Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


I finanziamenti destinati ad uno specifico affare e il contenimento del rischio di impresa (di Gianvito Giannelli  )


  
SOMMARIO:

1. La fattispecie - 2. La qualificazione causale - 3. La determinazione dei proventi - 4. L'oggetto della separazione - 5. Pubblicità del contratto e contabilizzazione dei proventi - 6. Il regime di separazione e l'assoggettamento della società alla procedura di concordato preventivo - 7. Il regime di separazione e il fallimento della società - 8. I reimpieghi - 9. Le tecniche di separazione come oggetto del contratto - 10. La realizzazione dell'affare e l'equilibrio finanziario della società - 11. L'oggetto dello specifico affare - 12. Le garanzie - 13. L'abbattimento del rischio del finanziatore e l'equilibrio finanziario della società - 14. L'applicabilità dell'art. 1186 c.c. - 15. I controlli - 16. Il fallimento della società - 17. L'eventuale partecipazione del finanziatore alle perdite - 18. Il fallimento della società e la continuazione della gestione dell'affare - 19. La continuazione della gestione dell'affare e i crediti anteriori al fallimento - 20. La cessione dell'affare - 21. La cessione dell'affare e la sorte dei crediti pregressi - NOTE


1. La fattispecie

Una premessa è d’obbligo: nonostante la rubrica dell’art. 2447-bis c.c., che sembra accomunare le due diverse ipotesi, il finanziamento destinato ad uno specifico affare non configura un patrimonio destinato o separato (tanto è vero che la legge non parla di patrimonio). Questa affermazione, per quanto scontata, ancorché contraddetta dalla rubrica della norma, è vera sotto due diversi profili. i) In primo luogo, oggetto della separazione patrimoniale non è un patrimonio ma un flusso di cassa[[1]]. Sotto questo aspetto è corretta l’osservazione secondo cui la disciplina del finanziamento destinato appartiene al diritto delle obbligazioni e non alla disciplina dell’organiz­zazione patrimoniale delle società[[2]]. La norma prevede che il contratto relativo al finanziamento di uno specifico affare consenta che al rimborso totale o parziale del finanziamento siano destinati tutti o parte dei proventi dell’affare. La logica dell’operazione risponde, quindi, a particolari esigenze di finanziamento dell’impresa [[3]] senza che vi siano apporti patrimoniali a diverso titolo o di altra natura. La funzione esclusivamente finanziaria dell’istituto lo rende assimilabile alla cartolarizzazione dei crediti [[4]], i quali, insieme alle somme provenienti dalla loro riscossione, costituiscono patrimonio separato nell’ambito della società cessionaria (art. 3, 2° comma, legge 30 aprile 1999, n. 130); nonché, ancora, al project financing [[5]], dal quale, però, si discosta perché la separazione patrimoniale si attua all’interno della stessa società incaricata di realizzare l’affare e non già mediante distinta imputazione ad una società veicolo; e si distingue, per motivi analoghi, anche dal trust in cui destinatario degli investimenti è un ente finanziario che non agisce come mero depositario interessato al successo della raccolta di mezzi ma come controparte dell’impren­ditore che agisce nell’esclusivo interesse degli investitori-beneficiari [[6]]. ii) In secondo luogo non vi sono (a differenza del patrimonio industriale di primo tipo) masse distinte di creditori (della società e dello specifico affare), restando coloro che hanno maturato diritti di credito nella realizzazione dello specifico affare pur sempre creditori della società. [continua ..]


2. La qualificazione causale

Proprio perché l’operazione si configura nel suo aspetto finanziario puro, l’oggetto dei finanziamenti è costituito dal denaro e il finanziamento è caratterizzato da un obbligo di rimborso, come è espressamente affermato dal tenore letterale dell’art. 2447-decies, 1° e 2° comma, lett. f) e h). La presenza di un obbligo di rimborso del finanziamento qualifica il contratto da un punto di vista causale ed esclude, nonostante qualche affinità, che rientri nel genus dell’associazione in partecipazione (art. 2549) e neppure della cointeressenza impropria (art. 2554); infatti, nonostante l’impianto normativo presenti elementi di indubbia affinità con queste figure, nell’isti­tuto in esame non ci troviamo in presenza, come elemento di identificazione causale della fattispecie, di una partecipazione del finanziatore agli utili dell’attività di impresa (artt. 2549, 1° comma; 2554, 1° comma), bensì di un diritto al rimborso del finanziamento che però è destinato ad essere soddisfatto solo con alcune disponibilità (future) dell’imprenditore finanziato, in deroga, quindi, all’art. 2740 c.c., non all’art. 1813 c.c.; con ciò non si vuole escludere, sia ben chiaro, che il finanziatore finisca per partecipare economicamente al rischio di impresa perché l’esigibilità del credito è pur sempre condizionata alla produzione (almeno parziale) dei proventi dell’affare entro un determinato periodo di tempo, ma si tratta di una di una cointeressenza di fatto e non di diritto. D’altro canto, che il finanziatore sia un creditore della società e non un associato alla realizzazione di un determinato affare è dimostrato dall’art. 2447-decies, 6° comma, non solo perché lo qualifica esplicitamente come creditore della società, ma anche perché prevede un diritto di insinuazione al passivo per il suo credito al netto dei proventi e dei loro investimenti; la stessa indicazione ricaviamo dall’art. 72-ter, 3° comma, legge fall. (novellato dal d.lgs. n. 5/2006) [[8]] in cui si prevede, in caso di continuazione della gestione dell’affare da parte di un terzo, l’insinuazione del finanziatore al passivo per il credito residuo al netto dei proventi percepiti e si noti la differenza rispetto alla disciplina [continua ..]


3. La determinazione dei proventi

La differenza tra il finanziatore dell’affare e l’associato in partecipazione comporta che il finanziatore non partecipa agli utili dell’affare i quali, se fosse vera l’ipotesi che contestiamo, non potrebbero che essere determinati analogamente all’utile della società, cioè al netto delle componenti economiche patrimoniali passive; viceversa, il finanziatore ha diritto a soddisfarsi sui proventi dell’operazione, rispetto alla quale il rimborso e la remunerazione del capitale finanziato rappresentano pur sempre un costo. Pertanto, non mi sembra condivisibile che per proventi dell’operazione deve intendersi il risultato netto che residua dallo svolgimento dell’affare e, quindi, l’utile o il ricavato netto [[9]], soluzione che, oltretutto, finirebbe per favorire i creditori sociali a danno dei finanziatori dell’affare, i quali sarebbero sempre ad essi postergati; né mi sembra che un elemento a sostegno di questa tesi si possa ricavare dalla lett. a) dall’art. 2447-decies, 2° comma, c.c. che impone di indicare i costi previsti ed i ricavi attesi, posto che la prescrizione è sicuramente in funzione di una piena valutazione del rischio da parte dei finanziatori ma non offre un criterio matematico e vincolante di determinazione del provento. Naturalmente, nulla impedisce che, nella loro autonomia negoziale, le parti stabiliscano che, nella determinazione del provento, si tenga anche conto di componenti negative di reddito e che, quindi, i proventi destinati al soddisfacimento del finanziatore siano conteggiati al netto degli elementi di costo, ma purché vi sia, per l’appunto, un’esplicita previsione nel contratto e si tratti di componenti specificamente individuate.


4. L'oggetto della separazione

La separazione rileva sotto due profili, in quanto destina al soddisfacimento del credito del finanziatore dell’operazione esclusivamente i proventi (o, meglio, le quote di proventi a ciò appositamente destinate), i frutti e gli eventuali reimpieghi ed investimenti eventualmente effettuati in attesa del rimborso fatta salva l’ipotesi di garanzie parziali e sussidiarie della società [art. 2447-decies, 2° comma, lett. g) e 4° comma]; ed in quanto impedisce ai creditori della società di aggredire sino al rimborso del finanziamento (i cui tempi potrebbero non coincidere con la realizzazione dell’affare) o alla scadenza del termine i proventi e gli accessori nonché i beni strumentali necessari alla realizzazione dell’ope­razione che devono essere espressamente indicati nel contratto. Su tali beni i creditori sociali possono esercitare esclusivamente azioni conservative a tutela dei loro diritti. Si comprende allora come non vi sia corrispondenza perfetta tra i beni (o meglio i valori) afferenti al patrimonio separato e destinati al soddisfacimento del finanziatore ed i beni inattaccabili dei creditori sociali. Oggetto di separazione piena non sono, infatti, i beni strumentali che non rientrano nella garanzia del finanziatore, pur essendo sottratti, per la durata dell’ope­razione, alle azioni dei creditori sociali, regime di esenzione che si spiega per assicurare la realizzazione dell’operazione e, dunque, a garanzia della futura capacità reddituale dell’affare, non perché tali beni siano destinati al soddisfacimento del finanziamento. Non è, invece, oggetto di separazione patrimoniale l’importo del finanziamento che finisce, comunque, per confluire nel patrimonio della società [[10]]. Sotto questo profilo, la disciplina in esame finisce per assicurare una separazione patrimoniale meno perfetta rispetto alle varie ipotesi di trust nelle quali le somme oggetto del finanziamento sono attribuite ad un terzo soggetto che ne controlla l’utilizzo per le finalità progettuali concordate. Sembra, allora, preferibile ritenere che l’ammontare di queste somme non può che essere vincolato alla realizzazione del­l’affare e non nel senso che siano oggetto di separazione patrimoniale, ma nel senso che non possa essere utilizzato per finalità diverse da quelle per le quali è stato erogato, diversamente [continua ..]


5. Pubblicità del contratto e contabilizzazione dei proventi

Le considerazioni che precedono sottolineano come il finanziatore sia un creditore della società, sia pure partecipe al rischio di impresa nel senso che si è precisato. L’interesse del finanziatore è di non vedersi distratti i proventi dello specifico affare da lui finanziato attraverso procedure esecutive esercitate dai creditori della società finanziata. Tale interesse è realizzato attraverso tecniche di segregazione patrimoniale, i cui effetti sono subordinati alla condizione che la società adotti sistemi di incasso e di contabilizzazione idonei ad individuare in ogni momento i proventi dell’affare ed a tenerli separati dal restante patrimonio della società. Ancorché l’adozione di tali strumenti di incasso e contabilizzazione non è menzionata nel contenuto obbligatorio del contratto di finanziamento ma come condizione perché si realizzi l’effetto della segregazione patrimoniale, si deve ritenere che essa rientri nel contenuto essenziale del negozio in quanto mira a realizzare l’interesse primario del finanziatore. Il regime di separazione patrimoniale dei proventi dell’operazione destinati al rimborso del finanziamento e dei loro accessori è subordinato a due condizioni: a) che copia del contratto sia depositata per l’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese; b) che la società adotti sistemi di incasso e contabilizzazione idonei ad individuare in ogni momento i proventi del­l’af­fare ed a tenerli separati dal restante patrimonio della società. La prima condizione non solleva particolari problemi, ma richiede una precisazione e cioè che occorrerà l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata come requisito di forma del contratto non a pena di nullità, ma a pena di iscrivibilità presso il registro delle imprese. La forma scritta è cioè prerequisito dell’iscrizione e condizione di opponibilità [[11]]. La seconda condizione recepisce soluzioni già da tempo elaborate dalle prassi utilizzate in altre ipotesi di separazione patrimoniale (art. 22 t.u.f.): la separata contabilizzazione è adoperata come strumento per evitare sia di fatto, che giuridicamente, la confusione dei patrimoni. La norma peraltro richiede la previsione di sistemi di incasso e di contabilizzazione idonei e la distinta previsione si [continua ..]


6. Il regime di separazione e l'assoggettamento della società alla procedura di concordato preventivo

Se l’intuizione che precede è corretta, si può anche risolvere un ulteriore problema costituito dalla possibilità per il finanziatore di continuare a percepire i proventi anche nel caso in cui la società sia ammessa ad una procedura di concordato preventivo. Il problema era stato posto vigente la precedente disciplina dell’amministrazione controllata ed è riproponibile anche nel vigore della nuova disciplina in cui la proposta di concordato preventivo può avere anche contenuto dilatorio oltre che remissorio (assorbendo la previgente amministrazione controllata). Se infatti si assume che è la separazione dei proventi in quanto tale ad avere finalità solutorie, allora si giustifica che non solo la separazione ma la stessa apprensione dei proventi possa sopravvivere e continuare anche dopo l’apertura della procedura di concordato preventivo.


7. Il regime di separazione e il fallimento della società

Ispirandosi alla stessa ratio, il 6° comma dell’art. 2447-decies prevede che, se il fallimento della società impedisce la realizzazione o la continuazione dell’operazione, non si ha la sola liquidazione del patrimonio e il finanziatore ha diritto ad insinuazione al passivo per il suo credito al netto delle somme di cui ai commi terzo e quarto. Il punto merita attenta riflessione: una prima considerazione possibile sulla quale dovremo tornare, è che non necessariamente il fallimento della società è considerato condizione ostativa alla prosecuzione dell’operazione. La norma cioè ipotizza una continuazione dell’impresa limitatamente alla specifica operazione [[19]]. Se questa condizione non si dovesse verificare, il finanziatore avrebbe diritto di insinuazione al passivo per il suo credito al netto dei proventi e dei loro accessori il che significa, in primo luogo, che i proventi percepiti dal finanziatore non sono oggetto di revocatoria fallimentare e cioè il regime di separazione patrimoniale sopravvive, comunque, alla dichiarazione di fallimento della società, anche se quest’ultima rende impossibile la prosecuzione dell’affare. Non solo, ma a noi sembra che il regime di separazione sopravviva anche per le somme che, pur oggetto di separazione patrimoniale, non siano ancora state percepite dal finanziatore; conclusione avvalorata dal richiamo, contenuto nel 6° comma, alle somme di cui ai commi 3° e 4° e cioè non solo ai proventi ma anche ai loro reimpieghi effettuati «in attesa del rimborso del finanziamento» e, quindi, non ancora percepiti dal finanziatore; in altre parole, il regime di separazione patrimoniale continua a spiegare effetti anche per gli utili e i reimpieghi dei proventi e su tali somme il finanziatore potrà soddisfarsi, anche in pendenza di fallimento della società, sempre che, beninteso, sia stato rispettato il criterio di adottare distinti sistemi di incasso e contabilizzazione, fatto salvo il diritto di insinuazione a passivo del fallimento per il residuo. Se viceversa non sono stati rispettati i criteri (previsti nel contratto) di separata contabilizzazione, allora tutte le somme confluiranno nell’attivo del fallimento della società e il finanziatore potrà insinuarsi nel passivo del fallimento, per l’intero importo del proprio credito (al netto delle somme già [continua ..]


8. I reimpieghi

È interesse del finanziatore che siano messi al riparo dalle azioni esecutive dei creditori della società sia i proventi dell’affare destinati all’estinzione del proprio credito, sia gli eventuali reinvestimenti ed utili, sia i beni strumentali, senza i quali l’affare non può andare a buon fine. Per quanto riguarda i reinvestimenti, sono destinati al soddisfacimento del creditore finanziatore anche i loro utili; ancora una volta per i reinvestimenti si applica una disciplina simile a quella dei beni strumentali: essi sono sottratti all’aggressione dei creditori sociali, ma non sono destinati al soddisfacimento del creditore finanziatore, a differenza degli utili frutto dei reimpieghi. Pertanto i reinvestimenti (che si traducano in beni strumentali o in scorte di magazzino) non sono attratti nel regime particolare di separazione destinato al soddisfacimento del finanziatore.


9. Le tecniche di separazione come oggetto del contratto

L’essenzialità della separazione è un effetto giuridico dell’adozione di determinate tecniche di contabilizzazione ed incasso ma assume per le parti un rilievo centrale casualmente determinante nel senso di rappresentare una condizione sine qua non del rapporto in ragione dell’abbattimento (ma forse è più corretto parlare di contenimento) dei rischi correlati all’insolvenza del finanziato. Pur prescindendo dal problema se la disciplina in esame individui un tipo di contratto autonomo (un tipo contrattuale) o piuttosto una disciplina che si coordina con qualsiasi causa partecipativa [[20]], resta la centralità della separazione dei proventi, cosicché non si può non includere tra gli obblighi del finanziato nei riguardi del finanziatore l’attuazione di tutti i presupposti della medesima dedotti nell’art. 2447-decies; ne consegue che, in caso di inadempimento di tali obblighi, ai sensi dell’art. 1218 c.c. il finanziato dovrà risarcire l’eventuale danno patrimoniale subito dal finanziatore a meno che non provi che l’inadempimento o il ritardo siano stati determinati da causa non imputabile al primo.


10. La realizzazione dell'affare e l'equilibrio finanziario della società

Così circoscritto il discorso sembra che il finanziatore abbia interesse solo alla corretta conduzione dell’affare, senza la quale evidentemente non si produrranno i proventi. In quest’ottica si afferma [[21]] che la segregazione dei flussi finanziari assolve la funzione oltre che contenere i rischi correlati all’insolvenza del finanziato, anche di abbattere i costi di monitoraggio delle condizioni patrimoniali di questo. È però lecito dubitare della veridicità sia della prima che della seconda affermazione. Almeno secondo il modello ipotizzato dal legislatore, gli altri creditori dell’affare dovrebbero essere pagati attingendo alle linee di credito che il finanziatore andrà ad erogare, il che però presuppone una situazione di equilibrio finanziario dell’operazione, in cui le somme erogate dal finanziatore corrispondano esattamente alle esigenze finanziarie di realizzazione dell’affare da un lato, dall’altro possano essere rimborsate e remunerate attingendo ai proventi dell’ope­razione. Non va però dimenticato che una parte dei costi dell’operazione può non essere coperta dal finanziamento ma posta a carico della società [art. 2447-decies, lett. b]. Viceversa, in una situazione di squilibrio finanziario, le somme rivenienti dal contratto di finanziamento o messe a disposizione dalla società non saranno più sufficienti a pagare i creditori (generici) dell’operazione e gli stessi potranno aggredire il patrimonio della società. Cosicché è vero, come abbiamo anticipato, che l’isolamento del rischio di impresa è parziale e riguarda solo il finanziatore (a vantaggio ed a rischio) non invece gli altri creditori, ma è altrettanto vero che una situazione di squilibrio finanziario può incidere negativamente sulla realizzazione dell’affare e quindi sulla produzione di proventi e, più in generale compromettere la stessa situazione finanziaria della società. A sua volta, lo squilibrio della situazione finanziaria della società specie (ma non solo) quando sfoci in fallimento può pregiudicare la stessa realizzazione dello specifico affare come è riconosciuto sia dall’art. 2447-decies, 6° comma, c.c., sia dall’art. 72-ter, 1° comma, legge fall.


11. L'oggetto dello specifico affare

Le considerazioni che precedono sottolineano in primo luogo l’essenzialità dell’indicazione nel contratto della descrizione dell’operazione che consenta di individuarne lo specifico oggetto, delle modalità e dei tempi di realizzazione del­l’o­perazione, dei costi previsti e dei ricavi attesi; ugualmente essenziale è il piano finanziario richiesto dall’art. 2447-decies, 2° comma, lett. b, c.c. che deve contenere la parte coperta dal finanziamento e quella posta a carico della società. Va osservato che le disposizioni si riferiscono alla realizzazione dell’operazione, cioè alla sua esecuzione. Il finanziamento sembra così destinato ad un determinato investimento, cioè ad una nuova operazione che, quando realizzata, può produrre proventi destinati in tutto o in parte al rimborso del finanziamento. Più dubbio è se il finanziamento possa riguardare attività già in essere o addirittura essere utilizzato per il ripianamento di passività preesistenti e rimborsato attraverso i proventi di uno specifico affare precedentemente intrapreso (per esempio attraverso il recupero di crediti pregressi ma non ancora incassati) che non richieda investimenti ulteriori rispetto a quelli già effettuati dalla società [[22]]. L’interpretazione restrittiva sembra trovare conforto nel testo dell’art. 72-ter legge fall. in cui si prevede sia la continuazione dell’ope­razione da parte del curatore, sia l’assunzione dell’affare in proprio da parte del finanziatore o tramite affidamento a terzi; con ciò confermando che è la realizzazione dello specifico affare a giustificare il finanziamento ed è l’affare (inteso nel senso di nuova forma di investimento) la cui gestione può essere continuata dal curatore o assunta dal finanziatore o da un terzo, non il finanziamento dell’affare [[23]]. Se la premessa del discorso è assolutamente condivisibile, non lo è il corollario che se ne vuole ricavare. Indubbiamente è corretto affermare che è la realizzazione dello specifico affare che giustifica il finanziamento e non viceversa, ma la valutazione dell’affare inteso come segmento dell’attività di impresa (non necessariamente limitato al singolo atto), e come fonte di proventi per assicurare il rimborso del [continua ..]


12. Le garanzie

Dicevamo che il piano finanziario deve contenere sia l’indicazione della parte dei costi coperta dal finanziamento che la parte posta a carico della società. Si spiega allora perché il legislatore distingue tra le garanzie che la società offre in ordine agli obblighi di esecuzione del contratto e di corretta e di tempestiva realizzazione dell’o­perazione [art. 2447-decies, 2° comma, lett. d)] e le eventuali garanzie che la società presta per il rimborso di parte del finanziamento [art. 2447-decies, 2° comma, lett. g)]. Si tratta, ovviamente, di ipotesi diverse. La prima si riferisce alle garanzie che la società offre a fronte delle responsabilità nelle quali può incorrere ove violi gli obblighi di corretta gestione ad esecuzione dell’affare e degli obblighi di risarcimento del danno conseguente. Si tratta, cioè, di garantire un’obbligazione, di mezzo, di corretta gestione nella conduzione dell’affare, il cui raggiungimento non è, evidentemente assicurato, trattandosi comunque di un’attività di impresa. La seconda ipotesi si riferisce, invece a garanzie che abbiano per oggetto una parte del risultato e cioè del provento previsto, in modo tale da contenere il rischio a carico del finanziatore. Si deve però trattare di una garanzia parziale (art. 2447-decies, 4° comma: alle medesime condizioni – enunciate dal comma 3 – delle obbligazioni nei confronti del finanziatore risponde esclusivamente il patrimonio separato, salva l’ipotesi di garanzia parziale di cui al secondo comma, lett. g) avente cioè per oggetto il rimborso di una parte del finanziamento [art. 2447-decies, 2° comma, lett. g] e ben si comprende perché, altrimenti, la responsabilità della società si sovrapporrebbe completamente a quella del patrimonio separato, sia pure a titolo di garanzia e non di responsabilità diretta; in questo modo venendosi a determinare una postergazione dei creditori sociali generici rispetto al patrimonio destinato e non già una vera e propria separazione patrimoniale. Tra le garanzie aggiuntive prestate dalla società potrebbero rientrare sia garanzie personali prestate da terzi ma anche garanzie reali sui beni strumentali o sugli investimenti dei proventi che non sono destinati al soddisfacimento del finanziatore. Peraltro, le garanzie prestate dalla società [continua ..]


13. L'abbattimento del rischio del finanziatore e l'equilibrio finanziario della società

  Da quanto detta emerge un indubbio interesse del finanziatore in primo luogo alla corretta gestione dell’affare, il che significa anche interesse all’equilibrio finanziario dell’operazione, in secondo luogo alla salvaguardia dell’equilibrio finanziario della società nel suo complesso. Sotto il primo aspetto si comprende vieppiù perché la società possa anche prestare garanzie aggiuntive in ordine all’obbligo di esecuzione del contratto e di corretta e tempestiva realizzazione dell’operazione [art. 2447-decies, 2° comma, lett. d]. Abbiamo cioè l’impressione che la società sia comunque obbligata a’ termini di contratto ad assicurare la corretta gestione ed esecuzione del contratto, secondo il piano finanziario, e, quindi, risponda della violazione di tale obbligo a titolo risarcitorio; il che significa che la garanzia aggiuntiva non potrebbe essere che una garanzia ulteriore o reale o personale, però prestata da un terzo (amministratori o banche o società del gruppo) e non dalla società medesima, la quale, altrimenti garantirebbe col suo patrimonio l’esecuzione di un obbligo cui è comunque tenuta. Sotto il secondo aspetto è da ritenere che l’interesse alla salvaguardia dell’equilibrio finanziario della società sia reso evidente dagli artt. 72-ter, 1° comma, legge fall. e 2447-decies, 6° comma, c.c. secondo cui il fallimento della società può (ma non necessariamente) pregiudicare la prosecuzione dello specifico affare. Resta inteso che tale interesse non è diverso da quello di qualsiasi altro creditore della società e, come vedremo è tutelato con la stessa intensità; qui si vuole unicamente osservare come l’isolamento del rischio imprenditoriale per il finanziatore non è totale ma è solo affievolito o contenuto, non del tutto abbattuto; con una precisazione, a questo punto doverosa: e cioè che l’interesse ad una corretta gestione della società non incide sullo schema causale del contratto, cosicché non si può addossare (giuridicamente) al finanziatore il rischio dell’insolvenza della società [[24]]; prova ne sia che l’insolvenza della società non comporta né il venir meno della separazione patrimoniale, né l’estinzione dell’obbligazione [continua ..]


14. L'applicabilità dell'art. 1186 c.c.

Se questa considerazione è corretta si apre la possibilità di considerare applicabile alla società con la quale si contrae un finanziamento destinato l’art. 1186 c.c., anche nell’ipotesi in cui il piano finanziario sia rispettato nel suo complesso, i proventi siano regolarmente contabilizzati e l’affare abbia regolare esecuzione o svolgimento. Si risponde così ad una (altrimenti condivisibile obiezione) secondo la quale il finanziatore sarebbe costretto ad attendere supinamente l’apertura della procedura concorsuale con il rischio che l’adempimento avvenga in moneta fallimentare [[25]].


15. I controlli

Un ulteriore aspetto meritevole di attenzione è la previsione di controlli che il finanziatore o soggetto da lui delegato, può effettuare sull’esecuzione dell’operazione [art. 2447-decies, 2° comma, lett. e]. La possibilità che un terzo eserciti il controllo sull’an­damento dell’impresa o su particolari operazioni dell’impresa da altri gestita è mutuata dall’as­sociazione in partecipazione e, probabilmente si giustifica, pur dando atto della diversità causale, con la partecipazione al rischio di impresa che il finanziatore comunque si accolla. Sotto questo profilo, il legislatore della riforma non ha fatto altro che recepire analoghe soluzioni elaborate in altre forme di partecipazione al rischio dell’andamento dell’affare e così il controllo dei terzi che partecipano al patrimonio destinato di cui all’art. 2447-bis, lett. a, c.c. [art. 2447-ter, 1° comma, lett. d] o ancora i diritti di controllo che possono essere attribuiti, per scelta statutaria, ai portatori di strumenti finanziari partecipativi (art. 2346, ultimo comma, c.c.) o si pen­si alla possibilità che a questi ultimi sia riservata la nomina di un componente dell’organo di controllo (art. 2351, 4° comma, c.c.). Sennonché, a differenza dei poteri di controllo attribuiti ai portatori di strumenti finanziari, la cui previsione è lasciata all’autonomia statutaria e a differenza della disciplina dell’associazione in partecipazione, in cui la previsione del controllo non è oggetto di un diritto dell’associato, ma è subordinata all’accordo delle parti, nell’istituto in esame la previsione del potere di controllo del finanziatore sembra piuttosto un elemento della fattispecie contrattuale la cui presenza è richiesta a pena di tenuta della separazione patrimoniale. Una seconda considerazione possibile è che la norma prevede solo i controlli sull’esecu­zione dell’operazione, non sulla gestione complessiva della società; la soluzione è corretta anche alla luce della disciplina sopra richiamata, non dovendo per legge il finanziatore essere tutelato in modo più intenso rispetto agli altri creditori; ma è da ritenere che la possibilità di esercitare un monitoraggio sulla conduzione della gestione sociale nel suo complesso troverà espressione nella [continua ..]


16. Il fallimento della società

Veniamo alla disciplina del fallimento della società finanziata. L’ipotesi residuale, si è già detto, è che il fallimento impedisca la realizzazione o la continuazione dell’operazione. In questo caso, il finanziatore ha diritto di insinuazione al passivo per il suo credito, al netto dei proventi, dei frutti degli investimenti eventualmente effettuati, e quindi sia dei proventi contabilizzati e percepiti, sia dei proventi contabilizzati ma non ancora percepiti, purché sia stata realizzata la separazione patrimoniale. La separazione patrimoniale sopravvive, fatta eccezione per i beni strumentali che non sono più sottratti alla garanzia dei creditori generici; e si deve ritenere anche dei reimpieghi, il che è corretto perché l’impos­sibilità di proseguire l’operazione fa venir meno la necessità del vincolo di destinazione sui beni strumentali, i quali quindi sono riacquisiti alla garanzia generica dei creditori sociali ed entrano a far parte della massa passiva, ma non sono aggredibili da questi, ostandovi sempre il divieto posto dall’art. 51 legge fall. Va poi ribadito quanto abbiamo anticipato e cioè che il finanziatore è pur sempre considerato un creditore della società, la cui partecipazione al rischio è giuridicamente limitata all’an­damento dello specifico affare ma non collegata alla gestione complessiva della società. Il che significa che l’impossibilità di conclusione dell’operazione o di produzione dei proventi nel periodo programmato è causa di estinzione dell’obbligazione fino a che la società è in bonis mentre l’insolvenza della società di per sé non incide giuridicamente (nel senso che non fa venir meno) sull’esistenza dell’obbligazione (il cui credito può essere insinuato al passivo), né è di per sé causa di risoluzione del contratto, fatta salva l’applicazione dell’art. 1186 c.c. o, naturalmente, dell’art. 72-ter legge fall. Il creditore è quindi assoggettato alla regola del concorso con gli altri creditori solo in ipotesi di crediti di restituzione di somme di denaro o di beni non entrati a far parte del patrimonio separato al momento dell’apertura della procedura.


17. L'eventuale partecipazione del finanziatore alle perdite

Opposta soluzione si applica laddove sia stata pattuita anche la partecipazione alle perdite (v. § 3); ai sensi dell’art. 2549 c.c., sarà necessario il contemperamento con l’art. 77 legge fall. per cui: a) il contratto non si scioglie per effetto della dichiarazione di fallimento, purché l’affare possa essere utilmente continuato (prevalendo la disciplina speciale dettata dagli artt. 2447-decies, 6° comma, c.c. e 72-ter, 3° comma, legge fall.); b) il credito residuo andrà determinato deducendo l’importo delle perdite a carico del finanziatore se previsto nel contratto.


18. Il fallimento della società e la continuazione della gestione dell'affare

La regola in caso di fallimento è dunque la continuazione nella conduzione dell’affare. Peraltro la continuazione dell’operazione da parte del curatore va inquadrata nell’ambito più generale della continuazione dell’attività di impresa da parte della procedura. Si impongono allora alcune precisazioni: l’esercizio dell’impresa rappresenta una modalità programmata di liquidazione del patrimonio sottoposto a concorso per conseguire un maggior beneficio economico mediante la vendita dell’azienda, che pertanto va mantenuta in funzionamento; si capisce perché la prosecuzione dell’attività deve assumere il carattere della provvisorietà e durare il tempo strettamente necessario per concludere la cessione a terzi ricavando un prezzo più elevato rispetto all’alienazione parcellizzata. Solo valorizzando tale prospettiva, l’istituto, ora significativamente collocato nel Capo VI legge fall., è coerente con le finalità della procedura fallimentare, indifferente a qualsiasi esigenza recuperatoria dell’equilibrio economico dell’im­presa, ma attenta a mantenere integro il complesso produttivo esclusivamente in una logica riallocativa [[27]]. L’esercizio provvisorio dell’impresa rientra nell’ambito delle c.d. gestioni sostitutive [[28]], che si caratterizzano per attribuire ad un soggetto diverso dal titolare l’amministrazione di un determinato patrimonio, ma con imputazione al primo degli effetti giuridici dell’attività svolta. In altri termini, si ha sostituzione del soggetto cui è affidata la gestione, in ciò ricomprendendosi il connaturato potere di valutare convenienza e opportunità degli atti, senza alterare il meccanismo in forza del quale le conseguenze dell’azione ricadono nella sfera giuridica del sostituito. Così inquadrato, l’esercizio dell’impresa non configura una nuova e diversa iniziativa economica da parte della procedura fallimentare, bensì la continuazione di quella esistente con l’utilizzo del patrimonio rinvenuto al momento della dichiarazione di fallimento e sottoposto al concorso. Il rischio di una siffatta gestione non ricade, però sull’imprenditore fallito ma a carico dei creditori concorsuali i quali vedono compromettersi la garanzia patrimoniale offerta dall’azien­da [continua ..]


19. La continuazione della gestione dell'affare e i crediti anteriori al fallimento

Un altro problema che si pone è se in caso di continuazione della gestione da parte del curatore i creditori dell’operazione non soddisfatti abbiano diritto di insinuarsi al passivo per i crediti anteriori al fallimento. In linea di principio la riposta dovrà essere positiva, atteso che i creditori dell’operazione (diversi dal finanziatore) sono pur sempre creditori della società (e non di comparto, nel senso che non vi è un patrimonio separato), mentre i crediti successivi alla dichiarazione di fallimento, sorti cioè durante la prosecuzione dell’affare potranno essere soddisfatti in prededuzione (art. 104, 7° comma, legge fall.). La continuazione dell’operazione presuppone quindi una valutazione di opportunità per la massa e direi soprattutto una valutazione di equilibrio finanziario dell’operazione e quindi il pagamento dei creditori dell’affare con l’erogazione delle somme da parte del finanziatore.  


20. La cessione dell'affare

Il finanziatore, ove il curatore non subentri nel contratto, può chiedere al giudice delegato di realizzare o di continuare l’operazione, in proprio o affidandola a terzi. Per poter subentrare nella gestione dell’affare il finanziatore deve presentare apposita istanza al giudice delegato che, acquisito il parere del comitato dei creditori, provvede con decreto (motivato) dopo averne accertata l’utilità per la procedura. Poiché si tratta di operazione diversa da quella valutata negativamente dalla curatela, sia per il differente significato economico che per gli effetti giuridici che ne conseguono, il giudice delegato può non tener conto dei motivi che hanno spinto il curatore a esprimere un giudizio negativo, poiché in tal caso si ha sostituzione nel potere gestorio dell’affare con conseguente assunzione di tutti gli oneri e i rischi da parte di chi subentra nell’operazione. Si realizza cioè una vera e propria cessione dell’affare [[33]] ed il finanziatore subentra nella gestione dell’affare a proprio rischio, vuoi nell’ipotesi in cui la gestione sia diretta, vuoi nell’ipotesi in cui la gestione sia affidata a terzi sempre dal finanziatore, con isolamento cioè del rischio a vantaggio della procedura e cioè della massa. Si distingue cioè tra la gestione successiva alla cessione dell’affare che è a rischio del finanziatore (o del terzo assuntore) e la gestione anteriore che è a rischio del fallito, cioè della massa. Si spiega allora perché in entrambe le ipotesi e cioè sia di gestione diretta da parte del finanziatore che tramite terzi (è questa la lettura corretta, anche se, per la verità, la norma non specifica che l’ipotesi in considerazione sia solo quella della gestione affidata a terzi o anche della gestione in proprio), il finanziatore può trattenere i proventi dell’affare e conserva il diritto ad insinuarsi per i crediti residui. Ciò significa che: i) i crediti già maturati e non soddisfatti non si sottraggono, quindi, la regola della concorsualità; ii) per i crediti già soddisfatti dai proventi ed incassati (purché questi siano stati contabilizzati) vale la regola dell’effetto solutorio; iii) il finanziatore conserva il diritto ad apprendere i proventi contabilizzati ancorché non ancora incassati prima del [continua ..]


21. La cessione dell'affare e la sorte dei crediti pregressi

La cessione dell’affare finanziato può avvenire sia singolarmente, sia nell’ambito di una cessione di azienda, di ramo di azienda o di attività e passività. In quest’ultimo caso si applicheranno le regole relative in tema di trasferimento del rischio di impresa e della responsabilità patrimoniale. Nel caso in cui vi sia la cessione del solo affare, la disciplina in esame nulla dice circa i debiti già contratti e maturati dall’imprenditore finanziato e non soddisfatti prima della cessione. L’alternativa è evidentemente tra una insinuazione dei creditori al passivo del fallimento o una responsabilità dell’acquirente o del cessionario dell’operazione, che sia il finanziatore o un terzo. Non aiuta a risolvere il problema l’art. 155, 4° comma, legge fall. dettato in tema di cessione del patrimonio destinato ad uno specifico affare, secondo cui il corrispettivo della cessione del patrimonio destinato è acquisito dal curatore al netto dei debiti. La dizione della norma non è felice ma lascia intendere che: i) permanga il regime di separazione patrimoniale [[37]]; ii) i debiti della gestione separata (salvo ovviamente diverso accordo) restino a carico dell’alie­nante; iii) ma con il rispetto delle regole di separazione e si intenda conservare il privilegio dei creditori del patrimonio destinato sul ricavato della cessione, il cui residuo attivo andrà alla massa. La scelta normativa, quindi, è nel senso di una fresh start per l’acquirente e della riallocazione di un patrimonio pulito da debiti [[38]]. Tale soluzione è coerente con quella contemplata nell’art. 105, 4° comma, legge fall. in tema di vendita dell’azienda, in cui l’isolamento del rischio esclude la responsabilità dell’acqui­rente; al tempo stesso, la responsabilità dell’alienante è limitata, per il regime di separazione, al ricavato della cessione, nel rispetto anche dell’art. 2447-novies e dell’art. 2495 c.c. Viceversa, l’art. 105, 5° comma, legge fall. in caso di cessione di attività o passività del­l’azien­da o di suoi rami nonché di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco esclude la responsabilità dell’alienante e quindi della procedura per i debiti relativi ai rapporti ceduti, con l’evidente [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2008