<p>Il diritto della crisi e dell'insolvenza - Jorio</p>
Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Le operazioni sulle proprie partecipazioni nelle s.r.l.-P.M.I. (di Marco Maltoni)


Il contributo propone una ricostruzione della disciplina dell’acquisto e della sottoscrizione di quote proprie, facoltà concesse, entro determinati limiti, alle S.r.l. qualificabili come P.M.I., in deroga al divieto di cui all’art. 2474 c.c.

Transaction on its shares in Limited Liability Companies-SMEs

This is an overview of regulations on the purchase and subscription of own shares; these transactions are possible, within certain limits, for Limited Liability Companies, categorized as SMEs, despite the provision in art. 2474 of the Italian Civil Code.

KEYWORDS Own shares – Purchase oh own shares – Subscription of own shares.

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SOMMARIO:

1. - 2. - 3. - 4. - 5. - 6. - 7. - NOTE


1.

Ai sensi dell’art. 26 del d.l. n. 179/2012 [[1]], le società a responsabilità qualifica­bili come P.M.I. sono esentate dal divieto sancito nell’art. 2474 c.c. [[2]] a condizione che l’operazione sia posta in essere in attuazione di piani di incentivazione che pre­vedano l’assegnazione di quote di partecipazione a dipendenti, collaboratori o componenti dell’organo amministrativo, prestatori d’opera e servizi anche professionali. Il divieto resta dunque vigente, senza deroghe, solo per le società del medesimo tipo che non possano qualificarsi come P.M.I. Per queste ultime, quello stesso divieto resta vigente con la sola eccezione testualmente prevista; la coscienza dell’ampiezza effettiva dell’esenzione non è scevra di implicazioni sul piano esegetico.


2.

Preliminarmente, la norma stimola qualche considerazione in merito alla ratio del divieto assoluto di cui all’art. 2474 c.c., da sempre oggetto di polemica dottrinale [[3]]. La previsione dell’art. 26 del d.l. n. 179/2012 costringe quantomeno a ripensare la tesi che ne ravvisava il fondamento nella tecnica di rappresentazione delle partecipazioni [[4]]. Il dato normativo preclude la possibilità di continuare ad invocare, in proposito, il principio della “confusione” di cui all’art. 1253 c.c., “in base al quale la coincidenza in capo allo stesso soggetto della qualità di creditore e debitore di un medesimo rapporto comporta l’estinzione del rapporto, principio che in materia societaria si traduce “nella proposizione suggestiva per cui la società “non può essere socia di sé stessa” [[5]]: oggi, anche la s.r.l. può essere socia di sé stessa senza che il rapporto sociale si dissolva. Ne deriva che sul piano argomentativo non fa più premio nemmeno il ricorso alla logica funzionale dei modelli, secondo la quale anche in caso di mancata emissione di titoli la differenza di trattamento fra s.p.a. e s.r.l. rimarrebbe comunque giustificata “dalle caratteristiche di oggettivazione, spersonalizzazione e destinazione alla circolazione che la partecipazione azionaria mantiene anche in assenza di incorporazione in un titolo e che mancano invece completamente nella quota di s.r.l., la quale risulta pertanto inidonea a costituire oggetto di quei programmi di acquisizione e successivi nuovi trasferimenti che rappresentano l’essenza dell’operazione qui considerata e che presuppongono per ciò stesso l’esistenza di prodotti finanziari facilmente scambiabili sul mercato” [[6]]. In definitiva, la disposizione del sesto comma dell’art. 26 del d.l. n. 179/2012 conforta la tesi per la quale il divieto assoluto di cui all’art. 2474 c.c. si spiega solo come scelta di politica legislativa [[7]] (come peraltro ogni norma) e pertanto può essere soppresso o ridimensionato alla luce degli obiettivi economici che il legislatore persegue. Emerge attualmente l’interrogativo di quale sia l’influenza esercitata dall’am­biente sistematico della società a responsabilità limitata, quale fino ad ora comunemente delineato, nella ricostruzione della [continua ..]


3.

Il legislatore si è premurato di concedere l’esenzione, ma non di offrire, nemmeno tramite rinvio, una disciplina alle fattispecie riunite sotto la definizione breviloquente di “operazioni sulle proprie quote”. Può forse essere utile rilevare che quell’esenzione non è nuova, ma alberga nell’ordinamento fin dall’ottobre del 2012, con la stessa formulazione e quindi con gli stessi problemi interpretativi ed applicativi. Ciò che è cambiato, a decorrere dal­l’agosto 2017, è solo il numero delle società a responsabilità che possono avvalersene, drasticamente ampliato. Infatti, se fino a quella data (per quasi cinque anni) si trattava di possibilità concessa solo alle s.r.l. qualificate “start up innovative”, ora è condizione necessaria e sufficiente rientrare, in ragione dei parametri economici, nel novero delle P.M.I., con l’effetto (da molti già segnalato) di rendere tale opzione fruibile alla maggior parte delle società a responsabilità italiane, oltretutto senza i limiti di tempo certi e relativamente brevi imposti nell’art. 31 del d.l. n. 179/2012 alla qualificazione della società come “start up innovativa”. Sennonché, una rapida ricognizione del materiale interpretativo prodotto con riferimento alla disciplina della start up innovativa in forma di s.r.l. segnala lo scarso interesse della dottrina per la norma in oggetto [[9]] ed una maggior attenzione dei regolatori, segnatamente del Ministero dello Sviluppo Economico, che, al fine di incentivare l’applicazione dell’istituto, ha emanato il 24 marzo 2014 una “Guida all’uso dei piani azionari e del work for equity” (a cui ha fatto seguito un “modello commentato di piano di incentivazione in equity per la start up innovativa e l’incubatore certificato”), il cui esame può offrire utili spunti di riflessione [[10]].


4.

Innanzitutto, perché una società a responsabilità limitata possa avvalersi della deroga al divieto sancito nell’art. 2474 c.c. deve essere qualificabile come P.M.I. A tale fine sembra sia necessario rivolgersi alla nozione desumibile dalla “Raccomandazione della Commissione Europea del 6 maggio 2003 relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese (Racc. 2003/361/CE)” [[11]], recepita dal legislatore italiano con decreto del Ministero Attività Produttive 18 aprile 2005, n. 238, nozione fondata su dati economici, ai sensi della quale sono piccole-medie imprese (P.M.I.) quelle che hanno a) meno di 250 occupati e b) un fatturato annuo (ricavi delle vendite e delle prestazioni) non superiore a euro 50 milioni, oppure un “totale di bilancio” annuo (totale attivo patrimoniale) non superiore a 43 milioni di euro. Il presupposto della qualificazione cela un limite, (paradossalmente) rappresentato dallo sviluppo economico dell’impresa, che se evolve in grande impresa perde la qualifica di P.M.I. e con essa il diritto di avvalersi dell’esenzione, avendo tuttavia la forza di accedere, mediante la trasformazione in s.p.a., ad uno strumentario organizzativo più vasto e completo, che comprende naturalmente anche la facoltà concessa nel sesto comma dell’art. 26 in commento [[12]].


5.

Il secondo presupposto di legittimità richiesto è di natura funzionale: occorre che sia stato preventivamente approvato dall’organo amministrativo un piano di incentivazione, di cui l’operazione sulle proprie quote, sottoposta all’assemblea, si presenta come fase attuativa. Anche la carenza del presupposto funzionale mina irrimediabilmente la legittimità delle operazioni poste in essere in deroga al divieto di cui all’art. 2474 c.c. Assai rilevante, in tal senso, è la qualifica soggettiva dei destinatari del piano: dipendente, collaboratore, componente dell’organo amministrativo, prestatori d’o­pe­ra o di servizi professionali. Per tale motivo, vale forse la pena soffermarsi sulla loro corretta identificazione, poiché si riflette sulla validità degli atti conseguenti aventi ad oggetto quote proprie. Occorre partire dalla logica sottesa alla norma, che è quella di favorire la remunerazione dei beneficiari, i quali pertanto dovranno essere legati alla società da un rapporto contrattuale che preveda, quale parte del corrispettivo loro spettante, l’as­segnazione di quote o il diritto di sottoscriverle con facilitazioni messe in atto dalla stessa società, anche in chiave incentivante il conseguimento di puntuali obiettivi aziendali. Se la qualifica di amministratore è nitida, con la precisazione che deve trattarsi degli attuali amministratori e che non rileva la ricorrenza di un rapporto di lavoro dipendente con la società medesima, la prassi applicativa [[13]] ritiene che possano essere – ed, ai fini della legittimità delle operazioni sulle proprie quote, debbano essere – beneficiari del piano di incentivazione: i) dipendenti anche se a tempo determinato o part-time; ii) collaboratori continuativi, quali, per esempio, direttori generali, o lavoratori a progetto; iii) i consulenti, i professionisti ed in generale i fornitori di opere o servizi, categoria assai ampia che si presta a comprendere anche colui che concede in locazione i locali nei quali si svolge l’attività dell’impresa. L’ultima categoria è ampia, ma non amplissima: sono infatti esclusi i fornitori di beni. Giova forse rappresentare che il modello proposto è definito “work for equity”, e secondo la prassi perseguirebbe lo scopo di remunerare i beneficiari mediante [continua ..]


6.

L’attuazione del piano di incentivazione potrebbe richiedere l’acquisto di quote proprie [[14]]. È valutazione condivisa [[15]] che la situazione organizzativa che consegue alla legittimità della fattispecie negoziale avente tale oggetto solleva le medesime questioni rilevate e risolte nella s.p.a.: a) quella della tutela dell’integrità del capitale sociale, nell’interesse preminente dei creditori ma anche dei soci; b) quella del rispetto del principio di parità di trattamento fra soci; c) quella della correttezza del­l’operato degli amministratori, per evitare che assumano iniziative volte a consolidare la loro posizione o a favorire l’ingresso o il rafforzamento di soggetti a loro vicini allo scopo di manovrare l’assemblea. A tale constatazione si aggiunga che, in termini generali, era già stato notato che le immunità dal diritto comune concesse alle s.r.l. prima start up innovative, ora P.M.I., “sbiadiscono, nel loro complesso, la separazione tra i tipi socio-economici della società per azioni e della società a responsabilità limitata” [[16]], notazione, quest’ultima, che orienta decisamente verso un’integrazione del regime dell’im­presa s.r.l.-P.M.I. con quello della società per azioni. Dunque, sembra un approdo inevitabile l’applicazione analogica delle norme degli artt. 2357 e 2357-ter c.c. Si tratta allora di verificare i limiti di compatibilità di una disciplina disegnata per la spa con il modello organizzativo della s.r.l., al fine di valutare la necessità di adattamenti. Non mi pare che necessiti di particolari dimostrazioni l’affermazione della ricorrenza, anche nella s.r.l., della stessa esigenza di tutela del capitale sociale che ricorre nella s.p.a., non fosse altro per la sostanziale equivalenza delle regole che presiedono alla sua formazione ed alla sua conservazione: ne consegue che l’a-quisto dovrà avere per oggetto quote interamente liberate e dovrà essere contenuto nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’u-timo bilancio, ai sensi dell’art. 2357, 1° comma, c.c. [[17]]. Visto quanto disposto dall’art. 2479 c.c., l’acquisto di quote proprie può essere autorizzato non solo mediante delibera assembleare, ma anche facendo [continua ..]


7.

L’esenzione dal divieto dell’art. 2474 c.c. rende legittima anche la scelta di accordare prestiti o fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione di proprie quote [[24]], purché in rapporto funzionale con l’attuazione del piano di incentivazione, come più volte ricordato. Il già evocato processo di avvicinamento fra modelli induce ad assumere come disciplina di riferimento quella prevista nell’art. 2358 c.c., seguendo il percorso interpretativo già tracciato dalla dottrina [[25]] e dalla prassi [[26]]. La norma richiamata stabilisce le condizioni che legittimano la società a prestare assistenza finanziaria per l’acquisto o la sottoscrizione di proprie azioni, attività che sarebbe diversamente vietata, con conseguente nullità degli atti posti in essere. Dette condizioni hanno natura talora procedimentale, talora sostanziale, ed infine patrimoniale [[27]]. Si richiede, infatti, che i) l’operazione sia autorizzata dall’assemblea straordinaria, ii) sulla base di una relazione dell’organo amministrativo, iii) che deve descriverne compiutamente il contenuto economico fornendo le informazioni indicate dalla legge stessa; iv) infine, il 6° comma stabilisce un limite patrimoniale, prevedendo che l’importo delle somme impiegate o delle garanzie fornite non deve eccedere l’ammontare delle riserve disponibili e degli utili distribuibili. Giova evidenziare, soprattutto se osservata dall’angolo prospettico del sesto comma dell’art. 26 del d.l. n. 179/2012, che la disciplina sintetizzata non si applica se non limitatamente al limite patrimoniale (di cui all’art. 2358, 6° comma, c.c.) allorché il prestito o la garanzia siano destinati a dipendenti della società; è invece resa più severa, qualora destinatari dell’operazione siano singoli amministratori. Si dice comunemente che la facilitazione prevista nell’ottavo comma dell’art. 2358 c.c. è volta ad agevolare l’azionariato dei dipendenti; che in tal senso della stessa deroga possano fruire anche gli amministratori e i direttori generali qualora siano anche dipendenti, e rilevi la loro qualità di appartenenti a tale classe a parità di condizione con tutti gli altri appartenenti alla medesima classe [[28]]. Visto le condizioni, funzionali e [continua ..]


NOTE