Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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La cancellazione e l'estinzione delle società di persone (con alcune considerazioni più generali) (di Andrea Zorzi)


SOMMARIO:

1. La cancellazione della società dal codice di commercio al codice civile - 2. La cancellazione nel quadro attuale - 3. Storia recente della disciplina dell’estinzione della società. L’effetto della cancellazione dal registro delle imprese nella giurisprudenza; l’art. 10 legge fall. e l’estinzione “fiscale” - 4. La cancellazione delle società semplici - 5. Il bilancio finale di liquidazione. Struttura e contenuto. Casi particolari - 6. La sorte di crediti illiquidi e mere pretese - 7. L’approvazione del bilancio finale di liquidazione - 8. La cancellazione dal registro delle imprese e il controllo dell’ufficio del registro - 9. La nuova disciplina della chiusura del fallimento e le interazioni con la disciplina della cancellazione - 10. La cancellazione senza liquidazione - 11. La responsabilità dei soci dopo la cancellazione - 12. La responsabilità dei liquidatori verso i soci e i creditori sociali - 13. La cancellazione della s.a.s.: il rinvio alla disciplina delle s.n.c. e la responsabilità dei soci dopo la cancellazione - NOTE


1. La cancellazione della società dal codice di commercio al codice civile

La cancellazione della società è l’atto con cui si chiude, almeno formalmente, la liquidazione (art. 2312 c.c.). L’introduzione di una specifica formalità pubblicitaria risale al codice del 1942: in precedenza, infatti, il codice di commercio non prevedeva alcunché dopo l’approvazione del bilancio finale 1 e si discuteva in ordine a quale fosse da considerare il momento terminale della società: l’approvazione del bilancio finale e del piano di riparto; la ripartizione dell’attivo tra i soci; la definizione dei rapporti con i creditori; la definizione dei rapporti con i creditori e, insieme, la ripartizione dell’attivo 2. Il problema si pone anche nel vigore della disciplina attuale, secondo alcune possibili letture della norma, come si vedrà 3. A parte la previsione di un atto formale di chiusura, la disciplina attualmente vigente della fase terminale della liquidazione – rimasta immutata rispetto a quella originaria del codice del 1942 – è molto simile a quella del codice di commercio del 1882. Si prevedeva allora che, terminata la liquidazione, i liquidatori dovessero redigere il bilancio finale e il piano di riparto (­«farne il bilancio e proporre la divisione tra i soci»: art. 208, 1° comma, c. comm. 1882), da notificare a ciascun socio (art. 208, 2° comma) 4; entro il termine di trenta giorni, i soci avrebbero potuto proporre reclamo. Decorso inutilmente il termine 5, o decisi i reclami («appro­vato il conto», come si esprimeva l’art. 209), i liquidatori avrebbero dovuto distribuire il residuo attivo ai soci e depositare libri e documenti sociali presso il socio designato, che li avrebbe dovuti conservare per cinque anni (art. 209) 6. Come si è detto poco sopra, nella disciplina del codice di commercio mancava un formale atto o provvedimento di cancellazione della società dai registri di cancelleria, né vi era una specifica disciplina delle azioni dei creditori contro i soci, se non relativamente ai conferimenti non versati (art. 206 c. comm. 1882) 7; e così è, tuttora, per le società semplici, che non prevedono uno specifico atto con cui si formalizza la chiusura della liquidazione 8. Come si vedrà tra breve, il “diritto vivente” non è rimasto insensibile alla circostanza che anche le [continua ..]


2. La cancellazione nel quadro attuale

Le discussioni in materia di effetti dell’iscrizione della cancellazione sono proseguite fino a oggi, stimolate dagli eventi giurisprudenziali e normativi di cui si dirà tra breve 16. La tesi della natura “costitutiva” della cancellazione è accettabile a condizione di delimitare correttamente il significato di questa espressione. In primo luogo, appare senz’altro esatto ritenere la cancellazione di natura “costitutiva” nel limitato senso secondo cui essa è, almeno, necessaria per l’estinzione della società: nel senso che, fino a che non è cancellata, la società è da ritenersi esistente e dotata di autonoma soggettività 17. Non vi è nessuna traccia normativa nel senso che vi sarebbe un’estinzione anteriore alla cancellazione, un “fatto-estin­zione” di cui si chiede l’iscrizione. D’altronde, neppure vi è un “atto-estin­zione” precedente la cancellazione stessa. La cancellazione della società dal registro delle imprese è configurata dal codice come un atto particolare: è un atto del conservatore, posto in essere sulla base di una richiesta proveniente dalla società (dai liquidatori), dopo l’approvazione del bilancio finale di liquidazione, che è rimessa ai soci. Non vi è, appunto, uno specifico atto di cui si chiede l’iscrizione, ma una fattispecie procedimentale composta dalla sequenza bilancio approvato-richiesta di cancellazione-cancellazione 18. La cancellazione, dunque, non può avere efficacia meramente dichiarativa – nel senso di cui all’art. 2193 c.c. – perché non vi è nessun atto o fatto di cui si possa provare la conoscenza in capo ai terzi 19. Per altro verso, però, neppure sono condivisibili le tesi secondo cui la cancellazione avrebbe un effetto costitutivo nel senso di prescindere da qualsiasi presupposto sostanziale sottostante diverso dall’approvazione del bilancio finale di liquidazione e dalla richiesta di cancellazione da parte dei liquidatori 20, né quella (non necessariamente connessa con l’altra or ora menzionata) secondo cui, impregiudicati i suoi presupposti, la cancellazione sarebbe sempre irreversibile 21, al punto che, se una società in nome collettivo chiedesse e ottenesse la sua cancellazione, ma [continua ..]


3. Storia recente della disciplina dell’estinzione della società. L’effetto della cancellazione dal registro delle imprese nella giurisprudenza; l’art. 10 legge fall. e l’estinzione “fiscale”

Le conclusioni esposte in precedenza sono, e sono state, tutt’altro che pacifiche. La materia della cancellazione della società – specialmente delle società di capitali, ma non solo – fu, com’è noto, un tema molto dibattuto fino a tempi recenti. Per molti anni, infatti, pur dopo l’introduzione dell’apposita norma, la giurisprudenza continuò a sostenere la tesi per cui, anche dopo la cancellazione delle società, fossero esse di persone o di capitali, queste continuavano ad essere soggetti di diritto fino all’esaurimento di ogni rapporto, sia attivo che passivo 30. L’importante conseguenza, sul piano fallimentare, era che le società avrebbero potuto essere dichiarate fallite senza alcun limite temporale perché, se anche si fosse ritenuto applicabile il termine annuale di cui agli artt. 10 e 11 legge fall., esso sarebbe iniziato a decorrere solo dal momento del pagamento di ogni debito. L’interpretazione, animata da un intento di protezione dei creditori (ma talvolta, con una singolare eterogenesi dei fini, rivolgendosi contro di essi), fu salda dagli anni Cinquanta fino alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, ed ebbe l’avallo della Corte costituzionale quasi a ridosso del cambiamento di indirizzo di fine secolo 31. La prima tappa del mutamento di indirizzo è da ricondurre alla giurisprudenza costituzionale degli anni 1999-2000, quando la Corte, intervenuta dapprima con una pronuncia interpretativa di rigetto, poi con una pronuncia di accoglimento, dichiarò illegittimo l’art. 10 legge fall. «nella parte in cui non prevede che il termine di un anno dalla cessazione dell’esercizio dell’impresa collettiva per la dichiarazione di fallimento della società decorra dalla cancellazione della società stessa dal registro delle imprese». In questa sentenza la Corte non prese posizione in ordine a un supposto effetto “estintivo” della cancellazione della società, ma si limitò a dettare la regola per cui le società insolventi possono essere dichiarate fallite solo entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese 32. Tuttavia, la sentenza della Corte ebbe l’effetto di privare di utilità sostanziale (dal punto di vista della tutela dei creditori sociali) l’indirizzo secondo cui le società erano immortali: se anche [continua ..]


4. La cancellazione delle società semplici

Il comune trattamento dedicato dalla giurisprudenza più recente alle società commerciali e alle società semplici e suggerisce un excursus anche su queste, se non altro alla luce della possibilità di estendere alcune considerazioni sull’estin­zione delle società semplici alle società in nome collettivo irregolari, giusta il disposto dell’art. 2297 c.c. Com’è noto, e come si è ricordato sopra, il codice non prevede alcuna forma di pubblicità relativamente alla conclusione della liquidazione delle società semplici. Per le società semplici, la cui disciplina è applicabile alle società in nome collettivo in virtù del richiamo fattovi dall’art. 2293 c.c. anche per quanto riguarda la materia della liquidazione, la legge detta le regole cui devono attenersi i liquidatori nello svolgimento della liquidazione, sia con riguardo ai loro poteri (artt. 2278, 2279 c.c.), sia con riguardo all’esigenza di soddisfare preliminarmente i creditori sociali (art. 2280 c.c. e cfr. art. 2282 c.c., inizio), sia infine nella ripartizione del residuo tra i soci (artt. 2281, 2282, 2283 c.c.). Non vi è, invece, come fu introdotto per la s.n.c. dal codice del 1942, un atto finale da iscrivere nel registro delle imprese. Se questo era coerente con l’originaria impostazione del codice civile, che prevedeva l’iscrizione nel registro delle imprese per le sole società in nome collettivo, e non per le società semplici, l’attuazione del registro delle imprese e altri successivi interventi normativi hanno reso la disciplina delle società semplici claudicante, quanto meno dal punto di vista pubblicitario. Da un lato, infatti, tutte le società semplici devono ora iscriversi nel registro delle imprese, ancorché nella sezione speciale con effetti di pubblicità-notizia 56; dall’al­tro, per le società semplici con oggetto agricolo – così come per gli imprenditori agri­coli in generale – l’iscrizione nella sezione speciale ha effetto dichiarativo per legge (art. 2, d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228), quanto meno in caso di avvenuta iscrizione 57. Per le società semplici, però, manca la previsione legislativa di un atto con cui possano essere depennate dal registro delle imprese 58. La prassi dei registri delle [continua ..]


5. Il bilancio finale di liquidazione. Struttura e contenuto. Casi particolari

La cancellazione è, come si accennava sopra, l’atto finale di un procedimento che inizia con la predisposizione e l’approvazione del bilancio finale di liquidazione. Il bilancio finale è predisposto dai liquidatori. Nelle società di capitali, questo bilancio si va a saldare con i bilanci redatti nel corso della liquidazione dai liquidatori con cadenza annuale. Anche prima che l’obbligo della redazione di un bilancio annuale fosse previsto dalla legge (attuale art. 2490, 1° comma, c.c.), la dottrina prevalente e la prassi operativa erano nel senso della sussistenza dell’obbligo di formare e depositare presso il registro delle imprese un bilancio annuale di liquidazione, stante la funzione di tutela non solo dei soci, ma anche dei terzi 65. Nelle società di persone non vi sono (come per le società di capitali anteriormente alla riforma del 2003) dati testuali univoci 66 e, indubbiamente, le esigenze di tutela dei terzi non assumono quella diretta e immediata rilevanza che vi è nei tipi capitalistici, per i quali solo è prescritta la pubblicità dei bilanci. Tuttavia, si ri­tiene che anche nelle società di persone (o almeno per quelle di tipo commerciale) sia necessario redigere un bilancio annuale di liquidazione in considerazione delle esigenze, comuni a società di persone e di capitali, di consentire ai soci di verificare l’andamento della gestione liquidatoria 67. In realtà, se vi fosse solo un’esi­gen­za di verifica della gestione liquidatoria da parte dei soci, questa verrebbe meno se tutti i soci fossero anche liquidatori; mentre l’obbligo di redigere un bilancio annuale di liquidazione discende, quanto meno per le società di tipo commerciale, dal fatto che lo stato di liquidazione, come fase particolare di svolgimento di attività d’impresa, non fa venir meno né le esigenze di verifica dell’andamento della gestione anche per i gestori (da cui un bilancio come forma di misurazione dell’eco­no­micità della gestione) 68, né gli interessi pubblici sottesi all’imposizione, per tutte le società commerciali non in liquidazione, dell’obbligo, appunto, di tenuta delle scritture contabili e della redazione del bilancio (artt. 2217 ss. c.c., richiamati dall’art. 2302 c.c.) 69. Si è trattato [continua ..]


6. La sorte di crediti illiquidi e mere pretese

Il tema della sorte dei crediti illiquidi è un tema recente, nato con l’affermarsi del carattere estintivo della cancellazione. Prima della giurisprudenza dell’ultimo decennio 92 il problema non si poneva, stante l’indirizzo secondo cui la cancellazione non aveva, essenzialmente, alcun effetto, e la società doveva considerarsi ancora esistente finché vi fossero rapporti non definiti. In tempi vicini si è andato, però, sviluppando un indirizzo giurisprudenziale secondo cui la cancellazione dal registro delle imprese – non importa se di società di persone o di capitali – comporta la rinuncia ai crediti illiquidi (tipicamente, dei crediti litigiosi) e quelle che sono chiamate “mere pretese” (ovvero diritti ancora da accertare, parrebbe), se questi crediti illiquidi non sono inclusi nel bilancio finale di liquidazione 93. Si avrebbe, cioè, una regola secondo cui: (a) i crediti certi e liquidi, anche se non indicati come oggetto di assegnazione ai soci nel bilancio finale di liquidazione, cadono in successione ai soci; (b) i crediti illiquidi e le mere pretese, nessuno dei quali sarebbe iscrivibile nel bilancio finale di liquidazione, sono da considerare abbandonati. Vi sono diversi motivi per cui si deve dissentire da questa giurisprudenza, che ha – peraltro – mostrato delle timide aperture nel senso della necessità di un’inda­gine sull’intento abdicativo 94. I primi due sono di ordine sistematico: da un lato, nel momento in cui si ritiene che i soci siano dei successori della società, non vi è motivo di distinguere tra un tipo di credito e un altro, essendo, anzi, caratteristica peculiare e comune della successione quella di essere in grado di comprendere una serie di rapporti anche indescritti e individuati solo cumulativamente 95. Dall’al­tro lato, l’indirizzo è incoerente con il sistema di tutela della legge italiana, che lascia sempre aperta la porta ai creditori, pur ritardatari: la “rinuncia” ai crediti favorirebbe i debitori della società, a discapito dei creditori sociali, che non avrebbero strumenti efficaci per evitare questo abbandono 96. Si deve poi aggiungere un argomento di carattere più specifico, legato alla questione della mancata inclusione nel bilancio dei crediti illiquidi. In primo luogo non è condivisibile [continua ..]


7. L’approvazione del bilancio finale di liquidazione

Perché si possa procedere alla cancellazione della società, il bilancio e il piano di riparto (quest’ultimo, in realtà, può non essere approvato) 101 devono essere approvati dai soci. Per l’approvazione del bilancio la legge predispone un meccanismo di approvazione tacita: il liquidatore comunica bilancio finale e piano di riparto ai soci per raccomandata e questi «s’intendono approvati se non sono stati impugnati nel termine di due mesi dalla comunicazione» (art. 2311, 2° comma, c.c.). Ai fini dell’ap­provazione, naturalmente, nulla impedisce che la comunicazione ai soci si faccia in altro modo, per esempio mediante notificazione 102 o per posta elettronica certificata; si ritiene anche mediante consegna a mano 103, dal momento – si può aggiungere – che nel procedimento di approvazione del bilancio e del piano di riparto non vi è questione di tutela dei diritti dei terzi, tali da richiedere che la comunicazione del bilancio avvenga con una forma che ne renda computabile nei confronti dei terzi la data, ex art. 2704 c.c. Nulla impedisce, naturalmente, un’approvazione espressa, espressa contestualmente, nell’ambito di una riunione, o anche di una “assemblea” (qualora l’atto costitutivo prevedesse l’istituzione di tale organo), ma sarebbe comunque necessaria l’approvazione dei singoli soci. Tale soluzione dovrebbe confermarsi anche se lo statuto prevedesse forme di approvazione a maggioranza per il bilancio di esercizio: l’approvazione individuale, non per nulla richiesta anche nelle società di capitali, nelle quali il principio di maggioranza è senz’altro la norma e, certamente per le s.p.a., talvolta norma imperativa, è dovuta principalmente al fatto che nella fase terminale della società vi è il rischio che il disinteresse dei soci per le vicende sociali possa impedire la conclusione della liquidazione 104. Parimenti, l’approvazione potrebbe essere espressa, mediante separato atto di consenso, per non dover attendere lo spirare del termine di due mesi; e parrebbe applicabile, se non altro per la sua ratio, la parallela disciplina in materia di approvazione del bilancio finale di liquidazione delle società di capitali, per cui «la quietanza, rilasciata senza riserve all’atto del pagamento [continua ..]


8. La cancellazione dal registro delle imprese e il controllo dell’ufficio del registro

8.   La cancellazione dal registro delle imprese e il controllo dell’ufficio del registro Dopo l’approvazione del bilancio finale di liquidazione si entra nell’ultima fase della liquidazione. I liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. La cancellazione di cui all’art. 2312, 1° comma, c.c. è, in realtà, a sua volta un’iscrizione. Come si è esposto in precedenza, la peculiarità di questa iscrizione consiste nel fatto che non vi è un atto da iscrivere distinto dalla richiesta stessa; solo per coloro i quali identificano nella cancellazione una forma di pubblicità dichiarativa (strumento di mera opponibilità) vi è un “fatto-estin­zione” sottostante, di cui si chiede l’iscrizione 109. Si sono visti sopra i requisiti per la validità della cancellazione e le condizioni in presenza delle quali essa può essere a sua volta cancellata. Il tema si interseca con quello dei poteri di controllo dell’ufficio del registro, sui quali, in generale, le opinioni non sono uniformi. In particolare, la maggior parte della dottrina ritiene che il controllo del conservatore debba limitarsi alla (mera) formale esistenza dell’atto da iscrivere e non, invece, alla sua validità 110; e tale conclusione è da taluni estesa espressamente alla cancellazione della società a conclusione della liquidazione 111. La conclusione non sembra condivisibile per almeno due motivi. In primo luogo, la cancellazione è atto del conservatore, compiuto su domanda della società. Come si è esposto in precedenza, non c’è un atto o fatto precedente di cui si chiede l’iscrizione 112. Il riferimento a un “controllo di validità” va, nel caso della cancellazione, riferito non all’atto proveniente dalla società, ma all’atto dell’ufficio medesimo; onde si tratterebbe di imporre all’ufficio del registro il compimento di un atto invalido. In secondo luogo, quand’anche si volesse equiparare la cancellazione all’iscri­zio­ne di un altro atto (preesistente all’iscrizione), e pur senza prendere posizione sulla questione in generale, non sembra dubitabile che, nel caso di specie, esigenze sistematiche e considerazioni funzionali suggeriscano che il controllo debba [continua ..]


9. La nuova disciplina della chiusura del fallimento e le interazioni con la disciplina della cancellazione

Un tema meritevole di menzione, ancorché non specifico alle società di persone, è quello della nuova disciplina della chiusura del fallimento, che si interseca, sotto alcuni profili, con quella della cancellazione della società 118. Il d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito in legge con l. 6 agosto 2015, n. 132 è, infatti, intervenuto sugli artt. 118 e 120 legge fall. per consentire che il fallimento possa essere chiuso (e il riparto finale effettuato) nonostante la pendenza di cause, stabilendo che il curatore conserva legittimazione processuale e resta in carica, insieme al giudice delegato, al solo fine della conduzione delle cause ancora in corso, mentre perdura lo “spossessamento” in favore della massa dei creditori 119. La disciplina risponde all’esigenza di non far dipendere la durata delle procedure fallimentari dalla durata delle cause di cui la procedura sia parte (una durata inevitabilmente lunga, nonostante gli auspici del nuovo 4° comma dell’art. 43 legge fall., secondo cui le controversie di cui è parte un fallimento «sono trattate con priorità» 120, dalla quale poteva discendere sia la violazione dei limiti stabiliti dalla legge Pinto per la durata delle procedure concorsuali (art. 2, 2°-bis comma, legge 24 marzo 2001, n. 89), sia – per evitare tale violazione – l’accettazione da parte del curatore di transazioni altrimenti non convenienti, così favorendo le controparti “premiate” da una causa lunga (e potenzialmente incoraggiando atteggiamenti dilatori proprio a questo fine) 121. Vari punti restano, peraltro, da chiarire, tra cui il fondamentale aspetto di quali procedimenti consentano, nonostante la loro pendenza, l’anticipata chiusura del fallimento: se si affermasse la tesi secondo cui i «giudizi» di cui al nuovo 2° comma non includono le procedure esecutive 122 e che non sia possibile chiudere il fallimento quando residui un’attività liquidativa (per esempio, la necessità di vendere un bene da recuperare con un’azione revocatoria) 123, l’ambito applicativo della norma ne risulterebbe fortemente ridotto. Un problema che si è subito posto è la sorte della società fallita, il cui fallimento sia chiuso per intervenuta ripartizione dell’attivo: se, cioè, il curatore [continua ..]


10. La cancellazione senza liquidazione

Per le società di capitali è ormai dato acquisito in dottrina e giurisprudenza che non si possa omettere il procedimento di liquidazione 129. Per le società di persone vi è, al contrario, una certa concordia nel senso che, invece, sia possibile con un solo atto accertare lo scioglimento della società e, senza nomina dei liquidatori, procedere contestualmente all’approvazione del bilancio – tipicamente, anzi, sostituito dalla dichiarazione degli amministratori e soci che non vi è più nulla da liquidare – e alla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese, che avverrebbe sulla base dell’atto di “scioglimento senza liquidazione” 130. È un dato di fatto, in ogni caso, che vi sia un’ampia prassi in questo senso, che si trova rispecchiata sia nelle istruzioni del registro delle imprese 131 sia nei circuiti notarili 132. La giurisprudenza è molto permissiva e consente che si proceda alla cancellazione anche quando residuino passività non soddisfatte e vi sia contestuale assegnazione del residuo in natura ai soci. La soluzione non è, però, condivisibile nella sua assolutezza, perché pur sempre si starebbe pregiudicando la garanzia dei creditori sociali data dalla loro preferenza sul patrimonio sociale, che essi perderebbero con l’assegnazione 133; essa, invece, è accettabile a condizione che sia stato soddisfatto l’art. 2280 c.c., ovverosia che i creditori siano stati pagati o che siano state accantonate le somme necessarie a farlo 134. È forse sull’equivoco intorno al­l’idea che l’accantonamento (che, in realtà, come si è visto, non è in grado di resistere all’aggressione di altri creditori sociali diversi dal “beneficiario” dell’accan­to­namento) 135 possa essere sostituito dalla perdurante responsabilità illimitata dei soci che può essere spiegata la citata giurisprudenza, che consente l’assegna­zione in blocco del patrimonio sociale ai soci, inclusi i debiti. La conclusione della giurisprudenza è ulteriormente aggravata dal fatto che, quando non vi è liquidazione, la responsabilità per eventuali illeciti degli amministratori, in quanto anche soci, finisce per confondersi con la loro responsabilità per debito, in quanto [continua ..]


11. La responsabilità dei soci dopo la cancellazione

Dopo la cancellazione, dispone l’art. 2312 c.c., «i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci». La cancellazione, dunque, non cambia il regime di responsabilità dei soci, salvo eliminare l’onere di preventiva escussione del patrimonio sociale 136. La cancellazione, dunque, si presenta come evento tendenzialmente neutro per il creditore sociale, che dovrebbe essere stato soddisfatto durante la liquidazione e prima della cancellazione, ma che potrebbe sopravvenire per essere sfuggito ai liquidatori. La soluzione della legge italiana offre un’ampia tutela ai creditori “ritardatari”, che si apprezza nella sua modernità soprattutto con riguardo ai tipi che prevedono soci a responsabilità limitata. In altri ordinamenti, infatti, la cancellazione della società segue a una procedura che prevede varie forme di pubblicità e termini dilatori, in cui i creditori sono onerati di far valere il loro credito nei confronti della società, in mancanza restando definitivamente loro precluso di farli valere. Questo tipo di procedura è forse superiore al sistema italiano, tendenzialmente improntato a un’assenza di concorsualità dell’accertamento (e nel pagamento) dei crediti nella liquidazione ordinaria, per quanto riguarda i creditori per causa contrattuale 137. Per i creditori involontari (come i creditori da fatto illecito e il fisco e gli enti di previdenza), invece, il sistema italiano, nel lasciare la possibilità di far valere i crediti anche dopo la cancellazione, pur nel limite, se la società è di un tipo che prevede la responsabilità limitata dei soci, di quanto ricevuto da ciascun socio, manifesta un’attenzione per questa categoria di creditori coerente con la loro importanza nell’economia moderna. Nel contempo, la legge cerca un equilibrio rispetto all’esi­genza dei soci (e dei loro creditori particolari) di poter contare su attribuzioni definitive: con ciò disponendo che, dopo la cancellazione, a condizione che il patrimonio sia stato distribuito ai soci, il vincolo di destinazione è perduto e i creditori sociali potranno solo concorrere in pari grado con i creditori particolari dei soci, “vecchi” e nuovi. La responsabilità dei soci dopo la cancellazione è, dunque, in piena [continua ..]


12. La responsabilità dei liquidatori verso i soci e i creditori sociali

La legge dispone che l’approvazione del bilancio finale di liquidazione da parte dei soci comporti la liberazione dei liquidatori “di fronte ai soci”. La dottrina non si intrattiene sull’ampiezza della liberazione dei liquidatori per effetto dell’appro­vazione del bilancio 140: se essa riguardi solo i fatti che rileverebbero come fonte di danno diretto del socio come terzo (e quindi la relativa azione) 141, o anche i fatti che rileverebbero come fonte di danno al patrimonio sociale e, quindi, legittimerebbero un’azione sociale di responsabilità se proposta prima della cancellazione 142, che diventerebbe sicuramente esercitabile dal singolo socio per effetto della disgregazione dell’organizzazione sociale 143, anche per chi ritenesse che in precedenza non fosse esercitabile dal singolo socio 144. Salve le (determinanti) precisazioni che si faranno subito sulle condizioni per tale liberazione, si deve ritenere che oggetto della liberazione sia proprio e specificamente la responsabilità per i danni cagionati al patrimonio sociale. Solo l’e­ser­cizio dell’azione sociale di responsabilità, infatti, può determinare un incremento del patrimonio che poi deve essere allocato in esito al procedimento liquidativo; e proprio per questo motivo la liberazione è connessa all’approvazione del bilancio finale. Al contrario, l’azione individuale del socio per danni direttamente cagionatigli, al pari di quella dei terzi, non incide sulla liquidazione, nel senso che il risarcimento del danno non transita mai per il patrimonio sociale. Questo premesso, e identificata, così, la portata potenzialmente molto vasta della liberazione dei liquidatori per effetto dell’approvazione del bilancio finale, occorre procedere a una sua corretta lettura nell’ambito delle deliberazioni di rinuncia all’azione di responsabilità: l’approvazione del bilancio può comportare liberazione nei ristretti limiti in cui può ritenersi integrata una rinuncia, da parte della società, all’azione di responsabilità, e quindi quando il bilancio rappresenti inequivocabilmente e con chiarezza l’operazione dannosa 145. Diversamente opinando, la norma sarebbe da reputare costituzionalmente illegittima sia perché renderebbe oltremodo difficile la tutela dei diritti dei soci, che avrebbero [continua ..]


13. La cancellazione della s.a.s.: il rinvio alla disciplina delle s.n.c. e la responsabilità dei soci dopo la cancellazione

La società in accomandita semplice è disciplinata in parte con norme specifiche (artt. 2313-2324 c.c.), in parte per rinvio alla disciplina della s.n.c. in quanto compatibile (art. 2315 c.c.). Per la posizione dei soci accomandatari si richiamano «i diritti e gli obblighi dei soci della società in nome collettivo» (art. 2318, 1° comma, c.c.). La disciplina della liquidazione – che per la s.n.c. si ottiene in larghissima parte per rinvio alle disposizioni dettate per la società semplice – non ha caratteri particolari, se non per l’aggiunta di una causa di scioglimento specifica al tipo (art. 2323 c.c.) e per la norma in materia di responsabilità degli accomandanti che sarà l’unico oggetto di questa trattazione. Per tutto il resto, e in particolare per quanto riguarda la cancellazione, non vi è necessità di alcun adattamento della disciplina della s.n.c., per la quale si rinvia alle apposite parti. Vale solo la pena di rilevare che anche nelle società in accomandita semplice l’approvazione del bilancio finale di liquidazione spetta comunque a tutti i soci, sempre con le medesime modalità previste per la s.n.c., e quindi anche ai soci accomandanti, indipendentemente dall’opinione che si abbia in ordine al potere degli accomandanti di partecipare all’approvazione del bilancio d’esercizio. La regola dell’unanimità dei consensi, insieme al meccanismo di approvazione tacita è, infatti, trasversale a tutti i tipi sociali, inclusi quelli capitalistici 162. L’unica regola specifica riguarda la responsabilità degli accomandanti. L’art. 2324 c.c. prevede che l’azione del creditore sociale si possa rivolgere, dopo la cancellazione, contro i soci accomandatari e i liquidatori ai sensi dell’art. 2312 c.c. (cui è fatto espresso rinvio) e contro gli accomandanti, la cui posizione è, come si è accennato, coerente con la loro responsabilità limitata nel corso della vita sociale. Dispone l’art. 2324 c.c. che i creditori sociali possono far valere i loro crediti «anche nei confronti degli accomandanti, limitatamente alla quota di liquidazione». La diversità testuale rispetto all’art. 2495 c.c. – che, per i soci a responsabilità limitata di società di capitali, commisura la responsabilità «fino [continua ..]


NOTE