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Insolvenza di società pubbliche e responsabilità degli amministratori

Fabrizio Di Marzio

Sommario:

1. Premessa. - 2. Insolvenza dell’imprenditore e crisi dell’impresa - 3. Responsabilità degli amministratori per mala gestio: dell’impresa e della crisi d’im­presa. - 4. Forma societaria e primato della “sostanza” pubblica nella giurisprudenza. - 5. Società pubbliche e procedure concorsuali. - 6. Critica al criterio della prevalenza della “sostanza” sulla “forma”. - 7. Responsabilità degli amministratori di società pubbliche e riparto di giurisdizione nella recente giurisprudenza di legittimità. - 8. Qualche osservazione sull’indirizzo della Suprema Corte. - 9. Mala gestio della crisi d’impresa e responsabilità amministrativa. - 10. Nota conclusiva. - NOTE


1. Premessa.

Accostare il classico problema della responsabilità per l’esercizio della funzione amministrativa alla insolvenza della società pubblica non è un modo come un altro per affrontare sotto una nuova e più attuale prospettiva la tematica della responsabilità degli amministratori. Sarebbe così se i termini della complessa questione potessero dirsi sufficientemente delimitati in aree concettuali note e familiari al giurista. Invece, il discorso deve svolgersi intorno a concetti di insuperata ambiguità e perciò sotto vari aspetti, poco familiari. In primo luogo, la fattispecie di responsabilità si definisce rispetto all’amministrazione di società in stato di insolvenza. Le condotte gestorie rilevanti devono pertanto essere colte nella prospettiva dell’insolvenza del soggetto collettivo amministrato. La difficoltà è nel fatto che il termine “insolvenza” copre malamente una serie di interrogativi tanto tradizionali quanto irrisolti, involgendo l’uso di significare, con questo termine, tanto l’incapacità finanziaria del soggetto passivo dell’obbligazione quanto uno stato di malfunzionamento dell’attività di impresa. In secondo luogo, la responsabilità degli amministratori è connessa al trattamento legalmente riservato all’insolvenza, e dunque anche all’apertura o meno di una procedura concorsuale nei [continua ..]

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2. Insolvenza dell’imprenditore e crisi dell’impresa

Ai fini di questo discorso sarà sufficiente precisare che con il termine “insolvenza” si intende lo stato di incapacità finanziaria in cui versa il debitore commerciale secondo la descrizione dell’art. 5 legge fall [1]. In particolare, quale stato riferito ad un soggetto, l’insolvenza deve tenersi separata dalla fenomenologia della crisi. Il termine “crisi” è infatti usualmente riferito non al soggetto dell’at­tività ma all’attività stessa, per denotare un particolare modo di essere corrispondente ad una sregolazione o malfunzionamento che viene a verificarsi in corso d’o­pe­ra [2]. Lo stato di insolvenza del soggetto – inteso quale impotenza all’adempimento regolare delle obbligazioni – consuma la sua forza concettuale nell’ambito tematico dell’obbli­gazione, sia pure prendendo in considerazione non il singolo rapporto obbligatorio ma la totalità dei rapporti facenti capo ad un determinato soggetto debitore. Poiché il termine descrive un fenomeno negativo, e cioè l’incapacità di regolare adempimento, restano sfumati i contorni del fenomeno e pure la sua specifica gravità; e infine, per conseguenza, anche la sua irreversibilità. Se le vecchie classificazioni collocavano nello spazio dell’insolvenza esclusivamente le incapacità di regolare adempimento che si conclamano [continua ..]

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3. Responsabilità degli amministratori per mala gestio: dell’impresa e della crisi d’im­presa.

Il chiarimento concettuale permette una più agevole approssimazione alla questione delle condotte rilevanti per la responsabilità degli amministratori. Quest’ultimo aspetto non solo è strettamente connesso, per vincolo derivativo, alla questione – affrontata nel § 4 – della assoggettabilità delle società pubbliche a procedure concorsuali; ma è anche rilevante a prescindere dalla natura pubblicistica della organizzazione collettiva agente. Concerne infatti un tema di frontiera della materia della responsabilità degli amministratori: la responsabilità per mala gestio non dell’impresa, ma della impresa in crisi: responsabilità per negligenti scelte gestorie sul problema della crisi di impresa. Anche su questi ultimi aspetti, non peculiari del tema indagato, occorre interrogarsi per una compiuta ricostruzione di quello. Un utile approssimazione alla questione si consegue valutando il piano di azione del 21 maggio 2003 redatto dalla Commissione delle Comunità Europee per la modernizzazione del diritto societario [6] laddove dichiara la necessità di una maggiore responsabilizzazione degli amministratori per i danni derivati dalla negligente gestione della crisi di impresa. In quel documento è raccomandata la estensione del regime disegnato nell’art. 214 dell’Insolvency Act del 1987, riassunto nell’istituto del [continua ..]

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4. Forma societaria e primato della “sostanza” pubblica nella giurisprudenza.

Molto ambiguo è il sintagma “società pubblica”, estendendosi la forza denotativa dall’area delle c.d. società in house providing al territorio delle società semplicemente partecipate da pubbliche amministrazioni [12]. Un grave pregiudizio alla chiarezza è apportato dall’aggettivo “pubblico”, foriero della irrisolta incertezza implicata nella distinzione tra area pubblica e area privata in ogni ambito della conoscenza e dunque anche nelle scienze giuridiche [13]. Un ulteriore livello di difficoltà è dato dall’accostamento dei concetti di “insolvenza” e di “società pubblica” giacché il trattamento dell’insolvenza è diverso a seconda che il soggetto insolvente abbia natura pubblica o privata. La summa divisio è espressa nel nostro ordinamento con uno schematismo categoriale ormai pregiudicato da una eccessiva semplificazione. Dietro la regola generale dell’art. 2221 c.c., dispone l’articolo di apertura della legge fallimentare che sottratti alla ordinaria disciplina della insolvenza sono non (genericamente) soggetti riconducibili nell’area pubblicistica ma, specificamente, gli enti pubblici. Cosicché, alla pur netta distinzione sfuggono i fenomeni di ibridazione onnicomprensivamente classificati come “società pubbliche”, nei quali l’interesse [continua ..]

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5. Società pubbliche e procedure concorsuali.

Dietro queste suggestioni, e sempre affermando il primato della sostanza sulla forma, certa giurisprudenza commerciale di merito, disattendendo il classico indirizzo secondo cui l’esclusione dalle procedure concorsuali “si ricollega alla qualità del soggetto quale ‘ente pubblico’: essa non opera, perciò, a favore delle cosiddette società ‘in mano pubblica’, ossia di quelle società delle quali lo Stato o altri enti pubblici detengono la maggioranza o la totalità delle azioni” [20] – ha sancito la non fallibilità delle società pubbliche: affermandone la natura giuridica pubblica e riconducendole alla categoria dell’ente pubblico [21]. Questi movimenti giurisprudenziali sono maturati nell’ambito di un contesto di diritto positivo sostanzialmente immutato, apicalmente definito dalla norma dell’art. 2449 c.c. nella versione in vigore. Il che conferma come la giurisprudenza sopravvenuta sia stata determinata da convinzioni di politica del diritto suscitate dalla realtà delle società pubbliche, ossia dalla concreta attuazione politica dello schema giuridico offerto dal legislatore. Soprattutto leggendo le sentenze dei giudici amministrativi è facile cogliere la preoccupazione di rimediare all’uso malizioso dello strumento societario, non di rado prescelto per una azione amministrativa che tende a realizzarsi [continua ..]

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6. Critica al criterio della prevalenza della “sostanza” sulla “forma”.

Quanto preme soprattutto rimarcare dell’indirizzo criticato è che idee come la neutralità del modello societario, specie se utilizzate a sostegno di proposte interpretative tese a privilegiare la c.d. “sostanza” sulla c.d. “forma”, tradiscono non soltanto la volontà di sovvertire nelle conseguenze scelte ben precise assunte dalla p.a. nella costituzione della società commerciale secondo possibilità realizzatrici offerte dall’ordinamento [27], ma anche una grave insufficienza dogmatica: trasparente nel pensiero binario che contrappone sostanza a forma senza avvedersi che il modello organizzativo societario, integrando anche la realtà stessa del­l’impresa in uno dei suoi possibili modi di essere, non consente in alcun modo una tale distinzione [28]. In dottrina si rimarca l’ovvia considerazione secondo cui “l’adozione della forma societaria […] determina necessariamente l’applicazione del diritto societario” [29], e dunque anche del regime di fallibilità delle società commerciali. Questa premura si spiega con la pericolosità di operazioni ermeneutiche sovvertitrici di acquisizioni culturali consolidate non solo in ambito giuridico. E in effetti, l’approssimazione sottesa a un modo di pensare, probabilmente influenzato anche dalle passate fortune di approcci analitici alle questioni giuridiche (secondo il modello [continua ..]

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7. Responsabilità degli amministratori di società pubbliche e riparto di giurisdizione nella recente giurisprudenza di legittimità.

Si è anticipato che la giurisprudenza della Suprema Corte sulla responsabilità degli amministratori di società pubbliche si fonda anche essa sul dichiarato intento di conservare un adeguato ambito esplicativo alla giurisdizione della Corte dei conti in tempi di fuga delle pubbliche amministrazioni da modelli organizzativi pubblicistici [33]. Poiché l’art. 103 Cost., 2° comma, stabilisce la giurisdizione della Corte dei conti in primo luogo per le materie di contabilità pubblica e in secondo luogo per le altre materie specificate dalla legge, viene in questione il r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, che all’art. 13 dispone la giurisdizione del giudice contabile in tema di responsabilità per danni arrecati all’erario da pubblici funzionari nell’esercizio delle loro funzioni; nonché la legge n. 20 del 1994 che, all’art. 1, 4° comma, estende il giudizio della Corte dei conti alla responsabilità di amministratori e dipendenti pubblici anche per danni cagionati ad enti o amministrazioni diversi da quelli di appartenenza. La precisa delimitazione dello spazio giurisdizionale da un lato e il ricordato fenomeno della proliferazione delle società pubbliche dall’altro palesano il rischio di un sostanziale «svuotamento e di un grave indebolimento della giurisdizione della Corte dei conti in punto di responsabilità»; è perciò dichiarata dai [continua ..]

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8. Qualche osservazione sull’indirizzo della Suprema Corte.

La via seguita dalla Suprema Corte è condizionata dal dichiarato intento di riservare un ruolo alla magistratura contabile e dunque uno spazio alla responsabilità amministrativa in fattispecie in realtà agevolmente sussumibili nel sistema di responsabilità proprio del diritto civile. L’indirizzo metodologico attento a distinguere il danno alla società dal danno diretto al socio pubblico, e meticoloso nel confinare in quest’ultimo caso la giurisdizione contabile, appare compatibile con il sistema di diritto societario e non pregiudizievole per gli altri interessi in gioco nell’impresa collettiva (i quali sono presidiati, rispetto all’azione degli amministratori, dal sistema della responsabilità societaria); inoltre si fa apprezzare per l’eleganza del compromesso che realizza. E tuttavia, gli argomenti volti ad affermare la sussistenza della giurisdizione contabile – sia pure con esclusione dei danni subiti direttamente dalla società [39] – non paiono particolarmente solidi, mostrandosi a volte agevolmente controvertibili. Scarsamente decisivo sembra essere il richiamo alla regola sulla giurisdizione ordinaria per i fatti di responsabilità degli amministratori nelle società quotate con partecipazione pubblica di minoranza. L’argomento sulla diversa soluzione evidentemente presupposta nei casi di partecipazione di maggioranza o di società non quotate [continua ..]

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9. Mala gestio della crisi d’impresa e responsabilità amministrativa.

Qualche riflessione va riservata al danno diretto subito dal socio ed eventualmente connesso all’insolvenza della società: così da rendere conto del rilievo dell’insolvenza nella materia della responsabilità degli amministratori di società pubbliche per come quest’ultima è definita nel diritto vivente. Se si condividono le esposte demarcazioni concettuali tra “insolvenza” e “crisi” e se non si rifiuta in radice l’ipotesi di una responsabilità degli amministratori per condotte relative alla gestione della crisi in cui versa l’impresa, occorre introdurre l’interrogativo sui termini in cui tale responsabilità può configurarsi. Il tema è pertinente a questa riflessione poiché, oltre ai casi in cui la negligente gestione della crisi di impresa determina un danno alla società, sono annoverabili evenienze nelle quali la condotta degli amministratori cagiona un danno diretto a terzi o a soci. Per la prima ipotesi soccorrono gli esempi, già adombrati, della mancata adozione o della negligente realizzazione di soluzioni negoziali della crisi di impresa; per la seconda ipotesi, basti pensare all’induzione al finanziamento della società o alla partecipazione al capitale sociale dietro occultamento della crisi di impresa o anche dell’irreversibile insolvenza della società. In questi ultimi casi è certamente [continua ..]

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10. Nota conclusiva.

La realtà delle società pubbliche e l’affermarsi dell’amministrazione pubblica secondo criteri di diritto privato esprimono un carattere del nostro tempo, segnato dalla cifra distintiva della complessità. Un grave inconveniente dello stato di cose è dato dalla crisi dei tradizionali paradigmi interpretativi del reale; crisi che diviene acutissima quando quei paradigmi vorrebbero descrivere fatti nuovi, determinati da processi di contaminazione [42]. Non solo i c.d. “fatti bruti” ma anche i c.d. “fatti istituzionali” subiscono gravi alterazioni per gli inusuali assemblaggi a cui sono sottoposti nella prassi. Così come la chirurgia modella i corpi modificando anche l’identità personale, allo stesso modo realtà istituzionali subiscono l’influenza di fenomeni opposti producendosi, per risultato, in commistioni. L’ente pubblico, ancora tale pur se calato nella dimensione dell’impresa – e perciò conformato nella figura dell’ente pubblico economico – può immergersi in quella realtà fino al completo assorbimento. Questo accade nella fattispecie delle società pubbliche: l’interesse della collettività e la risorsa della collettività sono incanalati in un’azione d’impresa condotta secondo le regole del diritto privato, la quale azione è realizzata da un soggetto strutturato [continua ..]

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NOTE

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