Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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La tutela dei soci nella s.p.a. dieci anni dopo la riforma del diritto societario (di Vincenzo Di Cataldo)


SOMMARIO:

1. La Direttiva 2007/36 e il tentativo di un maggior coinvolgimento degli azionisti - 2. Crescita di tutele riservate a minoranze qualificate e interesse a non azzerare le tutele dell’azionista minimo - 3. L’informazione preassembleare - 4. Una relazione degli amministratori sulle proposte dei soci - 5. Lo sviluppo del sito web - 6. Verso nuovi abusi degli amministratori e verso nuove sanzioni - 7. Novità a proposito del voto per delega - 8. Il voto elettronico - 9. Intervento a distanza in assemblea? - 10. Il risarcimento del danno da delibera invalida: scarsa affidabilità delle nuove regole … - 11. … e necessità di pervenire ad un assetto più protettivo delle ragioni del socio - NOTE


1. La Direttiva 2007/36 e il tentativo di un maggior coinvolgimento degli azionisti

Questo mio intervento non si propone, ovviamente, di offrire un panorama generale dei problemi e delle regole di tutela dell’azionista dalla riforma del 2003 ad oggi. Per far questo occorrerebbe uno spazio molto più ampio. Vorrei solo proporre alcune osservazioni critiche su un ristretto numero di punti che mi sembrano di particolare rilievo. Farò osservazioni isolate, osservazioni spot, senza indicare, in esse e tra esse, un particolare filo rosso. Perché non sono capace di trovarlo, forse, o, forse, perché un filo rosso non esiste. Nello stato attuale della nostra normativa esiste, mi pare, in questo campo, un viluppo di fili, di diversi colori e di diversi calibri, ma nessuno di questi sembra potersi presentare, almeno oggi, come primo o privilegiato strumento di lettura e comprensione delle regole vigenti. Dopo la riforma del 2003, che ha apportato al tema dei diritti degli azionisti diversi contributi importanti, vi sono stati ulteriori interventi significativi, soprattutto ad opera della Direttiva n. 2007/36/UE dell’11 luglio 2007 relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate. Scarso è stato, invece (su questo tema, come su ogni altro, potrebbe dirsi. E questo per il modesto sviluppo e la genericità del suo testo), il contributo dell’Action Plan diffuso dalla Commissione del­l’Unione Europea nel dicembre 2012 2. Appare quindi ragionevole l’idea di dare, in questo intervento, un peso particolare proprio alla Direttiva 2007/36 ed alla sua normativa di attuazione in Italia (normativa riferita dal decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 27, poi modificato dal c.d. decreto correttivo, cioè dal decreto legislativo 18 giugno 2012, n. 91). Obiettivo di fondo della Direttiva era quello (esplicitamente attestato dai “considerando” della Direttiva stessa) di indurre gli Stati membri a costruire regole capaci di portare ad un maggiore coinvolgimento degli azionisti nella vita della società, e, in particolare, capaci di favorire l’esercizio del diritto di voto, anche transfrontaliero, da parte dei soci. Questo rinnovato interesse per l’assemblea muove anche, verosimilmente, dalla consapevolezza dei limiti delle strategie di exit 3, o, meglio, dalla consapevolezza che voice ed exit non rappresentano (o non rappresentano più) alternative contrapposte tra le quali il diritto azionario debba [continua ..]


2. Crescita di tutele riservate a minoranze qualificate e interesse a non azzerare le tutele dell’azionista minimo

Comunque sia, oggi il problema della tutela del socio presenta un interrogativo preliminare. Ci si deve chiedere, infatti, e ci si è chiesti, se la tutela dell’azionista debba essere pensata e progettata come tutela dell’azionista singolo, (anche) minimo, o se debba, invece, essere progettata come tutela soltanto, o sopratutto, delle minoranze qualificate 5. Anche questo non è, in sé, problema del tutto nuovo. Il diritto azionario conosce da sempre diritti individuali concessi a ciascun socio, anche al titolare di una sola azione, e diritti individuali concessi, invece, solo ai soci che raggiungano una determinata quota di partecipazione al capitale. La situazione non muta, in questa prospettiva, per il fatto che oggi si preferisce parlare non di diritti soggettivi del socio ma di poteri concessi al socio all’interno dell’organizzazione collettiva 6. Anzi, il complesso di regole attributive di poteri (solo) a minoranze qualificate è aumentato, proponendo soglie di partecipazione volta a volte diverse, e così generando un’impressione di sconcertante “casualità” 7. Molte norme ultime (ad esempio, molte norme della Direttiva n. 2007/36/UE) tutelano soprattutto (in termini espliciti o di fatto) solo il socio “consistente”, cioè le minoranze qualificate. In coerenza a questa linea antica di sviluppo, alcune proposte, oggi, segnalano che sarebbe opportuno riservare a minoranze qualificate anche altri diritti (o poteri) che tradizionalmente sono attribuiti al singolo socio, al socio anche minimo. In questa linea, si è di recente segnalato che “non sarebbe affatto incongruo o contrario ai principi rapportare alla percentuale della partecipazione anche il diritto di informazione, e, soprattutto, di intervento in assemblea” 8. Se fosse possibile trattare questo problema in poche battute, direi che la soluzione del problema meriti che si tenga conto non solo del presumibile interesse dell’apporto che il socio minimo potrebbe dare al dibattito assembleare (interesse che tutti, concordemente, ritengono minimo 9), ma, anche, e soprattutto, dell’inte­res­se della società (più in generale: del sistema delle grandi imprese, del mercato finanziario) a conservare la presenza di soci minimi. Un punto che merita attenzione, a mio modo di vedere, è la verifica empirica, che attesta la [continua ..]


3. L’informazione preassembleare

Tra le novità più significative degli ultimi dieci anni, direi che occorre tener presenti soprattutto il tema dell’informazione preassembleare ed il tema dei nuovi poteri del socio rispetto all’assemblea. La fase preassembleare 12, sostanzialmente priva di regole nell’impianto originario del nostro codice del 1942, è da tempo (e, in particolare, a partire dalla riforma del 2003) oggetto di attenzione da parte del legislatore (basti pensare alle regole dei patti parasociali, che riguardano proprio fatti e vicende anteriori all’assem­blea, ed aventi l’obiettivo di incidere sugli esiti dei lavori dell’assemblea). Essa viene ora corredata da ulteriori tasselli normativi, sia pure solo con riferimento alle società quotate (ed uno degli interrogativi più interessanti che la nuova disciplina propone – ed al quale qui non può essere dedicato altro spazio che questo minimo cenno – chiede poi se, come e quando queste innovazioni potranno, per effetto di nuove previsioni normative, di interventi giurisprudenziali, o di interpretazioni dottrinali, penetrare anche all’interno del regime delle società non quotate). Una novità importante è sicuramente data dalla norma (art. 125-ter t.u.f.) che, con riferimento alle società con azioni quotate, generalizza l’obbligo, per gli amministratori, di fornire ai soci, con l’avviso di convocazione, una relazione su “ciascuna delle materie all’ordine del giorno”. La relazione, che una volta era prevista da norme speciali solo per singole delibere di particolare impatto (come la delibera di riduzione del capitale per perdite: si veda l’art. 2446 c.c.), viene oggi a configurarsi come strumento generale di informazione dei soci. Nessuna regola è data (né dalla Direttiva n. 2007/36/CE, né dalla normativa nazionale di attuazione) in ordine al contenuto minimo di questa relazione (che direi “generale”). Sul punto, tuttavia, dovrebbero valere le regole già sviluppate all’in­terno dell’esperienza pregressa delle relazioni speciali da tempo volute dalla legge. Si può quindi agevolmente pensare che questo documento debba dar conto, anzitutto, delle ragioni che spingono la società alla proposta, debba identificare i soggetti eventualmente interessati, debba illustrare le conseguenze della delibera che [continua ..]


4. Una relazione degli amministratori sulle proposte dei soci

Gli strumenti volti a favorire la partecipazione attiva (o consapevole?) all’as­sem­blea sono identificati, dalla Direttiva e poi dalla normativa interna, nel diritto di iscrivere punti all’ordine del giorno, nel diritto di fare proposte sui punti all’ordine del giorno, nel diritto di porre domande prima dell’assemblea ed in assemblea, nel diritto di avere risposte 16. Non analizzerò singolarmente queste nuove prerogative del socio. Vorrei piuttosto esprimere due riflessioni che vengono a presentarsi proprio all’interno di questo quadro. Un primo punto da considerare è se l’attivazione, in concreto, di questi nuovi poteri del socio, e, in particolare, del diritto di iscrivere punti all’ordine del giorno e del diritto di fare proposte sui punti all’ordine del giorno, faccia sorgere un obbligo degli amministratori di prendere posizione, di segnalare cioè il punto di vista della società rispetto alle istanze del socio. L’art. 125-ter, 3° comma, prevede soltanto che gli amministratori mettano a disposizione dei soci le relazioni dei soci proponenti, accompagnate dalle proprie “eventuali valutazioni”. La cautela espressa dall’aggettivo “eventuali” mi sembra eccessiva. Penso si possa, forse senza forzare la lettera della norma, e valorizzando altre regole, costruire un obbligo degli amministratori di manifestare, se non alla data di pubblicazione delle relazioni predisposte dal socio proponente, quanto meno in un momento successivo, o, al limite, in assemblea, la propria posizione, cioè la posizione della società, rispetto alle proposte avanzate dal socio. In questa prospettiva 17, l’ag­gettivo “eventuali” sarebbe da leggere non nel senso che gli amministratori siano assolutamente liberi di comunicare o non comunicare all’assemblea la propria posizione rispetto alla proposta del socio, ma nel senso che gli amministratori debbano valutare se la proposta del socio merita oggettivamente una risposta, e solo nel caso in cui (“eventualmente”) lo meriti debbano comunicare la propria posizione. Ove invece la proposta oggettivamente non abbia bisogno di una presa di posizione da parte degli amministratori, questi potrebbero non commentarla. Porre un obbligo di questo tipo a carico degli amministratori appare, in questo caso, significativamente opportuno, soprattutto se si [continua ..]


5. Lo sviluppo del sito web

Vorrei dare attenzione, adesso, alla regola la quale consente che gli amministratori, invece di dare, alle domande dei soci, una risposta privata fuori assemblea, o una risposta pubblica in assemblea, diano una risposta pubblica attraverso il sito web della società (art. 127-ter, 2° comma). La norma segnala un crescente rilievo del sito 20, e consente oggi di dire che “il sito internet si conferma come il veicolo privilegiato per l’informazione dei soci” 21. Ed è verosimile che essa darà vita ad una prassi abbastanza articolata, non solo e non tanto per la generale propensione del mondo di oggi all’utilizzazione della rete, quanto soprattutto per l’evidente interesse che la società può avere a sviluppare, tramite il sito web piuttosto che in assemblea, una prassi di proprie risposte a domande dei soci, vere o fittizie (fittizie nel senso che gli amministratori potrebbero fornire risposte a domande ipotetiche, immaginando e anticipando possibili domande dei soci). Questa linea di tendenza (corrisponda o meno ad un progetto del legislatore) può avere un effetto importante. Essa attribuisce agli amministratori un potere (assolutamente strategico) di selezionare gli argomenti da esporre in assemblea proprio attraverso il potere di dirottarne altri sul sito. Un potere che, come ogni potere, può essere usato bene o male, può essere non usato, può essere abusato. Tutto ciò, in una valutazione comparativa, non necessariamente rappresenta un impoverimento del dibattito interno alla società. Potrebbe certamente ridurre il dibattito assembleare (e su questo tornerò tra breve), ma potrebbe, al contrario, rafforzare il dibattito endo-societario, trasformando l’informazione assembleare, necessariamente episodica ed effimera, perché affidata alla parola orale, poi trascritta in un verbale sintetico inevitabilmente destinato a scarsa circolazione, in un flusso continuo di informazione disponibile su tempi non minimi. Tutto ciò può portare alla società ed al mercato consistenti benefici, e credo che sia opportuno incoraggiare in ogni senso lo sviluppo del sito web della società. A fronte di questi benefici, si presenta un costo importante, che è dato dalla esposizione della società (e, soprattutto, dei soci di minoranza) a possibili elusioni o abusi degli amministratori. Nasce, potrebbe [continua ..]


6. Verso nuovi abusi degli amministratori e verso nuove sanzioni

I possibili abusi degli amministratori, in questa prospettiva, possono essere tanti, ed è anche difficile, oggi, prefigurarli tutti. Così come, del resto, sono tanti i possibili errori in cui gli amministratori potrebbero incorrere. Possiamo andare dal­l’interruzione dell’accesso al sito alla cancellazione anticipata di informazioni per le quali sia prevista una certa durata di esposizione nel sito, dall’occultamento di domande scomode tramite appostazione non facilmente reperibile nel sito alla predisposizione di risposte scorrette. Sullo sfondo, condotte di difficile collocazione nella alternativa tra errore ed abuso, come l’approntamento di misure non adeguate di protezione del sito da intrusioni non autorizzate. Nulla di nuovo sotto il sole, potrebbe dirsi: si tratta, con gli aggiustamenti imposti dal mutamento del mezzo che veicola domande e risposte, delle stesse possibili condotte errate o abusive tante volte osservate in assemblea. Ma, mi sembra, è proprio la maggiore incisività ed efficacia del sito rispetto all’assemblea a chiedere una sanzione più adeguata per tali condotte. Assolutamente scarsa, infatti, è l’efficacia delle sanzioni oggi disponibili. La sanzione reputazionale appare, in questo campo, particolarmente inconsistente. Anzi, bisogna pur dirlo, l’amministratore che sa eludere le legittime istanze del socio di minoranza tende ad apparire come chi riesce a “tenere a bada” un disturbatore, e quindi finisce col godere, nel suo ambiente, o in alcuni ambienti del suo ambiente, di un apprezzamento aggiuntivo. Scarsa è la praticabilità di iniziative giudiziali efficaci. Una sanzione invalidativa è ipotizzabile solo quando l’abuso dell’amministratore si collega direttamente sul piano procedimentale ad una delibera (si ipotizzi che l’amministratore rifiuti di rispondere in assemblea ad una domanda di un socio affermando di avere già risposto sul sito, e questo non sia vero. In questo caso l’illecito potrebbe provocare l’in­va­lidità della delibera, quanto meno se sussiste un collegamento sostanziale tra la domanda del socio ed il contenuto della delibera). Le sanzioni risarcitorie appaiono (come al solito, potrebbe dirsi) ben poco promettenti, perché la difficoltà di individuazione del danno risarcibile fa premio sulla a volte non difficile prova [continua ..]


7. Novità a proposito del voto per delega

Il panorama complessivo presenta altre nuove regole di tutela dell’azionista (regole, queste, che mi pare possano utilmente essere fruite sia dall’azionista minimo, sia dagli investitori istituzionali). Il legislatore prova a rivitalizzare il voto per delega (anche questo è istituto dotato di moto pendolare, almeno per noi italiani), da un lato semplificando la delega sul piano formale e sopprimendo alcuni limiti al suo uso, dall’altro, provando a dare maggiore rilievo alle istruzioni di voto del socio delegante. Il problema non è tanto quale sia il livello di specificità che queste istruzioni possano acquisire, quanto se ad esse, una volta ritenute vincolanti per il delegato, possa darsi rilievo esterno, ad esempio considerando causa di annullamento del voto la violazione delle istruzioni, quanto meno se “formalizzate per iscritto nel modulo di delega” 23. Mi sembra si debba fare tutto il possibile per pervenire ad una soluzione positiva di questo interrogativo, come proposto da Roberto Sacchi 24. Certo, il problema del controllo del rispetto delle istruzioni si presenta assai delicato. Sotto altro profilo, occorre prestare la massima attenzione al rischio del conflitto di interessi tra delegante e delegato, evitando che il voto possa essere esercitato nell’interesse del delegato. Io credo che questo sia importante, che valga la pena di assegnare al voto per delega la funzione esclusiva di espressione della volontà e dell’intendimento del delegato. Vero è che esistono altre strade attraverso le quali chi non è socio può esercitare i diritti di voto in luogo del socio, e nel proprio interesse: ma, appunto, si tratta di altre strade, che è bene tenere distinte da questa, e che possono trovare in altre regole una disciplina appropriata. È proprio la prospettiva del conflitto di interessi che induce a dubitare della positività dell’introduzione del rappresentante designato dalla società 25. Al di là della lodevole volontà di ridurre il costo della delega per il socio, il rischio che il delegato si identifichi con il gruppo di comando della società, e quindi abusi della delega, appare forte, almeno sulla carta. Sul punto, mi sembra decisivo il rilievo secondo il quale il rappresentante del socio (uno o tanti che siano i deleganti) non è un mero nuncius di una posizione precostituita da [continua ..]


8. Il voto elettronico

La vera novità degli ultimi anni, e, direi, dei prossimi, è il voto elettronico, una novità, a dire il vero, della quale ancora non conosciamo tutte le potenzialità. Esso verosimilmente è destinato, tra l’altro, a seppellire per sempre il voto per corrispondenza, che, per evidenti ragioni di complessità fattuali, specie sul piano temporale, non ha mai acquisito un ruolo di qualche visibilità e rilievo. L’apertura di credito che viene fatta al voto elettronico è fortissima: il legislatore (art. 2370, c.c., e art. 127, t.u.f.) consente la previsione statutaria del voto elettronico per tutte le società per azioni, sulla sola base di una previsione statutaria, e, per le società con azioni quotate, all’interno di un quadro regolamentare affidato alla Consob. La normativa secondaria (Delibera Consob 14 maggio 1999, n. 11971, modificata con Delibera 14 dicembre 2010, n. 17592) consente alla clausola statutaria di condizionare l’utilizzo del mezzo elettronico solo tramite regole capaci di assicurare l’accertamento dell’identità del socio e la sicurezza della espressione del voto stesso. Condizioni che sembra possano osservarsi senza eccessivi sforzi di tipo tecnico. Il nostro sistema, peraltro, non ha ancora utilizzato davvero questa opportunità: non mi sono note società che abbiano già introdotto nel proprio statuto regole di questo genere. Questa cautela è senz’altro giustificata, a mio parere, dalla difficoltà di prevedere in concreto, e poi valutare, gli effetti ed i rivolgimenti che l’introdu­zione del voto elettronico potrebbe recare con sé. La creazione di norme, in questo campo, appare particolarmente delicata: occorre “evitare irrigidimenti legislativi incompatibili con l’incessante affinamento delle tecnologie informatiche” 26, e, nello stesso tempo, approntare con tempestività opportune regole di tutela. Tuttavia credo che il voto elettronico rappresenti una notevole opportunità, sotto molti profili, e meriti di essere valorizzato. La ragione di interesse per il voto elettronico è essenzialmente nel fatto di poter essere espresso, almeno in teoria, in tempo reale rispetto allo svolgimento dei lavori assembleari, ed a costi assolutamente minimi per il socio, certamente più contenuti rispetto al voto per delega. Il sistema propone, [continua ..]


9. Intervento a distanza in assemblea?

È facile passare dal voto elettronico ad un sistema di partecipazione virtuale al­l’assemblea, attraverso la comunicazione a distanza dei lavori assembleari e la possibilità di partecipazione attiva (“intervento” in senso tecnico) all’assemblea da lontano 28, fino ad arrivare ad un’assemblea puramente virtuale, cioè senza alcuna sede fisica deputata a raccogliere intervenienti (soluzione, quest’ultima, che tuttavia per alcuni forse il diritto vigente non consente ancora 29). A seconda dello strumento tecnico prescelto, il socio lontano potrebbe essere messo in grado soltanto di ascoltare cosa succede, o soltanto di ascoltare e vedere. Potrebbe però anche interagire con l’assemblea non solo con il voto, e cioè essere visto e parlare. Si tratterà di decidere se dare spazio solo al voto elettronico o anche ad un intervento a distanza. Sul piano tecnologico sono già certamente disponibili modalità diverse capaci di raggiungere gli obiettivi prefigurati, ed i loro costi potrebbero essere assolutamente modesti. Mi sembrerebbe un po’ strano che il diritto non colga queste opportunità offerte dallo sviluppo della tecnologia. Del resto, già i consigli di amministrazione si svolgono oggi tra persone lontane, che si parlano tra loro, e non si limitano ad ascoltare chi è in sede. Naturalmente, l’intervento all’assemblea a distanza (sempre che lo si ritenga già oggi consentito dalla normativa vigente) dovrebbe essere disciplinato da un contesto di regole di non semplicissima costruzione 30, e che quindi dovranno essere inventate, ovviamente, per tentativi ed errori (gli errori saranno certamente tanti, perché è difficile che le soluzioni della prima ora si rivelino appaganti nel medio periodo). Senza pretendere di esaurire qui in poche battute un argomento assai delicato, direi giuridicamente necessaria, perché l’assemblea possa tenersi con modalità di intervento a distanza, un’apposita clausola statutaria. Occorrerà certamente anche (per evitare una pericolosa assenza di regole) una disciplina opportunamente articolata (qui mi limito a segnalare che mi parrebbe particolarmente opportuno ridisegnare in termini attenti il ruolo del presidente dell’assemblea), e questa disciplina potrebbe trovar sede nella stessa clausola statutaria, o nel regolamento [continua ..]


10. Il risarcimento del danno da delibera invalida: scarsa affidabilità delle nuove regole …

Un breve riflessione vorrei infine dedicare ad una regola che costituisce una importante novità (o quasi-novità) della riforma del 2003, una novità che però ha avuto sin qui, per quanto è dato saperne, scarsa utilizzazione, pur potendo svolgere, se presa sul serio, un ruolo non minimo. Parlo del risarcimento del danno da delibera invalida. Si sa bene che questo istituto, in concreto, è stato assai poco utilizzato. Si tende anche a dire (e concorderei senz’altro con questa opinione) che la modestissima fruizione effettiva è dipesa direttamente dalla scarsa fruibilità già in astratto di questa tutela risarcitoria. Occorre quindi un certo lavoro interpretativo di aggiustamento della norma perché essa possa, forse, pervenire ad una più ampia utilizzazione. Come è ben noto, l’attore in risarcimento (nel caso, il socio che si trova al di sotto della soglia quantitativa espressa dall’art. 2377, 3° comma, c.c.) deve provare, tra l’altro, l’esistenza del danno, la sua consistenza, ed il nesso causale tra la delibera invalida ed il danno. Al di là di alcuni casi assai circoscritti (come quello della delibera di fusione che preveda un rapporto di cambio non corretto 35), questi oneri di prova assumono spesso un peso diabolico, ben al di là delle possibilità probatorie del socio. In particolare, l’assenza di danno (intendo, l’assenza di un danno che possa essere considerato esistente alla luce del comune modo di vedere il danno risarcibile nel sistema vigente) rappresenta un dato tipologicamente costante della delibera invalida 36. Ancora, l’azione risarcitoria è gravata da un termine decadenziale (i novanta giorni di cui all’art. 2377, 6° comma, c.c.) la cui sensatezza sembra indifendibile 37. Non si riesce affatto a comprendere perché mai la società meriti di godere di un termine così breve per questa azione risarcitoria promuovibile dal socio, quando (ovviamente) per ogni altra azione risarcitoria (promuovibile da soci o da terzi) valgono anche per la società per azioni i termini ordinari di cinque o di dieci anni. Comunque sia, conseguenza inevitabile di questo complesso di regole e della loro interpretazione corrente è che, anticipando un esito infausto della lite, il socio legittimato a questa azione assai spesso evita di avviarla. Tutto [continua ..]


11. … e necessità di pervenire ad un assetto più protettivo delle ragioni del socio

Tutto questo è stato già detto, da molti, e con molta chiarezza 45. Visto che non possiamo cambiare o riscrivere materialmente la norma vigente, vale certamente la pena di provare a leggerla in modo da pervenire ad una sua effettiva applicazione in una serie di casi un po’ più ampia di quelli per i quali oggi il risarcimento del danno potrebbe avere chances effettive di concessione. Non penserei tanto ad uno spostamento della regola dal piano risarcitorio al piano indennitario 46. Al di là della difficoltà di giustificare sul piano interpretativo questo passaggio di livello, mi sembra che una qualifica della sanzione in termini di indennizzo crei più problemi di quanti non ne risolva. Manca, infatti, nel nostro sistema, per questa diversa sanzione, uno statuto sicuro e condiviso. Lasciando la regola vigente sul piano risarcitorio, credo che occorra, in primo luogo, ancorare con sicurezza il risarcimento del danno da delibera assembleare invalida al piano della responsabilità contrattuale. Ciò agevola in una direzione importante il socio che intenda valersi di questa normativa, in quanto lo esonera dal dover dar prova dell’elemento soggettivo. L’operazione ha un costo, perché il risarcimento del danno non prevedibile sarà possibile solo se c’è dolo, secondo l’art. 1225, c.c. Ma non dovrebbero esserci grosse difficoltà a ritenere sempre, o quasi sempre, presente il dolo, quanto meno se lo intende nel senso di consapevolezza dell’illegittimità della delibera. Collocare la regola sul piano contrattuale è possibile, credo, ancorché la cosa possa non sembrare a tutti agevole. Non si tratta di andare alla ricerca di un contratto stipulato tra il socio e la società, perché è evidente che questa ricerca non ha molte probabilità di esito positivo. Si tratta, piuttosto, di qualificare come di origine contrattuale il piano dei rapporti tra soci e tra soci e società, in una linea che parte dalla lettera dell’art. 2247, c.c., e, idealmente, si collega all’idea, non da ieri recepita in giurisprudenza, per la quale i comportamenti che si realizzano all’interno della cornice societaria sono chiamati a rispettare gli obblighi di buona fede e correttezza 47. Se vi è responsabilità contrattuale ogni volta che preesiste un rapporto giuridico tra [continua ..]


NOTE