Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Le società cooperative a mutualità non prevalente e la (presunta) unitarietà del fenomeno cooperativo nella riforma del diritto societario (di Peter Agstner)


SOMMARIO:

1. Inquadramento del problema. - 2. La mutualità non prevalente nella riforma del diritto societario: la (affermata) unitarietà del tipo cooperativo alla luce della disciplina positiva. - 3. Segue. Il raffronto con la disciplina delle banche popolari. - 4. La mutualità non prevalente e l’art. 45 Cost. - 5. Proposte di recupero delle cooperative diverse. - NOTE


1. Inquadramento del problema.

Il legislatore della riforma, in materia di società cooperative, ha propugnato un tipo di società cooperativa che, pur distinguendosi nei due sottotipi delle cooperative a mutualità prevalente e delle cooperative a mutualità non prevalente (que­st’ultime dette anche cooperative c.d. diverse), doveva essere caratterizzato da un’inattaccabile unitarietà tipologica in ragione della connotazione funzionale in senso necessariamente mutualistico (artt. 2511 e 2515, 2° comma, c.c.). In questo senso si esprime il § 15 della Relazione ministeriale al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, ove si legge che “la riforma presuppone, pur nelle distinzioni in essa introdotte, un fenomeno ancora oggi giuridicamente unitario, diversificato o diversificabile solo dall’interno del fenomeno, sulla base di eventuali e non necessarie opzioni statutarie e gestionali”; o ancora che la riforma si caratterizza per il permanere “di una concezione sostanzialmente unitaria della cooperazione, con diversificazioni interne al fenomeno in termini di maggiore o minore meritevolezza, ma mai di inclusione o espulsione dalla fattispecie” 1. La correttezza di una simile affermazione di principio è stata ampiamente valutata in dottrina con riferimento alle cooperative a mutualità prevalente. Senza volere oltremodo approfondire questa tematica, che fuoriesce dal campo della presente indagine, è difficilmente revocabile in dubbio che vari indici normativi (artt. 2511; 2512-2514; 2520, 2° comma; 2521, 2° comma; 2545; 2545-sexies c.c.) esprimano una tipologica caratterizzazione in senso mutualistico delle cooperative a mutualità prevalente 2. Un simile approfondito esame non può dirsi compiuto con riguardo alle cooperative a mutualità non prevalente, disinteresse, questo, forse motivato da una presunta irrilevanza pratico-empirica di detto sottotipo cooperativo 3. Infatti, gli studiosi in materia cooperativistica si sono limitati o ad avallare pedissequamente il concetto dell’unitarietà della causa mutualistica (ap­parentemente) fatto proprio dal legislatore della riforma 4 o a più o meno generiche affermazioni di principio dirette ad evidenziare lo sfasamento esistente tra realtà normativa e possibile realtà fattuale 5. Però, anche la dottrina da ultimo citata [continua ..]


2. La mutualità non prevalente nella riforma del diritto societario: la (affermata) unitarietà del tipo cooperativo alla luce della disciplina positiva.

Ma andiamo per ordine, partendo, come anticipato, da un esame rigorosamente improntato alla disciplina positiva dettata inmateria dal legislatore della riforma 6. Al riguardo, per giudicare se il fenomeno cooperativo riformato si caratterizzi per una non meramente dichiarata unitarietà (funzionale e strutturale 7) del (sovra-)tipo cooperativo occorre valutare se, e soprattutto in quale misura, la cooperativa diversa debba svolgere una qualche funzione di sostegno delle economie individuali dei soci, all’evidente fine di verificare la correttezza o meno dell’inclusione di tale sottotipo cooperativo nel genus della società cooperativa a scopo mutualistico. Ciò posto, la risposta al quesito sollevato dovrebbe essere di per sé di immediata evidenza, almeno a voler giudicare dalla norma definitoria di cui all’art. 2511 c.c., ove il legislatore della riforma, affermando che “le cooperative sono società a capitale variabile con scopo mutualistico …”, pare abbia voluto conferire “sostanza” al suo intento di assicurare l’unitarietà del fenomeno cooperativo; ma trattandosi di norma definitoria, non contenente pertanto una regola di disciplina, occorrerà verificare se alla norma definitoria faccia da pendant una disciplina positivo-sostanziale coerente con la definizione contenuta nella prima 8. Infatti, come autorevolmente affermato “… è legittimo parlare di cooperativa e di mutualità finché non si dimostri che questo senso è andato perduto nella legge sostanziale” 9. Ciò detto, non sfugge, già ad una prima superficiale lettura delle disposizioni di legge dettate in materia (art. 2512 ss. c.c.), che alle cooperative diverse è legittimamente consentito di indirizzare la loro attività sociale prevalentemente, se non già esclusivamente, in favore di terzi non soci, con conseguente possibile riduzione del tasso di mutualità ad un livello marginale o, addirittura, assente. Già questa considerazione preliminare fa sorgere il dubbio che la cooperativa a mutualità non prevalente, nel contesto normativo riformato, si caratterizzi causalmente per la (necessaria) presenza di uno scopo mutualistico, inteso come gestione di servizio in favore dei soci, quale scopo principale della società: [continua ..]


3. Segue. Il raffronto con la disciplina delle banche popolari.

L’interprete, a ben vedere, non dovrebbe mostrarsi “scandalizzato” dalla presenza nel nostro ordinamento giuridico di strutture cooperative funzionalmente neutre e, pertanto, suscettibili di libero utilizzo a fini mutualistici o lucrativi. Infatti, simili forme di “abuso” del tipo cooperativo sono da tempo una realtà ben consolidata nel panorama cooperativistico (non solo) italiano. Il pensiero, evidentemente, va alle banche popolari. Il raffronto con detto tipo di banca cooperativa pare particolarmente proficuo non solo in ragione della loro espressa qualificazione come cooperative diverse (ex art. 29, 4° comma, t.u.b.) 33, ma soprattutto per evidenziare una significativa differenza di trattamento tra di loro esistente relativamente ad un particolare aspetto della disciplina normativa. Ciò consentirà, poi, di ulteriormente evidenziare taluni profili di criticità relativamente alla legittimità costituzionale del sottotipo cooperativo in questione e, all’occorrenza, formulare de iure condendo talune proposte di riqualificazione dello stesso. Ma andiamo per gradi. Al riguardo, più che ripercorrere le singole tappe che hanno segnato l’evoluzione storico-normativa delle banche popolari, merita anche in questa sede soffermarsi, seppure molto succintamente, sulla concreta caratterizzazione causale-funzionale delle banche popolari. A tale proposito, le posizioni assunte in dottrina e in giurisprudenza oscillano principalmente tra coloro che reputano le banche popolari quali promotrici di una mutualità nel settore bancario (sotto forma di un più facile accesso al credito e/o di condizioni del credito più vantaggiose) e coloro che negano la funzionalizzazione di detti istituti di credito allo svolgimento di una simile gestione di servizio in favore dei propri soci 34. Non pretendendo di poter dimostrare la correttezza dell’una o dell’altra tesi sostenuta, ci si limita in questa sede a prendere atto di una serie di indici normativi (assenza di limiti alla distribuzione degli utili d’esercizio, detratta la sola quota da imputare a riserva legale ex art. 32, 1° comma, t.u.b.; assenza di un obbligo di svolgimento prevalente dell’attività con i soci; assenza di un’obbligatoria destinazione di parte degli utili d’esercizio e/o del patrimonio netto residuo in favore dei [continua ..]


4. La mutualità non prevalente e l’art. 45 Cost.

Se ai fini della presente indagine non interessa procedere oltre nell’approfondimento di simili aspetti critici della disciplina delle banche popolari, può però ragionevolmente sostenersi che, se con riguardo a quest’ultime può semmai discutersi della loro utilità pratica nel mondo delle banche cooperative e non (e, dal punto di vista giuridico, dell’opportunità di una loro riqualificazione in diverso tipo sociale, meglio capace di “accogliere” le caratteristiche dell’operatività concreta delle banche popolari 43), con riguardo alle cooperative diverse si pone un ulteriore e ben più grave problema. Infatti, a differenza delle banche popolari 44, le cooperative diverse godono anche dopo la riforma del diritto societario di una serie consistente di agevolazioni, seppure (normalmente 45) non di natura fiscale, ma di tipo previdenziale, creditizio e/o urbanistico 46. Questo trattamento di favore riservato alle cooperative diverse, con evidenti effetti distorsivi anche sul gioco della concorrenza tra le imprese (soprattutto di grandi dimensioni) operanti nel libero mercato 47, si espone a seri profili di criticità – questa volta – non solo dal punto di vista sistematico, ma prima ancora sotto l’aspetto della legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 45 Cost 48. L’art. 45 Cost., come è noto, riserva un trattamento privilegiato alle sole cooperative (e secondo parte della dottrina anche agli altri enti mutualistici non cooperativi, come le mutue assicuratrici, i consorzi tra imprenditori e gli enti mutualistici di cui all’art. 2517 c.c. 49) a carattere di mutualità e senza fine di speculazione privata 50: le cooperative a mutualità non prevalente hanno invece diritto di usufruire delle suddette agevolazioni anche in caso di loro finalizzazione, possibile e legittima per legge, ad uno scopo non prevalentemente mutualistico, ma speculativo (inteso come lucro soggettivo), con conseguente disparità di trattamento rispetto alle società lucrative; ciò fa dubitare della loro legittimità costituzionale per contrasto con l’art. 45 Cost. 51, inteso come norma che, nonostante la forte evanescenza precettiva che la caratterizza 52, possiede tra le sue finalità tipiche [continua ..]


5. Proposte di recupero delle cooperative diverse.

Così accertata la possibile e legittima kapitalgesellschaftsrechtliche Entartung delle cooperative diverse e la loro dubbia legittimità costituzionale, non può che auspicarsi un intervento “sistematore” del legislatore che ridefinisca i confini invalicabili (all’autonomia statutaria) della mutualità diversa. Infatti, a meno di non voler condividere l’idea della mutualità diversa come “categoria di diritto transitorio, e non un nuovo sottotipo munito di funzione e causa tali da consentirne la sopravvivenza nel nuovo sistema ‘a regime’ ” 60, occorre “chiedersi quale possa essere la funzione e l’utilità di una cooperativa ‘diversa’ come schema negoziale utilizzabile per scopi pratici evidentemente diversi da quelli cui tendono le cooperative ‘prevalenti’ ” 61. In quest’opera di rivisitazione costituzionalmente orientata delle cooperative diverse, il legislatore potrebbe de iure condendo pensare di (ri-)qualificare le cooperative diverse come cooperative “atipiche”, in aderenza a quell’orientamento dottrinale minoritario, ma autorevole, secondo cui al legislatore ordinario sarebbe consentito, non ricorrendo al riguardo alcuna preclusione costituzionale, di disciplinare propter aliquam utilitatem come cooperative anche forme associative prive degli elementi qualificativi enunciati dall’art. 45 Cost. 62. Ciò, però, a condizione che le cooperative diverse non abbiano più titolo per godere di particolari favori e/o agevolazioni, dovendo questi essere riservati alle sole cooperative meritevoli di tutela e promozione secondo il modello “tipico” di cooperazione promosso dalla norma costituzionale del­l’art. 45 63. In alternativa, si potrebbe pensare di (ri-)qualificare le cooperative diverse come imprese cooperative non mutualistiche, operanti “come strumento di una più generica ‘promozione’ di comuni interessi economici (propri anche della più ampia categoria di appartenenza dei soci, con conseguente possibile distribuzione correttiva della ricchezza)», e non di specifici bisogni mutualistici degli aderenti, il tutto però a scapito dell’auspicata unitarietà della cooperazione mutualistica, ma non del fenomeno [continua ..]


NOTE