Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sez. II – Osservatorio sul processo societario (di Luca Boggio)


SOMMARIO:

L’impugnazione giudiziale del bilancio delle società di capitali nel sistema dei rimedi - 1. Introduzione. - 2. Caratteristiche delle controversie aventi per oggetto l’impugnazione del bilancio. - 3. “Utilità” dell’impugnativa del bilancio: criteri di valutazione. - 4. I principali strumenti di soluzione dei conflitti offerti dalle legislazioni processuale e societaria. - 4.1. La giurisdizione statuale. - 4.2. L’arbitrato (in particolare, “societario”). - 4.3. L’arbitrato economico. - 4.4. La mediazione. - 4.5. La conciliazione giudiziale e arbitrale. - 5. Valutazione dell’utilità dei principali strumenti di soluzione dei conflitti. - 5.1. Il parametro temporale. - 5.2. Il parametro delle “certezze” che la soluzione può offrire alle parti. - 5.3. Il parametro dell’idoneità della soluzione a produrre utilità ulteriori rispetto al mero accertamento di validità/invalidità del bilancio. - 6. Impugnare il bilancio dinanzi al giudice o all’arbitro (e, magari, conciliare) oppure ricorrere all’arbitro gestionale o richiedere l’intervento di un mediatore? - NOTE


L’impugnazione giudiziale del bilancio delle società di capitali nel sistema dei rimedi

1. Introduzione.

A fronte della cronica crisi della giustizia italiana, il primo scorcio del nuovo millennio – a partire, cioè, dalla legge delega per la riforma del diritto societario [1] – è stato teatro di una serie di interventi legislativi volti ad offrire al sistema economico soluzioni più efficienti alle controversie aventi per oggetto materie comprese nel cd. diritto societario, ossia strumenti procedimentali dedicati a questo campo specifico sia perché strutturati tenendo conto delle particolari caratteristiche delle liti societarie, sia perché, semplicemente, dotati di una maggior efficienza in sé rispetto a quelli utilizzabili per la soluzione di altre liti. Nel merito la complessità dei rapporti ai quali può dar vita l’esistenza di un’organizzazione di carattere societario è tale che lo spettro del controvertibile appare, in concreto, senza confini e ciò, sicuramente, non facilita il compito al sistema giudiziario ed a chi lo governa. In particolare, la circostanza che le realtà societarie siano suscettibili di concentrare le aspettative non solo dei soci e dei membri degli organi sociali, ma anche di numerose categorie di terzi moltiplica le potenziali ragioni di conflitto e richiede strumenti di soluzione che tengano adeguatamente conto delle esigenze “terze” rispetto a quelle dei litiganti. Esemplare è il caso del bilancio di esercizio che è strumento di regolazione della vita sociale [2], oltre che mezzo di informazione endo ed extra societaria. È noto che nelle società di capitali le decisioni – e, spesso, le più importanti – si manifestano per lo più attraverso deliberazioni di organi collegiali e che, perciò, molti conflitti sfociano in impugnazioni di tali deliberazioni, delle quali è sostenuta ora l’illegittimità formale, ora quella sostanziale. L’impugnativa di bilancio è punto e momento di emersione di detti conflitti (più spesso interni alla società, ma, talora, anche esterni ad essa). L’invalidazione dei bilanci approvati – oltre che difficoltosa per la necessità di avere adeguate informazioni e, soprattutto, per la tecnicità degli accertamenti necessari – nella maggioranza dei casi appare non essere fine a sé stessa, quanto piuttosto uno strumento per il raggiungimento di [continua ..]


2. Caratteristiche delle controversie aventi per oggetto l’impugnazione del bilancio.

Co­me tutte le controversie, anche quella avente per oggetto la contestazione del contenuto o del procedimento di approvazione del bilancio ha sue peculiari caratteristiche, la cui conoscenza è necessaria per comprendere se la risposta giudiziale sia in concreto sufficientemente efficace oppure se sia opportuna la ricerca di una più soddisfacente composizione degli interessi in conflitto con strumenti alternativi messi a disposizione dell’ordinamento giuridico-processuale. Come accennato, le parti possono giungere a controvertere sul procedimento di approvazione del bilancio piuttosto che sul contenuto dello stesso. Infatti, l’impugnazione può investire le regole di predisposizione e di approvazione del bilancio: quindi, le modalità di convocazione dell’assemblea, la regolarità e la tempestività del deposito degli atti del procedimento, l’ammissione al voto di uno o più soci o loro rappresentanti, il contenuto della verbalizzazione assembleare, ecc. Oppure, con l’impugnativa l’interessato può far valere il mancato rispetto dei principi generali di redazione o dei criteri di valutazione di singole poste contenute nel bilancio: perciò, il difetto di chiarezza, la mancata contabilizzazione di ricavi, il criterio di valutazione di beni o di crediti, la capitalizzazione di costi non pluriennali, il metodo di valutazione di partecipazioni in società controllate, la contabilizzazione di plusvalenze non realizzate, ecc. Per valutare la possibilità di giungere effettivamente ad una soluzione efficiente di una lite su questi specifici oggetti, si deve distinguere a seconda che l’impugnativa abbia per oggetto il procedimento di approvazione o il contenuto del bilancio. Quando oggetto della lite sia il procedimento di approvazione del bilancio, in realtà il problema di fondo è quello di accertare – sul piano di fatto – quale sia stato lo svolgersi degli accadimenti precedenti, contestuali e successivi alla seduta degli organi amministrativi o di controllo e/o dell’assemblea di approvazione al fine di poter disporre di tutti gli elementi rilevanti – sul piano di diritto – per la valutazione della piena osservanza della disciplina procedimentale di legge e statutaria. Nella diversa ipotesi che il bilancio sia impugnato per far valere l’illegittimità del suo contenuto, prevale la [continua ..]


3. “Utilità” dell’impugnativa del bilancio: criteri di valutazione.

La domanda è: perché si litiga sul contenuto del bilancio? E, cioè, a quale risultato utile mira l’impugnante? La risposta formale potrebbe essere assai semplice: l’impugnante persegue la verità, la correttezza e la chiarezza dell’informazione fornita, se si considera il bilancio nella sua funzione informativa, e/o la conservazione del valore della partecipazione (o della garanzia patrimoniale) e/o la corretta determinazione dei mezzi propri e dell’utile di esercizio, se lo si considera nella sua funzione organizzativa. Nella realtà, però, non è sempre così [5]. Anzi, spesso, chi impugna non è effettivamente interessato ad avere a disposizione un bilancio vero, corretto e chiaro o a garantirsi il rispetto della disciplina sulla determinazione dell’utile/perdita di esercizio. L’impugnante, tante volte, persegue un interesse ulteriore [6] e può essere: la critica dell’attività gestoria dell’organo amministrativo al fine di giungere alla sostituzione dei suoi membri [7]; la vendita della partecipazione sociale a condizioni migliori di quelle prima di quel momento offertegli [8]; l’opposizione ad un aumento di capitale riservato a terzi [9] la misura di una riduzione di capitale per perdite [10]. Se si condivide questa constatazione, è chiaro che non risulta possibile risolvere in via definitiva un conflitto societario che abbia per oggetto formale una contestazione della regolarità del bilancio di esercizio, se non si accerta il dato tecnico dubbio con un grado di precisione sufficiente ad escludere che possa profilarsi la lesione anche dell’ulteriore interesse perseguito dall’impugnante, la qual cosa – anche in alcuni degli esempi appena fatti – è spesso improbabile che si realizzi. Talora però, se – come nei casi più sopra accennati – l’interesse sostanziale dell’impugnante sia altro rispetto alla mera regolarizzazione del contenuto e/o del procedimento di approvazione del bilancio, per risolvere il conflitto, è sufficiente individuare quell’in­teresse ulteriore e trovare il mezzo per soddisfarlo, così da far venir meno la ragione sostanziale del sorgere della lite formale concernente la delibera di approvazione del bilancio e, quindi, anche la formale proposizione [continua ..]


4. I principali strumenti di soluzione dei conflitti offerti dalle legislazioni processuale e societaria.

Prima di entrare nelle valutazioni poc’anzi ipotizzate, è necessario passare in rassegna i principali strumenti di soluzione dei conflitti offerti dall’ordinamento, non senza sottolineare, sin d’ora, che la pluralità degli strumenti è evidentemente il frutto di una difficoltà del legislatore nel trovare un mezzo veramente e sempre efficiente in ogni situazione. Anche per l’assenza di una giurisdizione specializzata nella valutazione delle realtà e degli interessi economici e dotata di regole di procedura maggiormente funzionali a render sollecita tale valutazione, non sempre il sistema giudiziario dello Stato ha saputo dare risposte soddisfacenti alle esigenze evidenziate nel paragrafo che precede. Così, tradizionalmente, solo nelle ipotesi in cui l’impugnativa giudiziale avesse lo scopo concreto di giungere ad una diversa determinazione dell’utile o della perdita di esercizio le decisioni (di sospensione) emesse in sede cautelare sul presupposto dell’invalidità del bilancio apparivano suscettibili di garantire non solo l’impossibilità di distribuzione dei dividendi o alla riduzione del capitale, ma anche, più in generale, di rimuovere con tempestività la situazione di irregolarità. Per questo la riforma che aveva portato all’introduzione del cd. processo societario [23], aveva parzialmente modificato il ventaglio degli strumenti di soluzione offerti dall’ordinamento, ricercando mezzi giudiziali più idonei alla decisione delle vertenze societarie, sebbene nella versione del decreto definitivamente approvata [24] non fossero state introdotte speciali regole di competenza [25]. Nuovi strumenti processuali, speciali disposizioni in materia arbitrale, nuovi ed ulteriori istituti di a.d.r. (arbitrato economico e conciliazione stragiudiziale) hanno visto la luce, ma, dal 4 luglio 2009, parte delle novità – quelle relative al processo – sono state cancellate. Oggi, perciò, un conflitto che abbia per oggetto (anche) il bilancio di una società si può tentare di risolverlo, ricorrendo alla giurisdizione dello Stato (4.1), all’arbitrato “societario” (4.2), all’arbitrato “economico” (4.3), alla mediazione (4.4) o alla conciliazione giudiziale o arbitrale (4.5). Ciascuno di questi strumenti ha caratteristiche sue peculiari le quali [continua ..]


4.1. La giurisdizione statuale.

Come ricordato nel precedente paragrafo, oggi, di fronte al giudice dello Stato, al quale ognuno può ricorrere, il contenzioso societario è, nuovamente, in balia del rito ordinario di cognizione che manifesta croniche inefficienze, alle quali le riforme processuali dell’ultimo ventennio poco sollievo hanno dato [27], posto che esse sono il prodotto delle lentezze e delle inefficienze dell’organizzazione giudiziaria nel suo complesso. Tentando altra via e, così, invertendo l’orientamento del legislatore della riforma societaria, che aveva regolamentato il processo «senza modifiche della competenza per territorio e per materia» [28], con l’art. 2 del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, alle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale è stata recentemente modificata la denominazione in «sezioni specializzate in materia di impresa» ed attribuita la competenza decisionale anche in una serie di materie connesse con l’attività di impresa, tra le quali i «rapporti societari» e le «azioni di responsabilità» contro i membri degli organi sociali [29]. L’obbiettivo di fondo – in questa occasione senza modificare il rito – sarebbe di assicurare un’elevata specializzazione del Giudice in ragione dello specifico “tasso tecnico” richiesto dallo studio della materia [30] e di velocizzare lo svolgersi del giudizio [31]. Al di là dell’inesistente linearità dell’azione di governo del sistema giudiziario, che a breve distanza di tempo patisce riforme segnate da logiche diametralmente opposte senza che trascorra il tempo necessario a far luogo ai necessari “assestamenti”, solo il tempo dimostrerà se le modifiche da ultime introdotte sortiranno qualche effetto positivo sulla rapidità del processo e sulla qualità delle decisioni. Certo, quanto al campo del presente studio, sin d’ora lascia perplessi il fatto che, sebbene le sezioni specializzate, denominate dalla rubrica della norma “Tribunale per le Imprese”, abbiano competenza per le cause relative alle società azionarie e a quelle delle società a responsabilità limitata, non sia chiaro se l’impugnazione dei bilanci, quando siano proposte da chiunque (non socio o membri di organi societari) vi abbia interesse, possa [continua ..]


4.2. L’arbitrato (in particolare, “societario”).

L’arbitrato ha conosciuto un notevole successo già nel secolo scorso tra i mezzi alternativi alla giustizia statuale e ciò in varie forme (rituale, libero, rapido, ecc.). Spesso, ha garantito alle parti in conflitto, rispetto alla giurisdizione, giudici privati maggiormente specializzati nelle materie del contendere. Tradizionalmente, ha riscosso apprezzamento – e, quindi, ricevuto frequente applicazione concreta – la possibilità [33] che le parti si scegliessero la persona del proprio giudice, permettendo così di individuare professionisti dotati di un adeguato livello di preparazione specifica nel campo toccato dalla vertenza, nonché “vicini” alle parti anche sotto il profilo della disponibilità, vantaggio non trascurabile, ad adottare la decisione nei tempi assegnati dalle parti stesse. In sostanza, l’arbitrato ha consentito, almeno in parte, all’impresa di riappropriarsi del governo del rischio rappresentato dal fattore temporale, invece, del tutto fuori controllo in caso di ricorso al giudice dello Stato. La funzionalità dell’arbitrato alla soluzione dei conflitti societari è stata tanto percepita e condivisa dal legislatore che, quando ha riformato il processo societario, ha dato all’arbitrato societario una speciale regolamentazione (artt. 34-36, d.lgs. cit.), rimasta in vigore anche dopo il profondo intervento abrogatore del 2009 [34]. Una nuova disciplina volta a superare le tradizionali difficoltà proprie di controversie spesso multilaterali e suscettibili di influire anche sulle posizioni giuridiche di terzi estranei alla contesa formale, a prezzo, però, della perdita del potere di nomina diretta ad opera delle parti al quale s’è fatto poc’anzi cenno [35]. La soluzione arbitrale, però, sconta il limite della “disponibilità” dei diritti contesi, posto che la compromettibilità è esclusa quando la parte lamenti la violazione di una norma che le attribuisce un diritto di cui essa stessa non può disporre [36]. Detto limite, nel campo delle impugnative di bilancio, rischia di assumere una rilevanza particolare, perché spesso gli interessi in gioco hanno rilevanza ultra partes [37], tanto che, in passato, è stata frequente la negazione dell’arbitrabilità della lite da parte della giurisprudenza per la natura [continua ..]


4.3. L’arbitrato economico.

L’arbitrato economico, altrimenti detto “gestionale”, ha incontrato l’interesse di alcuni dei primi commentatori della riforma del diritto societario, ma ha limitate possibilità di sviluppo per l’ambito di applicazione che il legislatore appare aver assegnato all’istituto. Si tratta di limiti particolarmente rilevanti in materia di impugnativa di bilancio, che, salvo che non si opti per la tesi dell’applicabilità oltre il limitato campo stabilito dal­l’art. 37 (e, quindi, anche alle società per azioni) [43], l’arbitrato gestionale potrebbe trovare applicazione solo per dirimere contrasti tra gli amministratori riguardo alla determinazione del contenuto del progetto di bilancio da sottoporre all’approvazione dei soci delle società a responsabilità limitata. Ciò sarebbe ben poca cosa, anche tenuto conto che, generalmente, le controversie in tema di bilancio nelle s.r.l. sorgono dopo l’approvazione da parte dei soci ed in relazione a quest’ultima. Considerato che vi si può far ricorso sotto condizione che sia previsto per statuto, ma dato, per ora, il suo scarso utilizzo nella prassi statutaria, è opportuno spendere qualche parola per comprenderne pregi e difetti applicativi, non senza sottolineare, in primis, che il diritto positivo lascia molti aspetti della regolamentazione di tale forma d’arbitrato all’autonomia privata, conché il compito rimesso ai redattori degli statuti risulta piuttosto delicato [44]. Per certi versi, la disciplina dell’arbitrato gestionale è carente; per altri, è pericolosamente complessa. Le mancanze sono varie, ma la più significativa, probabilmente, riguarda il silenzio legislativo riguardo alla rilevanza esterna della decisione dell’arbitro gestionale che, certamente più arbitratore che arbitro [45], influisce sui processi deliberativi delle società con effetti tutti da indagare sul piano dei rapporti tra organi e su quello delle responsabilità [46]. Affetta da complicazioni – ed in fin dei conti anche a rischio di contraddittorietà [47] – è, poi, quella parte della disciplina dell’istituto che prevede la possibilità di un doppio grado di decisione, consentendo all’atto costitutivo di introdurre la reclamabilità della determinazione [continua ..]


4.4. La mediazione.

La mediazione – introdotta già prima della riforma del 2009, per la sola materia societaria, con la denominazione di “conciliazione stragiudiziale” – è amministrata da organismi iscritti in un apposito registro ministeriale [50] e si pone in una prospettiva del tutto diversa dai mezzi di soluzione dei conflitti sinora esaminati [51]. Giudizio civile ed arbitrato societario sono imperniati sulla ricerca della cd. verità processuale, ossia su un’attività di accertamento dei fatti da parte di un terzo, il quale è chiamato ad esprimere una valutazione riguardo alla verificazione o meno di eventi narrati dalle parti in conflitto [52]. Il terzo deve ricostruire il passato sulla base di fatti oggettivi e risultanti da prove. Non solo. Eccetto che nell’arbitrato gestionale, il terzo, dopo aver compiuto l’attività di accertamento, deve assegnare ragioni e torti, stabilendo di conseguenza diritti e doveri reciproci delle parti [53]. Insomma, la logica è quella dello “scontro” ed il terzo assegna vittorie e sconfitte, che le parti devono accettare, salvi i mezzi di impugnazione previsti dalla legge [54]. I sistemi fondati sull’accertamento di una verità processuale presentano dei limiti intrinseci poiché, quantomeno nella maggior parte dei casi, gli eventi provati nel corso del procedimento contribuiscono alla ricostruzione di una realtà non coincidente esattamente con la realtà effettiva. Accade spesso, infatti, che di taluni fatti non sia raggiunta la prova piena secondo le regole del processo o che sia raggiunta la prova di eventi svoltisi in realtà in modo diverso (per collocazione temporale, per modalità di svolgimento, ecc.) [55]. In tali casi (ma gli esempi potrebbero essere molti di più), la parte perdente si sente ancor più insoddisfatta, perché – essa si dice – non solo chi ha giudicato avrebbe sbagliato nell’applicare le regole, ma non avrebbe neppure compreso lo svolgersi degli eventi. Né, infine, si trascuri che, anche ammesso che il giudicante riesca a ricostruire una realtà processuale del tutto coincidente con quella effettiva, l’insod­disfazione della parte perdente può discendere da un’errata percezione e rappresentazione degli accadimenti passati che quest’ultima, nel proprio intimo e [continua ..]


4.5. La conciliazione giudiziale e arbitrale.

L’attività finalizzata a ricercare la conciliazione può essere compiuta anche in sede giudiziaria o arbitrale [65]. Normalmente, l’attività finalizzata a ricercare la conciliazione si concretizza in una serie di attività “libere” da parte del terzo al quale è affidato l’intervento risolutivo della lite [66]. Chi interviene – giudice o mediatore – è per legge chiamato a individuare un possibile punto di incontro tra le parti litiganti. La legge non stabilisce quale debba essere quel punto d’incontro e neppure i criteri per individuarlo [67]. Abrogato l’art. 16, 2° comma, d.lgs. n. 5/2003, che conteneva una speciale disciplina della conciliazione giudiziale in materia societaria [68], oggi questa trova regolamentazione nella disposizione generale contenuta nell’art. 185 c.p.c. ed in quella “speciale” di cui all’art. 2378, 4° comma, ult. parte, c.c. La prima non prevede espressamente – come, invece, l’abrogato art. 16 cit. – la formulazione dell’«equa proposta conciliativa» da parte del giudice della causa [69], ma stabilisce solamente che la convocazione delle parti sarebbe finalizzata a “provocare” la conciliazione, senza che il legislatore si esprima sul “come”. Non esclude, dunque, che il giudice avanzi egli stesso una proposta, ma non glielo impone, diversamente dalla disposizione abrogata [70]. Questa previsione generale va coordinata con quanto prescritto dall’art. 2377, che, in caso di impugnativa per annullamento di una deliberazione assembleare [71], impone al giudice del merito di valutare l’opportunità di tentare una conciliazione “eventualmente suggerendo le mo­dificazioni da apportare alla deliberazione impugnata” e, “ove la soluzione appaia realizzabile”, “rinvia adeguatamente l’udienza” [72]. Dell’efficienza del tentativo di conciliazione giudiziale, tanto più con i tempi contingentati che hanno oggi le udienze nei tribunali, può francamente dubitarsi nel senso che il poco tempo che il giudice normalmente ha a disposizione per trattare ciascuna causa non gli consente di intraprendere un’indagine sufficientemente approfondita e seria da metterlo in condizione di capire adeguatamente le ragioni e le aspettative delle parti in [continua ..]


5. Valutazione dell’utilità dei principali strumenti di soluzione dei conflitti.

Alla luce dell’esposizione condotta nei §§ 2-3 e volta ad individuare gli interessi realmente in conflitto, anche al di là delle richieste formali delle parti (e, cioè, delle domande giustificabili sulla base del disposto di norme giuridiche), si può ora compiere una valutazione dell’idoneità dei diversi strumenti a risolvere in modo conveniente i conflitti in materia di bilancio.


5.1. Il parametro temporale.

L’esigenza di una decisione tempestiva in materia di bilancio è particolarmente sentita soprattutto a fronte dell’idea – oggi prevalente – secondo cui, in caso di invalidità del bilancio, ai sensi dell’art. 2377, 3° comma, c.c. non sarebbe necessaria la “riapprovazione” del bilancio invalido e di quelli successivi, bastando la conformazione alle regole violate delle valutazioni contenute nel primo bilancio successivo alla sentenza di invalidità [84]. Il trascorrere di anni tra l’impugnazione ed il passaggio in giudicato dell’eventuale sentenza di invalidità può consentire alla società di perpetuare l’illiceità posta a fondamento dell’im­pugnazione per tutto il (lungo) periodo di durata del giudizio e, quindi, di replicare il vizio senza neppure il rischio di dover correggere e riapprovare tutti i bilanci medio tempore predisposti ed approvati. Per questo il ricorso alla giurisdizione statuale, spesso, è giudicato una non-soluzione del conflitto. L’atto di citazione in giudizio, con i suoi connotati di disvalore, è la sola (blanda) sanzione dell’illiceità, poiché la sentenza, generalmente, giunge assai tardi, troppo tardi, perché possa costituire una forma di adeguato ripristino della legalità violata. Come per tanti altri settori, la sola – ma insufficiente – risposta alla domanda di giustizia è offerta dal rito cautelare, il quale, tuttavia, sconta già incertezze per la sommarietà della cognizione e precarietà per la tendenziale destinazione del provvedimento interinale ad esser sostituito dalla pronunzia a cognizione piena. In materia di bilancio, poi, la natura e la portata degli effetti della deliberazione di approvazione sono tali che non facilmente può configurarsi quel periculum in mora necessario per la concessione della misura cautelare [85]. L’arbitrato societario offre tempi, certamente, più rapidi del giudizio nelle corti dello Stato, non solo e non tanto per effetto delle previsioni di legge, quanto piuttosto per il fatto che i giudici privati, in quanto scelti e pagati dalle parti, tendono a offrire la prestazione di un servizio in linea con le loro aspettative di efficienza. Se la soluzione giudiziale si misura in termini di anni, quelle arbitrali – anche di arbitrato societario – si [continua ..]


5.2. Il parametro delle “certezze” che la soluzione può offrire alle parti.

Questo secondo metro di valutazione dell’efficienza dei diversi strumenti di soluzione delle liti in campo bilancistico è assai più complesso di quello temporale. La certezza delle situazioni giuridiche è un valore fondamentale; viepiù in materia societaria [88] ed, in particolare, nel campo dei bilanci che sono mezzo per trasmettere informazioni, ma anche per fissare il contenuto dei diritti dei loro fruitori [89]. È tutt’altro che semplice determinare quanto uno strumento sia suscettibile di produrre elementi certi e, quindi, veramente risolutivi di una lite; tuttavia, si può ipotizzare, per esperienza, che fattori decisivi siano la prevedibilità, la chiarezza, l’adeguatezza e la stabilità delle soluzioni che la giustizia, nelle sue varie forme, è in grado di offrire. Ciò premesso, cerchiamo di comprendere in che misura i diversi strumenti di soluzione delle liti oggetto del presente studio siano idonei a fornire risultati prevedibili, chiari, adeguati e stabili. Per la giurisdizione statuale e gli arbitri (societari), in linea di massima, può essere svolto un discorso unico, dal momento che la struttura di questi strumenti di soluzione delle liti è per molti versi analoga, essendo richiesta all’estraneo alla lite l’espressione di un giudizio in forza di norme o principi da applicarsi alla luce di ciò che sia emerso nel corso di un procedimento d’indagine. Il giudice e l’arbitro devono decidere tenuto conto delle risultanze processuali. Nelle società di minori dimensioni la scarsa documentazione dei processi decisionali non lascia altra via, per l’accertamento dei fatti, se non quella dell’assunzione di testimoni. Le risultanze testimoniali hanno, purtroppo, un livello di affidabilità inferiore a quello delle prove documentali. La soggettività delle percezioni e quel naturale grado di labilità che segna la memoria delle persone, anche a prescindere dall’interesse delle stesse per una determinata ricostruzione delle vicende e sebbene temperati dal senso di responsabilità di queste ultime, espongono seriamente al rischio che la rappresentazione offerta nel corso di un procedimento (giudiziale o arbitrale) resti infedelmente segnata, tanto più quando – come accade spesso in caso di impugnazione del bilancio – l’accertamento sia [continua ..]


5.3. Il parametro dell’idoneità della soluzione a produrre utilità ulteriori rispetto al mero accertamento di validità/invalidità del bilancio.

Il terzo criterio proposto ha la funzione di consentire una valutazione di utilità della soluzione raggiungibile con i vari strumenti in discussione sotto il profilo delle utilità ulteriori rispetto all’accertamento di validità/invalidità del bilancio societario. La scelta di questo terzo criterio si giustifica in virtù della constatazione che l’impu­gnazione del bilancio è spesso minacciata o proposta anche (o principalmente) allo scopo di ottenere risultati diversi ed ulteriori, appunto, rispetto all’accertamento di validità/invalidità del bilancio [104]. Cioè, ad esempio, l’impugnativa di bilancio può essere tesa a far emergere irregolarità di gestione, occultate mediante scorrette appostazioni contabili, in funzione di dimostrare l’esi­stenza dei presupposti per la proposizione dell’azione di responsabilità verso l’amministratore unico, magari, socio di maggioranza o per la sua revoca; il tutto con il fine ultimo di ottenere una più “vantaggiosa” liquidazione della quota del socio di minoranza impugnante. Giudizio civile ed arbitrato si prestano a tal fine nei limiti in cui possano prospettarsi le conseguente ulteriori “desiderate” dalla parte quali possibili effetti cc.dd. riflessi del giudicato: cioè soltanto nella misura in cui la decisione – ai sensi dell’art. 2909 c.c. – sia suscettibile di spiegare effetti diversi ed ulteriori rispetto a quelli “diretti” ossia quando «contenga un’affer­mazione obiettiva di verità che non ammette la possibilità di un diverso accertamento» [105]. Quindi, per fare un esempio, la proposizione di un’impugnativa diretta all’accertamento della falsità dell’appostazione di quote di ammortamento ridotte rispetto a quelle proporzionali alla reale vita del bene di riferimento, che abbiano però determinato il pagamento di dividendi eccessivi a soci in buona fede, deve ritenersi suscettibile di costituire un presupposto processualmente non più discutibile in sede di azione di responsabilità sociale verso gli amministratori che errarono nello stanziamento delle quote di ammortamento in quella misura. Per contro, si riscontrano decisioni che hanno negato l’invalidità di una delibera che approva il progetto di fusione, [continua ..]


6. Impugnare il bilancio dinanzi al giudice o all’arbitro (e, magari, conciliare) oppure ricorrere all’arbitro gestionale o richiedere l’intervento di un mediatore?

Quanto esposto nelle pagine che precedono non consente di dare una risposta secca al quesito e, cioè, quale sia il migliore strumento di soluzione delle liti aventi per oggetto il bilancio e se, in particolare, l’impugnativa giudiziale del bilancio sia un mezzo adeguato alle esigenze delle realtà societarie. L’azione giudiziaria presenta dei vincoli rappresentati, essenzialmente, dal principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato e dalla disciplina della prova nel processo, nonché spesso si dimostra incapace di offrire una tutela giurisdizionale sufficientemente rapida. Per cui, se il conflitto ha solo formalmente per oggetto il bilancio, vertendo – invece – sulla permanenza in carica di amministratore oppure sull’exit, può accadere che in realtà la decisione del giudice serva a ben poco, essendo l’azione intentata solo uno strumento di pressione dell’impugnante nei confronti di un’altra parte. Se la “reale” controparte di chi impugna ha la forza (socio-eco­nomica) per resistere alla pressione, l’impugnativa risulta inutile, perché essa, pur vittoriosa, non riesce a raggiungere l’obbiettivo mediato. L’arbitrato societario, sebbene tendenzialmente porti ad una decisione finale in tempi più rapidi della giustizia dello Stato, presenta gli stessi vincoli di questa e, in più, impone alle parti di sopportare il costo di chi è chiamato a decidere la controversia. Per le stesse ragioni evidenziate con riferimento all’impugnativa innanzi al giudice, dunque, anche quella dinanzi all’ar­bitro può rivelarsi inefficiente. L’arbitrato gestionale, s’è visto, ha un ridotto ambito di applicazione in materia di bilanci, oltre che aver trovato freddissima accoglienza negli statuti post riforma. Perciò, ad oggi, difficilmente la si può considerare un’opzione efficiente. La mediazione non evidenzia significativi vincoli e, certamente, si presta più di ogni altro strumento ad affrontare non solo il conflitto formale, ma anche quelli occulti – e, talvolta, più profondi e decisivi – tra le parti. Tuttavia, si tratta di uno strumento la cui efficienza quale mezzo di soluzione del conflitto dipende in via esclusiva dalla volontà delle parti in lite [111]. In altre parole, comunque, se le parti non raggiungono l’accordo, il [continua ..]


NOTE