Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Introduzione alla riforma delle società a responsabilità limitata PMI e qualificazione tipologica della società a responsabilità limitata (di Daniele U. Santosuosso)


Lo scritto intende, anche alla luce dell’evoluzione del modello di società a responsabilità limitata, fornire alcune indicazioni generali sulla nuova disciplina della società a responsabilità limitata-PMI e sulle sue implicazioni di sistema, al fine di ricercare l’essenza identitaria del tipo nel raffronto con la società per azioni. L’Autore sottolinea in particolare la possibilità, che la riforma ha introdotto, di forme di strutturazione finanziaria tipiche delle società azionarie e l’apertura del modello della società a responsabilità limitata al mercato del capitale di rischio e il superamento del tradizionale divieto di farvi appello. Ne emerge un modello dove il diverso peso della individualità della persona nel senso della partecipazione originale, riflessa nella adattabilità della struttura organizzativa e finanziaria ai bisogni ed alle finalità dei soci, consente di individuare nella causa ibrida, e quindi nella sua poliforme funzionalità, l’e­lemento qualificante del tipo.

Introduction to the reform of SMEs Limited Liability Companies and the type of the Limited Liability Company

The paper aims, also in the light of the evolution of the model of Limited Liability Company, to provide some general guidance on the new rules of the SME Limited Liability Company and its legal system implications, in order to seek the identity of the type in comparison with the public and joint stock limited company. The Author underlines in particular the possibility, which the reform has introduced, of forms of financial structuring typical of share companies and the opening of the model of the limited liability company to the public risk capital market and the overcoming of the traditional prohibition of recourse to it. A model emerges where the different weight of the person’s individuality in the sense of the original participation, reflected in the adaptability of the organizational and financial structure to the needs and aims of the members, allows to identify in the hybrid cause, and therefore in its polyform functionality, the qualifying element of the type.

KEYWORDS: Capital companies – Limited Liability Companies – SME Limited Liability Company – Risk capital market recourse – Hybrid cause – Qualifying element of the type.

SOMMARIO:

1. - 2. - 3. - 4. - 5. - 6. - 7. - NOTE


1.

1. Riflettere sui profili generali della nuova disciplina della società a responsabilità limitata-PMI, al fine di formulare alcune ipotesi ricostruttive sulle sue implicazioni sistematiche e di ricercarne l’essenza identitaria soprattutto sotto l’aspetto tipologico, rende necessario ripercorrere i passaggi salienti della evoluzione del modello-tipo generale di società a responsabilità limitata. In tale percorso mi è parso da subito di ravvisare, come ricorre costantemente nella storia del diritto societario, il segno di una evoluzione che rimanda all’uso della legislazione come beneficio in funzione economica, nel nostro caso a favore della piccola impresa. Attuali appaiono in proposito l’insegnamento e il monito di Ascarelli in un suo scritto del periodo brasiliano nel 1945, nel confronto (lungimirante dal punto di vista del metodo ermeneutico a servizio della qualificazione dei tipi societari) tra la «piccola» società per azioni (più vicina alla anonima “tipica” e all’estremo opposto della «grandissima») e la società a responsabilità limitata. Scrive l’Autore che «Talvolta vengono esagerati i pericoli delle piccole società anonime; la società per quote a responsabilità limitata non presenta, d’altronde, pericoli minori, nonostante la responsabilità solidale dei soci per il versamento del capitale, all’uopo sancita in alcune legislazioni, come la brasiliana, quando manchino, nella disciplina di detta società, quelle norme che, nelle società anonime, provvedono alla tutela dei terzi. Occorre non dimenticare che le piccole imprese si trovano comunque in una situazione di inferiorità nei confronti delle grandi; non sembra giusto accentuare questa inferiorità con misure legislative, dimenticando la funzione della piccola e media impresa» [[1]]. Anticipo anche le conclusioni delle mie rapide riflessioni: non mi sembra corretto sostenere che la società a responsabilità limitata sia stata oggetto di radicali mutamenti genetici; piuttosto mi pare che essa abbia raggiunto – sia pure dopo più di un secolo – una sua piena maturità, ma su un codice genetico già scritto, ancorché in origine appena abbozzato e direi poco compreso.


2.

Va ricordato che il Codice di Commercio del 1882 (e, purtuttavia in nuce, analogamente il Code de Commerce del 1807, all’art. 34) prevedeva espressamente l’esi­stenza delle «società anonime per quote». Tale riconoscimento è rintracciabile in vari articoli: così nell’art. 76, ove si faceva riferimento a tale modello di società commerciale con responsabilità limitata alla quota del socio («Le società commerciali hanno per oggetto uno o più atti di commercio, e si distinguono nelle specie seguenti: ... 3) la società anonima, nella quale le obbligazioni sociali sono garantite soltanto limitatamente ad un determinato capitale, e ciascun socio non è obbligato che per la sua quota o per la sua azione»); o all’art. 123, ult. comma, ove si prevedeva la possibilità, a proposito del­l’obbligo di cauzione gravante sugli amministratori per la gestione, che il capitale potesse non essere suddiviso in azioni («Se il capitale non è diviso in azioni e se il modo di dar cauzione non è determinato nell’atto costitutivo, provvede il tribunale civile»). Il modello era quindi riconosciuto ma privo di una disciplina ad esso dedicata. Una fattispecie senza disciplina insomma, poco o nulla differenziata rispetto alle società per azioni. Ciò avrebbe avuto – per lo meno lo si percepisce come considerazione implicita nelle trattazioni della materia – due conseguenze, sul piano sistematico e su quello applicativo. Da un lato è facile intuire le difficoltà di enucleare il modello come tipo autonomo rispetto alla società anonima, presentandosi piuttosto come variante o sottotipo di quest’ultima: e non a caso il codice nominava il modello come società anonima, sia pure per quote; ancorché una certa disciplina si potesse ricavare in negativo: in particolare per ciò che atteneva ai caratteri delle azioni e che non contraddistinguevano le quote (il pari valore frazionario, l’unità di misura, la circolazione in titoli). Dall’altro, e in relazione proprio alla mancanza di una specifica disciplina, se ne riconosceva espressamente la scarsa fortuna nella prassi degli affari. Le ragioni dell’insuccesso sono state invero prevalentemente individuate nella mancanza di una specifica considerazione a [continua ..]


3.

L’idea primigenia del legislatore ottocentesco e della dottrina più attenta venne sviluppata nella codificazione del secolo scorso. Il diverso peso della individualità nel senso della partecipazione originale, non soltanto sul piano quantitativo ma anche qualitativo, non poteva non riflettersi nell’adattabilità della struttura organizzativa, nel suo piegarsi ai bisogni ed alle finalità dei soci. Il legislatore italiano del Codice del ’42 invero, nel solco del movimento legislativo partito dalla Germania con la legge del 20 aprile 1892, e gradualmente esteso (in Italia all’inizio nella Venezia Giulia e Tridentina secondo la legge austriaca) a tutti gli Stati europei, attuava non soltanto l’esigenza di dotare le imprese minori (a livello di capitalizzazione) del beneficio della responsabilità limitata, ma anche quella – stigmatizzata del resto nella Relazione al Codice [[4]] – di offrire agli operatori uno schema «sufficientemente elastico» per assicurare con legami più stretti l’atti­vità dei soci alla società, consentendo di riguardare le persone non più in funzione del loro apporto di capitali ma della fiducia che «ispirano i loro nomi e la loro attività» nei rapporti interni ed esterni alla società. Una forma societaria ibrida quindi ed adattabile all’autonomia privata: per piccole e grandi compagini, per piccole e grandi imprese a livello di capitale, con amministratori soci e non soci, con l’or­­ga­no di controllo o senza. Il legislatore si avvedeva che a tale modello di flessibilità organizzativa dovevano corrispondere adeguati contrappesi a tutela dei terzi, in particolare in materia di valutazione degli apporti, pubblicità, sanzioni per le scorrette condotte degli organi societari. In realtà le deroghe strutturali furono assai poche, e si riferivano ad alcuni aspetti del procedimento assembleare ed all’organo di controllo. Nonostante il legislatore infatti avesse presente la necessità di un tipo dalla causa mista, potremmo dire eterogenea, disegnò una struttura organizzativa che si manteneva piuttosto rigida, sulla falsariga del modello della società per azioni, alla cui disciplina si faceva continuo rinvio. Restava la quota come elemento tipologico primario del tipo di cui ci occupiamo e (sempre per la Relazione) [continua ..]


4.

Nel senso evolutivo tracciato la riforma di diritto societario del 2003 ha inaugurato una nuova stagione, accentuando e potremmo dire quasi radicalizzando l’at­titudine alla elasticità organizzativa. Ciò è avvenuto mettendo sempre al centro del fenomeno societario la persona del socio, con le sue prerogative e in genere tutte le posizioni giuridiche soggettive ad esso imputabili, includendovi quelle relative al controllo (personalizzato o, come si è detto, privatizzato). Si è privilegiata una prospettiva sistematica di favore per le opzioni delegate all’autonomia privata societaria in assenza delle quali il diritto è supplente. Opzioni non soltanto organizzative, ma – e qui denotandosi, e sotto tali aspetti avvicinandosi al modello società per azioni – di carattere altresì patrimoniale e finanziario, nell’esi­genza (di politica legislativa) di utilizzare benefici normativi per consentire anche alle imprese societarie contrassegnate dall’intuitus personae di attrarre capitali (si pensi alle maggiori possibilità di conferimento o alla emissione di titoli di debito). Ne è emerso quindi un tipo capitalistico “mutante” [[7]], non solo relativamente alla struttura organizzativa (carattere tipologico essenziale) ma anche per la struttura finanziaria. Al tempo stesso, di fronte al maggiore riconoscimento delle aree di autonomia privata, nell’ottica di trovare spazi di equilibrio nel sistema, si sono affermati alcuni orientamenti che hanno avuto innegabili riflessi sul tipo. Così, da un lato sono comparsi, all’indomani della riforma, alcuni indirizzi della giurisprudenza teorico-pratica che, valorizzando il concetto del modello concretamente adottato, hanno finito con lo sfumare i contorni tipologici: in tale direzione considerandosi, sia pure in via tendenziale, applicabile per analogia iuris e legis le norme delle società per azioni tutte le volte che l’opzione adottata appartenga al modello azionario (tra le prime e più significative sperimentazioni giurisprudenziali di questo metodo quella formatasi a proposito dell’invalidità delle deliberazioni consiliari [[8]]). Dall’altro lato, lo stesso legislatore della riforma del 2003 ha rafforzato l’iden­tità del tipo, rimarcando le peculiarità del nostro modello [continua ..]


5.

Proprio con riferimento a quest’ultimo aspetto si apprezza l’ardito spirito innovatore delle ultime riforme all’attenzione del presente convegno di studi, dalla notevole portata, sia per il sistema giuridico, sia sul versante applicativo a causa della vasta platea delle imprese cui si rivolge. Dal punto di vista sistematico il reticolato di disposizioni appare piuttosto intricato (confluito nel d.l. n. 179/2012 e successivamente modificato con il d.l. n. 3/2015 e con il d.l. n. 50/2017), e pullula di norme che rappresentano, per usare la terminologia del legislatore, «deroghe al diritto societario», ancorché ispirate dal diritto dell’UE e in particolare rispettose della raccomandazione 2003/361 CE sulla definizione della PMI. Questa, come è noto, prevede una fattispecie dall’ampio perimetro, estendendosi alle imprese che rientrano nei limiti di 250 dipendenti o alternativamente 50 milioni di fatturato o 43 milioni di attivo patrimoniale. Il dato concreto, da sottolineare, è che si tratta di quasi tutte le società a responsabilità limitate italiane. Per tratteggiare le linee principali delle innovazioni normative, che saranno oggetto partitamente delle successive relazioni, potrei così riassumere. In primo luogo, in funzione della sentita esigenza di agevolare le imprese dal carattere innovativo in particolari situazioni di stress economico-finanziario, il legislatore ha previsto che alle start-up innovative e alle PMI innovative anche in forma di società a responsabilità limitata – tale normativa vale anche per le società per azioni – si applichi la disciplina di favore in caso di perdite rilevanti superiori al terzo e oltre il minimo legale, garantendo tempi maggiori per minimizzare le perdite. In secondo luogo, per dotare anche le start-up innovative e le PMI innovative, nella forma di società a responsabilità limitata, di una struttura finanziaria pluriforme e a geometria variabile volta alla migliore canalizzazione e acquisizione di risorse (di debito o di quasi equity), ad esse si applica la disciplina che consente l’emissione di strumenti finanziari partecipativi (come prevista per le società per azioni). Infine, a tutte le PMI società a responsabilità limitata, grazie all’ultimo intervento [continua ..]


6.

Nel quadro delineato affiora, per divenire cruciale, il tema delle cautele preventive di fronte ai possibili abusi dello schermo societario da parte di soci e amministratori; tema che si snoda lungo direttrici già note [[13]], da armonizzare con le nuove opzioni concesse dal sistema. Nel tentativo di anticipare qualche ipotesi di lavoro e di soluzione, appare plausibile affermare che la questione dei contrappesi richieda una attività ermeneutica affine a quella che è stata già sperimentata allorché si è deciso di valorizzare la nozione del modello concreto, in applicazione per analogia iuris e legis delle norme delle società per azioni tutte le volte che la scelta adottata sia per il tipo azionario [[14]]. Così, confermando il principio di parità di trattamento in caso di suddivisione delle quote in diverse categorie; legando comunque il diritto di impugnazione delle delibere assembleari annullabili alla titolarità e alla legittimazione del diritto di voto; affermando l’opera­ti­vità dei limiti previsti dall’art. 2358 c.c. in caso di operazioni sulle proprie quote, o l’inammissibilità dei limiti alla circolazione delle partecipazioni in caso di società a responsabilità limitata aperta al mercato del capitale di rischio. Il ragionamento ora proposto mi appare convincente anche specularmente impostato, nel senso di considerare, altresì per le PMI, come norme di applicazione necessaria quelle previste (e caratterizzanti il tipo) per le società a responsabilità limitata di diritto comune, a tutela dell’equilibrio delle situazioni giuridiche soggettive: in particolare può ritenersi inderogabile il diritto individuale di consultare i libri sociali, o, ancora più a monte, inammissibile una struttura di quote solo standardizzate e necessaria la presenza delle quote tradizionalmente intese o, a questo punto, ordinarie. Il tema dei contrappesi infine potrebbe richiedere, in alcuni campi del nostro ordinamento, l’intervento mirato del legislatore, soprattutto sui controlli interni ed esterni in caso di apertura al mercato. Una prossima occasione potrà essere data dalla riforma del diritto della crisi di impresa con l’emanando Codice della crisi e della insolvenza nella parte dedicata al codice civile, dove attualmente si prevede, ritengo [continua ..]


7.

Mi sia consentita un’ultima riflessione di sistema, ed una previsione. A me sembra che, con le “nuove” società a responsabilità limitata PMI, non sia stato introdotto nell’ordinamento un tipo nuovo ed autonomo rispetto alle società a responsabilità limitata non PMI. Non sembrano ricorrere invero i presupposti di un tale riconoscimento da parte del legislatore: da un lato mancherebbe un nuovo – sufficientemente ampio ed autonomo – statuto normativo, tale da rappresentare un corpus disciplinare dalla adeguata “massa critica” [[16]]; dall’altro farebbe difetto un aggettivo qualificante atto a distinguerlo: non potrebbe tale aggettivo essere intravisto nelle sole caratteristiche quantitative di PMI, tratto in sé mutevole e – constatando il modello socio economico dominante: le PMI in Italia rappresentano la quasi totalità delle imprese – poco caratterizzante; né potrebbe essere dato a mio avviso dalla (solo potenziale) standardizzazione delle partecipazioni e dall’apertura al mercato del capitale di rischio, che, del resto opzionali, si presentano come elementi comuni alle società azionarie. Appare invece più corretto ritenere che dalla comune base causale, di natura mista o eterogenea, e dal correlativo principio della elasticità possano derivare e de­clinarsi, dall’unico tipo, sottotipi o modelli di società a responsabilità limitata contrassegnati da norme speciali, peraltro suppletive. Giungo alla fine con una considerazione di prospettiva. Come in ogni evoluzione ove il beneficio, se comunemente apprezzato dal punto di vista socio-eco­nomico, viene generalizzato dal legislatore, è prevedibile che tutte le società a responsabilità limitata, indipendentemente dalla speciale qualificazione di PMI, ne beneficino, divenendo quindi tali norme, con gli opportuni contrappesi, diritto comune. Ed anzi sarebbe auspicabile una estensione di tali benefici, consentendo a tutte ciò che è in parte precluso (come la emissione di strumenti finanziari partecipativi). Anche in questa prospettiva – la già oggi suadente – base opzionale, arricchita della struttura partecipativa e finanziaria sopradetta, rende probabile la tendenza alla trasformazione da società per azioni in società a responsabilità [continua ..]


NOTE