Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Il diritto di recesso nelle società c.d. benefit (di Maria Vittoria Zammitti)


Il presente contributo si propone di analizzare la vigente disciplina delle società benefit, verificando se l’adozione e l’abbandono di tale qualifica costituiscano una causa di recesso nelle forme delineate dal codice civile per i diversi modelli societari, anche ricorrendo all’analisi delle soluzioni adottate da altri ordinamenti europei ed oltreoceano.

In particolare, partendo dall’inquadramento dell’acquisizione della qualifica di benefit da parte di una società inizialmente costituitasi quale ente for profit e dell’in­versa ipotesi di società benefit che decide di rimuovere dal proprio atto costitutivo o dal proprio statuto le finalità di public benefit, assumendo uno scopo esclusivamente lucrativo, il lavoro indagherà le conseguenze di tali operazioni sul diritto di recesso dei soci ad esse non consenzienti, sia nell’ambito delle società di persone che delle società di capitali.

The right to withdraw in so-called benefit corporations

This essay will examine legislations on benefit corporations across Europe and the US, through a focus on whether or not elections by a corporation – or any other entity – to become a social purpose corporation or to cease to be one entail the arising of a right to withdraw on dissenting shareholders.

Starting with the analysis of the legal framework, which applies to operations such as conversions from a for-profit corporation to a benefit corporation or the other way around, the essay will investigate their effects on the right to withdraw of dissenting shareholders both on unincorporated business entities and on corporations.

SOMMARIO:

1. Lacune ed incertezze della disciplina del diritto di recesso nella società benefit. - 2. L’exit del socio non consenziente alla delibera di modifica dell’oggetto sociale in senso benefit o in senso esclusivamente for profit nel panorama internazionale - 3. Implicazioni dell’assunzione o della perdita della qualifica di benefit sul diritto di recesso nelle società di persone - 4. (Segue). Nelle società per azioni e nelle società a responsabilità limitata - NOTE


1. Lacune ed incertezze della disciplina del diritto di recesso nella società benefit.

La disciplina della società c.d. benefit (ex art. 1, 376° comma e ss., legge 28 dicembre 2015, n. 208, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, legge di stabilità 2016”), fin dalla sua introduzione oggetto di motivate perplessità e scetticismi [1], nonostante sia già passato qualche anno dalla sua introduzione lascia ancora aperti vari interrogativi. Essa invero si trova al centro di un ampio dibattito nazionale ed internazionale [2], collocandosi tra quegli istituti, ormai sempre più numerosi, volti alla attuazione e allo sviluppo delle teorie della responsabilità sociale d’impresa [3], e coinvolgendo (principalmente, ma non solo) studiosi impegnati nell’analisi del ruolo sociale della grande impresa azionaria [4]. In questo quadro, malgrado la letteratura sul tema sembri arricchirsi di sempre nuovi contributi, il modello benefit, che consente alle società di perseguire, in aggiunta allo scopo lucrativo, finalità di beneficio comune [5] – sia tramite la produzione di esternalità positive che tramite l’eliminazione di quelle negative [6] – non pare aver d’altronde trovato particolare successo applicativo nel nostro ordinamento, soprattutto tra le grandi società per azioni [7]. La scarsa propensione della grande impresa all’uso della struttura societaria di tipo benefit (se di struttura possa parlarsi [8]) potrebbe essere dovuta, da una parte, all’assenza di un sistema di benefici ed espressi vantaggi di cui l’ente possa godere una volta convertitosi in benefit; e, dall’altra, alle lacune della legge di stabilità circa alcuni aspetti fondamentali di tale modello. Dal primo punto di vista, pur potendosi sostenere che l’assunzione della qualifica di benefit debba nascere dalla volontà altruistica dell’imprenditore, che, in conformità alle moderne teorie della corporate social responsibility [9], dovrebbe ambire alla promozione e alla tutela anche di interessi terzi («persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse» [10]), prescindendo in quest’ambito da qualsivoglia ritorno economico [11], non può [continua ..]


2. L’exit del socio non consenziente alla delibera di modifica dell’oggetto sociale in senso benefit o in senso esclusivamente for profit nel panorama internazionale

Prima di procedere all’analisi dei casi concretamente prospettabili di conversione in senso benefit di una società di persone o di una società di capitali e dell’ipotesi inversa, è opportuno verificare se sia possibile rinvenire, in altri Paesi, una disciplina del diritto di recesso del socio non consenziente alle relative delibere. Si noti, in primo luogo, che neppure l’ordinamento statunitense, come detto terra d’origine delle benefit corporation [33], sembra prevedere un sistema normativo unitario relativo ai “dissenters’ rights” [34], che restano in molti casi regolati dalle norme ordinarie del diritto di recesso previste dai singoli Stati [35]. Il tema è, anche qui, al centro di un ricco dibattito che vede contrapposti, da una parte, gli Autori che ritengono che il silenzio della c.d. Model Benefit Corporation Legislation in merito al diritto di recesso si giustifichi in ragione della già ricordata esigenza di protezione della società da improvvise crisi di liquidità derivanti dall’esercizio di tale diritto al di fuori delle ipotesi ordinarie [36] e, di conseguenza, in ragione del timore che la previsione di nuove ed ulteriori ipotesi di recesso possano tradursi in effetti dissuasivi dall’adozione del nuovo modello societario [37]; e, dall’altra parte, si colloca chi ritiene che un tale timore non sia giustificato e che (quanto meno) la conversione in benefit non possa che essere accompagnata dalla garanzia dell’exit dei “dissenting members”. Si è detto, invero, che “if converting to a benefit corporation was a prudent strategy, new shareholders could be found to buy out any dissenters” [38]. La stessa divergenza di soluzioni si individua nel panorama legislativo dei diversi Stati federati. Infatti, nonostante le singole legislazioni benefit ricalchino in larga misura i tratti della normativa “modello” – ad esempio, nella parte in cui stabiliscono che la “trasformazione” in benefit corporation debba essere deliberata con il voto favorevole dei 2/3 del capitale [39] e che la perdita di tale status debba essere adottata «by at least the minimus status vote» [40], così da assicurare che “significant shareholder consensus [continua ..]


3. Implicazioni dell’assunzione o della perdita della qualifica di benefit sul diritto di recesso nelle società di persone

Sembra, pertanto, che l’unico modo per ricostruire le conseguenze della conversione in benefit o della perdita di tale qualifica sul socio che non ha concorso (in quanto assente, dissenziente o astenuto) alla formazione della relativa delibera assembleare di ampliamento o riduzione dell’oggetto sociale, sia quello di ricorrere alla disciplina generale del diritto di recesso, che, come pure rilevato, si colloca tra l’esigenza di tutela dell’integrità del patrimonio sociale e il bisogno di finanziamento[64]. Tale disciplina è variamente formulata dal legislatore a seconda del tipo sociale. È dunque opportuno verificare le conseguenze che la modifica in benefit o che l’abbandono degli scopi di utilità sociale producono sul diritto di exit, distinguendo (quanto meno, in un primo momento) i casi in cui l’ente che vi proceda sia una società di persone o una società di capitali. Come risaputo, nell’ambito delle società di persone, il legislatore ha previsto, all’art. 2252 c.c., che tutte le modifiche – tanto quelle aventi ad oggetto elementi oggettivi dell’atto costitutivo (tra le quali si colloca il mutamento dell’oggetto sociale), quanto quelle relative ad elementi soggettivi – vadano assunte all’una­ni­mità [65]. La norma fa comunque salvi i casi in cui non sia diversamente convenuto dai soci, che sono liberi di derogare al principio unanimistico attraverso l’intro­duzione di una clausola di maggioranza; clausola che se, da una parte, rende certamente più agevole e snello il soddisfacimento di un’esigenza modificativa che può nascere nel corso della vita dell’ente [66], dall’altra pone il problema dell’operatività del diritto di recesso del socio non consenziente [67]. In merito a tale diritto, l’art. 2285 c.c. notoriamente distingue tra società a tempo indeterminato e società a tempo determinato (o contratta per tutta la vita di uno dei soci), nel primo caso, stabilendo che il socio possa recedere in ogni tempo, dandone comunicazione con un preavviso di almeno tre mesi, mentre, nel secondo caso, subordinandone la validità alla sussistenza di una giusta causa o di una apposita previsione dell’atto costitutivo. Il contratto sociale potrà invero precisare il contenuto del diritto di [continua ..]


4. (Segue). Nelle società per azioni e nelle società a responsabilità limitata

Per quanto attiene all’introduzione o all’abolizione di clausole benefit nell’atto costitutivo o nello statuto di una società di capitali, i riferimenti normativi da cui partire sono, come già ricordato, l’art. 2437 c.c. per le società per azioni [88] e l’art. 2473 c.c. per le società a responsabilità limitata. In entrambi casi, si tratta di verificare se il mutamento dello scopo sociale in senso benefit o in senso esclusivamente for profit possa essere inquadrato tra le ipotesi, specificamente individuate dal legislatore, che legittimano l’esercizio del diritto di recesso del socio che non ha concorso alla relativa delibera. Già da una prima lettura delle norme indicate, è possibile restringere il campo d’indagine a due principali cause di recesso inderogabili: la modifica della clausola dell’oggetto sociale (art. 2473, 1° comma, c.c.), cui, nelle società per azioni, deve conseguire, «un cambiamento significativo dell’attività della società» (art. 2437, 1° comma, lett. a), c.c.) e le modifiche dello statuto che concernono i diritti di partecipazione (artt. 2437, comma 1, lett. g). A differenza di quanto disposto per la s.p.a., il legislatore non ha previsto – quanto meno, espressamente – per la s.r.l., ai fini dell’operatività della causa legale di recesso, che la modificazione della clausola contenente l’oggetto sociale debba comportare un mutamento dell’attività sociale che sia significativo [89]. La lacuna è stata variamente interpretata: secondo alcuni, l’assenza di tale requisito è frutto di una consapevole scelta del legislatore, di modo che, perché sorga il diritto di recesso, sarebbe sufficiente il mero dato formale di una delibera di modificazione della clausola contenente l’oggetto sociale (a prescindere dunque da valutazioni sostanziali sulla “significatività” del cambiamento apportato) cui il socio non ha prestato consenso [90]. E, ancora, non sarebbe necessaria una vera e propria sostituzione del­l’oggetto sociale originario, ma sarebbero sufficienti un suo ampliamento o una sua riduzione [91]. Aderendo a questa impostazione, allora, il socio di una società a responsabilità limitata avrebbe diritto di recedere [continua ..]


NOTE