alibaba non sarà da loro partecipato e che la struttura della medesima Alibaba non garantisce un adeguata protezione dei pubblici investitori 3. Più specificamente, sotto il profilo della corporate governance: (iv) al centro della governance di Alibaba vi è una dual-class structure; (v) Alibaba Partnership ha il diritto esclusivo di indicare la [continua ..]
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2. L’inappagante (e non efficiente) tutela risarcitoria delle minoranze esterne o estranee al potere di direzione e coordinamento (rinvio)
Nei gruppi, le minoranze non di controllo continuano a rilevare, essenzialmente e prevalentemente, come beneficiarie di tutele risarcitorie, pur non essendo confutabile che, sul piano teorico e pratico, tale genere di tutela non è, di necessità e di per sé, né l’unica praticabile come principale 6, né la più efficiente ed efficace. Ciò che viene tutelato non è la minoranza ma la minoranza “danneggiata”; ciò che viene accordato – si badi, non agevolato – non è l’azione corporativa della minoranza, bensì l’azione processuale diretta alla tutela di perduranti danni ingiustamente patiti. Sennonché, agendo per il proprio risarcimento ovvero prospettando di agire per il proprio risarcimento, le minoranze non si affrancano dal loro essere apatiche, ignare, amorfe (recedendo tanto meno). Ciò in quanto l’autotutela risarcitoria (di certo, da noi) non funziona perché non risultano soddisfatti i presupposti sui quali essa dovrebbe basarsi 7. Le regole legali e le prassi giudiziali che presiedono alla tutela risarcitoria paiono, in diversi Paesi, tutt’altro che adeguate. Guardando al diritto domestico, difettano, ad esempio, prescrizioni legali di inversione dell’onere della prova – presenti invece, in una certa misura, nell’esperienza tedesca 8 (cfr. §§ 93 Abs. 2 S. 2, 117 Abs. 2 S. 2, 309 [continua ..]
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3.1. A favore di un rafforzamento della tutela “organizzativa” e “procedimentale” (vote and rights, formal minority protection and substantive minority protection)
Piuttosto, assieme ai o disgiunti dai correttivi “in aumento” del principio “un’azione – un voto” 13, altri correttivi – come accennerò oltre – potrebbero parimenti, e forse più peculiarmente, fare lievitare il potere (almeno d’impulso, d’interdizione e/o di controllo) del socio estraneo/esterno al controllo o al potere di direzione e coordinamento, in via autonoma e diretta, in modo da imprimere alla tutela di tali soci un’effettività ed efficacia altrimenti non esplicata. Più in generale, solo forse combinando Vote and Rights 14, unicamente coniugando la Formal Minority Protection (attuata con maggioranze qualificate, diritti di partecipazione, diritti di controllo, diritti di informazione 15 con la Substantive Minority Protection (alla quale dovrebbero attendere preclusioni di voto per conflitto di interessi, diritti/poteri di contestazione delle decisioni della maggioranza, risarcimenti) 16 si potrebbe aspirare a prefigurare una tutela non deficitaria e stentata. Occorre allora ripensare, per modificarlo, l’approccio. E per farlo credo sia proficuo partire da lontano, sebbene in estrema sintesi, muovendosi lungo un percorso che permetta – qui almeno ed esclusivamente in via di impostazione e traendo spunto da una tripartizione di metodologia generale proposta di recente in Germania 17 – di [continua ..]
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3.2. (Segue): paradox of voting e tutela delle minoranze non di comando
Sennonché, è noto il paradox of voting 20: nelle società – intese come comunità sociali a base allargata – il voto è irrilevante perfino se il costo è basso, perché le possibilità che esso si riveli decisivo sono infinitesimali. Il tendenzialmente scarso, se non nullo, peso del potere di voto delle minoranze non di comando potrebbe denunciare che discorrere di una loro tutela in una prospettiva prevalentemente procedimentale e organizzativa costituirebbe, di per sé, un proposito destinato alla frustrazione. Questa frettolosa conclusione, però, non sarebbe nulla di più che una patente approssimazione. Parimenti, si rivelerebbe del tutto insoddisfacente, se non sbrigativa, l’ulteriore, eventuale affermazione che volesse la tutela delle minoranze non di controllo questione rimessa, essenzialmente, al “potere di negoziazione” delle parti private (in primis, maggioranza di controllo e minoranze di non controllo), da affrontare in termini di capacità di una parte (le minoranze) di negoziare, in via di autotutela, le soluzioni da essa ritenute più adeguate per la protezione dei propri interessi corporativi. E ancora, non toglierebbe nulla alla persistente centralità della questione di strumenti più adeguati (rispetto alla tutela risarcitoria) per realizzare un’efficiente protezione delle minoranze non di controllo l’altra [continua ..]
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3.3. (Segue): il diritto di minoranze a divenire maggioranza
Esiste poi una prospettiva giuridica (e, prima ancora, filosofica) secondo la quale “la minoranza” ha bisogno della maggioranza per sostituirsi a essa: in fondo, “la minoranza” non avrebbero alcun diritto che quello di diventare maggioranza a loro volta 21. Nel contempo, vi sono però minoranze a cui è negata non solo la possibilità di recedere dal “gruppo” di appartenenza, ma pure di cercare di diventare maggioranza 22. D’altra parte, gli studiosi (soprattutto costituzionalisti ed ecclesiasticisti) del principio maggioritario – nella sua doppia valenza chiarificata, in particolare, dalla dottrina duvergeriana, di “regola per governare” e “regola per eleggere” 23 – conoscono l’esistenza dell’assunto secondo il quale sarebbe la maggioranza a non avere naturalmente alcun diritto e ad acquisirlo solo con una forzatura e fittiziamente. E così, a ridosso degli anni trenta del XX secolo, si insegnava che “la comunissima regola, per cui in una collettività debba prevalere quello che vogliono i più e non quello che vogliono i meno, racchiude uno dei più singolari problemi che abbiano affaticato la mente umana. Di ciò ben pochi sembrano essersi accorti, troppi essendo coloro che la considerano con lo stesso occhio con il quale il fisico guarda la risultante di due forze contrarie, e pertanto si appagano dicendo che il [continua ..]
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3.4. (Segue): una (risalente) prospettiva: sottrazione di ogni diritto di natura amministrativa alle minoranze non di comando e “compensazione riequilibratrice” della maggiorazione della responsabilità del o dei soci di comando
Ora, la tutela procedimentale e organizzativa delle minoranze non di comando nei gruppi transita da una rivisitazione e innovazione dei paradigmi teorici della riflessione sul “principio maggioritario”, sulle modalità tradizionali della sua applicazione e del suo funzionamento e sulle deviazioni e correzione che lo stesso subisce (per via legislativa o regolatoria, oppure statutaria) a vantaggio della medesima maggioranza. Invero, l’idea di proporre argomentazioni a favore della tutela procedimentale e organizzativa delle minoranze nelle società di gruppo tramite l’attribuzione, per via legislativa regolatoria o dell’autonomia privata, di specifici diritti/poteri potrebbe essere osteggiata, tuttavia, non solo continuando a professare l’efficacia della tutela risarcitoria e di quella di exit, ma anche privilegiando una prospettiva esattamente inversa, e radicale, vale a dire quella favorevole a che le minoranze siano private di ogni tipo di diritto e potere a rilevanza procedimentale e/organizzativa. In questo senso, apparentemente abbandonandosi a un paradosso, nel gruppo la specialità dovrebbe risiedere non nell’incremento, ma nella sottrazione dei diritti e poteri di rango e genere “amministrativo”. Ma una simile radicale impostazione parrebbe potere reggere non semplicemente corroborando i diritti di natura patrimoniale a fronte della perdita genetica di quelli amministrativi, bensì solo se [continua ..]
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4.1. Azioni a voto potenziato in funzione di dominio
E allora mi limito anche qui a svolgere minime riflessioni sulle interferenze tra azioni a voto potenziato e tutela delle minoranze non di controllo, nei gruppi e in società non raggruppate 27. Da sempre 28, le azioni a voto potenziato sono state considerate, essenzialmente, e non solo dai loro oppositori, azioni “di controllo”. Più precisamente, tenendo conto di questa configurazione funzionale, nel corso del tempo, nel panorama europeo e nord-americano 29, risultano ricorrenti, non solo nelle osservazioni degli oppositori, alcune affermazioni. A) Le azioni a voto potenziato sono azioni “di comando, di direzione”30, un “formidabile strumento di dominio economico”31 di maggioranze (di capitale) di controllo su minoranze (di capitale) non di controllo ovvero (non necessariamente più spesso) di minoranze (di capitale) di controllo su maggioranze (di capitale) non di controllo, di acquisizione e difesa del controllo 32, che “tutelano i gruppi di controllo, invece di disciplinarli” 33, creano “oligarchie di azionisti” 34 e determinano “l’infeudamento” delle società 35. B) Le azioni a voto potenziato sono uno strumento che altererebbe ovvero comprometterebbe il principio di eguaglianza36 (sostanziandosi in un “sistema discriminatorio di voto”), il principio di maggioranza e il rapporto, di tendenziale proporzionalità, [continua ..]
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4.2. (Segue): azioni a voto potenziato e fisiologica esigenza di accrescimento della (normale) tutela delle minoranze non di comando? Azioni a voto potenziato e “relazioni di potere” tra votanti?
Ora, ragionando in questi termini intuitiva e immediata si potrebbe rivelare la stretta correlazione tra azioni a voto potenziato e tutela delle minoranze non di comando, almeno in società (i) a controllo di diritto e (pure) di fatto “bloccato” (inteso come controllo “più che stabile”), (ii) nelle quali il numero dei voti potenziati attribuiti dall’insieme delle corrispondenti azioni di titolarità del socio o dei soci di comando soverchi i voti complessivamente accedenti alle azioni a voto singolo (di titolarità esclusivamente di soci non di comando); ovvero, nel caso di socio o soci di comando titolari di azioni a voto sia potenziato sia unico o singolo (altrimenti dette “a voto ordinario”), il numero complessivo dei loro voti ecceda quello di spettanza dei soci con azioni a voto ordinario, e in entrambi i casi l’eccedenza garantisca la soddisfazione dei quorum deliberativi necessari per esercitare un’influenza di controllo sulla società 46. E, alla luce di questa constatazione, altrettanto intuitiva e immediata dovrebbe essere la definizione delle interferenze tra azioni a voto potenziato e tutela delle minoranze non di controllo (e specificamente nei gruppi, tenendo conto peraltro che, ancora una volta già nella loro genetica, tali azioni si presentavano come strumento che permetteva la creazione di un “facile controllo” di una “società [continua ..]
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4.3. (Segue): connessioni e interferenze generiche tra azioni a voto potenziato e tutela delle minoranze non di controllo
Se così fosse, le interferenze e le connessioni tra le azioni a voto potenziato e la tutela delle minoranze (non di controllo) si collocherebbero su un piano generale, se non generico. Essa sarebbero, essenzialmente, o almeno prevalentemente, di due generi, identificabili dalle seguenti affermazioni. A) Una disciplina espressa della azioni a voto potenziato si traduce, già di per sé, in una tutela dei soci non di controllo, proprio perché (in quanto) queste azioni, appunto, vengono “disciplinate”. Di qualunque estensione fosse la normativa del fenomeno, queste azioni verrebbero a costituire meccanismi “trasparenti” di governo dell’impresa, di acquisizione, conservazione e rafforzamento del controllo, diversamente da altri strumenti, diffusi nel panorama comparatistico, i quali resterebbero opachi, prime tra tutte le cc.dd. piramidi societarie58. Privilegiando questa prospettiva, problemi rilevanti di salvaguardia delle minoranze non di controllo, necessitanti di interventi in via di autotutela e/o di eterotutela, potrebbero nascere, al più, dall’abbinamento delle azioni a voto potenziato con uno o più degli altri tipici strumenti di controllo, compresi i patti parasociali, dei quali, invece, è frequente, negli ultimi tempi, sentire ripetere, in Italia, che sarebbero destinati al tramonto o, quanto meno, a un radicale ridimensionamento, “rimpiazzati”, proprio dalle azioni a voto [continua ..]
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4.4. (Segue): azioni a voto potenziato, attivismo “difensivo” e “offensivo” di determinate minoranze non di comando
B) Un secondo genere di interferenza tra azioni a voti potenziato e tutela delle minoranze estranee al controllo si coglierebbe ipotizzando – “di sicuro, con modificazione della genetica e fisiologica funzione, in prospettiva storica e comparatistica59, tipica e più ricorrente, anche se non esclusiva, di queste azioni – la titolarità di azioni a voto potenziato in capo a “specifiche” minoranze”. L’uso “diretto” dei voti incorporati dalle azioni potrebbe assurgere, meglio di altri diritti e/o a scelte di riduzione ovvero diluizione dei poteri dei soci di controllo, a principale strumento (con alternativa espressione, a diritto “supremo”) di rafforzamento dell’autotutela dei soci non di comando, sia in preventiva funzione “difensiva” rispetto a condotte tiranniche, o comunque pregiudizievoli, del socio o dei soci di controllo60, sia in funzione “offensiva”, quindi con lo scopo ultimo d’insidiare la titolarità del potere di controllo o dominio. Ragionando alla luce di alcune anche più recenti riflessioni sull’agency problem e sull’agency capitalism 61, le minoranze che si possono immaginare fruitrici delle azioni a voto potenziato sono, essenzialmente (se non naturalmente), quelle identificabili con gli activist shareholders e institutional investors, con i secondi “a traino” dei primi. L’anomalia, rispetto [continua ..]
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4.5. (Segue): l’esigenza di una rigorosa disciplina delle condizioni, dei presupposti e dei limiti di creazione o emissione delle azioni a voto potenziato. Autotutela e/o eterotutela a protezione delle minoranze non di controllo in presenza di azioni a voto potenziato
Diverse, e più pregnanti, interferenze e connessioni tra azioni a voto potenziato e tutela delle minoranze non di controllo sono identificabili ove si muova da un presupposto contrapposto a quello fin qui considerato: alla creazione o emissione di queste azioni si correlerebbe, tendenzialmente, l’esigenza di predisporre, in via di autotutela e/o eterotutela, appositi diritti/poteri di difesa dei soci estranei al controllo. Più precisamente, si potrebbero ipotizzare interferenze e connessioni almeno di (ulteriori e alternativi) due generi. A) Sotto un primo profilo, la tutela delle minoranze non di comando dipende non da una disciplina qualunque, bensì dalle concrete scelte normative in materia di azioni a voto potenziato. Tali scelte dovrebbero essere realmente ed efficacemente orientate verso una prevenzione degli (eccessi degli) effetti distorsivi del principio di maggioranza a favore del gruppo di controllo prodotti o producibili da queste azioni e delle potenziali derive così innescate. In questa prospettiva di valutazione, la tutela delle minoranze non di controllo si estrinsecherebbe in limiti o contenimenti del potere di comando riflesso nelle azioni a voto potenziato, i quali nel contempo non dovrebbero essere però tali, in definitiva, da sguarnire queste azioni di qualunque attrattiva. Si tratta di considerazioni assai risalenti. Se ne colgono evidenti tracce, oltre che nell’esperienza tedesca e francese dei [continua ..]
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5.1. Tutela procedimentale e organizzativa delle minoranze nei gruppi (tre tesi generali)
Volendo scendere ancora più nel dettaglio delle linee programmatiche di una tutela procedimentale e organizzativa delle minoranze nei gruppi, proseguo limitandomi (i) prima a formulare delle tesi generali; (ii) poi, in connessione o meno con queste tesi, a indicare gli attori della tutela delle minoranze non di controllo; (iii) infine, a proporre l’identificazione di possibili strumenti atti a realizzare, sul piano organizzativo e procedimentale, tutele più equilibrate ed efficienti dei soci estranei alla titolarità del potere di direzione e coordinamento. Inizierò, pertanto, da tre tesi estremamente generali, alcune delle quale potrebbero suonare scontate. A) “L’elaborazione delle regole di azione, di organizzazione e di procedimento, nel e del gruppo, deve risultare costantemente orientata ai e conformata dai principi di corretta gestione societaria imprenditoriale. Il rispetto di questi principi non deve essere considerato unicamente parametro di valutazione per l’azionabilità di pretese risarcitorie, bensì criterio che ispira la regola di azione del e nel gruppo, intesa come regola di formazione della struttura di gruppo e di formazione dei procedimenti che presiedono all’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento”84. “Tali principi devono essere interpretati e impiegati a presidio della creazione, del funzionamento e della cessazione, totale o parziale, della [continua ..]
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5.2. (Segue): gli attori della tutela procedimentale e organizzativa (cenni)
Dedico ora qualche brevissima riflessione sugli “attori” della tutela delle minoranze esterne ed estranee alla titolarità del potere di direzione e coordinamento. Si tratta di osservazioni le quali, peraltro, ricalcano quanto già precedentemente osservato sull’attivismo “difensivo” e “offensivo” delle minoranze che si avvalgano delle azioni a voto potenziato 91. E, pertanto, ripeterò, in estrema sintesi, che esistono institutional record owners e beneficial owners; gli activist shareholders sono governance intermediaries; gli institutional shareholders non sono o non sono più rationally apathetic, bensì rationally reticent, nel senso che rispondono alle proposte, ma raramente le formulano. Anche nelle società di gruppo, gli activist shareholders possono interagire con gli institutional investors perché approvino le strategie e usino i diritti di governance, così contribuendo a un maggiore coinvolgimento degli azionisti.
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5.3. (Segue): sintetici riferimenti ad alcuni strumenti di tutela procedimentale e organizzativa
Passando dagli “attori” agli “strumenti” della tutela dei soci esterni o estranei alla titolarità del (diritto-dovere) potere di direzione e coordinamento, non mi trattengo più di tanto su cinque piani di indagine che coinvolgono, rispettivamente, la riflessione: (i) su peculiari specifiche soluzioni organizzative che garantiscano, alle minoranze non di controllo di società di gruppo, diritti e poteri proprio in ragione del fatto di essere minoranza di una società diretta e coordinata (ad esempio, art. 37 Regolamento Mercati 92; (ii) sull’assenza di peculiari strumenti apprestati dalla disciplina del Capo IX. In funzione propositiva (de iure condendo), qui rileverebbe, tra l’altro, il riconoscimento esplicito di un diritto individuale di impugnazione (della delibera assembleare o di quella consiliare) per carenza/difetto contenutistico e/o procedimentale della motivazione ex art. 2497-ter c.c. 93; (iii) su strategie di tutela procedimentale e organizzativa ricavabili, al contrario, dalla disciplina generale (in forza, in particolare, degli artt. 2367, 2374, 2408, 2° comma, 2377, 2° comma, 2409, 1° comma, c,c.; come pure dell’art. 2341-bis, lett. a), c.c.; nonché dell’art. 2341 c.c., ove si ritenga che la modifica subita dalla disposizione con la riforma del 2003 permetta l’attribuzione anche di benefici amministrativi); (iv) sulla tutela delle minoranze – [continua ..]
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5.4. (Segue): uno strumento particolarmente innovativo (e dirompente): voti plurimi scissi dalle azioni, tutela delle minoranze non di controllo e di terzi non soci e l’utilità di una riflessione non prevenuta sul ricorso al Quadratic Voting nel diritto domestico delle s.p.a.
La mia attenzione si concentra piuttosto su strumenti più radicali, e assieme forse più innovativi, apprestabili dall’autonomia privata e, in prospettiva futura, dalla legislazione. Alludo, come già altrove di recente proposto 100, alla possibilità di cominciare a riflettere, anche in Italia, di “voti plurimi scissi dalla partecipazione azionaria e acquistabili da soci esterni o estranei al controllo” (ma pure da “terzi non soci”). Per la precisione, risulta matura, a mio avviso anche in Italia, una seria riflessione, “non solo” e “da una parte”, sui “limiti al principio di maggioranza” (soprattutto “semplice”) 101 nel suo possibile funzionamento di tecnica procedimentale che agevola la prevaricazione del socio o dei soci di controllo su quelli esterni ed estranei a esso, oltre che degli interessi del socio o dei soci di controllo sugli interessi di stakeholders esterni o estranei alla s.p.a.; “ma anche e dall’altra”, sull’apertura almeno verso “forme” di “personalizzazione” della partecipazione azionaria 102, la quale peraltro neppure è concesso affermare risultare del tutto estranea – anzi, al contrario – alla legittimazione delle azioni a voto potenziato 103. Nel presente contesto espositivo, ciò costituisce stimolo a riflettere sull’adozione statutaria [continua ..]
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5.5. (Segue): fattispecie, funzioni ed efficienza del Quadratic Voting
Nell’esperienza statunitense, la proposta di legittimazione di adozione della tecnica di voto del QV nella corporate law ha presupposti e ragioni d’ispirazione non equivocabili. Nelle istituzioni democratiche il principio one person-one vote, associato a quello maggioritario 106, tratta (rectius, dovrebbe condurre a trattare) le persone in modo tendenzialmente uguale. Ma – si sostiene 107 – entrambi i principi falliscono poiché concedono potere proporzionale alle persone i cui interessi sono più forti di quelli di altri, conducendo, non di rado, alla tirannia della maggioranza. Più in generale, il diritto di voto, quale strumento di controllo dell’agent presenta “an obvious problem … A voter (or coalition of voters) with a majority of shares (and hence votes) can outvote the minority and so cause the corporation to make decisions that transfer value from minority to majority” 108. È avvertito come necessario, pertanto, predisporre strumenti che prevengano l’opportunismo manageriale e le alterazioni tiranniche del principio maggioritario 109 a favore, rispettivamente, dei directors e del o dei soci di comando. Negli USA, il QV è stato teorizzato dapprima nel diritto pubblico, come meccanismo di tutela dei cc.dd. gruppi vulnerabili. Ormai, però, il tema ha assunto, in modo nettamente percepibile, una sua autonoma dignità di proposta e trattazione [continua ..]
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5.6. (Segue): attivismo e Quadratic Voting
Mi preme, più in generale, anche in questo caso, richiamare l’attenzione sull’ambivalenza tipologica e funzionale – diversa da quella, sopra accennata, delle azioni a voto potenziato – del QV come sistema di voto che si sostanzia nell’acquisto e nell’esercizio di voti plurimi scissi dal possesso di partecipazioni azionarie. Per quanto qui interessa, (i) soprattutto in società a controllo di diritto o comunque bloccato, il QV può assurgere a strumento di difesa di minoranze (attiviste o meno) nei confronti del socio o dei soci di comando, titolari o meno di azioni a voto potenziato; ovvero anche (ii) in specie in società a controllo di fatto non bloccato, il QV può divenire strumento che consente a certe minoranze attiviste (in senso non solo offensivo ma anche difensivo) di provocare uno spostamento dell’equilibrio dei poteri o di “porzioni del potere di influenza” sulla società e sull’impresa verso soci esterni ed estranei al controllo, pure in vista di una loro sostituzione al o ai soci di controllo. Nulla vieta, tuttavia, salvo che uno specifico divieto si formuli, che, come le azioni a voto potenziato, distaccandosi dalla funzione genetica e fisiologica a esse assegnata e da esse svolta almeno nelle società con uno o più soci di controllo, possono essere usate anche dai soci non di controllo a loro protezione; così il QV si [continua ..]
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5.7. (Segue): Quadratic Voting e non soci
Credo poi che, con riferimento al nostro diritto 119, possa anche reggere, pur abbinata al menzionato intervento sulla disciplina, statutaria e/o legislativa, del conflitto di interessi dei votanti, la funzionalizzazione del QV a strumento che realizza la vendita di voti a non soci. Qui mi basta rilevare che sono dell’idea che la legittimità dell’attribuzione (mediante vendita), da parte della società, di voti a soggetti che non siano soci possa ricevere sostegno anche dalla considerazione che oggi l’assemblea, soprattutto oggi, non è più soltanto l’organo composto dai soli soci. Ciò non è mai stato del tutto vero (in primis, usufruttuari, creditori pignoratizi), lo è ancora di meno nei tempi correnti in forza della record date 120. Certo si potrebbe trattare di fattispecie comunque circoscritte, che non revocano in dubbio che, di norma, la partecipazione all’assemblea, con relativo diritto di voto, sia riservata essenzialmente ai soci titolari del diritto di voto (rectius, ai soci in quanto legittimati all’esercizio del diritto di voto). Ma, in realtà, la constatazione rilevante è di segno diverso: pensare che le decisioni adottate dalla assemblea dei soci siano quelle che sono votate dai soli soci è distonico rispetto a ciò che può accadere in ragione proprio di attuali (e pregresse) regole legali scritte. Diviene quindi necessario interrogarsi [continua ..]
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6. Conclusioni
Un’apertura all’adozione nella prassi statutaria domestica, e nella stessa legislazione (in una prospettiva più complessiva di c.d. re-regolazione del diritto societario), del QV, oltre a prestarsi a generare d’istinto a diverse riserve di legittimità per difetto di compatibilità sistematica (con il tipo s.p.a.), può certo sospingere ad adottare quelli che un illustre economista tedesco recentemente scomparso 121 configura come i “tre modi della reactionary rhetoric”: perversity thesis (le riforme proposte peggiorano le condizioni di ciò che ambirebbero a migliorare); futility thesis (gli sforzi producono risultati minimi, irrisori o nulli); jeopardy thesis (le modifiche attentano o pregiudicano libertà o valori superiori). Ma è probabile che, più semplicemente, le opposizioni discendano dalla circostanza che “reforms of all types, and not just reforms to corporate law, often encounter a hostile reception simply because they are unfamiliar and are at variance with entrenchend norms. QV may face similar fate because of some of its unusual features” 122. Un esempio, insomma, di path dependence 123.
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