Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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La responsabilità degli amministratori nel fallimento delle società (di Alessandro Nigro)


  
SOMMARIO:

1. - 2. - 3. - 4. - 5. - 6. - 7. - 8. - NOTE


1.

Quello che gli organizzatori del convegno mi hanno affidato è un tema complesso, se non altro perché governato insieme da regole di diritto societario e regole di diritto concorsuale. È un tema, poi, di notevole rilevanza, da un lato, perché proprio il fallimento (e le procedure concorsuali in genere) costituisce il terreno di elezione per l’esercizio di azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di società; dall’altro, perché tali azioni costituiscono uno degli strumenti «ordinari» – insieme alla revocatoria – di ampliamento della massa attiva del fallimento; e, dall’altro ancora, perché è sul meccanismo dell’azione di responsabilità contro gli amministratori che ormai essenzialmente si imperniano le tecniche di allargamento dell’area dei soggetti responsabili nel fallimento delle società di capitali. È un tema, ancora, che il legislatore della riforma della legge fallimentare ha toccato con particolare e non facilmente giustificabile «timidezza». È un tema, infine, riguardo al quale il dibattito dottrinale e giurisprudenziale ha seguito e continua ancora a seguire, dopo le riforme del diritto societario e del diritto fallimentare, itinerari spesso segnati da quelli che a me sembrano fraintendimenti o veri e propri errori. Ovviamente non ho la pretesa, in questa mia relazione, di trattare il tema in modo completo ed esaustivo. Dovrò limitarmi a qualche considerazione sui profili più rilevanti e significativi.


2.

Si deve muovere, naturalmente, dall’art. 146, 2° comma, legge fall., quale riformulato dal d.lgs. del 2006. Questa disposizione stabilisce che «Sono esercitate dal curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori: a) le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori; b) l’azione di responsabilità contro i soci della società a responsabilità limitata, nei casi previsti dall’art. 2476, comma settimo, del codice civile». Mi occuperò, com’è ovvio, essenzialmente della previsione di cui alla lett. a): una previsione apparentemente semplice ma che prospetta, in realtà, molte e delicate problematiche.


3.

Un primo ordine di questioni concerne l’ambito di applicabilità della disposizione. A. Innanzi tutto. Mentre il vecchio art. 146, 2° comma, prevedeva: «L’azione di responsabilità contro gli amministratori, i sindaci, i direttori generali e i liquidatori, a norma degli art. 2393 e 2394 del codice civile, è esercitata dal curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori», il testo attuale, per un verso, non contiene più alcun richiamo alle disposizioni contenute negli artt. 2393 e 2394 c.c. e, per l’altro, parla non più di «azione» ma di «azioni» di responsabilità. E questo determina, rispetto al passato, qualche incertezza. Da un lato, non è chiaro se la norma possa oggi riguardare anche gli amministratori ed i liquidatori delle società di persone; dall’altro, non è chiaro quali siano le «azioni di responsabilità» che sono o divengono di spettanza del curatore. Quanto al primo aspetto, credo che, in effetti, la disposizione debba ritenersi applicabile, in principio, anche alle società di persone. Sottolineo, però, in principio: perché nelle società di persone la strutturale coincidenza fra qualità di amministratore e responsabilità illimitata svuota di pratica rilevanza il meccanismo dell’azione di responsabilità da parte del curatore, che non aggiungerebbe nulla, in termini di possibilità di soddisfacimento dei creditori, al risultato che in quei termini già si tende a raggiungere con il fallimento personale dei soci illimitatamente responsabili. Quanto al secondo aspetto. Va premesso che la funzione dell’art. 146 non è, almeno in principio, quella di «creare» nuove fattispecie di azioni di responsabilità, che quindi vanno rintracciate in quelle già presenti nell’ordinamento, ma solo di dettare una regola in punto di legittimazione, con, inoltre, la sostituzione del particolare procedimento autorizzatorio da esso previsto ai meccanismi autorizzatori eventualmente contemplati dal regime di diritto comune. Detto questo, la formulazione generica della norma parrebbe, a prima vista, consentire una interpretazione «larga», che porti cioè ad attribuire al curatore del fallimento della società la legittimazione all’esercizio di tutte [continua ..]


4.

È sicuro che, dichiarato il fallimento della società, l’esercizio delle azioni di responsabilità ai sensi dell’art. 146 legge fall. diviene di spettanza esclusiva del curatore, talché, da un lato, le azioni eventualmente già proposte dalla società o dai creditori sociali divengono improcedibili e, dall’altro, in pendenza di fallimento i creditori non possono più esperire l’azione ex art. 2394, neppure nel caso di inerzia del curatore; è ugualmente sicuro, poi, che il potere di quest’ultimo non è condizionato, con riferimento all’azione ex art. 2393, alla preventiva deliberazione dell’assemblea. È e rimane tutt’altro che sicura invece – e con ciò passo ad un secondo ordine di questioni – la relazione intercorrente fra le azioni appunto attribuite al curatore e le azioni «originarie».   A. Da sempre sussistono, al riguardo, profonde divergenze. Da un lato, si discute se le azioni ex art. 2393 e 2394, quando sono esercitate dal curatore, si cumulino in un’azione dal contenuto unitario ed inscindibile o restino azioni distinte. Dall’altro e correlativamente, si discute se questa azione (o queste azioni) siano le stesse azioni che spettavano, prima del fallimento, rispettivamente alla società ed ai creditori sociali, o siano diverse, nel senso che sorgono per effetto dell’apertura del fallimento. L’attribuzione al curatore del potere di agire in responsabilità contro gli amministratori ex art. 2393 non pone, in realtà, particolari problemi. Questa attribuzione si spiega e si giustifica tranquillamente con il normale subingresso dello stesso curatore in tutti i diritti e le azioni spettanti alla società fallita. Maggiori difficoltà di inquadramento sembra prospettare, invece, l’attribuzione al curatore dell’azione ex art. 2394. Tali difficoltà però, a ben vedere, sussistono solo se, seguendo una consistente corrente sia dottrinale sia giurisprudenziale, a tale azione si attribuisca la natura di azione diretta ed autonoma, rispetto a quella spettante alla società, ed esperibile dal singolo creditore al fine di ottenere la condanna degli amministratori (non alla reintegrazione del patrimonio sociale, ma) al risarcimento dei danni a proprio favore. Perché si tratterebbe di spiegare, allora, come una simile [continua ..]


5.

Terzo ordine di questioni. Ho appena detto che quella che compete al curatore del fallimento, ai sensi dell’art. 146 l. fall. (e dell’art. 2394-bis), è essenzialmente l’azione ex art. 2393 c.c., in essa risultando assorbita l’azione ex art. 2394 e che tale azione è esattamente quella che avrebbe potuto esercitare la società se non fosse fallita. Questo significa che all’azione promossa dal curatore debbono applicarsi, senza correttivi di alcun genere, le stesse regole applicabili all’azione promossa dalla società. Significa, in particolare, che, alla luce dei principi generali in materia di responsabilità (contrattuale), il curatore dovrà dare la prova sia degli specifici inadempimenti imputabili agli amministratori (o ai sindaci), sia del pregiudizio concretamente subito dalla società, sia infine del nesso causale fra tale pregiudizio e quegli inadempimenti. Soprattutto in passato, l’estrema difficoltà di pervenire ad una rigorosa dimostrazione del nesso di causalità aveva indotto la giurisprudenza ad adottare spesso tecniche di «semplificazione» dell’onere probatorio a carico del curatore, in termini, specificamente, di presunzione che il danno arrecato dagli inadempimenti degli amministratori corrisponda alla differenza fra l’attivo ed il passivo fallimentare. Questo orientamento è stato giustamente criticato dalla dottrina: esso sembra comunque, alla stregua delle più recenti pronunzie, ormai decisamente recessivo. Va segnalato peraltro che permane la tendenza a ritenere utilizzabile quella presunzione nell’ipotesi in cui risulti impossibile ricostruire le vicende societarie per mancanza o inattendibilità delle scritture contabili e che, a livello dottrinale, si è ritenuto di trovare indiretta conferma di tale tendenza nella previsione – introdotta dalla riforma del diritto societario – del dovere specifico degli amministratori di curare che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura ed alle dimensioni dell’impresa. A mio avviso, però, neppure con riguardo a simili situazioni sono accettabili meccanismi presuntivi. È certamente vero che oggi l’inadeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società costituisce violazione di un preciso obbligo posto dalla legge: resta [continua ..]


6.

Quarto ordine di questioni. Come è noto, si discuteva, in passato, se il curatore fosse o meno legittimato all’azione di responsabilità prevista dall’allora vigente art. 2449 c.c. nei confronti di amministratori e liquidatori che avessero compiuto nuove operazioni dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della società. La risposta dipendeva, ovviamente, dal modo in cui si ricostruiva la responsabilità illimitata e solidale posta dall’art. 2449 a carico degli amministratori e dei liquidatori, a seconda cioè che si ritenesse esistente tale responsabilità solo nei rapporti esterni o solo o anche nei rapporti interni. Come ho detto prima, con la riforma del diritto societario la disciplina dello scioglimento e della liquidazione delle società di capitali è stata interamente ridisegnata, con l’abbandono del divieto di nuove operazioni: l’intera problematica resta dunque, per le società di capitali, relegata al passato. La responsabilità degli amministratori, nella fase terminale della vita della società, è oggi regolata, per un verso, dall’art. 2485, per il quale essi sono «personalmente e solidalmente responsabili per i danni subiti dalla società, dai soci, dai creditori sociali e dai terzi» nel caso di omissione o ritardo nell’accertamento del verificarsi di una causa di scioglimento e nell’iscri­zione presso il registro delle imprese della relativa dichiarazione e, per altro verso, dall’art. 2486, per il quale essi sono, di nuovo, «personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi» per atti od omissioni compiuti in violazione della regola secondo la quale essi «conservano il potere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale». Tali disposizioni sono in generale da ritenere – come ho già anticipato – specificazioni degli art. 2392 ss.: più esattamente sono da ritenere specificazioni degli artt. 2392-2393 per quel che attiene alla responsabilità verso la società e dell’art. 2395 per quel che attiene alla responsabilità verso i soci ed i terzi. Diverso parrebbe essere il discorso per quanto riguarda la responsabilità verso i creditori che le disposizioni [continua ..]


7.

Ultimo ordine di questioni. Sul piano processuale è sempre stato discusso se l’azione di responsabilità promossa dal curatore rientri oppure no fra quelle attratte nella cognizione esclusiva del tribunale fallimentare, ai sensi dell’art. 24 legge fall. Sembra senz’altro da condividere la soluzione negativa, per la quale del resto sembra orientata la giurisprudenza prevalente. Come ho prima precisato, deve ritenersi sussistere piena identità, quanto a presupposti e finalità, fra l’azione promossa dal curatore e quella spettante alla società indipendentemente dal fallimento, determinandosi, d’altra parte, l’assorbimento in tale azione di quella (surrogatoria) spettante ai creditori. Non può quindi operare la vis attractiva del foro fallimentare che, come è pacifico, non tocca le azioni che già si trovino nel patrimonio del fallito. Nonostante siano stati prospettati dubbi, l’azione del curatore comunque rientra nell’ambito di applicazione del rito societario, ai sensi dell’art. 1, 1° comma, lett. a), d.lgs. n. 5/2003 che assoggetta a quel rito le controversie relative a «le azioni di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i liquidatori e i direttori generali delle società».


8.

Per concludere, vorrei riprendere l’osservazione iniziale circa la rilevanza del meccanismo dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori nel quadro delle tecniche di ampliamento delle responsabilità nel caso di fallimento di società di capitali. Il nostro ordinamento ormai mostra sempre più nettamente di preferire le tecniche di ampliamento fondate sulla responsabilità risarcitoria a quelle fondate sulla responsabilità patrimoniale: e le prime finiscono per trovare il loro perno proprio nella responsabilità degli amministratori, come «veicolo» per coinvolgere altri soggetti nella responsabilità per la crisi della società. Molti sono ormai i punti di emersione normativa di questo tipo di tecnica. Mi basta richiamare, per un verso, il più volte ricordato art. 2476, 6° comma e, per altro verso, l’art. 90, d.lgs. n. 270/1999, che, nel quadro della disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, stabilisce che «Nei casi di direzione unitaria delle imprese del gruppo, gli amministratori che hanno abusato di tale direzione rispondono in solido con gli amministratori della società dichiarata insolvente dei danni da questi cagionati alla società stessa in conseguenza delle direttive impartite»: disposizione che, sottolineo, è ritenuta espressione di una regola applicabile anche in procedure concorsuali diverse dall’amministrazione straordinaria, applicabile in particolare, per quel che qui interessa, nel fallimento, così completando la «panoplia» degli strumenti risarcitori a disposizione del curatore ed integrando, specificamente, la previsione del più volte ricordato art. 2497. Ma questo tipo di tecnica si presta ad essere utilizzato ancora più ampiamente. Così con riferimento alla ben nota tematica della responsabilità della banca per concessione abusiva di credito: dove la legittimazione del curatore a far valere direttamente tale responsabilità deve ritenersi esclusa; ma dove ben potrebbe il curatore agire in responsabilità nei confronti degli amministratori e della banca per avere, con la richiesta e rispettivamente la concessione del credito, mantenuto artificialmente in vita l’impresa aggravandone il dissesto. Anche in considerazione di tutto ciò c’è da rammaricarsi che [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2008