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L'azione diretta del terzo nel modello bancario
Simone Cicchinelli
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Sommario:
1. Premessa. - 2. Il rapporto tra modello azionario e modello bancario. - 2.1. (Segue). Il dialogo tra autonomia e eteronomia. - 2.2. L’organizzazione dell’esercizio nell’impresa bancaria. - 3. Le caratteristiche dell’azione diretta ex art. 2395 c.c. - 3.1. L’azione individuale e le ragioni dell’impresa. - 3.2. L’azione individuale e il modello bancario. - 3.3. (Segue) L’azione individuale e il modello bancario. - 4. L’azione individuale nella disciplina sull’impresa bancaria. - 4.1. La previsione della commissione di massimo scoperto. - 4.2. Il c.d. anatocismo bancario. - 4.3. Le offerte che includono (necessariamente) un finanziamento. - 5. Cenni conclusivi. - NOTE
1. Premessa.
L’esigenza di analizzare il ruolo che l’azione diretta del terzo [come anche del socio] gioca nell’organizzazione bancaria nasce da un duplice ordine di considerazioni, l’una operativa e l’altra concettuale: (i) da un lato, l’attuale crisi del mercato creditizio che induce a ricercare possibili e ulteriori tecniche di tutela configurabili in capo alla clientela; (ii) dall’altro, la particolare natura dei contratti bancari e dell’attività su cui essi insistono la quale postula un coinvolgimento del terzo [allora non socio] nell’organizzazione dell’impresa [1]. In tal senso non sembra inutile ricordare che la conclusione dei contratti bancari rappresenta un incontro tra due differenti modalità dell’agire privato: l’atto [il rapporto singolarmente concluso] e l’attività [procedimentalizzazione dell’agire altrui per la strutturazione e il collocamento di prodotti e servizi presso la clientela]. Questo diverso modo di manifestazione dell’autonomia privata, in una attenta composizione di interessi privati e pubblici sottesi al rapporto banca-cliente, non può non portare conseguenze anche sul piano dell’organizzazione imprenditoriale; specialmente se la si intende come attività [economicamente e] obiettivamente data rispetto alla forma societaria che può assumere [2].
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2. Il rapporto tra modello azionario e modello bancario.
Lo scrutinio del rapporto tra i modelli azionario e bancario si ritiene non possa prescindere, come invero è già stato autorevolmente segnalato [3], dalle specificità proprie dell’attività svolta: con il corollario, non privo di interesse, per il quale alcune regole tipicamente societarie possono non trovare compiuta applicazione [4]. Nel modello bancario dovrebbe essere, pertanto, tutelato l’ordinato svolgimento dell’attività e il rapporto con la clientela: il che, mette conto di osservare, consente di valorizzare le regole poste a tutela dell’impresa a scapito di quelle dettate a presidio degli investimenti effettuati dai soci. La tendenza dell’indirizzo maggioritario, di contro, è quella – con particolare riguardo ai problemi di corporate governance – di intendere la disciplina societaria come un complesso di regole volte a governare l’attività del soggetto [società] che svolge una delle attività elencate dall’art. 2195 c.c.: senza che ci si curi di approfondire le peculiarità dei fattori produttivi di queste [5]. Si intende, allora, spostare concettualmente l’attenzione su come le norme prendono in considerazione l’impresa bancaria e, per quanto di stretto interesse, le modalità attraverso cui viene disciplinata l’organizzazione dell’agire imprenditoriale: i [continua ..]
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2.1. (Segue). Il dialogo tra autonomia e eteronomia.
L’impostazione pressoché prevalente in letteratura [8] sottolinea la propensione della legislazione bancaria a valorizzare l’autonomia privata nonostante l’incidenza che sulla struttura societaria ha l’azione di vigilanza svolta dalla Banca d’Italia: in tal senso i suddetti modelli non sarebbero tra loro poi così distanti rendendosi ineludibile l’applicazione delle regole previste per l’impresa azionaria [9]. Sul piano concettuale, il rapporto tra azione di vigilanza e governance è risolto configurando la società come soggetto dell’impresa e, in definitiva, come imprenditore che esercita l’attività bancaria; così le problematiche scaturenti dal predetto rapporto potendo valutarsi solamente sul piano della disciplina societaria [10]. Nella contrapposta [e dianzi indicata] prospettiva, invece, si è ritenuto, guardando alla disciplina societaria come forma organizzativa dell’impresa e di essa rappresentante i profili essenzialmente finanziari [11], che il contenuto dell’azione di vigilanza prudenziale attenga essenzialmente alle modalità con cui l’impresa stessa si organizza. La concezione della società come soggetto e dell’attività bancaria come comportamento si ritiene porti a oscurare il valore che la presenza di interessi extrasociali [12] ha [continua ..]
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2.2. L’organizzazione dell’esercizio nell’impresa bancaria.
Impostato in questi termini il problema relativo all’estensione delle regole societarie al modello bancario [19], si tratta di valutare, pur incidentalmente, il contenuto del potere gestorio. Se l’organismo produttivo, quale fenomeno giuridico, si presta ad essere scomposto tra sostanza e forma (la disciplina societaria rappresentando il valore attribuito al fenomeno stesso) [20] l’adozione del modello azionario per lo svolgimento dell’attività bancaria postula la sussistenza di uno specifico interessedell’ordinamento che potrà essere perseguito solamente imponendo all’esercizio dell’impresa specifiche modalità organizzative. L’assetto dei poteri riconosciuto, dal testo di diritto scritto, in capo all’organo amministrativo non può non ritenersi inciso dalle finalità che la struttura dell’impresa deve rispettare per poter operare nel settore del credito: in altre parole, l’interesse [sociale] da perseguire si esaurisce nel contemperamento di due esigenze, tra loro connesse; (i) da un lato, gestire prudenzialmente le diverse tipologie di rischio imposte dalla disciplina prudenziale; (ii) dall’altro, non acuire le tensioni di liquidità che possono manifestarsi sul mercato dei finanziamenti [21]. La prima conclusione alla quale si perviene considera l’organizzazione [continua ..]
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3. Le caratteristiche dell’azione diretta ex art. 2395 c.c.
La responsabilità dell’organo amministrativo ex art. 2395 c.c. è tema da tempo dibattuto e ricostruito dalla letteratura maggioritaria in termini di responsabilità extracontrattuale [26]. La peculiarità di tale regime risiederebbe nel fatto che i danni ricadono direttamente nel patrimonio del socio e del terzo a seguito dell’atto doloso o colposo compiuto dall’amministratore [27]: l’assunto è talmente pacifico da intendersi come “presupposto univoco dal quale muovere ogni indagine in cui si intenda approfondire il tema trattato” [28]. Deve rilevarsi, ad uno scrutinio più attento, che l’assimilazione all’ambito di applicazione dell’art. 2043 c.c. si arresta ad una mera assonanza letterale dato che diversi sono i profili di alterazione. A cominciare dagli aspetti più direttamente operativi (la non coincidenza circa la decorrenza del termine di prescrizione: che l’art. 2395, 2° comma, c.c. àncora alla data del compimento dell’atto) e per finire con quelli concettuali (id est: relativi al fatto che la produzione del danno origina dalla violazione delle anzidette regole gestorie), si constata una struttura sensibilmente differente rispetto alla tutela aquiliana: aspetto, questo, conclamato dalla dissociazione fra chi risponde dell’obbligazione risarcitoria e chi si vede imputare [continua ..]
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3.1. L’azione individuale e le ragioni dell’impresa.
La tesi della responsabilità contrattuale, pur manifestando le difficoltà che si sono sopra evidenziate, ha il pregio di aver messo in luce lo stretto collegamento fra l’ingiustizia del danno e la violazione delle regole gestorie che governano l’ordinato esercizio dell’impresa azionaria: il presupposto, allora, degli artt. 2392 e 2395 c.c. sarebbe il medesimo [38]. Da questa premessa è opportuno muovere considerando che la disposizione in esame non può interpretarsi scindendone il contenuto: una parte, quella che richiama i soci, che si fonderebbe sulla distinzione tra danno diretto e riflesso; l’altra, quella che si riferisce ai terzi, da ricostruirsi secondo i meccanismi dell’illecito aquiliano (pur con le peculiarità proprie del contesto societario in cui questo si produce [39]) [40]. Ciò, peraltro, rischierebbe di tradire i canoni interpretativi in forza dei quali la ratio di una norma andrebbe sempre valutata alla luce degli interessi che intende proteggere [41]; si tratta, per il tramite di un’attività interpretativa che valorizzi il contenuto della norma in rapporto al sistema (non solo positivo, ma anche socio-economico) di riferimento, di scrutinare i diversi interessi coinvolti e le conseguenze dannose derivanti dalla lesione di questi [42]. La prospettiva [oggettiva] dei diversi regimi di responsabilità [continua ..]
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3.2. L’azione individuale e il modello bancario.
Si è avuto modo di evidenziare che il ricorso all’art. 2395 c.c. escluderebbe l’inquadramento di tale azione sia secondo lo schema della responsabilità contrattuale (posto che non vi sarebbe violazione di obblighi di protezione a favore di terzi) sia secondo quello della tutela aquiliana, perché diverso sarebbe il presupposto per agire; in altre parole, non può dirsi lesa nessuna posizione giuridica soggettiva del terzo ove a questa voglia assegnarsi un significato, per l’appunto, tecnico. Può notarsi, pur incidentalmente, che la natura dell’azione in parola meglio si comprende ove la si raffronti con l’altra prevista dall’art. 2394 c.c. che legittima i creditori ad agire nei confronti degli amministratori nell’ipotesi in cui, a causa della violazione degli obblighi conservativi del patrimonio sociale e dell’insufficienza di questo a soddisfare l’insieme delle pretese creditorie collettivamente considerate, il patrimonio stesso abbia subito un danno. Di certo, può ora obiettarsi, il confine tra creditore e terzo appare piuttosto labile; si pensi all’ipotesi di un fornitore che abbia deciso di instaurare un rapporto contrattuale con l’impresa essendo indotto da una rappresentazione contabile non veritiera (e più nello specifico: da un bilancio falso) [49]. In questo caso, non è agevole, sul piano strettamente processuale, leggere la vicenda [continua ..]
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3.3. (Segue) L’azione individuale e il modello bancario.
L’aspetto da ultimo segnalato, inerente alla necessità che sussista un legame, ancorché indiretto, tra la violazione delle regole gestorie e la struttura patrimoniale dell’impresa, consente di porre in risalto il fatto che l’organizzazione dell’esercizio e del finanziamento, aspetti – questi – distinti nelle altre imprese commerciali, sono inscindibilmente legati nell’impresa bancaria: basti pensare all’emissione di un prestito obbligazionario, che nel modello azionario implica l’acquisizione di valori destinati alla remunerazione dei fattori produttivi; mentre in quello bancario rappresenta un aspetto [organizzativo e] indefettibile della stessa attività [59]. Senza poter ora indugiare sul collegamento funzionale tra raccolta del risparmio e esercizio del credito [60], si può considerare che le operazioni di raccolta (e la relativa struttura contrattuale), di cui i depositi del risparmio del pubblico rappresentano la forma tipica [61], sono già espressione dell’attività bancaria e ne integrano in maniera diretta e funzionale l’organizzazione dell’esercizio: se ne deduce, ai nostri fini, che il contenuto tipico della prestazione gestoria si presta ad essere ricostruito guardando all’esercizio e al finanziamento come due aspetti dello stesso fenomeno; dove la raccolta del risparmio si pone come unica base [continua ..]
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4. L’azione individuale nella disciplina sull’impresa bancaria.
Della prospettiva delineata è possibile cogliere diversi frammenti dalla disciplina prudenziale, dettata a presidio degli interessi sottesi alla tutela dei depositi del pubblico risparmio. In particolare, le disposizioni pubblicate dalla Banca d’Italia in tema di “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari” [68] si soffermano sui requisiti organizzativi che le banche debbono predisporre e rispettare al fine di presidiare, in stretta connessione con i rapporti contratti con la clientela, i rischi legali e di reputazione. Di tale legame non sembra sia il caso di dubitare posto che il rispetto dei predetti presidi implica una forte connessione con i “controlli sull’adeguatezza patrimoniale a fronte dei rischi legali e di reputazione” [69]: tema, questo, che contribuisce a scolpire il contenuto della prestazione gestoria desumibile impliciter dall’art. 53 t.u.b. [70]. Ed ancora: tutti quegli aspetti che della concessione di finanziamenti rappresentano coelementi essenziali della fattispecie, si prestano ad essere considerati all’interno del conflitto, interno alla forma societaria, tra la gestione prudenziale dei rischi e l’obiettivo di non acuire il c.d. credit crunch. La fissazione di remunerazioni sempre più complesse del costo del credito, specialmente nelle prassi patologiche (e nel correlato apparato rimediale di cui [continua ..]
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4.1. La previsione della commissione di massimo scoperto.
Le disposizioni regolamentari, come noto, hanno cura di dettagliare il contenuto delle componenti rappresentative del costo che la banca sostiene nel tenere a disposizione dell’affidato una certa somma di denaro: tra queste, la commissione di massimo scoperto è stata interessata da un intenso dibattito giurisprudenziale pratico e teorico che ha portato all’introduzione di una nuova commissione onnicomprensiva, parametrata sulla somma messa a disposizione del cliente e sulla durata dell’affidamento [73]. Mette invece conto di osservare che la sottoscrizione di contratti includenti forme complesse di remunerazione degli affidamenti o degli sconfinamenti (tra cui, per l’appunto, la commissione in oggetto) implica l’adozione di specifiche procedure tese ad agevolare la controparte nella conclusione dell’accordo anche per consentirgli l’esercizio del diritto di recesso; oltre che per scegliere un altro prodotto, confacente alle proprie esigenze [74]. L’eventuale danno cagionato al cliente potrà derivare da entrambe le suddette ipotesi. Da una rapida analisi empirica può constatarsi che la clientela tende, in sede di citazione, a richiedere l’illegittimità della clausola in parola al fine di ottenere la ripetizione di quanto è stato corrisposto alla banca [75]. Se questo è corretto sul piano contrattuale non può ignorarsi la [continua ..]
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4.2. Il c.d. anatocismo bancario.
Lo scrutinio della fattispecie, di natura giurisprudenziale, dell’anatocismo bancario conduce alle medesime riflessioni che si sono svolte in ordine alla commissione di massimo scoperto [78]. Gli sviluppi del dibattito, animatosi presso la giurisprudenza teorica e pratica, sono particolarmente noti: specialmente a seguito della recente modifica apportata all’art. 120, 2° comma, t.u.b. che sembrerebbe aver reintrodotto la c.d. produzione di interessi su interessi [79]. Su tale materia, inoltre, le problematiche si sono poste sul versante strettamente processuale: si pensi all’intervento della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 78/2012, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 2 del d.l. n. 225/2010. Quest’ultima disposizione, intervenendo sull’art. 2935 c.c., prevedeva la decorrenza del dies a quo del termine di prescrizione dal momento in cui veniva effettuata ogni singola scrittura sul conto, ivi compresi anche gli addebiti degli interessi anatocistici. Questo abbreviamento dei termini per agire nei confronti della banca è stato dai più ritenuto illegittimo in quanto l’effetto solutorio delle singole rimesse decorrerebbe dalla chiusura del [rapporto] di conto corrente (o, comunque, dalla risoluzione di questo). Non è possibile, con tutta evidenza, procedere funditus alla disamina delle richiamate questioni. Ma nella visuale che caratterizza le [continua ..]
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4.3. Le offerte che includono (necessariamente) un finanziamento.
La normativa prudenziale si fa carico di regolare quei casi in cui una banca decida di offrire contestualmente, accanto al classico contratto di finanziamento, altri servizi, anche attraverso soggetti terzi, la cui prestazione deve essere accompagnata da una serie di cautele particolari. Più nel dettaglio l’organo amministrativo, nel rispetto dei principi di trasparenza e correttezza che permeano l’attività [pre]contrattuale [80], deve preoccuparsi di adottare procedure organizzative e di controllo interno che assicurino nel continuo: (i) una valutazione delle diverse tipologie di rischio connesse con l’offerta contestuale di più contratti. Si pensi all’ipotesi, piuttosto ricorrente nella pratica, in cui accanto al finanziamento vengono offerti contratti non funzionali alle caratteristiche di quest’ultimo; (ii) la piena comprensibilità, per la clientela, del prodotto complessivamente inteso (ivi compresa la struttura e le caratteristiche di questo). Anche la fattispecie in parola, al fine di consentire l’applicazione dell’art. 2395 c.c., postula il coinvolgimento al contempo di specifici doveri gestori e di valutazioni sul piano prudenziale; specialmente perché la concessione di finanziamenti unitamente alla sottoscrizione di prodotti a questi collegati potrebbe incidere sul merito creditizio del cliente.
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5. Cenni conclusivi.
Nel contesto dell’organizzazione imprenditoriale del modello bancario, anche alla luce delle peculiarità di questo rispetto al modello azionario, emerge una distinzione – si ritiene gravida di conseguenze operative – tra regole gestorie aventi portata individuale e collettiva. Tale distinzione se da un lato induce ad individuare un collegamento diretto tra la prestazione gestoria, tipicamente posta in capo all’organo amministrativo, e la posizione dei correntisti, dall’altro consente di qualificare giuridicamente la pretesa di quest’ultimi alla dotazione dei presidi idonei alla prestazione di determinati servizi: senza che ciò porti, come si è già avuto modo di precisare, ad imporre alla banca l’adozione di specifici criteri tecnici [81]. In tutte quelle ipotesi in cui la violazione di regole gestorie aventi portata individuale causi un danno nel patrimonio del singolo, questo sarà legittimato ad utilizzare quegli strumenti che sul piano [non contrattuale, bensì] procedimentale trovano espressa considerazione: con il corollario, forse non privo di interesse, per cui la disciplina sulla responsabilità dell’organo amministrativo, non potendosi disinteressare delle peculiarità dei fattori produttivi, si presta ad essere interpretata come una regola organizzativa dell’attività d’impresa, ancorché esercitata in forma collettiva.
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