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La tutela risarcitoria contro la trasformazione invalida

Lorenzo Benedetti

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Sommario:

1. Premessa - 2. La pratica inutilizzabilità della tutela reale contro la trasformazione omogenea invalida - 3. Inutilizzabilità della tutela cautelare contro la trasformazione invalida - 4. Mancanza di pregiudizialità fra tutela reale e tutela risarcitoria in caso di trasformazione omogenea - 5. (Segue). Il termine di esercizio dell’azione risarcitoria ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c. - 6. Incongruità derivanti dalla tesi della pregiudizialità fra tutela reale e tutela risarcitoria ex art. 2500-bis c.c. - 7. L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2500-bis c.c. - 8. L’applicazione del principio del venire contra factum proprium - 9. Rilevanza della relazione ex art. 2500-sexies al fine di ammettere la pregiudizialità dell'impugnazione? - 10. Il rapporto fra il rimedio invalidatorio e quello risarcitorio in caso di trasformazione ete­ro­genea. L’inefficacia ex art. 2500-nonies c.c. e il termine per impugnare la delibera invalida - 11. (Segue). Pregiudizialità dell’impugnazione rispetto all’azione risarcitoria - 12. Il rapporto fra l’opposizione dei creditori e la tutela risarcitoria. La funzione dell’op­po­si­zione alla trasformazione - 13. (Segue). Le incongruenze derivanti dalla tesi dell’esistenza di un rapporto di pregiudizialità fra op­po­sizione e azione risarcitoria - 14. (Segue). Inapplicabilità del divieto di venire contra factum proprium - 15. La fattispecie fonte della responsabilità risarcitoria - 16. L’interesse tutelato dall’impugnativa delle delibere assembleari - 17. La natura del danno da trasformazione - 18. Individuazione dei danni risarcibili - 19. La quantificazione del danno - 20. I danni da vizi procedimentali - 21. La legittimazione passiva alla richiesta di risarcimento - 22. La legittimazione attiva - 23. Spunti di carattere processuale - NOTE


1. Premessa

Il diritto societario riformato disciplina, nel nuovo art. 2500-bis c.c., l’invalidità della trasformazione, che prima del 2003 era stata oggetto di ampio dibattito proprio a causa della mancanza di una norma ad essa espressamente dedicata 1. Il legislatore ha riprodotto nella nuova disposizione, pressoché in modo testuale, quanto prescritto dall’art. 2504-quater c.c. relativamente all’invalidità della fusione (e dall’art. 2506-ter, 5° comma, c.c., per l’invalidità della scissione). Tale scelta normativa si inquadra in un contesto normativo – quello del diritto societario post riforma – caratterizzato dalla sostituzione dei rimedi a carattere reale con quelli aventi natura risarcitoria 2. Nella riflessione che segue si cercheranno di ricostruire le caratteristiche dell’azione risarcitoria ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c. attraverso la comparazione con le altre fattispecie di responsabilità da atto sociale invalido contemplate – sia prima che dopo la riforma – dal nostro ordinamento, con particolare riguardo non solo alla disciplina della fusione e della scis­sione 3, ma anche all’art. 2377, 4° comma, c.c. 4.

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2. La pratica inutilizzabilità della tutela reale contro la trasformazione omogenea invalida

Il primo problema che si intende risolvere riguarda il rapporto intercorrente fra l’azione demolitoria e quella risarcitoria contro la trasformazione invalida. In particolare, occorre stabilire se la domanda di risarcimento del danno possa essere esercitata indipendentemente dalla preventiva proposizione della domanda di annullabilità/nullità 5. A tal fine, un’importante questione preliminare da considerare è l’impossibilità pratica per il socio 6 di impugnare la trasformazione omogeneainvalida, così da evitare “il fatto compiuto ed irreversibile” della sua realizzazione 7. Infatti, l’art. 2500-bis c.c. dispone che la preclusione della pronuncia di invalidità matura “eseguita la pubblicità di cui” all’art. 2500, 2° comma, c.c. Quest’ultimo viene interpretato nel senso che alla decisione di trasformazione si applica – l’art. 2330 c.c. in caso di trasformazione in società di capitali 8; – l’art. 2436 c.c. in caso di trasformazione di società di capitali 9. In pratica, dunque, in caso di trasformazione omogenea da o in società di capitali il notaio è tenuto, entro, rispettivamente, venti o trenta giorni dalla stipulazione dell’atto a verificare la sussistenza delle condizioni prescritte dalla legge per il tipo di trasformazione prescelta e a [continua ..]

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3. Inutilizzabilità della tutela cautelare contro la trasformazione invalida

Per quanto appena rilevato, la pronuncia di invalidità della trasformazione risulta condizionata, sul piano pratico, alla concessione di un provvedimento cautelare. Tuttavia, anche il ricorso per ottenere quest’ultimo può risultare spesso tardivo 16. Intanto perché nella trasformazione è assente l’articolazione procedimentale propria dell’operazione di fusione (e scissione), che può senz’altro allungare i tempi entro cui si verifica la preclusione della tutela invalidatoria 17. Inoltre, prima dell’iscrizione 18 risultano assai esigue le concrete possibilità di ottenere un provvedimento di sospensione cautelare ex art. 2378 c.c. 19. Non solo per quanto appena detto sui tempi entro i quali può sopraggiungere la pubblicità “sanante”; ma anche perché tale disposizione prevede che il ricorso per il provvedimento cautelare debba essere depositato contestualmente alla copia dell’atto di citazione, precludendone quindi la proponibilità ante causam 20. Il che ha conseguenze molto rilevanti per i tempi tecnici necessari a redigere la domanda introduttiva del giudizio di merito ed anche perché, una volta notificato l’atto di citazione alla società, gli amministratori della stessa potrebbero affrettarsi ad iscrivere la trasformazione, rendendo vana la richiesta di sospensione cautelare 21. [continua ..]

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4. Mancanza di pregiudizialità fra tutela reale e tutela risarcitoria in caso di trasformazione omogenea

Sulla base delle superiori osservazioni si può affrontare il quesito da cui si è partiti. La soluzione preferibile pare essere quella della autonomia della tutela risarcitoria da quella reale: l’esercizio dell’azione ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c. non è subordinato all’impugna­tiva della delibera di trasformazione 29. Si sono già evidenziate le notevoli difficoltà a cui andrebbe incontro il soggetto che volesse impugnare la delibera di trasformazione omogenea o anche soltanto richiederne la sospensione cautelare, a causa della mancanza – per la realizzazione della stessa – di quella articolazione procedimentale caratteristica, invece, delle altre due operazioni straordinarie della fusione e della scissione, per le quali vige una regola analoga all’art. 2500-bis c.c. Perciò quest’ultima previsione risulterebbe irrazionale ove condizionasse la tutela risarcitoria all’onere della tempestiva impugnazione della delibera illegittima. Così opinando, infatti, il diritto al risarcimento del danno non sarebbe affatto salvo 30 nonostante la preclusione della tutela reale. Al contrario, la pratica inutilizzabilità di quest’ultima comporterebbe anche – a causa del rapporto di pregiudizialità – l’impossibilità per il socio di essere tutelato esercitando l’azione risarcitoria. La soluzione qui [continua ..]

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5. (Segue). Il termine di esercizio dell’azione risarcitoria ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c.

Dal parallelo con la disciplina delle delibere assembleari invalide si può trarre un ulteriore argomento a favore dell’assenza di pregiudizialità fra l’impugnazione e la domanda risarcitoria contro la trasformazione invalida. Il nuovo art. 2377, 6° comma, c.c. fissa un termine per l’esercizio del diritto al risarcimento del danno identico a quello per l’impugnativa delle delibere invalide che l’abbiano cagionato. Al contrario, niente dispone al riguardo l’art. 2500-bis, 2° comma, c.c. 36. Tale differenza induce ad applicare un termine per l’esercizio dell’azione risarcitoria lì prevista diverso da quello ex art. 2377, 6° comma, c.c. Pertanto, all’azione risarcitoria in caso di trasformazione invalida deve ritenersi sottoposta in materia di prescrizione generale applicabile ai rapporti societari di cui all’art. 2949 c.c., piuttosto che al termine prescritto per l’azione di risarcimento del danno da delibera invalida 37. In tal senso depone anche il carattere eccezionale che sembra da attribuire all’art. 2377, 6° comma, in quanto unica norma che sottopone a decadenza il diritto al risarcimento del danno 38. Come tale, la sua applicazione deve essere limitata al caso espressamente previsto. In altri termini, confrontando l’art. 2377, 6° comma, – che prevede, in relazione alle delibere assembleari invalide, un termine di decadenza [continua ..]

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6. Incongruità derivanti dalla tesi della pregiudizialità fra tutela reale e tutela risarcitoria ex art. 2500-bis c.c.

Subordinando l’esercizio dell’azione risarcitoria a quella di nullità/annullabilità, in sostanza si collega all’adempimento pubblicitario prescritto per la singola ipotesi di trasformazione non solo un’efficacia sanante dei vizi della delibera, ma anche una “capacità scriminante” della responsabilità derivante dalla realizzazione dell’operazione 41. Se la prima conseguenza ha una sua spiegazione – costituente la ratio dell’art. 2500-bis, 1° comma, c.c. 42 – non sembra sussistere alcuna esigenza che imponga la seconda. In senso contrario si è affermato che «l’astratta configurabilità di pretese risarcitorie, in dipendenza di atti deliberativi divenuti inoppugnabili, minaccia gravemente le esigenze di “stabilità” delle vicende societarie che l’imposizione di termini decadenziali persegue, unitamente a quelle di “sicurezza del traffico”», posto che «quest’esigenza di stabilità non può essere interpretata solo in chiave organizzativo-formale, dovendo estendersi alla situazione patrimoniale della società e ai rapporti interni ad essa» 43. Ma la dottrina prevalente si appunta, nel­l’in­di­viduare la ratio dell’art. 2504-quater come dell’analogo art. 2500-bis c.c., sulle esigenze di stabilizzazione del [continua ..]

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7. L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2500-bis c.c.

Il rapporto di pregiudizialità fra impugnazione e azione risarcitoria pare da escludere anche perché, ora ritenuto esistente, solleverebbe forti dubbi sulla legittimità costituzionale dell’art. 2500-bis c.c. rispetto al principio di effettività della tutela ricavabile dall’art. 24 Cost. 49. In primo luogo, quest’ultimo risulta violato quando “attraverso una norma di carattere sostanziale si renda eccessivamente difficile l’esercizio del diritto d’azione (come nel caso in cui si stabiliscono termini decadenziali, entro i quali esercitare giudizialmente il diritto, troppo ristretti)” 50. Sotto questo profilo, la tesi della pregiudizialità, precludendo in un termine brevissimo l’esercizio non solo dell’impugnazione ma – se si omette la prima – anche dell’azione risarcitoria, viola l’art. 24 Cost. Da tale disposizione, inoltre, deriva il divieto di “lasciare totalmente prive di protezione situazioni giuridiche soggettive … degne di essere tutelate dall’ordinamento (divieto si riduzione sostanziale della tutela)” 51. La tesi della pregiudizialità dell’impugnativa sembra violare anche quest’ultimo. Infatti, l’azione risarcitoria tutela quello stesso interesse sostanziale del socio, che non può essere protetto ricorrendo all’impugnazione 52. Ma se la preclusione del rimedio reale, [continua ..]

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8. L’applicazione del principio del venire contra factum proprium

L’esistenza di un rapporto di pregiudizialità fra l’impugnazione e l’azione risarcitoria viene fondata anche sul divieto di venire contra factum proprium: il mancato esercizio del rimedio invalidatorio contro la delibera 56 costituirebbe un comportamento contradditorio rispetto alla successiva pretesa di ottenere il risarcimento del danno cagionato dalla stessa 57. Al riguardo, si è rilevato che l’applicazione ad una comportamento di tale principio presuppone un giudizio sulla sua “coerenza o, viceversa, sulla sua contraddizione …, secondo quanto esigibile alla luce dei principi generali dell’ordinamento, e prescindendo dalle regole societarie che appaiono, sotto il profilo in esame, del tutto neutre” 58. Dunque, per verificare l’ammissi­bilità di un’azione risarcitoria autonoma dalla previa impugnazione della trasformazione occorre valutare 59 se l’esercizio della prima, in mancanza della seconda, violi il principio di correttezza e buona fede 60, tenuto conto delle peculiarità della fattispecie esaminata 61. In base a queste premesse, non sembra incorrere nella violazione del principio in esame il socio che pretenda il risarcimento del danno ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c., senza aver preventivamente fatto valere l’invalidità della trasformazione, poiché in tal caso il rimedio risarcitorio non [continua ..]

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9. Rilevanza della relazione ex art. 2500-sexies al fine di ammettere la pregiudizialità dell'impugnazione?

Avvicinando il procedimento di trasformazione c.d. regressiva alla disciplina delle altre operazioni straordinarie, l’art. 2500-sexies c.c. dispone che la relativa delibera deve essere preceduta da una relazione degli amministratori ove si illustrano le motivazioni e gli effetti dell’ope­razione. Tale relazione deve essere depositata presso la sede sociale nei trenta giorni precedenti l’assemblea, affinché ciascun socio interessato possa prenderne visione ed ottenerne copia. La ratio della prescrizione è di consentire ai soci di “avere piena contezza dell’opera­zione, anche nelle sue ragioni tecniche, in modo da poter deliberare con maggior ponderazione …” 84. Infatti, la dottrina sottolinea come la relazione debba soffermarsi sugli aspetti economici e gestionali, prima ancora che su quelli giuridici, entrando in maniera dettagliata sulle ragioni che suggeriscono nel caso concreto l’operazione 85. Questo frammento di disciplina della trasformazione omogenea regressiva acquista rilevanza ai fini della questione che si sta esaminando: la pretesa risarcitoria del socio che abbia omesso di impugnare la delibera invalida 86 può essere giudicata come un comportamento contrario alla correttezza endoassociativa solo se il pregiudizio è prevedibile fintanto che il rimedio reale risulta esercitabile materialmente. In caso contrario, il fatto che il socio reagisca al [continua ..]

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10. Il rapporto fra il rimedio invalidatorio e quello risarcitorio in caso di trasformazione ete­ro­genea. L’inefficacia ex art. 2500-nonies c.c. e il termine per impugnare la delibera invalida

Per ricostruire il rapporto fra il rimedio invalidatorio e quello risarcitorio contro una trasformazione eterogenea viziata occorre domandarsi preliminarmente se l’inefficacia prevista dall’art. 2500-nonies c.c., nonostante l’intervenuta pubblicità dell’atto di trasformazione, impedisca l’applicazione dell’art. 2500-bis c.c., oppure se la preclusione lì contemplata operi fin dal compimento degli adempimenti pubblicitari prescritti dall’art. 2500, 2° comma, c.c. Laddove risulti corretta la prima opzione, non potrebbe essere utilizzata una delle argomentazioni in base alla quale si è esclusa la relazione di pregiudizialità fra impugnazione e risarcimento dei soci in caso di trasformazione omogenea. L’art. 2500-nonies c.c. deroga espressamente la prescrizione dell’art. 2500, 3° co., c.c.; si distingue, quindi, il momento in cui si realizza l’efficacia della trasformazione eterogenea da quello nel quale sono effettuati gli adempimenti pubblicitari previsti nel medesimo art. 2500 c.c. 89. Parte della dottrina sostiene che, poiché l’art. 2500-nonies prevede soltanto l’inap­plicabilità del 3° comma dell’art. 2500 c.c. (la trasformazione non ha efficacia a decorrere dalla pubblicità, ma dopo sessanta giorni dalla sua effettuazione); e poiché l’art. 2500-bis c.c. dispone la preclusione della [continua ..]

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11. (Segue). Pregiudizialità dell’impugnazione rispetto all’azione risarcitoria

Se si condivide quanto appena rilevato, l’argomento della inutilizzabilità pratica dell’impu­gnazione, su cui si è fondata la conclusione dell’inesistenza di un rapporto di pregiudizialità fra quest’ultima e l’azione risarcitoria nell’ipotesi di trasformazione omogenea non vale per la trasformazione eterogenea. I soli dispongono, infatti del termine, fisso e sufficientemente ampio di sessanta giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese per impugnare quest’operazione. Occorre, pertanto, verificare l’applicabilità del divieto di venire contra factum proprium. A favore di tale possibilità si può sostenere che l’azione risarcitoria si pone in contraddizione con l’omissione di quella invalidatoria, stante la capacità di quest’ultima di prevenire il danno di cui si chiede successivamente il ristoro. Il rapporto formale di contraddizione non è però presupposto sufficiente per l’applicazione del divieto di venire contra factum proprium. A tal fine è anche necessario che la contraddizione violi il principio di buona fede e correttezza 96. Al proposito, acquista rilievo il disposto dell’art. 2500-sexies c.c. richiamato per le trasformazioni eterogenee di società di capitali dal successivo art. 2500-septies c.c. 97. Il comportamento del socio che, pur non avendo impugnato [continua ..]

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12. Il rapporto fra l’opposizione dei creditori e la tutela risarcitoria. La funzione dell’op­po­si­zione alla trasformazione

La questione del rapporto fra tutela risarcitoria e tutela reale si pone, oltre che nei confronti dei soci, anche nei confronti dei creditori, che certamente possono essere compresi entro l’am­pia e generica formula utilizzata dall’art. 2500-bis c.c. in merito all’individuazione dei legittimati attivi («partecipanti all’ente trasformato…terzi danneggiati») alla domanda di risarcimento dei danni. Al riguardo, pare opportuno effettuare preliminarmente qualche breve osservazione in merito alla funzione dell’opposizione 101 alla trasformazione eterogenea. Se, infatti, risultasse che quest’ultimo e l’azione risarcitoria (ossia i due strumenti di reazione dei creditori contro la trasformazione) sono funzionalmente differenti, difficilmente potrebbe parlarsi di comportamento contradditorio di coloro che omettano l’una ed esercitino l’altra. In alcune ipotesi l’opposizione alla trasformazione tutela l’interesse dei creditori alla conservazione della garanzia patrimoniale. Così è, intanto, per le trasformazioni eterogenee «connaturate al cambiamento della titolarità del patrimonio», ossia quelle da comunione o da impresa individuale 102 a società e viceversa 103. Una lesione della garanzia patrimoniale può, ancora, verificarsi 104 (e, quindi, essere impedita mediante opposizione) in caso di trasformazione [continua ..]

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13. (Segue). Le incongruenze derivanti dalla tesi dell’esistenza di un rapporto di pregiudizialità fra op­po­sizione e azione risarcitoria

Ricostruiti i profili funzionali dell’opposizione, è possibile affermare che essa esplica la funzione di prevenire il realizzarsi di una trasformazione eterogenea potenzialmente pregiudizievole per i creditori, impedendone l’efficacia 109. Tale conclusione è confermata anche dal rinvio dell’art. 2500-nonies all’art. 2445, ult. comma, c.c., il quale prevede che il tribunale deve accertare, in relazione all’opposizione, «il pericolo di pregiudizio»; e può disporre il compimento dell’operazione laddove siano prestate idonee garanzie. Evidentemente la prestazione di queste ultime presuppone la necessità di eliminare il pregiudizio potenzialmente derivante dall’operazione. Per questi motivi, il mancato esercizio del rimedio preventivo 110può essere considerato, sotto il profilo della funzione da esso esplicata, un comportamento contraddittorio rispetto alla successiva proposizione dell’azione risarcitoria: quest’ultima è diretta ad eliminare proprio quel pregiudizio, per impedire il verificarsi del quale si sarebbe potuto esperire l’op­posizione 111. Tuttavia, considerare l’opposizione quale presupposto giuridico dell’azione risarcitoria ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c. significa estendere ad essa il termine di due mesi di cui all’art. 2500-nonies c.c. 112. Un simile risultato non appare [continua ..]

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14. (Segue). Inapplicabilità del divieto di venire contra factum proprium

La preclusione a chiedere il risarcimento ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c. per i creditori che non si siano opposti alla trasformazione eterogenea potrebbe conseguire all’applicazione del divieto di venire contra factum proprium: la mancata opposizione esprimerebbe un’acquie­scen­za all’operazione 121 che contraddice la successiva pretesa risarcitoria. Per di più, posto che l’ordinamento prevede la possibilità di opporsi ad una trasformazione potenzialmente lesiva, un’interpretazione che riconoscesse ai creditori inerti la facoltà, ad operazione avvenuta, di chiedere il risarcimento del danno verrebbe a ledere l’affidamento, riposto dalla società, nella neutralità della trasformazione per le loro ragioni 122. E nel caso in esame non vale quanto rilevato in merito al rapporto impugnazione-azione risarcitoria dei soci. Infatti, il mezzo di tutela specifico dei creditori a fronte di una trasformazione lesiva dei loro diritti è esperibile entro un termine non abbreviabile da comportamenti di terzi e sufficientemente ampio 123. Ciononostante, l’applicabilità del divieto di venire contra factum proprium suscita molti dubbi. In presenza di determinate circostanze, anche il silenzio può esprimere una volontà in ordine ad una certa situazione 124. Laddove ciò accada è possibile individuare una sleale [continua ..]

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15. La fattispecie fonte della responsabilità risarcitoria

L’azione risarcitoria di cui all’art. 2500-bis, 2° comma, c.c. sembra esperibile unicamente in caso di invalidità della delibera di trasformazione. Essa costituisce, infatti, un rimedio sostitutivo 132 della tutela reale preclusa ex lege, nel senso che esplica la funzione di assicurare la risarcibilità dei danni connessi ad una trasformazione viziata non più suscettibile di essere rimossa. Tale funzione emerge già dal tenore letterale della disposizione che, in relazione alla preclusione assoluta delle pronunce di invalidità della trasformazione, fa salva la tutela risarcitoria. Uno spunto in tal senso proviene anche dalla legge delega n. 366/2001 ove, in merito alle delibere assembleari 133, si attribuiva al legislatore delegato il potere di prevedere «l’eventuale adozione di strumenti di tutela diversi dalla invalidità», dunque sostitutivi di quest’ultima. Quale rimedio sostitutivo dell’impugnazione preclusa ex lege, l’azione ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c., dunque, presuppone l’invalidità della trasformazione 134. A ciò si deve aggiungere che la rubrica dell’art. 2500-bis è chiara nel riferire la disciplina della norma (ivi compreso il 2° comma) all’ipotesi di “invalidità” della trasformazione. A tali [continua ..]

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16. L’interesse tutelato dall’impugnativa delle delibere assembleari

Il 2° comma dell’art. 2500-bis c.c. costituisce una prescrizione dal tenore letterale generico 139. Per ricostruire i caratteri dell’azione lì disciplinata, dunque, pare opportuno attribuire rilievo, nuovamente, alla funzione sostitutiva della tutela invalidatoria da essa esplicata. È essenziale, a tal fine, determinare preliminarmente l’interesse tutelato con l’impugna­zione della delibere assembleari. La dottrina prevalente ritiene che l’impugnazione delle delibere assembleari adempia la funzione di difendere l’«interesse ad un contenuto diverso – nel senso di più conveniente per il socio impugnante – da quello che la medesima delibera aveva avuto in seguito alla violazione» della sua disciplina legale e statutaria 140. Il sacrificio di tale interesse individuale del socio connesso al merito della delibera – per effetto dell’adozione del principio maggioritario (che soddisfa l’esigenza di funzionalità della società) – risulta giustificato solo dalla conformità della delibera alla legge e all’atto costitutivo; in caso contrario, invece, diviene rilevante l’interesse personale del socio, legittimandolo ad esperire l’impugnazione. Per poter esercitare tale rimedio, peraltro, la dottrina ritiene non sufficiente invocare una generica pretesa al ripristino della legalità, ma richiede la prova [continua ..]

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17. La natura del danno da trasformazione

La ricostruzione dell’azione risarcitoria ex art. 2500-bis, 2° comma, c.c. come strumento di tutela sostitutivo dell’impugnazione risulta rilevante in ordine all’individuazione delle caratteristiche del danno che ne legittima l’esercizio. Si vuol sostenere, infatti, che la riforma non ha lasciato privo di protezione l’interesse precedentemente tutelato con la pronuncia di invalidità della delibera, ma si è limitata soltanto ad individuare una forma di tutela suscettibile di essere conciliata con «l’irregredibilità degli effetti dell’attività organizzativa» 144. Ma allora, stante le caratteristiche – appena sopra individuate – dell’interesse protetto dall’impugnazione della delibera invalida, l’art. 2500-bis, 2° comma, c.c. deve considerarsi fonte nel nostro ordinamento di un’azione risarcitoria che – eccezionalmente per il diritto societario – consente al singolo socio di ottenere anche il risarcimento individuale di lesioni subite indirettamente, come riflesso del danno direttamente cagionato alla società 145. D’altronde, qualora ci si limitasse ad attribuire alla disposizione in esame il significato di mera clausola generale, avente semplicemente la funzione di rinviare alle azioni risarcitorie già previste dall’ordina­mento 146 si incorrerebbe probabilmente in [continua ..]

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18. Individuazione dei danni risarcibili

Confrontandolo con il disposto dell’art. 2377, 4° comma, c.c. (che si riferisce ai danni cagionati dalla delibera contraria alla legge o allo statuto), il generico tenore letterale dell’art. 2500-bis, 2° comma, c.c. sembra ammettere il risarcimento dei danni cagionati non soltanto dall’atto di trasformazione in sé, ma anche dalla sua esecuzione 154, ossia dagli atti successivi che presuppongono l’intervenuta modificazione di disciplina dell’ente trasformato. Si pensi, per esempio, al danno che può derivare ai creditori sociali, in termini di menomazione dell’in­tegrità patrimoniale, dalla distribuzione di utili consentita dalla disciplina dell’ente trasformato e invece preclusa da quella dell’ente trasformando. Nel momento in cui la trasformazione diviene efficace tale danno è meramente potenziale; esso si realizza solo quando si proceda concretamente alla distribuzione degli utili, tramite per esempio una delibera assembleare successiva alla decisione dell’operazione straordinaria. Solo allora diviene esperibile l’azione risarcitoria, che presuppone la “realtà del danno” 155. Quest’azione pare riconducibile alla previsione di cui all’art. 2500-bis, 2° comma, c.c., oltre che per quanto già rilevato in ordine al suo tenore letterale, anche perché ha la trasformazione e il pregiudizio in esame sussiste il nesso [continua ..]

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19. La quantificazione del danno

Per quantificare il pregiudizio risarcibile cagionato dalla trasformazione invalida occorre determinarne le due componenti del danno emergente (inteso come perdita di valori già acquisiti al patrimonio del danneggiato) e del lucro cessante (ossia il guadagno netto mancato al danneggiato) 158-159. A tal fine occorre privilegiare un criterio di tipo soggettivo, vale a dire considerare l’in­teresse individuale sotteso all’investimento ed accertare l’incidenza lesiva concreta sulla posizione del danneggiato, come pacificamente ammette la dottrina civilistica in relazione ai beni produttivi qual è la partecipazione sociale 160. Si è, tuttavia, rilevato che «il necessario riferimento di tali entità economiche ad una posizione contrattuale inerente ad un rapporto in corso di attuazione … rende particolarmente ardua» 161 la quantificazione del danno arrecato ad esse. Risulta, pertanto, utile la possibilità offerta dal nostro ordinamento di ricorrere alla determinazione equitativa del pregiudizio ex art. 1226 c.c. (richiamato dall’art. 2056 c.c., per la responsabilità aquilina) quando sussista l’im­possibilità o una motivata grande difficoltà nel quantificarlo, purché però esso sia certo nella sua esistenza 162. Gli interessi lesi dalla trasformazione invalida – in particolare quelli alla redditività e alla [continua ..]

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20. I danni da vizi procedimentali

Un problema particolarmente arduo posto dalla sostituzione della tutela reale con quella risarcitoria riguarda i vizi meramente procedimentali della trasformazione: si tratta di vizi formali (ossia consistenti in violazioni di regole organizzative o procedimentali) che non cagionano alcun danno al patrimonio del socio o della società (danno diretto o riflesso), ossia agli “interessi finali” che si appuntano sulla “conservazione”, “redditività” e “valorizzazione” della partecipazione 172. La dottrina prevalente non ritiene azionabile il rimedio risarcitorio in tali casi, stante la mancanza di un danno economicamente valutabile 173. A fondamento di tale conclusione viene richiamata l’elaborazione giuspubblicistica in materia di responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi, in quanto così viene qualificata anche la situazione giuridica del socio a fronte di una delibera illegittima 174. Le Sezioni unite della Cassazione hanno affermato la risarcibilità della lesione degli interessi legittimi non come “categoria generale”, ma soltanto quando «l’attività illegittima della pubblica amministrazione abbia determinato la lesione al bene della vita al quale l’interesse legittimo … si collega, e che risulta meritevole di tutela secondo l’ordinamento» 175. Trasponendo tale [continua ..]

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21. La legittimazione passiva alla richiesta di risarcimento

Il carattere sostitutivo dell’azione ex art. 2500-bis c.c. rispetto all’impugnazione della delibera di trasformazione invalida, consente di determinare anche contro chi debba essere esperito il rimedio risarcitorio. Un’indicazione al riguardo deriva, intanto, dalla disciplina delle società di capitali. Legittimata passiva rispetto all’impugnazione della deliberazione assembleare invalida è la società, come si ricava dall’art. 2378 c.c., che fa riferimento ad essa come “convenuta” 179. Pertanto, stante il carattere sostitutivo dell’azione risarcitoria in esame rispetto al­l’im­pugna­zione di quella che non è altro che una delibera dell’assemblea straordinaria, il primo rimedio può essere esperita verso la società, legittimata passiva, in mancanza della preclusione imposta dalla legge, all’azione di invalidità. Ciò sembra confermato, fra l’altro, anche dal fatto che l’art. 2378 c.c. – in relazione al danno da delibera assembleare, qual è anche la trasformazione – individua espressamente nella società la legittimata passiva anche nell’ipo­tesi, considerata al 2° comma, in cui il giudice debba pronunciarsi unicamente sul risarcimento del danno 180. La legittimazione passiva dell’ente risultante dalla trasformazione ex art. [continua ..]

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22. La legittimazione attiva

L’art. 2500-bis, 2° comma, c.c. necessita di essere ricostruito in via interpretativa anche in merito all’individuazione dei legittimati attivi all’esercizio dell’azione risarcitoria lì prevista, poiché si riferisce genericamente ai «partecipanti all’ente trasformato ed ai terzi…». La questione più difficile al riguardo è stabilire se possono chiedere il risarcimento anche coloro che abbiano votato a favore della trasformazione 190. Al riguardo sembra corretto distinguere fra trasformazione nulla e annullabile. Nel primo caso, la legittimazione ad agire per il risarcimento deve essere riconosciuta anche ai partecipanti all’ente trasformato che abbiano votato a favore dell’operazione, in applicazione del principio generale in materia di nullità, tanto in ambito negoziale (art. 1421 c.c.) quanto nel diritto societario (art. 2379, 1° comma, c.c.), per cui essa può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse. Se il voto favorevole non preclude la successiva impugnazione per nullità, esso non può limitare nemmeno la legittimazione all’azione risarcitoria che la sostituisce ex lege 191. Più complesso è il discorso relativo all’annullabilità, al ricorrere della quale è certo che il voto favorevole preclude l’impugnazione 192. È plausibile ravvisare nel voto favorevole alla [continua ..]

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23. Spunti di carattere processuale

Cosa accade laddove il danneggiato dalla trasformazione invalida sia riuscito a proporre il rimedio reale prima dell’adempimento pubblicitario ex art. 2500, 2° comma, c.c., ma nonostante la pendenza del giudizio maturi la preclusione prevista dall’art. 2500-bis, 1° comma, c.c.? Si tratta in particolare di inquadrare il rapporto impugnazione-domanda risarcitoria sul piano del diritto processuale, al fine di stabilire se la seconda possa essere proposta nella causa originariamente introdotta con la domanda di invalidità. La soluzione preferibile è quella di considerare la domanda risarcitoria come emendatio libelli rispetto all’impugnazione, piuttosto che come mutatio libelli. La Cassazione, infatti, afferma costantemente che si ha una mutatio libelli solo quando si avanza una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo pendente un petitum diverso e più ampio, di quello oggetto dell’azione iniziale oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche mai prospettate prima (in particolare una fatto costitutivo del diritto radicalmente differente da quello indicato in origine) 205. Per quanto già rilevato, tali presupposti non ricorrono nel caso dell’azione ex art. 2500 bis, 2° comma, c.c. perché almeno tre degli elementi processuali che la identificano – [continua ..]

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NOTE

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