CASSAZIONE CIVILE, Sez. I, 26 giugno 2014, n. 14552. – Rordorf Presidente – Bernabai Relatore – P.M. (conf.) – Costruzioni generali scavi s.r.l. unipersonale in liq. c. Sicef società italiana costruzioni Edilferro s.p.a. e altro
Conferma App. Milano del 21 gennaio 2013, n. 228.
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Concordato preventivo – Poteri del giudice – Revoca dell’ammissione – Atti in frode ex art. 173 legge fall. – Conoscenza dei creditori che esprimono il voto
(Artt. 162, 173, 180 legge fall.)
L’accertamento, ad opera del commissario giudiziale, di atti di occultamento o di dissimulazione dell’attivo, della dolosa omissione della denuncia di uno o più crediti dell’esposizione di passività insussistenti o della commissione di altri atti di frode da parte del debitore determina la revoca dell’ammissione al concordato, a norma dell’art. 173 della legge fallimentare, indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza e quindi anche nell’ipotesi in cui i creditori medesimi siano stati resi edotti di quell’accertamento. (1)
(II)
CASSAZIONE CIVILE, Sez. I, 4 giugno 2014 n. 12533. – Rordorf Presidente – De Chiara Relatore – P.M. (diff.) – Telemania S.r.l. c. Soc. elettrodomestici
Cassa App. Caltanissetta del 14 febbraio 2011.
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Concordato preventivo – Poteri del giudice – Revoca dell’ammissione in assenza di opposizioni – Atti in frode ex art. 173 legge fall. – Nozione
(Artt. 162, 173, 180 legge fall.)
Il tribunale, anche in assenza di opposizioni, è titolare del potere di negare l’omologazione di un concordato preventivo laddove rilevi l’esistenza di atti in frode ai creditori che, ai sensi dell’art. 173 legge fall., implicano la revoca dell’ammissione. (2)
(I)
ESPOSIZIONE DEL FATTO
Con sentenza del 19 giugno 2012 il Tribunale di Busto Arsizio dichiarò il fallimento della Costruzioni Generali Scavi s.r.l., su istanza della Sicef-Società Italiana Costruzioni Edilferro s.p.a., dopo avere rigettato con decreto coevo una domanda di omologazione di concordato preventivo presentata dalla medesima Costruzioni Generali Scavi. Il successivo reclamo della fallita fu respinto dalla Corte d’appello di Milano con sentenza del 21 gennaio 2013. La corte osservò che solo dalla lettura della relazione del commissario giudiziale ex articolo 172, L.F., i creditori erano venuti a conoscenza del fatto che la società debitrice, già in situazione finanziaria critica, aveva distribuito utili, in forza della delibera assembleare del 6 ottobre 2010, per il rilevante ammontare di euro 430.000,00; che, inoltre, la società aveva definito un contenzioso in corso, avente ad oggetto un appalto da essa eseguito, mediante una transazione di contenuto pregiudizievole, con cui era stata riconosciuta alla committente Leonida’s House s.p.a. la somma di euro 1.886.000,00 per lavori non eseguiti ed una penale per il ritardo, laddove, in considerazione delle proroghe ottenute e dei difetti contestati ma non accertati, sarebbe stato solo giustificato un minore addebito di euro 300.000; che, per di più, opere extra contratto per il valore di euro 3.586.000,00, oltre all’Iva, erano state ivi compensate con il ben più modesto importo di euro 786.000,00; che neppure era stata indicata, nella proposta di concordato preventivo, l’esistenza di ulteriori crediti vantati da due società per complessivi euro 500.000,00, a nulla rilevando che tali crediti fossero contestati e non accertati giudizialmente. In tali comportamenti la corte territoriale, anche alla luce degli stretti rapporti della Costruzioni Generali Scavi con la committente Leonida’s House e della stipulazione dell’anzidetta transazione in data pressoché contemporanea alla presentazione del ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato, ravvisò atti fraudolenti idonei a determinare la revoca dell’ammissione al concordato preventivo in base alla previsione della L.F., citato articolo 173. Avverso questa sentenza, notificata il 13 febbraio 2013, la Costruzioni Generali Scavi ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. La Sicef-Società Italiana Costruzioni Edilferro ha resistito con controricorso. La curatela del fallimento non ha svolto invece attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese processuali, liquidate in complessivi euro 8200,00, di cui euro 8000,00 per compenso, oltre agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della stessa ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato articolo 13, comma 1 bis. Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2014. Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2014
(II)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’appello di Caltanissetta ha respinto il reclamo proposto dalla Telemania s.r.l., dedita al commercio di prodotti elettronici e telematici, avverso il decreto con cui il Tribunale della stessa città aveva negato l’omologazione del concordato preventivo proposto ai creditori nell’aprile 2009 dalla società reclamante, alla quale ha ascritto comportamenti fraudolenti, ai sensi della L.F., articolo 173 emergenti da una serie di irregolarità quali: l’intestazione del 99% delle quote a una signora mai interessatasi dell’azienda; il ritardato deposito dei bilanci del 2005 e del 2007, l’omesso deposito del bilancio 2006 e la mancata presentazione e approvazione del bilancio 2008, relativi proprio agli anni della crisi dell’impresa; l’irregolare tenuta dei registri IVA, del registro degli acquisti, del registro dei corrispettivi e del registro riepilogativo; la vendita all’ingrosso sottocosto delle rimanenze di magazzino senza fatturazione e senza autorizzazione ai sensi del Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 114, articolo 15; la mancata adozione dei provvedimenti conseguenti alla riduzione del capitale sociale al disotto del limite legale. La Telemania s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione articolando due motivi di censura, illustrati anche con memoria. Non hanno resistito gli intimati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese alla Corte d’appello di Caltanissetta in diversa composizione. Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2014. Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2014.
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1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. I precedenti giurisprudenziali e la dottrina - 3.1. Il potere di controllo del giudice sulla “fattibilità” del concordato preventivo - 3.2. La definizione degli atti in frode rilevanti ai fini della revoca dell’ammissione al concordato preventivo - 3.3. Le ragioni dell’orientamento giurisprudenziale relativo agli “altri atti in frode” - 3.4. Il potere di revocare il concordato in presenza di un voto espresso in maniera consapevole dai creditori - 3.5. Il rapporto tra “atti in frode” e “abuso del diritto” - 4. Il commento. Conclusioni e possibile utilizzo dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori - NOTE
Le sentenze in commento affrontano la questione della valutazione degli atti in frode compiuti dal debitore, ai sensi dell’art. 173 legge fall., ai fini della revoca dell’ammissione al concordato preventivo. Nel caso deciso da Cass. n. 12533/2014, la società debitrice, ricorrente in Cassazione, censurava il decreto con cui il Tribunale aveva respinto l’omologazione del concordato preventivo, qualificando determinati atti quali “atti in frode” ai sensi dell’art. 173 legge fall., idonei a determinare l’interruzione della procedura. Gli atti in questione riguardavano, oltre all’intestazione del 99 per cento delle quote ad una signora disinteressata all’andamento della società, mere irregolarità, avvenute negli anni della crisi di impresa, consistenti in “mancate presentazioni e approvazioni di bilanci” e “irregolare tenuta dei registri contabili”. I ricorrenti denunciavano altresì la violazione, da parte del giudice di merito, degli artt. 162, 2° comma, 173 e 180 legge fall., posto che, in assenza di opposizioni da parte del ceto creditorio, sarebbe preclusa al giudice, la possibilità di qualificare determinati atti quali atti in frode. Nella prospettiva della società ricorrente, un intervento di questo tipo da parte del giudice si risolverebbe, evidentemente, in un giudizio di merito ormai precluso dalla nuova disciplina legislativa. Secondo lo spirito delle recenti riforme, il ruolo del giudice, soprattutto in assenza di opposizioni, consisterebbe in un mero riscontro formale della correttezza dei dati e dei documenti presentati nel corso della procedura. Le scelte riguardanti il merito spetterebbero, invece, solo ai creditori, adeguatamente informati e messi in condizione di manifestare la propria volontà in modo consapevole. La Suprema Corte ha invece stabilito che il giudice non può limitarsi ad un controllo formale sulla procedura, ma, pur in assenza di opposizioni dei creditori, deve negare l’omologazione in presenza di circostanze che è in grado di rilevare e che implicherebbero la revoca dell’ammissione del concordato preventivo (atti in frode o la mancanza della condizioni di ammissibilità, accertata nel corso della procedura). La Cassazione ha ritenuto tuttavia il ricorso fondato sotto il profilo della qualificazione degli altri atti in frode ai sensi [continua ..]
Le sentenze in commento affrontano la questione della valutazione degli atti in frode compiuti dal debitore, ai sensi dell’art. 173 legge fall., ai fini della revoca dell’ammissione al concordato preventivo. L’art. 173 legge fall. [3] com’è noto, disciplina il procedimento incidentale della revoca del concordato preventivo, su iniziativa del commissario giudiziale, nel caso in cui quest’ultimo “accerti” il compimento da parte del debitore di atti volti a compromettere la corretta e consapevole formazione della volontà dei creditori, compiuti antecedentemente o successivamente all’apertura della procedura, quando tali atti comportino il venir meno delle condizioni di ammissibilità [4]. Un dato dal quale muovere consiste nel ritenere che l’elenco contenuto nella norma non abbia carattere tassativo, in virtù della presenza della citata previsione sugli “altri atti in frode” che svolge la funzione di clausola di salvaguardia.
Le pronunce riportate contribuiscono a chiarire l’estensione dell’ambito di applicazione della disciplina, e si pongono sulla scia del significativo indirizzo giurisprudenziale inaugurato dalle Sezioni Unite nel 2013, che ha messo in risalto l’esigenza di tenere conto degli interessi dei soggetti ipoteticamente non aderenti alla proposta, ma comunque esposti agli effetti di una sua non condivisa approvazione, finendo per accentuare i margini di intervento del giudice in chiave di garanzia. La prima questione affrontata da Cass. n. 12533/2014 attiene ai limiti di intervento della Corte di merito in sede di controllo sulla procedura in mancanza di opposizioni da parte dei creditori. Sul punto, come detto, è recentemente intervenuta la Suprema Corte a Sezioni Unite, la quale ha riconosciuto la competenza del giudice di esercitare il controllo sulla fattibilità del concordato preventivo e ha delineato i contenuti del relativo giudizio. In questa sede, giova soltanto ricordare che, secondo i giudici di legittimità, il giudizio di fattibilità consiste in una valutazione prognostica circa la realizzabilità del piano nei termini prospettati e l’adempimento da parte dell’imprenditore [5]: esso coinvolge due valutazioni, una sulla fattibilità “economica” e l’altra sulla fattibilità “giuridica” [6]. Il giudizio sulla fattibilità giuridica compete al giudice, chiamato a valutare la realizzabilità sul piano legale della proposta. Volendo utilizzare un esempio addotto dalle Sezioni Unite, sarebbe inammissibile – e, quindi, “non fattibile” da un punto di vista giuridico – un piano che preveda la cessione di beni altrui. Il suddetto giudizio spetta al giudice del merito poiché, nonostante l’accentuazione del carattere privatistico della procedura, con la riforma non sono stati eliminati gli elementi pubblicistici “suggeriti” – riprendendo i termini adoperati dalle Sezioni Unite – “dall’avvertita esigenza di tener conto anche degli interessi di soggetti ipoteticamente non aderenti alla proposta, ma comunque esposti agli effetti di una sua non condivisa approvazione, ed attuati mediante fissazione di una serie di regole processuali inderogabili, finalizzate alla corretta formazione dell’accordo tra debitore e creditori, nonché con il potenziamento dei [continua ..]
La questione principale su cui si soffermano i giudici di legittimità attiene quindi alla definizione degli “altri atti in frode”, di cui all’art. 173, 1° comma, legge fall. Eppure, la giurisprudenza fallimentare tende a non discostarsi dalle fattispecie individuate dal legislatore, tralasciando un’interpretazione sistematica che tenga conto del concetto di frode in uso in altri settori dell’ordinamento. Secondo una prima definizione, l’atto in frode è un atto doloso che pregiudica le ragioni dei creditori [10]. Ovviamente, essendo difficile immaginare che un soggetto nel settore del diritto fallimentare possa compiere un atto al solo fine di ledere prerogative altrui, appare condivisibile la tesi secondo cui l’atto in frode è anche quello compiuto dal debitore al fine di ottenere un vantaggio, con la consapevolezza di arrecare un danno alle aspettative dei propri creditori [11] (ad esempio, alla semplice garanzia patrimoniale di cui all’art. 2740 c.c.). L’atto in frode disciplinato dall’art. 173 legge fall. non sembra coincidere integralmente con la nozione di carattere generale. Come si è detto, la disposizione prevede infatti alcuni casi da considerare rilevanti per la revoca dell’ammissione al concordato (occultamento di parte dell’attivo, mancata denuncia di crediti, esposizione di passività insussistenti), offrendo al giudice un margine di discrezionalità con riguardo all’individuazione degli altri atti in frode. Dalla casistica si evince come l’elemento che accomuna gli atti menzionati dalla norma sia l’idoneità a determinare un’errata percezione della realtà da parte dei creditori, facendo sì che la volontà da essi manifestata sia viziata, in quanto non formata su dati reali [12]. In altri termini, il comune denominatore di tali atti, compiuti con dolo, si sostanzia nella capacità di trarre in inganno i creditori ed impedire che essi manifestino un voto consapevole. In questo quadro, le sentenze in commento, riprendendo alcuni precedenti in materia, hanno affermato che, ai fini della revoca, deve considerarsi atto in frode qualsiasi atto accertato dal commissario giudiziale e quindi da questi “scoperto”, essendo prima ignorato dagli organi della procedura o dai creditori. Infatti, la [continua ..]
L’indirizzo giurisprudenziale che limita gli atti in frode a quelli volti ad ingannare il ceto creditorio, generando un’errata percezione della realtà, si giustifica soprattutto in virtù delle nuove finalità della disciplina del concordato preventivo, più attenta agli interessi delle parti private coinvolte. Espunto dalla legge fallimentare il giudizio di meritevolezza, legittimato ad accedere alla procedura non è soltanto l’imprenditore “onesto ma sfortunato”, ma ogni imprenditore, indipendentemente dalle ragioni del dissesto [21]. L’ordinamento dovrebbe dunque tendenzialmente disinteressarsi dei motivi che hanno determinato la crisi, rimettendo ai diretti interessati il compito di gestire autonomamente l’insolvenza [22]. Ciò anche allo scopo di favorire la prosecuzione dell’attività d’impresa, posto che il valore dell’azienda nel suo insieme risulta superiore a quello dei singoli beni che la compongono [23]. Peraltro, ammettendo il potere del Tribunale di revocare il concordato preventivo per condotte dolose pregiudizievoli note ai creditori, si reintrodurrebbe, nella sostanza, un giudizio di meritevolezza relativo all’operato del debitore. E ove quest’ultimo venisse considerato inaffidabile, la procedura dovrebbe arrestarsi nonostante il voto di maggioranza manifestato dai creditori. In definitiva, in presenza di fatti noti, si revocherebbe un concordato sul quale i creditori hanno espresso in modo consapevole un voto favorevole. Un’interpretazione della norma, coerente con lo spirito della riforma, potrebbe quindi adeguarsi al riferito indirizzo giurisprudenziale, che ritiene rilevanti, ex art. 173, 1° comma, legge fall., le condotte di natura dolosa, dirette a frodare le ragioni dei creditori e di tale rilevanza da compromettere l’attendibilità della proposta concordataria [24]. Le pronunce in esame tengono conto dei suddetti orientamenti giurisprudenziali, mettendo in luce che la fattispecie da prendere in considerazione ai sensi dell’art. 173, 1° comma, legge fall., è soltanto quella avente ad oggetto fatti, ignoti ai creditori, che non hanno permesso di esprimere un voto consapevole. In questo quadro, ai fini della revoca, non interessa che l’atto fraudolento abbia cagionato un danno effettivo alle ragioni dei [continua ..]
Oltre all’enunciazione del suddetto principio concernente l’esigenza di tutelare il voto dei creditori, ormai consolidato in giurisprudenza, le sentenze in esame contengono un quid pluris, che, pur facendo salda l’interpretazione maggioritaria, aggiunge un significativo chiarimento: il giudice può revocare l’ammissione del concordato preventivo anche nel caso in cui i creditori siano a conoscenza degli atti in frode posti in essere dal debitore ed abbiano espresso il loro voto (favorevole) in maniera consapevole. I giudici di legittimità muovono dalla considerazione, spesso presente nella giurisprudenza, secondo cui “la fraudolenza degli atti posti in essere dal debitore, se implica […] una loro potenzialità decettiva nei riguardi dei creditori, non per questo assume rilievo, ai fini della revoca dell’ammissione al concordato, solo ove l’inganno dei creditori si sia effettivamente realizzato e si possa quindi dimostrare che, in concreto, i creditori medesimi hanno espresso il loro voto in base a una falsa rappresentazione”. Ne deriva, ad avviso della Suprema Corte (in Cass. n. 14552/2014), che anche ove il voto sia stato espresso in modo consapevole, perché i creditori sono stati resi edotti degli atti fraudolenti dalla relazione del commissario giudiziale, il giudice è tenuto a revocare l’ammissione al concordato preventivo. Nella motivazione si mette in luce che l’affermazione dell’intangibilità del concordato, una volta che i creditori hanno espresso il voto favorevole, si porrebbe in contrasto con il complessivo impianto normativo che, alla scoperta degli atti in frode, attribuisce al giudice il potere-dovere di revocare l’ammissione al concordato (senza la necessità di alcuna presa di posizione sul punto dei creditori) [27]. Ritenere che il voto dei creditori esplichi un’efficacia sanante rispetto agli atti in frode compiuti dal debitore creerebbe un’incongruenza della disciplina, poiché in quest’ottica, come affermato dai giudici di legittimità, “sarebbe stato logico che il legislatore avesse previsto ugualmente la possibilità di dar corso alla procedura, almeno sino all’adunanza dei creditori, così da consentire a costoro di esprimere il loro voto alla luce dei fatti scoperti ed illustrati dal commissario giudiziale”. Ma [continua ..]
Non può infine tacersi che per risolvere ipotesi in cui i creditori erano a conoscenza della condotta del debitore, la giurisprudenza ha in alcuni casi fatto ricorso al principio (del divieto) dell’abuso del diritto. Al fine di garantire maggiore certezza nelle applicazioni giurisprudenziali, sembra tuttavia doversi promuovere un’estensione del campo di applicazione dell’art. 173 legge fall. [36]. Sul punto, Cass., n. 14552/2014 non offre indicazioni univoche in quanto si limita ad affermare il principio di diritto riassunto nella massima, “a prescindere dall’inquadramento dell’istituto in esame nella figura generale dell’abuso del diritto”. Uno sguardo alla casistica può agevolare la comprensione del problema. La pronuncia Cass., n. 13817/2011, ripresa dalle sentenze in commento, ha affermato che nei casi in cui i creditori siano a conoscenza degli atti posti in essere dal debitore e abbiano espresso consapevolmente il proprio voto, residua unicamente la possibilità di invocare il principio dell’abuso del diritto [37]. In presenza di una condotta abusiva che resterebbe altrimenti impunita, il concordato non sarebbe ammissibile in quanto “rappresenterebbe il risultato utile della preordinata attività contraria al richiamato principio immanente nell’ordinamento” [38]. Ciò si verifica nel caso di atti compiuti dal debitore allo scopo di costringere i creditori ad accettare il concordato preventivo, quale migliore soluzione praticabile, rispetto all’ipotetico fallimento. Tale condotta (nota al ceto creditorio) implica, secondo la richiamata sentenza, un uso abusivo dello strumento concordatario volto a porre il debitore in una posizione di indebito vantaggio a scapito dei creditori, non punibile, in base all’art. 173 legge fall., nei casi in cui i creditori siano a conoscenza degli atti posti in essere dal debitore. L’esigenza avvertita dalla Suprema Corte è di non lasciare impuniti i suddetti comportamenti che, ove sussistenti, devono determinare l’interruzione della procedura. Non potendo applicare direttamente l’art. 173 legge fall., la soluzione scelta dai giudici di legittimità per contrastare usi opportunistici degli strumenti disciplinati dall’ordinamento giuridico consiste nel richiamare il divieto di comportamenti abusivi riconducibile al [continua ..]
Senza alcuna pretesa di trarre conclusioni definitive, in considerazione delle continue evoluzioni normative e giurisprudenziali che investono la materia, in presenza di un comportamento scorretto del debitore, che voglia avvantaggiarsi indebitamente attraverso lo strumento deflattivo a discapito dei creditori, la revoca dell’ammissione al concordato preventivo appare il rimedio più adeguato, utilizzabile indipendentemente dalla conoscenza o meno del fatto del debitore da parte dei creditori. Le decisioni Cass., n. 14552/2014 e Cass., n. 12533/ 2014 sembrano muoversi nella descritta direzione e potrebbero inaugurare un nuovo orientamento giurisprudenziale che sanzionando gli atti in frode, risulti più attento agli interessi coinvolti nella procedura e alla salvaguardia delle finalità del concordato. Come si è già indicato, al di là della salvaguardia dell’autonomia privata nella fase della crisi d’impresa, l’interesse manifestato dalle sentenze in commento sembra quello di disincentivare il compimento di atti fraudolenti, evitando che il debitore si avvantaggi ai danni dei creditori. Tuttavia, tenuto conto delle ragioni delle riforme che di recente hanno investito la legge fallimentare – le quali, indubbiamente, da un lato, mirano alla conservazione degli effetti del concordato e ad accrescere il “peso” della volontà dei soggetti coinvolti nella procedura, dall’altro, attenuano gli aspetti pubblicistici che caratterizzavano la disciplina previgente – si rende necessaria una precisazione. Posto che tale nuova concezione del concordato non può legittimare comportamenti scorretti da parte dell’imprenditore insolvente, se è corretto ritenere che l’ammissione del concordato preventivo debba essere revocata nel caso in cui i comportamenti fraudolenti vengano accertati dal curatore fallimentare e, ciononostante, taciuti dal debitore, potrebbe invece escludersi la revoca in presenza di un pentimento del debitore, il quale una volta iniziata la procedura dia atto del proprio comportamento scorretto, offrendo esaustive informazioni ai fini del voto dell’assemblea. In termini generali, un adeguato contemperamento tra le esigenze di natura economica, relative alla conservazione degli effetti del concordato, e quelle di giustizia, concernenti il trattamento del soggetto (o dei soggetti) che ha(nno) posto in [continua ..]