Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Brevi considerazioni sulla risoluzione per inadempimento del contratto di società, sull'esclusione e sul recesso (nota a Trib. Milano, 20 febbraio 2007) (di Gianluca Carlini)


TRIBUNALE DI MILANO, 20 febbraio 2007 – Ciampi, Presidente – Consolandi, Relatore – De Araujo Coelho (avv. Morano) c. Parotti ed altri (avv. Ariolfo)

Società – Società a responsabilità limitata – Contratto sociale – Risoluzione per inadempimento – Inammissibilità

(Artt. 1453, 1459 c.c.)

L’istituto della risoluzione non è applicabile alle società, non trattandosi di contratti a prestazioni corrispettive ma di contratti plurilaterali (1).

Omissis. Motivi: Deve preliminarmente notarsi come sia non contestato l’inadempimento parziale delle convenute al contratto con il quale venne convenuto di costituire la società Wellness e di acquistare con questa, per poi gestire, una profumeria, di proprietà di altra società – la Profumatissima srl – cui partecipavano la Parotti e la Luraghi, seppur per interposizione di una fiduciaria.

Quella scrittura infatti prevedeva un obbligo di finanziamento della costituenda società che l’attore in citazione (circostanza sub 9 e sub 15) assume inadempiuto dalle controparti, che a fronte di un impegno ad erogare alla Wellness srl euro 43.260 (la Parotti) ed euro 61.800 (la Luraghi), versavano la sola somma «di euro 68.929,36 in luogo della somma di euro 78.767,03 effettivamente dovuta», una somma che l’attore avrebbe, invece, versato di più.

Su questi conteggi e debiti – che per altro non tornano secondo la stessa prospettazione dell’attore perché se le due donne avrebbero dovuto versare 43260+61800 euro esse dovevano ben più di 78.767,03 euro – le controparti non hanno obiettato nulla prima della istanza di fissazione e dunque, ex art. 10 d.lg. 5/03 comma 2 bis, deve ritenersi pacifico che le due donne abbiano versato meno di quel che si erano impegnate a fare, per quasi 10.000 euro, secondo la asserzione dell’attore ora riportata.

Se questo inadempimento deve ritenersi un fatto assodato non ne possono però derivare le conseguenze invocate dall’attore.

Egli infatti chiede la nullità o risoluzione di tre contratti:

1. l’accordo preliminare,

2. il contratto di società Wellness srl,

3. il contratto di acquisto della profumeria, cioè del­l’azien­da, da parte della Wellness srl.

Di nullità non si può certo parlare, atteso che nemmeno l’attore allega un vizio genetico dei tre contratti o altra possibile causa del vizio invocato.

Per vero infatti egli deduce l’inadempimento delle convenute per mancato versamento alla società di quanto promesso, che, come detto, deve ritenersi fatto pacifico; sempre quale inadempimento deduce anche la loro scarsa collaborazione nella gestione della profumeria e, in particolare, la malizia insita nel ritardare la vendita della profumeria e nel caricarla di merce poco commerciabile, facendo salire il valore del magazzino.

Tutto ciò è lamentato dall’attore, ma attiene al momento funzionale dei contratti, in particolare del primo accordo, e non ne può perciò comportare la nullità, caso mai la risoluzione, dei contratti.

Si osserva per altro che l’attore agisce in proprio e non per la società, dunque essendo il contratto di cessione d’azienda intervenuto fra la Wellness srl e la Profumatissima srl, egli fa valere un diritto non suo e pertanto la sua azione va rigettata. Quanto al contratto sociale è conclusione ormai consolidata, da anni, in giurisprudenza che non sia applicabile l’istituto della risoluzione alle società, trattandosi di contratti non a prestazioni corrispettive, ma plurilaterali. Si veda sul punto Sez. 1, Sentenza n. 5180 del 04/05/1993: «L’ecce­zione d’inadempi­mento (art. 1460 cod. civ.) è proponibile solo in relazione ai contratti con prestazioni, corrispettive, in quanto è preordinata alla tutela degli interessi contrapposti delle parti, e non è, quin­di, configurabile in ordine al contratto di società, nel quale non vi sono interessi contrapposti tra il socio e l’ente sociale».

Nemmeno può l’attore chiedere la risoluzione del contratto con il quale le due convenute si sono obbligate ai versamenti in favore di Wellness, che costituisce pertanto un contratto in favore del terzo, atteso che tale società può (probabilmente deve, vista la sua situazione debitoria, ormai pacifica) ancora chiedere alle socie la differenza – starà a lei stabilire se si tratti di 10.000 o 40.000 euro – fra i versamenti cui queste si sono obbligate e quanto hanno davvero pagato. A fronte, poi, della esecuzione pressoché totale di quel contratto si reputa che il mancato pagamento di una somma pan a circa un terzo, o un quinto a seconda dei conteggi, del dovuto – si ripete del quale è sempre possibile l’adempimento – non sia tale da doversi ritenere rilevante ai sensi dell’art. 1455 c.c. È del tutto evidente la sproporzione fra l’inadempimento delle due socie e la richiesta dell’attore, che vorrebbe far discendere dal mancato pagamento di alcune decine di migliaia di euro la restituzione dell’intero capitale rischiato nella profumeria, ben oltre i centomila euro. Non è poi esente da colpe la posizione dello stesso attore che, essendo membro del Cda, ben avrebbe potuto richiedere, ma per conto della società, non per conto proprio, alle socie l’integrale adempimento del loro impegno iniziale a conferire danaro, ben oltre il solo capitale nominale. Il De Araujo poi non può far valere in suo favore dei diritti della Wellness srl: per questo deve essere respinta la ulteriore richiesta che egli avanza in relazione alla violazione dell’art. 2343 bis c.c. norma che, ove violata, comporterebbe l’obbligo di risarcire la società e non il socio. Lo stesso dicasi per la richiesta di condanna delle due convenute al pagamento dei debiti della società.

Quanto alla domanda di pagamento rivolta alle convenute per le retribuzioni di 1500 euro mensili netti che erano state convenute fra il De Araujo e le altre due socie, si osserva che si tratta di obbligazione della società Wellness, non delle due socie, perché alla società incombe la retribuzione dei suoi organi amministrativi. Vi è stato senza dubbio un accordo fra i soci portato dalla scrittura 13.12.2004 doc 10 dell’attore, che determinava l’emolu­mento del De Araujo in euro 1500 mensili a far tempo dal 3 gennaio 2005 è poiché l’attività sociale si è svolta, come è pacifico fra le parti, fino al giugno del 2005, spettano all’attore sei mensilità, per totali euro 9.000, al cui pagamento va condannata la società Wellness, non Parotti e Luraghi, che non hanno assunto in proprio alcun obbligo, limitandosi a prendere una decisione circa la retribuzione dell’organo amministrativo della società. Su tale somma, intesa come netta secondo l’accordo dei soci del 13-12-2004, la società convenuta dovrà versare le ritenute di legge e gli interessi dalla fine del 2005, chiusura dell’esercizio cui si riferiscono le retribuzioni.

Le domande riconvenzionali vanno rigettate. Quanto alla risoluzione per inadempimento, chiesta anche dalle convenute, valgono ragioni analoghe a quelle rilevate per il De Araujo: al contratto sociale non è applicabile tale istituto, per la cessione di azienda intervenuta fra le parti vi è la curiosa situazione del fatto che l’avvocato Ariolfo, che rappresenta tanto Profumatissima che Wellness da un lato dovrebbe chiedere la risoluzione e per l’altro cliente resistervi, infine per il primo accordo l’inadempimento non è provato né appare rilevante.

Quanto alla domanda di risarcimento del danno riconvenzionale nessuna allegazione si ritrova in comparsa di risposta circa il fatto causativo, come nessuna allegazione vi si rinviene circa il motivo per cui l’attore dovrebbe pagare i debiti della società oltre il capitale di fischio – capitale e conferimenti per l’acquisto profumeria – già apportato.

Quanto alla inerzia del De Araujo nella amministrazione, che avrebbe portato alla chiusura della profumeria, si osserva che la Parotti condivide appieno la colpa, essendo stata anche lei nel consiglio di amministrazione. – Omissis.

 

(1) Brevi considerazioni sulla risoluzione per inadempimento del contratto di società, sull’esclusione e sul recesso

SOMMARIO:

1. La vicenda - 2. La normativa di riferimento - 3. Il contratto di società - 4. I limiti alla risolubilità del contratto di società. Posizione della dottrina e della giurisprudenza - 5. Il rimedio dell'esclusione del socio - 6. Il rimedio del recesso del socio - 7. Considerazioni conclusive - NOTE


1. La vicenda

Nella fattispecie Tizio perfezionava con Caia e Mevia un’operazione complessa risultante da tre contratti. Un iniziale accordo quadro contenente l’im­pegno a costituire la società Alfa S.r.l. e successivamente a finanziarla al fine di acquistare un’azien­da di proprietà di altra società cui partecipavano (per interposizione di una fiduciaria) Caia e Mevia. A tale accordo preliminare seguiva la costituzione della società ed infine il terzo contratto con cui la Alfa acquistava l’azienda suddetta. L’attore Tizio, dimostrati il (parziale) mancato finanziamento da parte di Caia e Mevia dovuto in base all’accordo quadro, nonché la scarsa collaborazione nella gestione dell’attività sociale da parte delle medesime ed infine ulteriori vizi relativi alla cessione dell’azienda (il cui trasferimento veniva appositamente ritardato dalle stesse Caia e Mevia in modo da far aumentare il valore del magazzino aziendale), chiedeva giudizialmente la nullità o almeno la risoluzione dei tre contratti. Il Tribunale di Milano, investito della controversia, dapprima escludeva l’ipotesi della nullità dei contratti, trattandosi semmai di vizi – quelli rappresentati dall’attore – attinenti al momento funzionale e non a quello genetico dei negozi e poi con diverse argomentazioni rigettava anche le richieste volte alla risoluzione di tali rapporti. In particolare, con riferimento alla risoluzione dell’accordo originario relativo al successivo finanziamento a favore della società, la Corte eccepiva ad esempio la scarsa rilevanza dell’inadempimento. Sui presunti vizi inerenti alla cessione dell’azienda si motivava invece il diniego della risoluzione asserendo, tra l’altro, la mancanza di legittimazione attiva da parte dell’attore Tizio che agiva in proprio mentre le parti del contratto di compravendita erano le due società. Quanto infine al­l’aspet­to che maggiormente qui interessa, e cioè alla richiesta di risoluzione per inadempimento del contratto di società, i Giudici milanesi hanno sostenuto che detto rimedio è senz’altro «inapplicabile alle società, trattandosi di contratti non a prestazioni corrispettive, ma plurilaterali».


2. La normativa di riferimento

Il provvedimento del Tribunale richiama la disciplina della risoluzione per inadempimento dei contratti e specificamente pone in rilievo gli artt. 1453, 1455 e 1459 c.c. La prima disposizione si riferisce in generale alla risoluzione del contratto per inadempimento e sancisce, nei contratti a prestazioni corrispettive, la possibilità per il contraente non inadempiente di chiedere, a sua scelta, l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo in ogni caso il risarcimento dei danni. La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è promosso per ottenere l’adempimento, ma quest’ultimo non può più chiedersi quando è stata precedentemente domandata la risoluzione (si tratta del c.d. ius variandi [1]). Infine l’ultimo comma della norma dispone che dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione. La giurisprudenza in genere segue la tesi della risoluzione come rimedio posto a tutela dell’equilibrio sinallagmatico del contratto [2], mentre raramente i Giu­dici hanno ricostruito la ratio della normativa nell’in­ci­denza causale dell’inadempimento sull’eco­no­mia complessiva del rapporto [3]. Quanto all’inqua­dramento giuridico del potere di risolvere il contratto, è prevalente l’opinione che lo considera un diritto potestativo attribuito al contraente non inadempiente. L’art. 1455 prende invece in considerazione la valenza dell’inadempimento e statuisce che il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’inte­res­se dell’altra. La valutazione sulla scarsa importanza spetta al giudice che può compierla anche d’ufficio. I criteri alla cui stregua deve essere condotta detta valutazione sono diversi: si va dal richiamo alla volontà delle parti, alla distinzione tra obbligazioni principali e meramente accessorie, all’entità oggettiva dell’inadempimento in riferimento all’economia complessiva del contratto. L’orienta­mento prevalente è quello che combina l’elemento oggettivo, vale a dire l’incidenza dell’inadempi­men­to anche riferita all’intera economia contrattuale, e quello soggettivo relativo all’interesse del contraente [continua ..]


3. Il contratto di società

A fronte di un orientamento [6] – peraltro superato – che, ritenendo lo scopo comune della società incompatibile con la contrapposizione di interessi tipica di ogni contratto, riconduceva la figura in esame al­l’atto complesso [7] o a quello collettivo [8], si è replicato dalla dottrina oggi dominante [9] che lo scopo comune non esclude, almeno nella fase formativa del negozio, una contrapposizione di interessi tra i contraenti la società (ad esempio in ordine alla valutazione dei conferimenti, alla partecipazione ai guadagni e alle perdite, alla distribuzione del potere di am­ministrazione, ecc.). Del resto il dato codicistico (es. art. 2247 c.c.) è inequivocabile e depone espressamente a favore della costruzione dell’accordo tra i futuri soci in termini di contratto. Posta, dunque, la natura contrattuale della società (la cui verifica era essenziale per valutare l’astratta applicabilità alla fattispecie del rimedio della risoluzione) l’attenzione si è spostata sull’individuazione della specifica categoria contrattuale della stessa. La categoria è quella dei contratti plurilaterali con comunione di scopo [10], caratterizzati dai due elementi della pluralità delle parti (e non semplicemente dei soggetti) e dallo scopo comune. Le norme cui occorre riferirsi allorché si parla di contratti plurilaterali sono quelle, aventi carattere conservativo, dettate in materia di invalidità, dagli artt. 1420 e 1446 c.c. e in materia di risoluzione dagli artt. 1459 e 1466 c.c. Non basta infatti per qualificare tecnicamente un contratto plurilaterale il mero dato quantitativo costituito dalla presenza di più di due parti (nonostante una lettura non sistematica del codice potrebbe condurre ad una simile interpretazione: cfr. artt. 1321 e 1332 c.c.), ma occorre anche (rectius soprattutto) il dato funzionale o causale dato dalla presenza di uno scopo comune al cui conseguimento sono dirette le prestazioni di ciascuna parte. Si è anche precisato che il contratto plurilaterale non esige l’effettiva partecipazione di più di due contraenti, ma presuppone soltanto una struttura negoziale aperta, nel senso che sia potenzialmente in grado di permettere la partecipazione di più di due parti [11]. Quindi anche il contratto di società con due sole parti resterebbe pur sempre un contratto [continua ..]


4. I limiti alla risolubilità del contratto di società. Posizione della dottrina e della giurisprudenza

Considerata, come si è evidenziato, la presenza in dottrina di un consistente orientamento che afferma con diverse giustificazioni [15] l’esistenza del sinallagma anche nel contratto di società, ne dovrebbe logicamente conseguire la possibilità di invocare anche qui il rimedio della risoluzione per inadempimento. Rimedio giudiziale che opera sulle anomalie del sinallagma c.d. funzionale, cioè dell’interdipen­denza tra le reciproche prestazioni nella fase di attuazione del rapporto. La risoluzione per inadempimento dovrebbe pertanto aggiungersi ai rimedi specifici dei contratti associativi costituiti dall’esclu­sione (strumento di tutela legale e ordinario nelle società di persone e nelle cooperative, convenzionale e straordinario nelle società di capitali, salvo il caso di mancato versamento del proprio conferimento) del socio inadempiente o dal recesso di quello adempiente [16]. Si può ulteriormente precisare come, in caso di partecipazione del socio inadempiente che non sia essenziale, il rimedio della risoluzione si avvicini più all’esclusione che al recesso, producendo in entrambi i casi l’effetto dello scioglimento non retroattivo del singolo rapporto del soggetto inadempiente. Il che non si verifica nell’ipotesi del recesso, ove lo scioglimento del rapporto si riferisce invece proprio al socio adempiente, mentre il soggetto inadempiente potrebbe sempre proseguire la propria attività nell’ambito dell’ente. Al riguardo in dottrina si è notato che il rimedio della risoluzione e quello dell’esclusione sono tra loro perfettamente compatibili in quanto soddisfano esigenze diverse. È innegabile, come si diceva, che la risoluzione per inadempimento e l’esclusione raggiungano di fatto il medesimo risultato, cioè lo scioglimento del rapporto relativamente al contraente inadempiente con conseguente liquidazione della quota, ma mentre l’esclusione consente di raggiungerlo più rapidamente poiché tale effetto è prodotto dalla decisione dei soci e non da una sentenza costitutiva (fatte salve le ipotesi di risoluzione di diritto) del giudice, lo strumento della risoluzione giudiziale per inadempimento offre il vantaggio di una maggiore sicurezza [17]. Eppure la giurisprudenza sembra essersi consolidata nel senso dell’applicabilità soltanto dei rimedi [continua ..]


5. Il rimedio dell'esclusione del socio

L’istituto dell’esclusione trova indubbiamente la sua collocazione naturale nell’ambito di enti con una spiccata connotazione personale (società di persone, associazioni, cooperative e consorzi: cfr. artt. 2286 ss. richiamati rispettivamente dagli artt. 2293 e 2315, 24, 2533, 2610 c.c.) [20]. Esso può essere pattiziamente previsto dai soci nell’atto costitutivo della s.r.l. solo in casi specifici e per una giusta causa (art. 2473-bis c.c.), oltre ad esistere quale rimedio naturale per l’ipotesi di mancata esecuzione dei conferimenti (art. 2466 c.c.). Nessun riferimento esplicito invece si trova nelle s.p.a. e nelle s.a.p.a., ma vi è comunque un indizio positivo utile ad affermare la possibilità di utilizzare l’istituto anche in questi tipi societari. Si tratta dell’art. 2437-sexies c.c. in tema di azioni riscattabili che consente di raggiungere un risultato analogo a quello di fatto ottenuto con l’esclusione del socio. Qui occorre che il potere di riscatto (qualificabile in termini di diritto potestativo) da parte della società o degli altri soci venga espressamente previsto nello statuto. La norma, diversamente da quanto stabilito in tema di s.r.l., non pare inoltre subordinare tale potere ad alcuna specifica ipotesi di giusta causa. Si può quindi sostenere che oggi, post riforma del diritto societario, in parallelo con l’ampliamento delle cause di recesso del socio [21], l’esclusione esista ormai a tutti i livelli sociali, con la distinzione che essa nelle società di persone e nelle cooperative è sempre un elemento naturale del rapporto, mentre nelle società di capitali (eccettuato il caso di cui al­l’art. 2466 per le s.r.l. e quello simile del mancato pagamento delle partecipazioni azionarie ex art. 2344 per le s.p.a.) necessita di un’apposita scelta negoziale. Limitando ancora la nostra analisi all’ambito societario, va notato come le «gravi inadempienze» cui fanno riferimento gli artt. 2286 e 2533 c.c. rispettivamente per la società semplice e per le cooperative [22] (la prima norma è poi richiamata indirettamente dall’art. 2293 per la s.n.c. e dall’art. 2315 per la s.a.s.) siano diverse e costituiscano ipotesi meno ampie rispetto a quelle ricomprese nella locuzione «giusta causa» di cui all’art. 2473-bis c.c. in tema di s.r.l. Infatti [continua ..]


6. Il rimedio del recesso del socio

Altro rimedio concesso al socio adempiente per reagire di fronte all’inadempimento di un altro socio è costituito dalla possibilità di recedere dalla società, con la particolarità che, in questo caso, ad uscire dalla compagine societaria sia proprio il soggetto adempiente. Concentrando la nostra analisi sulla società a responsabilità limitata, può notarsi come l’art. 2473 abbia dotato per la prima volta questo tipo societario di un’autonoma disciplina: non è più dunque necessario fare ricorso alla normativa dettata per le s.p.a. Il 1° comma della norma attribuisce all’atto costitutivo il potere di determinare i casi in cui è possibile l’esercizio del recesso. Lo stesso comma prosegue indicando numerose ipotesi di recesso legale a tutela dei soci che non hanno consentito a determinate decisioni della società: si tratta di ipotesi inderogabili come si desume dal tenore letterale del periodo il cui incipit è «in ogni caso». Tra queste rientrano il cambiamento dell’oggetto sociale o del tipo di società, la fusione o scissione, la revoca dello stato di liquidazione, il trasferimento della sede all’estero, l’elimi­nazione di una o più cause di recesso previste dal­l’at­to costitutivo, il compimento di operazioni che comportino una sostanziale modificazione dell’og­getto sociale o una rilevante modifica dei diritto attribuititi ai soci ex art. 2468, 4° comma. Peraltro l’art. 2473, diversamente dall’art. 2437 in tema di s.p.a., non indica anche delle ipotesi derogabili di recesso, mentre fa salve le disposizioni dettate per le società soggette ad attività di direzione e coordinamento. Non è neppure data espressa rilevanza al recesso per giusta causa, che invece assume primaria importanza nell’ambito delle società di persone (cfr. artt. 2285, 2° comma, 2293 e 2315). Viene inoltre precisato che in caso di società contratta a tempo indeterminato, il recesso compete al socio in ogni momento e può esercitarsi con un preavviso di almeno centottanta giorni (salva la previsione di una maggiore durata, purché non superiore ad un anno, prevista dall’atto costitutivo). Altra causa di recesso è quella contemplata nell’art. 2469, 2° comma, per il caso in cui l’atto costitutivo [continua ..]


7. Considerazioni conclusive

Innanzitutto va rilevata la perdurante attualità del problema dell’applicabilità dell’istituto della risoluzione al contratto di società. La questione, già nota in dottrina e oggetto di frequenti pronunce, è tuttora materia di controversie giudiziarie, come testimonia la decisione del Tribunale di Milano che si annota. In secondo luogo deve evidenziarsi come, a prescindere dal merito della soluzione adottata dai giudici milanesi [24], non può non suscitare perplessità la motivazione del provvedimento. Essa non sembra soddisfacente nel punto in cui, esprimendosi in termini assoluti, áncora l’impossi­bi­lità di chiedere la risoluzione del rapporto alla circostanza che il contratto di società sia plurilaterale e non a prestazioni corrispettive. Con ciò mostrando di obliterare, non solo l’opinione opposta autorevolmente sostenuta in dottrina (vale a dire quella secondo cui anche il contratto di società sarebbe sinallagmatico), ma soprattutto l’innegabile dato normativo, di segno contrario a questa ricostruzione, costituito dall’art. 1459 [25]. Semmai la giustificazione della decisione nel senso di escludere la risolubilità del rapporto ex art. 1459, andava piuttosto ricercata nella specialità e nel carattere derogatorio (lex specialis derogat legi generali) dei rimedi previsti per il caso di inadempimento del socio in ambito societario: mi riferisco in particolare alla possibilità di escludere il socio inadempiente, ma anche a quella di recedere da parte del socio adempiente. In questo senso si è dunque effettuato un passo indietro rispetto ad altri provvedimenti emessi dalla stessa Corte ambrosiana nel recente passato [26]. Inoltre nella fattispecie oggetto della controversia era in questione non un contratto costitutivo di una società di persone, per cui sussiste sempre il rimedio generale previsto dalla legge dell’esclusione (facoltativa ex art. 2286 c.c.), bensì un contratto costitutivo di un tipo particolare di società di capitali: quella a responsabilità limitata. Una tipologia in cui le cause di esclusione, fatta eccezione per la mancata esecuzione dei conferimenti, trovano spazio solo se frutto di un’apposita ed esplicita scelta negoziale e sempre nei limiti di quanto stabilito nell’art. 2473-bis c.c. Considerazione che vale anche per [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2008