Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Il conferimento coattivo delle somme sottoposte a sequestro penale nel complesso quadro del commissariamento dell´Ilva (note a Trib. Milano, 28 ottobre 2014 e Trib. Milano, 11 maggio 2015) (di Annalisa Postiglione)


(I)

TRIBUNALE DI MILANO, 28 ottobre 2014, Fabrizio D’Arcangelo G.I.P. – Stefano Civardi e Mauro Clerici P.M. – Ilva s.p.a. – FP, EG, AR

(II)

TRIBUNALE DI MILANO, 11 maggio 2015, Fabrizio D’Arcangelo G.I.P. – Stefano Civardi e Mauro Clerici P.M. – Ilva s.p.a. in Amministrazione Straordinaria – FP, EG, Adriano Riva

 Obbligo di conferimento a capitale sociale di somme sottoposte a sequestro penale

(Art. 25, comma 2, art. 27, commi 1 e 2, art. 41, artt. 42 e 111 Cost.; art. 1, comma 11-quinquies, d.l. 4 giugno 2013, n. 61)

Sono manifestamente infondate le eccezioni di legittimità costituzionale del trasferimento previsto dall’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61, sollevate sull’erronea qualificazione del carattere della norma come intrinsecamente sanzionatorio. (1)

Aumento del capitale sociale – Obbligo di conferimento a capitale sociale di somme sottoposte a sequestro penale – Vincolo di destinazione sul capitale sociale

 (Art. 1, comma 11-quinquies, d.l. 4 giugno 2013 n. 61;art. 3, d.l. 5 gennaio 2015, n. 1; artt. 2451, 2497, 2497-septies c.c.)

 Il trasferimento coattivo ad Ilva s.p.a. di titoli e danaro sottoposti a sequestro e la sincrona surrogazione reale dell’oggetto del sequestro mediante sostituzione dei valori mobiliari e delle somme originariamente attinte, con azioni di nuova emissione della stessa società, non integra gli estremi della confisca, poiché, nella logica della disposizione, il trasferimento e la conversione dell’oggetto del vincolo reale rinvengono il loro fondamento non già nella pendenza del processo penale, né nella irrogazione in via anticipata di una sanzione, ma nella qualifica dei soggetti attinti dal sequestro penale di soci o amministratori, che abbiano esercitato attività di direzione e coordinamento sull’impresa commissariata, prima del commissariamento. (2)

 Attività di direzione e di coordinamento – Aumento del capitale sociale – Obbligo di conferimento a capitale sociale di somme sottoposte a sequestro penale – Vincolo di destinazione sul capitale sociale – Fondo unico giustizia

 (Artt. 25, comma 2; 27, commi 1 e 2; 41; 42 e 111 Cost.; art. 1, comma 11-quinquies, d.l. 4 giugno 2013, n. 61; art. 3, d.l. 5 gennaio 2015 n. 1; artt. 2451, 2497 e 2497-septies c.c.)

 La causa giustificativa del trasferimento coattivo a titolo di apporto di capitale di rischio, con la sottoscrizione di azioni, o di capitale di credito, con la sottoscrizione di obbligazioni, non è identificabile nella esigenza preventiva, tipica della confisca penale, di interrompere la relazione dell’autore del reato con il bene e di sottrarlo alla disponibilità di quest’ultimo al fine di neutralizzare il pericolo di reiterazione del reato o l’aggravamento delle conseguenze dello stesso, né il trasferimento può ricondursi all’alveo delle sanzioni penali o dell’espropriazione per pubblica utilità. (3)

Vincolo di destinazione sul capitale sociale – Conferimento con vincolo di destinazione – Vincolo di destinazione sul prestito obbligazionario – Fondo unico giustizia

 (Art. 1, comma 11-quinquies, d.l 4 giugno 2013, n. 61; art. 3, d.l. 5 gennaio 2015, n. 1; artt. 2451, 2497 e 2497-septies c.c.)

 Le “Nuove disposizioni urgenti a tutela dell’ambiente, della salute e del lavoro nel­l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale”, delineano una norma di diritto societario che trasla, prioritariamente, l’onere economico delle misure di risanamento ambientale previste nell’A.I.A. sui soggetti che hanno esercitato la direzione ed il controllo di società di interesse strategico nazionale anteriormente al commissariamento. (4)

 Obbligo di conferimento a capitale sociale – Obbligo di sottoscrizione di prestito obbligazionario

 (Art. 1, comma 11-quinquies, d.l. 4 giugno 2013, n. 61; art. 3, d.l. 5 gennaio 2015, n. 1; artt. 2451, 2497 e 2497-septies c.c.)

 L’inasprimento del regime di responsabilità patrimoniale dei soggetti che hanno esercitato la direzione ed il coordinamento è univocamente preordinato a consentire il soddisfacimento contestuale di una pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti in una situazione di obiettiva emergenza ambientale ed occupazionale, rinvenendo il suo fondamento nel potere di organizzazione del processo produttivo spettante a chi esercita il dominio ed il controllo su una società di interesse strategico nazionale e nella correlativa responsabilità patrimoniale di tali soggetti in relazione all’ampio coacervo di interessi, anche costituzionalmente rilevanti, coinvolti nell’esercizio di attività economiche che sono connotate strutturalmente da elevate potenzialità di danno per l’ambiente, la salute ed il lavoro. (5)

 

(I)

 

IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

Letta la istanza, formulata dal dott. Piero Gnudi, nella qualità di Commissario Straordinario di ILVA S.p.A. e depositata in data 11.9.2014, di trasferimento a tale società, ai sensi dell’art. 1, comma 11-quinquies del d.l. 4 giugno 2013, n. 61, dei beni sottoposti a sequestro nel procedimento penale indicato in epigrafe;

sentite alla udienza camerale del 17.10.2014 le seguenti parti:

Commissario Straordinario di ILVA S.p.A. (omissis)

Pubblico Ministero, nelle persone del dr. Stefano Civardi e del dr. Mauro Clerici.

le persone sottoposte ad indagini:

P., (omissis)

E. G., (omissis)

R., (omissis)

ed i terzi depositari delle somme e dei beni in sequestro:

UBS AG Zurigo, (omissis).

Banca Aletti & C. Banca di Investimento Mobiliare S.p.A., (omissis)

ed a scioglimento della riserva assunta in tale sede;

OSSERVA

La richiesta di trasferimento dei beni in sequestro avanzata dal Commissario Straordinario dell’Ilva S.p.A. e le eccezioni di legittimità costituzionale formulate dalla difesa di A. R.

In data 11.9.2014 Piero Gnudi, nella qualità di Commissario Straordinario di Ilva S.p.A., ha rivolto al Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale Ordinario di Milano istanza di trasferimento a tale società, ai sensi dell’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61, dei beni sottoposti a sequestro nel procedimento penale n. 20857/13 R.G.N.R. n. 4041/13 R.G.G.I.P. pendente nei confronti degli amministratori e dei soci che hanno esercitato attività di direzione e di coordinamento dell’Ilva.

Nell’ambito del presente procedimento, infatti, il Giudice per le Indagini Preliminari ha disposto in data 20.5.2013 ai sensi degli artt. 321 c.p.p. e 648-quater c.p. il sequestro della somma di €. 1.2 mld. in danaro e titoli nei confronti di F. P., E. G., E. R. ed A. R. quale profitto dei reati di riciclaggio, contestato a F. P. ed E. G., di truffa aggravata ai danni dello Stato, contestato a tutti gli indagati, e di trasferimento fraudolento di valori, contestato ai soli germani R..

Nel medesimo procedimento, inoltre, con decreto emesso in data 17.10.2013 il Giudice per le Indagini Preliminari ha disposto, ai sensi degli artt. 321, secondo comma, c.p.p., 12-sexies D.L. 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992 n. 356, il sequestro preventivo di tutte le somme di danaro e dei titoli “diversi dalla somma di 3.496,30 euro e dai 140.000 titoli “BEI 3,125% 2015 cod. ISIN XS0230228933” presenti sul conto corrente (omissis). Tale conto corrente, infatti, risultava essere stato alimentato da fondi provento di reato di E. R. ed attribuiti fittiziamente al figlio D.

L’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 espressamente prevede che (omissis).

La difesa di A. R. ha eccepito la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 sotto molteplici profili; in particolare ha dedotto il contrasto di tale disposizione con il principio di irretroattività della norma penale di cui all’art. 25, comma 2, Cost., con la presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27, comma 2, Cost., con il principio di personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27, comma 1, Cost., con il principio del giusto processo e la tutela del diritto di difesa di cui all’art. 111 Cost., con il principio di materialità dell’illecito penale di cui all’art. 25, comma 2, Cost. e, da ultimo, ha eccepito la violazione del diritto di libera iniziativa economica e di proprietà di cui agli artt. 41 e 42 Cost.

Il trasferimento dei beni previsto dall’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 rivelerebbe, infatti, una natura intrinsecamente sanzionatoria, alla stregua dei criteri fissati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che lo renderebbe del tutto assimilabile ad una confisca, in ragione del suo contenuto di afflittività, e lo porrebbe in insanabile contrasto, anche in ragione della propria natura retroattiva, con la Costituzione ed i principi del diritto eurounitario.

Il trasferimento dei beni in sequestro, inoltre, violerebbe la presunzione di non colpevolezza, dovendo essere disposto secondo il legislatore in assenza di alcuna affermazione definitiva di colpevolezza, ed il divieto di responsabilità per fatto altrui, introducendo una forma surrettizia di punizione per il “tipo di autore”.

Illegittima, per violazione dei principi del giusto processo, sarebbe anche la possibilità accordata alla autorità giudiziaria di disporre una misura tanto invasiva in sede cautelare e, pertanto, prima dell’accertamento nel pieno contraddittorio delle parti della responsabilità dell’imputato ed in spregio alle garanzie previste dalla Costituzione in favore dell’imputato nel processo penale.

La misura del trasferimento dei beni in sequestro sarebbe, inoltre, incostituzionale perché realizza una espropriazione «senza che sia accertabile l’esistenza di un’effettiva utilità sociale» e «senza che sia previsto alcun indennizzo dei soggetti spoliati».

La difesa di A. R. ha, inoltre, richiesto di operare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 TFUE per violazione del principio europeo dell’equo processo e per contrasto di quanto disposto dal­l’1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 con il diritto di libertà di iniziativa economica, di libertà di impresa e, soprattutto, di proprietà riconosciuti sia nella Carta di Nizza (artt. 16 e 17), sia nella CEDU (art. 1 del Protocollo 1). (omissis)

Il Pubblico Ministero (omissis).

La difesa del Commissario Straordinario ha dedotto come tutte le censure di costituzionalità debbano essere disattese in quanto non si è in presenza di una norma penale, bensì di una norma processuale che disciplina esclusivamente le modalità esecutive del sequestro penale;

(omissis).

***

 Le eccezioni di legittimità costituzionale relative alla asserita violazione dei principi costituzionali che conformano l’illecito penale e del giusto processo.

Occorre, in via preliminare, rilevare come la difesa di A. R. sia pienamente legittimata a formulare le eccezioni di legittimità costituzionale che di seguito si provvederà ad esaminare in quanto almeno parte delle somme di danaro e dei titoli mobiliari in sequestro è di spettanza del medesimo per quanto emerge dagli esiti delle indagini preliminari

Le prime cinque eccezioni di legittimità costituzionale dedotte dalla difesa di A. R. muovono da una comune matrice concettuale e, segnatamente, dal carattere “intrinsecamente sanzionatorio” del trasferimento previsto dall’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 e si fondano sul contrasto tra il contenuto precettivo di tale norma e lo statuto costituzionale dell’illecito penale; parimenti, secondo la difesa di A. R., la norma di cui il Commissario Straordinario invoca l’applicazione risulterebbe in radicale ed insanabile contrasto con i canoni costituzionali del giusto processo penale.

L’infondatezza del comune presupposto teorico dal quale muovono tali eccezioni ne impone le reiezione.

L’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 delinea una operazione complessa che si sostanzia nel trasferimento coattivo dei titoli e delle somme di danaro in sequestro all’Ilva S.p.A., al fine di porre in essere le necessarie ed indifferibili opere di bonifica previste nell’AIA, e nella sincrona surrogazione reale dell’oggetto del sequestro mediante sostituzione dei valori mobiliari e delle somme originariamente attinte con azioni di nuova emissione dell’Ilva S.p.A.

Tale complessa figura non integra, né può essere considerata alla stregua di una forma peculiare ed anomala di confisca, in quanto l’o­pe­razione descritta dalla predetta norma non determina l’acquisizione del bene sequestrato al patrimonio dello Stato, bensì a quella di una società privata, ancorché commissariata (l’Ilva S.p.A.).

La causa giustificativa del trasferimento non è, del resto, identificabile nella esigenza preventiva, tipica della confisca penale, di interrompere la relazione dell’autore del reato con il bene e di sottrarlo alla disponibilità di quest’ultimo al fine di neutralizzare il pericolo di reiterazione del reato o l’aggravamento delle conseguenze dello stesso.

Nella logica della disposizione, infatti, il trasferimento e la conversione dell’oggetto del vincolo reale rinvengono il loro fondamento non già nella pendenza del processo penale (né nella irrogazione in via anticipata di una sanzione), ma nella qualifica dei soggetti attinti dal sequestro penale di «soci o amministratori, che abbiano esercitato attività di direzione e coordinamento sull’impresa commissariata prima del commissariamento».

L’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61, pertanto, non è una norma di diritto penale e neppure una norma che può essere ricompresa nel più lato perimetro della “matière pénale” delineata dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

Inconferente si rivela, pertanto, nel caso di specie il richiamo agli Engel critiria enunciati dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo (nella pronuncia dell’8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi, § 82, serie A n. 22), in quanto gli stessi sono finalizzati esclusivamente ad acclarare la sussistenza di una «accusa in materia penale» ed a delimitare l’ambito applicativo del diritto punitivo e del suo statuto di garanzie sostanziali e procedurali.

L’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 (significativamente intitolato “Nuove disposizioni urgenti a tutela dell’am­biente, della salute e del lavoro nell’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale”), invece, non trae origine da accuse penali e non applica sanzioni, ma è una norma esclusivamente finalizzata a garantire il reperimento delle risorse economiche necessarie per procedere alla indifferibili opere di bonifica ambientale previste dall’A.I.A. nella drammatica situazione occu­pazionale in cui versa la Ilva S.p.A.

Il processo penale è solo il contesto nel quale il trasferimento è disposto, ma tale operazione prescinde integralmente dagli accertamenti svolti nello stesso e, per espressa volontà del legislatore, deve essere posta in essere, su richiesta del Commissario Straordinario, indipendentemente da qualsiasi valutazione in ordine alla fondatezza degli addebiti formulati nel presente procedimento.

Se si considera il comma 11-quinquies nel con­testo dell’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 ed in connessione sistematica con l’intero testo normativo, risulta evidente come il trasferimento all’Ilva S.p.A. dei beni in sequestro non abbia natura sanzionatoria e sia integralmente irrelato rispetto agli accertamenti ed agli esiti del presente procedimento penale.

Nel preambolo del D.L. 4 giugno 2013 il legislatore espressamente precisa che «la continuità del funzionamento produttivo di stabilimenti di interesse strategico costituisce una priorità di carattere nazionale, soprattutto in considerazione dei prevalenti profili di protezione dell’ambiente e della salute e di salvaguardia dei livelli occupazionali».

L’art. 1 del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 prevede che «Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, può deliberare il commissariamento straordinario dell’impresa, esercitata anche in forma di società, che impieghi un numero di lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione guadagni, non inferiore a mille e che gestisca almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale ai sensi dell’articolo 1 del decreto legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, la cui attività produttiva abbia comportato e comporti oggettivamente pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute a causa della inosservanza reiterata, dell’autorizza­zione integrata ambientale, di seguito anche “a.i.a.”».

Al successivo art. 3 del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 si stabilisce, inoltre, che l’impianto siderurgico Ilva di Taranto costituisce stabilimento di interesse strategico nazionale a norma dell’art. 1 e che l’AIA rilasciata alla società Ilva S.p.A. il 26 ottobre 2012 produce gli effetti autorizzatori previsti dal citato art. 1.

L’art. 1 del citato D.L. 3 dicembre 2012 n. 207, inoltre, ha previsto che, presso gli stabilimenti dei quali sia riconosciuto l’interesse strategico nazionale e che occupino almeno duecento persone, l’esercizio dell’attività di impresa, quan­do sia indispensabile per la salvaguardia del­l’oc­cupazione e della produzione, possa continuare per un tempo non superiore a trentasei mesi, anche nel caso sia stato disposto il sequestro giudiziario degli impianti, nel rispetto delle prescrizioni impartite con una Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata in sede di riesame, al fine di assicurare la più adeguata tutela dell’ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 85 del 9 aprile 2013 ha, del resto, espressamente affermato che «Con riferimento all’indivi­dua­zione diretta dell’impianto siderurgico della società Ilva di Taranto come “stabilimento di interesse strategico nazionale”, si deve osservare che a Taranto si è verificata una situazione grave ed eccezionale, che ha indotto il legislatore ad omettere, per ragioni di urgenza, il passaggio attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in vista della qualificazione di cui sopra.

Sia la normativa generale che quella particolare si muovono quindi nell’ambito di una situazione di emergenza ambientale, dato il pre­giudizio recato all’ambiente e alla salute degli abitanti del territorio circostante, e di emergenza occupazionale, considerato che l’even­tuale chiusura dell’Ilva potrebbe determinare la perdita del posto di lavoro per molte migliaia di persone (tanto più numerose comprendendo il cosiddetto indotto)».

La Corte Costituzionale ha, inoltre, aggiunto che «il legislatore ha ritenuto di dover scongiurare una gravissima crisi occupazionale, di peso ancor maggiore nell’attuale fase di recessione economica nazionale e internazionale, senza tuttavia sottovalutare la grave compromissione della salubrità dell’ambiente, e quindi della salute delle popolazioni presenti nelle zone limitrofe».

Nella valutazione della Corte Costituzionale l’AIA «traccia un percorso di risanamento ambientale ispirato al bilanciamento tra la tutela dei beni indicati e quella dell’occupazione, cioè tra beni tutti corrispondenti a diritti costituzionalmente protetti. La deviazione da tale percorso, non dovuta a cause di forza maggiore, implica l’insorgenza di precise responsabilità penali, civili e amministrative, che le autorità competenti sono chiamate a far valere secondo le procedure ordinarie».

In tale contesto il legislatore nel D.L. 4 giugno 2013 n. 61, al fine di consentire la realizzazione delle opere di risanamento ambientale ritenute indifferibili, ha, inoltre, previsto peculiari forme di finanziamento, che gravano prioritariamente sul patrimonio dei titolari della impresa, e che, nel disegno normativo, sono giustificate dalla obiettiva urgenza e della estrema gravità della situazione venutasi a creare.

(omissis)

***

In tale contesto normativo l’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 è, pertanto, una norma di diritto societario e, segnatamente, una norma che trasla, prioritariamente, l’onere economico delle misure di risanamento ambientale previste nell’A.I.A. sui soggetti che hanno esercitato la direzione ed il controllo di società di interesse strategico nazionale anteriormente al commissariamento.

Acclarata la inconferenza nella esegesi della disposizione si cui si controverte del riferimento al modello costituzionale di illecito penale ed ai principi del giusto processo penale, si impone, tuttavia, muovendo dalla censure avanzate dalla difesa di A. R., la verifica della conformità alla Costituzione di tale norma.

L’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 prevede una forma di surrogazione reale dell’oggetto originario del sequestro in assenza del consenso dei soggetti incisi ed, inoltre, contempla la modifica qualitativa della res in sequestro, che si risolve nella sostituzione del danaro e dei titoli mobiliari con il credito a titolo di futuro aumento di capitale e, di seguito, con azioni di nuova emissione dell’Ilva S.p.A.

La difesa di A. R. ha eccepito la illegittimità costituzionale della disposizione de qua per violazione del diritto di libera iniziativa economica e di proprietà, di cui agli artt. 41 e 42 Cost.

Secondo la difesa il trasferimento delle somma sequestrate si risolve in una forma surrettizia di espropriazione senza che sia attuato, in concreto, alcun bilanciamento tra interesse pubblico ed interesse privato ed in assenza della previsione di un indennizzo.

Il trasferimento contemplato dall’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61, nella prospettazione della difesa, inoltre, viola il diritto di proprietà riconosciuto dall’art. 42, comma 2, Cost. senza che sia accertabile una correlativa utilità sociale, in quanto le somme possono essere espropriate in assenza della verifica di alcun parametro di economicità e di buona gestione dell’impresa, non essendo in alcun modo richiesto, come presupposto per la traslazione delle somme in capo all’Ilva S.p.a., l’ado­zione di un piano industriale.

Anche tali doglianze, tuttavia, si rivelano infondate e, pertanto, devono essere disattese.

Il parametro costituzionale dell’art. 42 Cost. non pare conferente, in quanto il trasferimento dei beni sottoposti a sequestro penale e la loro sostituzione non integrano una forma di espropriazione.

La conversione dell’oggetto del sequestro non comporta, infatti, alcuna acquisizione in favore dello Stato o del patrimonio pubblico dei beni e dei valori mobiliari originariamente attinti dal sequestro preventivo, né una diretta utilizzazione dei medesimi da parte dello Stato.

La peculiare operazione di conversione del­l’og­getto del sequestro preventivo e di trasferimento dei beni attinti originariamente dal vincolo cautelare prevista dall’art. 11 integra, pertanto, una prestazione patrimoniale imposta ai sensi dell’art. 23 Cost. sub specie di una previsione di ricapitalizzazione forzosa imposta a chi ha esercitato funzioni di direzione e coordinamento del­l’Ilva S.p.A. anteriormente al suo commissariamento.

Gli unici limiti imposti dall’art. 23 della Costituzione alla discrezionalità del legislatore di introdurre prestazioni patrimoniali imposte sono costituiti dal rispetto dal principio di legalità e dalla ragionevolezza della scelta operata dal legislatore stesso.

Nel caso di specie, tuttavia, sussiste incontrovertibilmente la base legale della previsione e la scelta operata dal legislatore non pare irragionevole per plurimi motivi.

L’art. 2497 c.c. prevede la responsabilità patrimoniale di coloro, società, enti, ma anche persone fisiche, che abbiano esercitato l’attività di direzione e di controllo sulle società di un gruppo.

Tale norma ha, pertanto, introdotto la responsabilità patrimoniale dell’impresa-holding (individuale o societaria), nei confronti dei soci e dei creditori sociali delle società controllate, per fatti riferibili al loro patrimonio, ma riconducibili ad una mala gestio unitaria del gruppo.

Nel disegno sistematico del codice civile, pertanto, le società o gli enti, che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società.

Questa regola di responsabilità risulta, tuttavia, significativamente inasprita dall’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 mediante la previsione di un trasferimento coattivo di risorse personali, in conto di futuro aumento di capitale, da parte di coloro che hanno esercitato la direzione ed il controllo sulla società di interesse strategico nazionale sottoposte a commissariamento straordinario anteriormente allo stesso.

Questo inasprimento del regime di responsabilità patrimoniale dei soggetti che hanno esercitato la direzione ed il controllo non pare, tuttavia, irragionevole, in quanto è univocamente preordinato a consentire il soddisfacimento contestuale di una pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti in una situazione di obiettiva emergenza ambientale ed occupazionale.

Questa disciplina, del resto, rinviene il suo fon­damento nel potere di organizzazione del processo produttivo spettante a chi esercita il dominio ed il controllo su una società di interesse strategico nazionale e nella correlativa responsabilità patrimoniale di tali soggetti in relazione all’ampio coacervo di interessi, anche costituzionalmente rilevanti, coinvolti nell’esercizio di attività economiche che sono connotate strutturalmente da elevate potenzialità di danno per l’ambiente, la salute ed il lavoro.

L’art. 2451 c.c., del resto, prevede la piena ammissibilità di regimi derogatori introdotti da leggi speciali in relazione alla gestione delle «società per azioni d’interesse nazionale … circa la gestione sociale, la trasferibilità delle azioni, il diritto di voto e la nomina degli amministratori, dei sindaci e dei dirigenti».

Nella comune esegesi di tale disposizione si evidenzia come l’interesse nazionale al quale il legislatore accorda rilievo attiene non alla componente soggettiva della società, ma alla sua attività, tale da coinvolgere specifici interessi di carattere generale che abbracciano l’intera collettività.

Nel disegno del legislatore, pertanto, il particolare rilievo delle società di interesse nazionale può giustificare l’applicazione di una disciplina derogatoria, rispetto a quella ordinaria delle società per azioni, e che può rivelarsi maggiormente intensa sotto il profilo della responsabilità del­l’imprenditore. Ulteriori intensificazioni del regime di responsabilità, in questa logica, possono essere giustificate per il segmento, ancora più ristretto e significativo, delle società che «gestiscano almeno uno stabilimento di interesse strategico nazionale» secondo la previsione dell’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61.

Il sacrificio imposto dall’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 a chi ha diretto e coordinato la società di interesse strategico nazionale non pare, peraltro, irragionevole e sproporzionato in una ottica costituzionalmente orientata.

La lamentata compressione del diritto di proprietà sui beni originariamente attinti dal sequestro preventivo non è costituzionalmente illegittima quando si riveli preordinata a consentire il soddisfacimento contestuale di una pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti e di rilievo superiore a quello del diritto inciso.

Nella specie, con l’imposizione del trasferimento coattivo, il legislatore persegue, in maniera né sproporzionata né inidonea, l’obiettivo di realizzare le opere di bonifica contemplate dal­l’AIA in vista del fine di utilità sociale costituito dalla necessità di perseguire il risanamento del­l’ambiente e la tutela della salute unitamente al mantenimento dei livelli occupazionali.

La situazione che ha determinato il legislatore a disporre il commissariamento dell’Ilva S.p.A., del resto, involge la responsabilità patrimoniale della società stessa ma anche di coloro che, in qualità di soci ed amministratori, anche di fatto, hanno gestito e diretto tale società.

D’altra parte, ancorché tale conflitto tra interessi costituzionalmente rilevanti non sia identico a quello esaminato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 85 del 9 aprile 2013, proprio tale sentenza consente di comprendere come il bilanciamento tra interessi posto in essere dal legislatore mediante la previsione dell’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 si riveli tutt’altro che irragionevole.

Nella sentenza n. 85 del 9 aprile 2013, la Corte Costituzionale, nel disattendere le eccezioni di legittimità costituzionale formulate dall’Autorità Giudiziaria di Taranto, ha con forza evidenziato come il legislatore con la legge 24 dicembre 2012, n. 231 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, recante disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale) abbia «introdotto una normativa nuova e generale, applicabile a tutte le aziende di interesse strategico nazionale».

La Corte Costituzionale ha statuito che «la ratio della disciplina ... consiste nella realizzazione di un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre e al lavoro (art. 4 Cost.) da cui deriva l’interesse costituzionale rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso».

In tale pronuncia la Corte Costituzionale ha affermato che la disciplina in esame realizza un bilanciamento ragionevole tra il diritto alla salute ed all’ambiente salubre da un lato ed il diritto all’iniziativa economica ed al lavoro dall’altro.

Pertanto, ancorché tale pronuncia non riguardi specificamente la norma di cui si invoca la applicazione nel presente procedimento, declinando i principi enunciati dalla Corte Costituzionale nel caso di specie, deve rilevarsi come nel conflitto tra i diritti proprietari dei soggetti attinti dal trasferimento coattivo e gli interessi costituzionalmente rilevanti al diritto all’ambiente salubre, al lavoro ed alla salute, i primi debbano assumere una valenza necessariamente subvalente.

La Costituzione, del resto, non ricomprende le libertà economiche nel catalogo delle libertà fondamentali e l’art. 41, comma secondo, della Costituzione subordina la legittimazione della libera iniziativa economica all’attitudine della stessa ad accollarsi i costi delle proprie esternalità negative secondo canoni di efficienza sociale e non solo economica (“non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”).

La giurisprudenza della Corte Costituzionale, inoltre, ha di frequente ravvisato il requisito della utilità sociale nella realizzazione di interessi costituzionalmente rilevanti come la salute (ex plurimis: C. Cost. sent. n. 446/1988; sent. n. 27/2003) o il lavoro (ex multis: C. Cost. sent. n. 94/1976).

(omissis)

La incisione dei diritti proprietari dei soggetti attinti dal sequestro preventivo operata per effetto della surrogazione reale dell’oggetto del sequestro è, del resto, mantenuta in limiti ragionevoli e tali da non determinare un sacrificio del loro nucleo essenziale.

Il trasferimento dei beni originariamente sequestrati all’Ilva S.p.A. è, infatti, disposto in favore di una compagine societaria controllata, sotto il profilo proprietario, dai medesimi soggetti incisi. Tali soggetti, del resto, sono responsabili in via diretta sotto il profilo patrimoniale per la gestione della società nel periodo anteriore al commissariamento.

***

La incostituzionalità della norma di cui il Commissario Straordinario dell’Ilva S.p.A. invoca l’applicazione non può essere, peraltro, fondatamente argomentata neppure muovendo dal carattere eccezionale ed asseritamente retroattivo di tale disciplina.

La Corte Costituzionale nella sentenza n. 85 del 9 aprile 2013, proprio con riferimento alla disciplina normativa intesa a superare la situazione di emergenza ambientale ed occupazionale relativa all’impianto siderurgico dell’Ilva di Taranto, ha ribadito come la legge-provvedimento non sia incompatibile, in sé e per sé, con l’assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione, in quanto «nes­suna disposizione costituzionale [...] comporta una riserva agli organi amministrativi o “esecutivi” degli atti a contenuto particolare e concreto (ex plurimis, sentenza n. 143 del 1989)”.

Parimenti non vi è alcuna lesione dei principi costituzionali nell’intervento del legislatore relativamente a beni attinti da un provvedimento di sequestro preventivo.

I beni sottoposti a sequestro penale sono sottoposti ad un vincolo di indisponibilità giuridica che li rende insensibili agli atti di disposizione da parte del titolare, ma non preclude certo al legislatore di conformare la disciplina di tali beni, mutando il quadro normativo di riferimento, anche successivamente all’intervento della misura cautelare reale ed all’avvenuto consolidamento, come nel caso di specie, del c.d. giudicato cautelare.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 85 del 9 aprile 2013 ha, del resto, statuito che «quanto infine alla temuta dispersione di beni che potrebbero formare oggetto di una futura confisca, si deve riconoscere al legislatore, …, la possibilità di modulare pro futuro l’efficacia e la portata stessa di un vincolo cautelare a seconda della natura del suo oggetto e degli interessi convergenti sulla situazione considerata».

Alla stregua dei rilievi che precedono tutte le censure di legittimità costituzionale formulate dalla difesa di A. R. devono essere disattese in ragione della loro manifesta infondatezza.

***

La difesa di A. R. ha, inoltre, richiesto di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) per violazione del principio europeo del giusto processo e per contrasto di quanto disposto dall’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 con il diritto di libertà di iniziativa economica, di libertà di impresa e, segnatamente, di proprietà riconosciuti sia nella Carta di Nizza (artt. 16 e 17), sia nella CEDU (art. 1 del Protocollo 1).

Fermo restando il carattere invero pregiudiziale della questione di compatibilità comunitaria rispetto a quella di costituzionalità (ex plurimis: C. Cost. sent. 75 del 30 marzo 2012) e la insussistenza di un obbligo del giudice adito di operare il rinvio pregiudiziale, la richiesta non può essere accolta.

Pur prescindendo dalla corretta ricostruzione dei rapporti tra le previsioni invocate e dei tratti distintivi del rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea rispetto al giudizio di costituzionalità, deve rilevarsi come la difesa istante si limiti ad evocare la violazione della disciplina sovranazionale indicata, senza tuttavia, svolgere alcuna puntuale considerazione in ordine alle specifiche ragioni di conflitto tra il diritto nazionale ed i parametri normativi invocati (la Carta di Nizza come integrata dalla CEDU), dei quali non è illustrata, neppure in termini sommari, la concreta portata precettiva nel caso di specie.

L’art. 6, paragrafo 1, primo alinea, del Trattato stabilisce, del resto, che «le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati». A tale previsione fa eco la Dichiarazione n. 1 allegata al Trattato di Lisbona, ove si ribadisce che «la Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unio­ne, né introduce competenze nuove o compiti nuovi dell’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati».

I medesimi principi risultano, peraltro, già espressamente accolti dalla stessa Carta dei diritti, la quale, all’art. 51 (anch’esso compreso nel richiamato titolo VII), stabilisce, al paragrafo 1, che «le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi del­l’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nel­l’attuazione del diritto dell’Unione»; recando, altresì, al paragrafo 2, una statuizione identica a quella della ricordata Dichiarazione n. 1.

Ciò esclude, con ogni evidenza, che la Carta costituisca uno strumento di tutela dei diritti fondamentali oltre le competenze dell’Unione europea, come, del resto, ha reiteratamente affermato la Corte di giustizia, sia prima (tra le più recenti, ordinanza 17 marzo 2009, C-217/08, Mariano) che dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (sentenza 5 ottobre 2010, C-400/10 PPU, McB; ordinanza 12 novembre 2010, C-399/10, Krasimir e altri).

Presupposto di applicabilità della Carta di Nizza è, dunque, che la fattispecie sottoposta al­l’esame del giudice sia disciplinata dal diritto europeo – in quanto inerente ad atti del­l’U­nione, ad atti e comportamenti nazionali che danno attuazione al diritto dell’Unione, ovvero alle giustificazioni addotte da uno Stato membro per una misura nazionale altrimenti incompatibile con il diritto dell’Unione – e non già da sole nor­me nazionali prive di ogni legame con tale diritto (C. Cost. sent. n. 80 del 7.3.2011).

Nel caso di specie, tuttavia, tale presupposto difetta e la stessa difesa istante non ha prospettato alcun tipo di collegamento diretto tra il thema decidendum del presente procedimento e il diritto dell’Unione europea.

Quanto al merito della censure di contrarietà al diritto comunitario dedotte si è, peraltro, già ampiamente rilevato per quali ragioni il riferimento ai principi che delineano lo statuto sanzionatorio dell’illecito penale si riveli ampiamente inconferente nel caso di specie.

Il trasferimento previsto dall’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 non è una sanzione penale, né una ipotesi di espropriazione per pubblica utilità. Il diritto al contraddittorio dei soggetti incisi è stato garantito mediante celebrazione di una udienza camerale in cui le parti ed i terzi depositari hanno potuto svolgere integralmente le proprie deduzioni in ordine alla istanza formulata dal Commissario Straordinario dell’Ilva.

I presupposti per il trasferimento ed i beni coinvolti nel medesimo.

Accertata la manifesta infondatezza delle dedotte questioni di legittimità costituzionale, occorre rilevare come sussistano nel caso di specie tutti i presupposti per procedere al trasferimento previsto dalla norma di cui si controverte.

Il Commissario Straordinario di Ilva S.p.A. ha richiesto il trasferimento «delle somme oggetto di sequestro da parte della Procura di Milano nel contesto di procedimenti pendenti nei confronti di amministratori e soci che abbiano esercitato attività di direzione e di coordinamento di ILVA».

  1. ed A. R. hanno indiscutibilmente esercitato, direttamente ed indirettamente, in qualità di amministratori di fatto, attività di direzione e di coordinamento di Ilva S.p.A. Tale dato emerge nitidamente dagli esiti delle indagini preliminari sino ad ora svolte e non è stato contestato dalle difese delle persone sottoposte ad indagini.

(omissis)

Sussistono, pertanto, tutti i presupposti per disporre il trasferimento, in conto futuro aumento di capitale, ad Ilva S.p.A. della somma di €. 1.2 mld., in danaro e titoli mobiliari, sottoposta a sequestro con decreto emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari in data 20.5.2013 ai sensi degli artt. 321 c.p.p. e 648-quater c.p. e di tutte le somme ed i titoli sottoposti a sequestro con decreto del Giudice per le Indagini Preliminari emesso in data 17.10.2013 ai sensi degli artt. 321, secondo comma, c.p.p., 12-sexies D.L. 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992 n. 356, disponendo, al contempo, la conversione del sequestro preventivo sui predetti beni in sequestro del credito a titolo di futuro aumento di capitale.

Le azioni di nuova emissione dovranno essere intestate al Fondo unico giustizia e, per esso, al gestore ex lege Equitalia Giustizia S.p.A. che opererà la gestione di tali titoli sulla base delle indicazioni fornite dalla autorità giurisdizionale procedente.

P.Q.M.

Visto l’art. art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 61/2013;

DISPONE

il trasferimento, in conto futuro aumento di capitale, alla ILVA S.p.A delle somme, dei valori mobiliari e dei beni indicati nel decreto di sequestro preventivo adottato dal Giudice per le Indagini Preliminari in data 20.5.2013 e, segnatamente, delle somme, dei valori mobiliari e dei beni presenti nei seguenti trust:

(a) Orion Trust (omissis).

(b) Sirius Trust (omissis).

(c) Venus Trust (omissis).

(d) Antares Trust (omissis).

(e) Lucam Trust (omissis).

(f) Minerva Trust (omissis).

(g) Paella Trust (omissis).

(h) Felgan Trust (omissis).

nonché di tutte le somme di danaro e dei titoli “diversi dalla somma di 3.496,30 euro e dai 140.000 titoli “BEI 3,125% 2015 cod. ISIN XS0230228933” presenti sul conto corrente (omissis) e sottoposti a sequestro preventivo con decreto del Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Milano in data 17.10.2013.

DISPONE

la conversione del sequestro preventivo sui predetti beni in sequestro del credito a titolo di futuro aumento di capitale.

DISPONE

che le azioni di nuova emissione siano intestate al Fondo unico giustizia e, per esso, al gestore ex lege Equitalia Giustizia S.p.A.

DISPONE

trasmettersi il presente decreto al Pubblico Ministero richiedente perché ne curi l’esecuzione ai sensi dell’art. 104 disp. att. c.p.p. e la notificazione alle persona sottoposte alle indagini ed ai loro difensori ed alle altre parti del presente procedimento.

MANDA

alla Cancelleria per gli adempimenti conseguenti.

Così deciso in Milano il 28.10.2014.

(II)

 IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

Letta la istanza, formulata dal dott. Piero Gnudi, dall’Avv. Corrado Carruba e dal Prof. Enrico Laghi nella qualità di Commissari Straordinari di ILVA S.p.A. in Amministrazione Straordinaria depositata in data 12.3.2015, di trasferimento a tale società, ai sensi dell’art. 3, comma 1 D.L. n. 1/2015 (convertito con la L. n. 20/2015), dei beni sottoposti a sequestro nel procedimento penale indicato in epigrafe e di destinazione degli stessi alla sottoscrizione di obbligazioni emesse da ILVA in a. s., con conseguente conversione della misura cautelare reale in sequestro delle obbligazioni;

sentite alla udienza camerale del 9.4.2015 le seguenti parti:

 

ILVA S.p.A. in Amministrazione Straordinaria, nella persona dei Commissari Straordinari (omissis)

 

Pubblico Ministero, nelle persone del dr. Stefano Civardi e del dr. Mauro Clerici.

le persone sottoposte ad indagini:

F.P., (omissis)

E.E.G., (omissis)

A.R., (omissis).

ed i terzi depositari delle somme e dei beni in sequestro:

UBS AG Zurigo, (omissis)

Banca Aletti & C. Banca di Investimento Mobiliare S.p.A., (omissis)

nonché

(omissis)

ed a scioglimento della riserva assunta in tale sede;

OSSERVA

La richiesta di conversione della misura cautelare disposta nel presente procedimento in sequestro delle obbligazioni formulata dai Commissari Straordinari dell’ILVA S.p.A. in Amministrazione Straordinaria e le eccezioni di legittimità costituzionale formulate dalla difesa di A. R.

Nell’ambito del presente procedimento il Giudice per le Indagini Preliminari ha disposto in data 20.5.2013 ai sensi degli artt. 321 c.p.p. e 648-quater c.p. il sequestro della somma di €. 1.2 mld. in danaro e titoli nei confronti di F.P., E.G., E.R. ed A.R. quale profitto dei reati di riciclaggio, contestato a FP ed EG, di truffa aggravata ai danni dello Stato, contestato a tutti gli indagati, e di trasferimento fraudolento di valori, contestato ai soli germani R.

In data 11.9.2014 Piero Gnudi, nella qualità di Commissario Straordinario di ILVA S.p.A., ha rivolto al Giudice per le Indagini Preliminari istanza di trasferimento a tale società, ai sensi dell’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61, dei beni sottoposti a sequestro nel procedimento penale n. 20857/13 R.G.N.R. n. 4041/13 R.G.G.I.P. pendente nei confronti degli amministratori e dei soci che avevano esercitato attività di direzione e di coordinamento dell’ILVA.

(omissis).

Con ordinanza depositata in data 28.10.2014 il Giudice per le Indagini Preliminari, disponeva, ai sensi dell’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 61/2013, il trasferimento, in conto futuro aumento di capitale, alla ILVA S.p.A. delle somme, dei valori mobiliari e dei beni indicati nel decreto di sequestro preventivo adottato dal Giudice per le Indagini Preliminari in data 20.5.2013 e la conversione del sequestro preventivo sui predetti beni in sequestro del credito a titolo di futuro aumento di capitale.

Nelle more dell’esecuzione del provvedimento di trasferimento delle somme veniva, inoltre, approvato il D.L. n. 1 del 2015 (“Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città nell’area di Taranto”), convertito con modifiche con la Legge 4 marzo 2015 n. 20.

(omissis)

Con decreto emesso in data 21.1.2015 il Ministro dello Sviluppo Economico, inoltre, disponeva la ammissione di ILVA S.p.A. alla procedura di amministrazione straordinaria, a norma dell’art. 2 del decreto legge 347/2003.

Con sentenza n. 86/2015 emessa in data 28.1.2015 (e depositata in data 30.1.2015) il Tribunale di Milano – Seconda Sezione Civile –, letti gli artt. 1, 2 e 4 D.L. 347/2003, convertito con modificazioni nella legge 39/2004 e modificato con il D.L. 1/2015, dichiarava lo stato di insolvenza di ILVA S.p.A.

In data 12.3.2015 Piero Gnudi, Corrado Carruba ed Enrico Laghi, nella qualità di Commissari Straordinari di ILVA S.p.A. in Amministrazione Straordinaria, formulavano al Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale Ordinario di Milano istanza di trasferimento a tale società, ai sensi dell’art. 3, comma 1 D.L. n. 1/2015, convertito con la L n. 20/2015, dei beni sottoposti a sequestro nel procedimento penale indicato in epigrafe nei confronti degli amministratori e dei soci che avevano esercitato attività di direzione e di coordinamento dell’ILVA perché fosse disposta la conversione dell’oggetto del sequestro in obbligazioni e potesse essere perfezionata la emissione obbligazionaria prevista dalla disciplina de qua.

Con decreto emesso in data 2.4.2015 il Ministro dell’Economia e delle Finanze, il Ministro dello Sviluppo Economico ed il Ministro del­l’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, autorizzavano, subordinatamente alla disposizione da parte dell’autorità giudiziaria procedente sull’impiego delle somme sequestrate, l’emis­sione obbligazionaria richiesta dall’organo commissariale di ILVA S.p.A. nella misura pari all’im­porto delle somme sequestrate dall’autorità giudiziaria procedente, nei limiti e con le modalità e le cautele già individuate dall’art. 3, comma 1, del decreto legge n. 1 del 2015, convertito con modificazioni, dalla legge n. 20 del 2015.

Con istanza depositata in data 12.3.2015 ed alla udienza camerale del 9.4.2015 la difesa dei Commissari Straordinari di ILVA S.p.A. in amministrazione straordinaria ribadiva la istanza di destinazione delle somme sequestrate, e già oggetto del provvedimento emesso in data 28.10.2014, in luogo dell’aumento di capitale, alla sottoscrizione di obbligazioni emesse da ILVA in a.s., con conseguente conversione della misura cautelare reale in sequestro delle obbligazioni, affinché i beni originariamente staggiti potessero essere utilizzati ai fini dell’attuazione e della realizzazione del piano e delle misure di tutela ambientale e sanitaria della società.

Secondo gli istanti l’art. 3 della Legge 4 marzo 2015 n. 20, ha, infatti, introdotto una disposizione che consente una diversa ed ulteriore modalità di impiego, disposta su istanza dell’organo commissariale di ILVA in a.s., dall’Autorità Giudiziaria procedente ed attuata da Equitalia Giustizia S.p.A. nella sua qualità di mero gestore – delle somme (che sono e rimangono) sequestrate ed intestate al Fondo unico di Giustizia.

(omissis)

La difesa di A.R. ha eccepito la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 4 giugno 2013 n. 61 sotto plurimi profili; in particolare la difesa ha dedotto il contrasto di tale disposizione con il principio di irretroattività della norma penale, di cui all’art. 25, comma 2, Cost., con la presunzione di non colpevolezza, di cui all’art. 27, comma 2, Cost., con il principio di personalità della responsabilità penale, di cui all’art. 27, comma 1, Cost., con il principio del giusto processo e del diritto di difesa di cui all’art. 111 Cost., per violazione del principio di materialità dell’illecito penale di cui all’art. 25, comma 2, Cost., per violazione del principio di uguaglianza sostanziale e di ragionevolezza, per violazione del diritto di libera iniziativa economica e di proprietà, di cui agli artt. 41 e 42 Cost. e, da ultimo, per contrasto con l’art. 117, comma 1 Cost., in relazione all’art. 108 T.F.U.E.

La difesa di A.R. ha, inoltre, richiesto di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia del­­l’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E. per violazione del principio europeo del giusto processo, per contrasto con il diritto di libertà di iniziativa economica, di impresa e di proprietà.

(omissis)

 

Le eccezioni di legittimità costituzionale relative alla asserita violazione dei principi costituzionali che conformano l’illecito penale.

Occorre rilevare, in via preliminare, come la difesa di A.R. abbia rivolto le numerose eccezioni di illegittimità costituzionale e di contrasto con il diritto comunitario formulata avverso il contenuto precettivo dell’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 61/2013.

La individuazione della disposizione oggetto di censura pare invero errata.

I Commissari Straordinari hanno, infatti, richiesto la destinazione delle somme sequestrate e già oggetto del provvedimento emesso in data 28.10.2014, in luogo dell’aumento di capitale, alla sottoscrizione di obbligazioni emesse da ILVA, con conseguente conversione della misura cautelare reale in sequestro delle obbligazioni, ai sensi dall’art. 3 della Legge 4 marzo 2015 n. 20 e non già dall’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 61/2013.

Le due norme, peraltro, coesistono attualmente nella trama normativa, come è testimoniato anche dall’art. 3, comma 1-bis della Legge 4 marzo 2015 n. 20 che ha novellato, senza abrogare, tale ultima norma.

L’art. 3 della Legge 4 marzo 2015 n. 20 ha, infatti, introdotto una diversa ed ulteriore modalità di impiego delle somme in sequestro quando il trasferimento disposto ai sensi dell’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 61/2013 era stato autorizzato ma non ancora eseguito.

Le censure svolte dalla difesa di A.R., nel corso della udienza camerale del 9.4.2015 dovranno, pertanto, essere intese, più propriamente, come rivolte a tale ultima norma di legge e non già all’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 61/ 2013.

***

Le prime cinque eccezioni di legittimità costituzionale dedotte dalla difesa di R. muovono da una comune matrice concettuale e, segnatamente, dal carattere “intrinsecamente sanzionatorio” della surrogazione reale dell’oggetto del sequestro in obbligazioni e si fondano sul contrasto tra il contenuto precettivo di tale ultima disciplina (contemplata dall’art. 3 della Legge 4 marzo 2015 n. 20) ed il modello costituzionale di illecito penale; secondo la difesa della persona sottoposta ad indagini, infatti, la norma di cui i Commissari Straordinari invocano l’applicazione risulterebbe in radicale ed insanabile contrasto con i canoni costituzionali del giusto processo penale.

L’infondatezza del comune presupposto teorico dal quale muovono tali eccezioni ne impone le reiezione.

Nel decreto di trasferimento adottato in data 28.10.2014 si era già rilevato come l’art. 11-quinquies dell’art. 1 D.L. 4.6.2013 n. 61 delineasse una operazione complessa che si sostanzia nel trasferimento coattivo dei titoli e delle somme di danaro in sequestro all’ILVA S.p.A., al fine di porre in essere le necessarie ed indifferibili opere di bonifica previste nell’A.I.A., e nella sincrona surrogazione reale dell’oggetto del sequestro dei valori mobiliari e delle somme originariamente attinte con azioni di nuova emissione dell’ILVA S.p.A.

Analogamente a quanto già rilevato in ordine al contenuto precettivo dell’art. 11-quinquies del­l’art. 1 D.L. 4.6.2013 n. 61, la operazione delineata dall’art. 3 della Legge 4 marzo 2015 n. 20 non integra, né può essere considerata alla stregua di una forma peculiare ed anomala di confisca, in quanto non determina l’acquisizione del bene sequestrato al patrimonio dello Stato, bensì a quella di una società privata commissariata (l’ILVA S.p.A.).

La causa giustificativa del trasferimento non è, del resto, identificabile nella esigenza preventiva, tipica della confisca penale, di interrompere la relazione dell’autore del reato con il bene e di sottrarlo alla disponibilità di quest’ultimo al fine di neutralizzare il pericolo di reiterazione del reato o l’aggravamento delle conseguenze dello stesso.

Nella logica della disposizione, infatti, il trasferimento e la conversione dell’oggetto del vincolo reale rinvengono il loro fondamento non già nella pendenza del processo penale (né nella irrogazione in via anticipata di una sanzione, di cui non si fa alcun riferimento nella norma), ma nella qualifica dei soggetti attinti dal sequestro penale di «soci o amministratori, che abbiano esercitato attività di direzione e coordinamento sull’impresa commissariata prima del commissariamento» e nella doverosa realizzazione degli interventi di bonifica ambientale previsti dall’A.I.A.

L’art. 3, comma 1, della Legge 4 marzo 2015 n. 20 ha, pertanto, introdotto una diversa ed alternativa modalità di impiego delle somme in sequestro, affinando il regime della destinazione delle somme staggite, senza, tuttavia, mutarne la natura di uso provvisorio di beni in sequestro.

La conversione del sequestro penale delle somme in sequestro in titoli obbligazionari è, del resto, finalizzata alla realizzazione di obiettivi della tutela della sicurezza e della salute nonché alla realizzazione dei necessari interventi di rispristino e di bonifica ambientale.

(omissis)

L’impiego, in via provvisoria dei beni sequestrati, non comporta alcuna acquisizione a titolo definitivo, atteso che la norma prevede espressamente che «il credito derivante dalla sottoscrizione delle obbligazioni è prededucibile ai sensi dell’articolo 111 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, ma subordinato alla soddisfazione, nell’ordine, dei crediti prededucibili di tutti gli altri creditori della procedura di amministrazione straordinaria nonché dei creditori privilegiati ai sensi dell’articolo 2751-bis, numero 1), del codice civile. L’emis­sione è autorizzata ai sensi dell’articolo 2412, sesto comma, del codice civile».

L’art. 3 della Legge 4 marzo 2015 n. 20 (al pari dell’art. 11-quinquies dell’art. 1 D.L. 4.6.2013 n. 61), pertanto, non è una norma di diritto penale e neppure una norma che può essere ricompresa nel perimetro della “matière pénale” delineata dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Inconferente si rivela, pertanto, nel caso di specie il richiamo agli Engel critiria enunciati dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo (nella pronuncia dell’8 giugno 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi, § 82, serie A n. 22), in quanto gli stessi sono finalizzati ad acclarare la sussistenza di una «accusa in materia penale» ed a delimitare l’ambito applicativo del diritto punitivo e del suo statuto di garanzie sostanziali e procedurali.

Declinando tali criteri nel presente ambito, del resto, emerge come la disciplina di cui si contesta la legittimità costituzionale non ha natura, né carattere sanzionatorio (anche secondo la qualificazione giuridica della violazione nell’ordina­mento nazionale) e non irroga alcuna sanzione, ma si limita a disciplinare l’uso provvisorio e temporaneo di beni attinti da un sequestro disposto in ambito penale.

Il comma 11-quinquies dell’art. 1 D.L. 4.6.2013 n. 61 (significativamente intitolato “Nuove disposizioni urgenti a tutela dell’am­biente, della salute e del lavoro nell’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale”) e l’omologo art. 3 della Legge 4 marzo 2015 n. 20 (significativamente intitolato “Disposizioni urgenti per l’esercizio di impresa di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell’area di Taranto”), pertanto, non traggono origine da accuse penali e non applicano sanzioni, ma sono norme esclusivamente finalizzate a garantire il reperimento delle risorse economiche necessarie al fine di procedere alla indifferibili opere di bonifica ambientale previste dall’A.I.A. nel complessa situazione occupazionale ed ambientale in cui si versa la ILVA S.p.A. in amministrazione straordinaria.

Il processo penale è solo il contesto nel quale il trasferimento è disposto (perché le somme sono state attinte e vincolate nel processo penale), ma tale operazione prescinde integralmente dagli accertamenti svolti nello stesso e, per espressa volontà del legislatore, deve essere posta in essere, su richiesta dei Commissari Straordinari, indipendentemente da qualsiasi valutazione in ordine alla fondatezza degli addebiti formulati nel presente procedimento.

La stessa disciplina normativa si rivela agnostica sull’esito del processo penale, dettando una disciplina per ciascuno degli opposti esiti dello stesso.

(omissis)

***

In tale contesto normativo l’art. 3 della legge 4 marzo 2015 n. 20 (al pari del suo antecedente art. 11-quinquies dell’art. 1 D.L. 4.6.2013 n. 61) è, pertanto, una norma di diritto societario, atteso che provvede al reperimento dei fondi per finanziare le misure di risanamento ambientale previste nell’A.I.A. e che, prioritariamente, trasla tale onere economico sui soggetti che hanno esercitato la direzione ed il controllo di tale società di interesse strategico anteriormente al commissariamento.

Acclarata la inconferenza nella esegesi della disposizione di cui si controverte del riferimento al modello costituzionale di illecito penale ed ai principi del giusto processo cautelare, si impone, tuttavia, muovendo dalle censure avanzate dalla difesa di A. R., la verifica della conformità alla Costituzione di tale norma.

 

Le eccezioni di legittimità costituzionale per contrasto con il principio di uguaglianza sostanziale e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., con i principi di libera iniziativa economica e di proprietà di cui agli artt. 41 e 41 Cost. e per violazione dell’art. 117, comma 1 Cost., in relazione all’art. 108 TFUE.

La difesa di A.R. ha eccepito la illegittimità costituzionale della disposizione de qua per violazione del diritto di libera iniziativa economica e di proprietà, di cui agli artt. 41 e 42 Cost.

Secondo la difesa il trasferimento delle somma sequestrate si risolve in una forma surrettizia di espropriazione senza che sia attuato, in concreto, alcun bilanciamento tra interesse pubblico ed interesse privato ed in assenza della previsione di un indennizzo.

La conversione delle somme e dei titoli in sequestro in obbligazioni, nella prospettazione della difesa, inoltre, viola il diritto di proprietà riconosciuto dall’art. 42, comma 2, Cost. senza che sia accertabile una correlativa utilità sociale, in quanto le somme possono essere espropriate in assenza della verifica di alcun parametro di economicità e di buona gestione dell’impresa, non essendo in alcun modo richiesto, come presupposto per la traslazione delle somme in capo al­l’ILVA S.p.a., l’adozione di un piano industriale.

Anche tali doglianze, tuttavia, si rivelano infondate e, pertanto, devono essere disattese.

Il parametro costituzionale dell’art. 42 Cost. non pare conferente, in quanto il trasferimento dei beni sottoposti a sequestro penale e la loro sostituzione non integra una forma espropriazione.

La conversione dell’oggetto del sequestro non comporta alcuna acquisizione in favore dello Stato o del patrimonio pubblico dei beni e dei valori mobiliari originariamente attinti dal sequestro preventivo, né una diretta utilizzazione dei medesimi da parte dello Stato.

La peculiare operazione di conversione del­l’og­getto del sequestro preventivo e di trasferimento dei beni attinti originariamente dal vincolo cautelare ad ILVA S.p.A. prevista dalla disposizione in esame integra, invece, una prestazione patrimoniale imposta ai sensi dell’art. 23 Cost. sub specie di di prestito forzoso imposto in capo a chi ha esercitato funzioni di direzione e coordinamento dell’ILVA S.p.A. anteriormente al suo commissariamento e che è tenuto a porre rimedio alle conseguenze ed all’impatto delle proprie scelte gestionali sull’ambiente.

Incontroversa, del resto, nella più autorevole dottrina e nella stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale (ex plurimis: C. Cost., sent. 30.7.1980, n. 141) è la ascrizione della figura del prestito forzoso all’ambito applicativo dell’art. 32 della Costituzione.

Gli unici limiti imposti dall’art. 23 della Costituzione alla discrezionalità del legislatore di introdurre prestazioni patrimoniali imposte sono costituiti dal rispetto dal principio di legalità e dalla ragionevolezza della scelta operata dal legislatore stesso.

Nel caso di specie, tuttavia, sussiste incontrovertibilmente la base legale della previsione e la scelta operata dal legislatore non pare irragionevole per plurimi motivi.

L’art. 2497 c.c. prevede la responsabilità patrimoniale di coloro, società, enti, ma anche persone fisiche, che abbiano esercitato l’attività di direzione e di controllo sulle società di un gruppo.

Tale norma ha, pertanto, introdotto la responsabilità patrimoniale dell’impresa-holding (individuale o societaria), nei confronti dei soci e dei creditori sociali delle società controllate, per fatti riferibili al loro patrimonio, ma riconducibili ad una mala gestio unitaria del gruppo.

Nel disegno sistematico del codice civile, pertanto, le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società.

Questa regola di responsabilità risulta, tuttavia, significativamente inasprita dall’art. 11-quinquies dell’art. 1 D.L. 4.6.2013 n. 61 (e, di seguito, ribadita, ma attenuata dall’art. 3 della legge 4 marzo 2015 n. 20) mediante la previsione del­l’impiego provvisorio, in attesa della definizione del procedimento penale, dei beni sottoposti a sequestro nei confronti di coloro che hanno esercitato la direzione ed il controllo sulla società di interesse strategico nazionale, sottoposta a commissariamento straordinario e di seguito ad amministrazione straordinaria delle imprese in crisi.

Questo inasprimento del regime di responsabilità patrimoniale dei soggetti che hanno esercitato la direzione ed il controllo non pare, tuttavia, irragionevole, in quanto è univocamente preordinato a consentire il soddisfacimento contestuale di una pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti in una situazione di obiettiva e straordinaria emergenza ambientale ed occupazionale.

Tale disciplina rinviene, del resto, il suo fondamento giuridico nel potere di organizzazione del processo produttivo spettante a chi esercita il dominio ed il controllo su una società di interesse strategico nazionale e, nella correlativa responsabilità patrimoniale di tali soggetti in relazione all’ampio coacervo di interessi, anche costituzionalmente rilevanti, coinvolti nell’esercizio di tali attività economiche che sono connotate strutturalmente da elevate potenzialità di danno per l’ambiente, la salute ed il lavoro.

L’art. 2451 c.c., del resto, prevede la piena ammissibilità di regimi derogatori introdotti da leggi speciali in relazione alla gestione delle “società per azioni d’interesse nazionale … circa la gestione sociale, la trasferibilità delle azioni, il diritto di voto e la nomina degli amministratori, dei sindaci e dei dirigenti”.

(omissis)

La previsione della surrogazione dell’oggetto del sequestro e della destinazione dello stesso in via provvisoria alla realizzazione, mediante sottoscrizione di una emissione obbligazionaria, delle opere di risanamento ambientale previste nel­l’A.I.A., inoltre, come è emerso a reiteratamente nel dibattito parlamentare, nella volontà del legislatore, costituisce recepimento del principio di matrice comunitaria del “chi inquina paga” (pollutor pays principle) enunciato dall’art. 191, paragrafo 2, TFUE.

Già alla fine del 2012, del resto, il Parlamento Europeo aveva approvato una risoluzione sul­l’ILVA di Taranto, che ribadiva il principio “chi inquina paga” e chiedeva alle autorità italiane di garantire il recupero ambientale del sito con estrema urgenza, obbligando chi avesse causato il danno a sostenere i costi di bonifica.

In questo contesto ermeneutico, come ha persuasivamente evidenziato la difesa dei Commissari Straordinari di ILVA S.p.A. in a.s., la disciplina di cui all’art. 3 della Legge 4 marzo 2015 n. 20 costituisce riaffermazione dei medesimi principi già sottesi art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 61/2013, evidenziando maggiori e più intensi profili di tutela per i soggetti incisi dalla conversione dell’oggetto del sequestro preventivo in sede di eventuale restituzione dei beni staggiti.

Tale disciplina prevede, infatti, il diritto al rimborso alla scadenza del capitale nel caso in cui fosse disposta all’esito del processo penale la restituzione dei beni in sequestro.

La nuova disciplina, prevedendo la conversione dell’oggetto del sequestro in obbligazioni e non già in azioni, infatti, non assoggetta i beni di proprietà delle persone sottoposte ad indagini al rischio di impresa ed, in deroga alla disciplina fallimentare ordinaria, mediante la previsione della prededucibilità, garantisce ai medesimi un rango creditorio poziore rispetto a quella dei creditori chirografari.

***

Il sacrificio imposto dall’art. 3 della legge 4 marzo 2015 n. 20 a chi ha diretto e coordinato la società di interesse strategico nazionale non pare, inoltre, irragionevole in una ottica costituzionalmente orientata.

La lamentata compressione del diritto di proprietà sui beni originariamente attinti dal sequestro preventivo non è costituzionalmente illegittima quando si riveli preordinata a consentire il soddisfacimento contestuale di una pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti e di caratura superiore a quella del diritto inciso.

Nella specie, con l’imposizione del trasferimento coattivo e della surrogazione reale del­l’oggetto del sequestro, il legislatore persegue, in modo né sproporzionato né inidoneo, l’obiettivo di realizzare le opere di bonifica contemplate dall’AIA in vista del fine di utilità sociale costituito dalla necessità di perseguire il risanamento dell’ambiente e la tutela della salute unitamente al mantenimento dei livelli occupazionali.

La situazione ambientale che ha determinato il legislatore a disporre il commissariamento del­l’ILVA, del resto, involge la responsabilità patrimoniale della società stessa, ma anche, in una prospettiva aquiliana, di coloro che, in qualità di soci ed amministratori, anche di fatto, hanno gestito e diretto tale società.

D’altra parte, ancorché tale conflitto tra interessi costituzionalmente rilevanti non sia identico a quello esaminato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 85 del 9.4.2013, proprio tale sentenza consente di comprendere come il bilanciamento tra interessi posto in essere dal legislatore mediante la previsione dell’art. dell’art. 3, co. 1 D.L. n. 1/2015 convertito con L. n. 20/2015 si riveli tutt’altro che irragionevole.

Nella sentenza n. 85 del 9.4.2013, la Corte Costituzionale, nel disattendere le eccezioni di legittimità costituzionale formulate dalla Autorità Giudiziaria di Taranto, ha con forza evidenziato come il legislatore con la legge 24 dicembre 2012, n. 231 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, recante disposizioni urgenti a tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale) abbia «introdotto una normativa nuova e generale, applicabile a tutte le aziende di interesse strategico nazionale».

La Corte Costituzionale ha statuito che «la ratio della disciplina ... consiste nella realizzazione di un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, in particolare alla salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre e al lavoro (art. 4 Cost.) da cui deriva l’interesse costituzionale rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso».

In tale pronuncia la Corte Costituzionale ha affermato che la disciplina in esame realizza un bilanciamento ragionevole tra il diritto alla salute ed all’ambiente salubre da un lato ed il diritto all’iniziativa economica ed al lavoro dall’altro.

Pertanto, ancorché tale pronuncia non riguardi specificamente la norma di cui si invoca la applicazione nel presente procedimento, declinando i principi enunciati dalla Corte Costituzionale nel caso di specie, deve rilevarsi come nel conflitto tra i diritti proprietari dei soggetti attinti dalla conversione in titoli obbligazionari delle disponibilità economiche in sequestro e gli interessi costituzionalmente rilevanti al diritto all’ambiente salubre, al lavoro ed alla salute, i primi debbano assumere una valenza necessariamente subvalente.

(omissis)

***

La difesa di A.R. ha ulteriormente eccepito che la incostituzionalità della disciplina di cui si controverte emergerebbe anche dal carattere solo apparente della garanzia restitutoria. Secondo tale prospettazione, che muove anche dalle dichiarazioni rese dal Commissario Straordinario Gnudi nella audizione presso la commissione Industria e Ambiente del Senato in data 13.1.2015 e dalle risultanze della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, infatti, le condizioni patrimoniali di ILVA S.p.A. renderebbero concretamente impossibile la restituzione e, pertanto, definitivo il trasferimento dei beni staggiti alla società.

La intrinseca discrasia tra la portata nominale e la valenza reale della garanzia restitutoria si porrebbe, inoltre, in insanabile contrasto con l’art. 3 della Costituzione, creando una ingiustificata disparità di trattamento tra il soggetto attinto da una misura cautelare reale e chi, dopo esserlo stato, ha subito la conversione dei beni staggiti in obbligazioni.

Anche tale doglianza deve essere disattesa per manifesta infondatezza.

A tacere del condivisibile rilevo, formulato dal Pubblico Ministero, secondo il quale il patrimonio dell’ILVA S.p.A. non risulta essere negativo per quanto emerge dalla sentenza dichiarativa del­l’insolvenza, non vi sono, infatti, elementi che consentano di affermare, in via prognostica e con adeguato grado di credibilità razionale, che, in sede di riparto, non vi sia possibilità per le persone sottoposte ad indagini di ottenere la restituzione delle somme destinate a finanziare la omissione obbligazionaria.

I report citati dalla difesa delle agenzie di stampa relativi alle dichiarazioni rese dal Commissario Straordinario Gnudi nella audizione presso la commissione Industria e Ambiente del Senato in data 13.1.2015 non possono costituire una base affidabile per trarne la inferenza probatoria invocata dalla parte istante. Parimenti le statuizioni della sentenza declaratoria della insolvenza non possono far obliterare che il processo di risanamento economico e finanziario dell’ILVA è ancora alle fasi iniziali e non è possibile divinarne l’esito futuro per affermare che la condizione prevista dal legislatore per la restituzione sia di realizzazione “impossibile”.

La nuova disciplina, del resto, prevedendo la conversione dell’oggetto del sequestro in obbligazioni e non già in azioni, non assoggetta i beni di proprietà delle persone sottoposte ad indagini al rischio di impresa ed, in deroga alla disciplina fallimentare ordinaria, mediante la previsione della prededucibilità, garantisce alle medesime un rango creditorio poziore rispetto a quella dei creditori chirografari ed a quello ordinariamente garantito ai soci della compagine fallita dal diritto concorsuale generale.

La censura formulata dalla difesa si rivela, tuttavia, infondata per una ragione ulteriore e più profonda.

Il paventato effetto di mancata restituzione delle somme in sequestro per incapienza del patrimonio dell’ILVA non dipende dalla operazione di surrogazione reale disposta dal legislatore ma dalla pendenza della procedura concorsuale e dal possibile concorso delle pretese creditorie di altri soggetti. D’altra parte, anche ove il legislatore non avesse disposto la conversione dell’og­getto del sequestro in titoli obbligazionari, gli organi della procedura avrebbero potuto aggredire, in via cautelare ed esecutiva, le somme ed i titoli attinti nel presente procedimento penale, facendo valere nei confronti delle persone sottoposte ad indagine azioni di responsabilità e risarcitorie per il danno cagionato nella gestione dell’ILVA S.p.A. Anche in tale caso il concreto riacquisto della disponibilità delle somme da parte delle persone sottoposte ad indagini sarebbe stato, pertanto, posto in dubbio dalla concorrenza di plurime pretese creditorie sulle stesse in base al principio di cui all’art. 2741 c.c., atteso che il codice di rito ammette pacificamente il concorso sulle somme sottoposte a sequestro penale di plurimi vincoli, cautelari ed esecutivi, di natura civile.

Le prospettive concrete di effettiva restituzione delle somme in sequestro ai titolari, pertanto, sono ancora future e condizionate al verificarsi di una serie di concause allo stato ignote ed il pregiudizio per le stesse deriva dal possibile concorso sulle stesse di plurime pretese creditorie e, quindi, da una vicenda assolutamente fisiologica nella trama dell’ordinamento.

La doglianza deve, pertanto, essere disattesa in ragione della propria manifesta infondatezza.

***

La incostituzionalità dell’art. 3, co. 1 D.L. n. 1/2015 convertito con L. n. 20/2015 non può essere, peraltro, fondatamente argomentata neppure muovendo dal carattere eccezionale ed asseritamente retroattivo di tale disciplina.

La Corte Costituzionale nella sentenza n. 85 del 9 aprile 2013, proprio con riferimento alla disciplina normativa intesa a superare la situazione di emergenza ambientale ed occupazionale relativa all’impianto siderurgico dell’ILVA di Taranto, ha ribadito come la legge-provvedimento non sia incompatibile, in sé e per sé, con l’as­set­to dei poteri stabilito dalla Costituzione, in quanto «nessuna disposizione costituzionale … com­porta una riserva agli organi amministrativi o “esecutivi” degli atti a contenuto particolare e concreto (ex plurimis: sentenza n. 143 del 1989)».

Parimenti, precisa la medesima sentenza, non vi è alcuna lesione dei principi costituzionali nella legittima «incidenza di una norma legislativa su provvedimenti cautelari adottati dall’autorità giudiziaria … in funzione preventiva».

I beni sottoposti a sequestro penale sono attinti da un vincolo di indisponibilità giuridica che li rende insensibili agli atti di disposizione da parte del titolare, ma che non preclude certo al legislatore di conformare la disciplina di tali beni, mutando il quadro normativo di riferimento, anche successivamente alla esecuzione della misura cautelare reale ed all’avvenuto consolidamento, come nel caso di specie, del c.d. giudicato cautelare per mancata impugnazione del titolo genetico.

La medesima sentenza della Corte Costituzionale ha, del resto, statuito che «quanto infine alla temuta dispersione dei beni che potrebbero formare oggetto di una futura confisca, si deve riconoscere al legislatore, … la possibilità di modulare pro futuro l’efficacia e la portata stessa di un vincolo cautelare a secondo della natura del suo oggetto e degli interessi convergenti sulla situazione considerata».

***

La difesa di A.R. ha, inoltre, dedotto la incostituzionalità dell’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 61/2013 (rectius: dell’art. 3, co. 1 D.L. n. 1/2015 convertito con L. n. 20/2015) per contrasto con l’art. 117, comma 1 Cost., in relazione all’art. 108 T.F.U.E., in quanto tale disposizione prevede un intervento astrattamente integrante un aiuto di Stato ai sensi dell’art. 107 T.F.U.E., senza essere stato preceduto dalla previa notifica del relativo progetto alla Commissione Europea, come richiesto dall’art. 108, comma 3, T.F.U.E.

Secondo tale prospettazione, infatti, si è in presenza di un intervento ad hoc da parte dello Stato, che riconosce un vantaggio economico ad ILVA S.p.A. in a.s., superiore alle soglie de minimis e che è idoneo ad incidere sugli scambi degli stati membri posto che “determina l’artificioso mantenimento in vita di ILVA S.p.A., a detrimento della libera concorrenza tra gli operatori economici”.

Qualora, inoltre, il presente procedimento penale dovesse concludersi con esito favorevole per i soggetti attinti dal sequestro, gli stessi potrebbero vantare solo un diritto di credito (peraltro di impossibile realizzazione) nei confronti della società, senza possibilità alcuna di ottenere la disponibilità del danaro originariamente attinto dal vincolo reale. Nel caso di condanna dei soggetti attinti dal sequestro, per converso, la natura di aiuto di stato della disciplina de qua risulterebbe ancora più palese, in quanto, avendo lo Stato rinunciato al sequestro sul danaro oggetto di trasferimento, incamererebbe soltanto il diritto di credito incorporato nelle obbligazioni, che presenta possibilità di rimborso praticamente nulle.

Anche tale eccezione deve, pertanto, essere disattesa in quanto infondata.

La asserita violazione della disciplina degli aiuti di Stato nel caso di specie non può essere devoluta all’esame della Corte Costituzionale per violazione dell’art. 117 Cost.

La difesa, a sostegno delle proprie doglianze, ha citato le sentenze n. 299 dell’11.12.2013 e n. 249 del 3.11.2014, nelle quali la Corte Costituzionale ha ravvisato la violazione della disciplina degli aiuti di Stato ma in relazione a due leggi della Regione Abruzzo che violavano il contenuto precettivo dell’art. 117 della Costituzione.

Nel caso di specie, tuttavia, non si è in presenza del sindacato su una legge regionale, bensì nell’ambito di una richiesta di applicazione di una disposizione della legislazione statale.

Pertanto, qualora la stessa sia in contrasto con la disciplina comunitaria degli aiuti di stato, troveranno applicazione gli artt. 107 e 108 T.F.U.E. senza possibilità di dedurre la questione al vaglio della Corte Costituzionale.

L’art. 107 T.F.U.E. non è dotato di effetto diretto (Corte di Giustizia 22.3.1977, 78/76, Steinike und Weinlig) e, pertanto, non è invocabile direttamente dai singoli innanzi ai giudici nazionali al fine di richiedere, in particolare, l’ac­cer­tamento dell’incompatibilità di una misura statale con al disciplina degli aiuti di Stato.

Ove, pertanto, nel corso di un procedimento giurisdizionale nazionale, sorga per l’autorità giudicante nazionale un dubbio circa la compatibilità di una misura statale con l’art. 107.1, questa ha la possibilità di ricorrere allo strumento di cui all’art. 267 T.F.U.E. (Corte di Giustizia 17.6.199, C-295/97, Piaggio).

La verifica spettante al giudice nazionale riguarda, tuttavia, esclusivamente l’ascrivibilità della fattispecie alla nozione di aiuto di Stato, poiché – quanto all’esame nel merito – i giudici nazionali si devono limitare all’«accertamento del­l’os­servanza dell’art. 108, n. 3, TFUE, e cioè del­l’avvenuta notifica alla Commissione del progetto di aiuto. Ed è solo a questo specifico fine che il giudice nazionale, ivi compresa questa Corte, ha una competenza limitata a verificare se la misura rientri nella nozione di aiuto (sentenza n. 185 del 2011) ed in particolare se i soggetti pubblici conferenti gli aiuti rispettino adempimenti e procedure finalizzate alle verifiche di competenza della Commissione europea (sentenza n. 299 del 2013)».

Secondo la Corte Costituzionale «i requisiti costitutivi di detta nozione, individuati dalla legislazione e dalla giurisprudenza comunitaria, possono essere così sintetizzati: a) intervento da parte dello Stato o di una sua articolazione o comunque impiego di risorse pubbliche a favore di un operatore economico che agisce in libero mercato; b) idoneità di tale intervento ad incidere sugli scambi tra Stati membri; c) idoneità dello stesso a concedere un vantaggio al suo beneficiario in modo tale da falsare o minacciare di falsare la concorrenza (Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 17 novembre 2009, C-169/08); d) dimensione dell’intervento superiore alla soglia economica che determina la sua configurabilità come aiuto de minimis ai sensi del regolamento della Commissione n. 1998/2006, del 15 dicembre 2006 (Regolamento della Commissione relativo all’applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato agli aiuti d’importanza minore “de minimis”)» (Corte Cost. sentenza n. 299 del 10.11.2013).

Il giudice nazionale non può, pertanto, valutare la compatibilità di un aiuto con il mercato comune, in quanto tale apprezzamento di merito è riservato alla Commissione, che deve effettuarlo mediante il procedimento delineato dall’art. 108 T.F.U.E. sotto il controllo della Corte di Giustizia (Corte di Giustizia 22.3.1977, C-78/76, Stenike un Weinlig; Corte di Giustizia 15.6.2006, C-393/04, Air Liquide Industries; Corte di Giustizia 5.10.2006, C-368/04, Transalpine).

Tuttavia, il giudice nazionale può essere chiamato ad interpretare ed applicare la nozione di aiuto ex art. 107 per valutare se una misura statale, eseguita senza il previo procedimento di controllo ex art. 108 T.F.U.E., sia qualificabile come aiuto, o come aiuto nuovo o aiuto esistente, e quindi sia o meno oggetto dell’obbligo di notifica e di standstill (Corte di Giustizia 22.3.1977, C-78/76, Stenike un Weinlig; Corte di Giustizia 9.8.1994, C-44/93, Namur-Les assurances du credit).

Declinando tali consolidati principi nel caso di specie, deve rilevarsi come allo stato non sussistano i presupporti per disporsi il rinvio alla Corte di Giustizia, in quanto non si ravvisa la legittimazione della difesa di A.R. a dedurre tale questione.

Secondo la giurisprudenza comunitaria la semplice influenza di un aiuto sui rapporti di concorrenza non è sufficiente a fondare la legittimazione ad attivare i rimedi di cui all’art. 108 T.F.U.E. di qualunque operatore economico del settore, ma è necessario che l’operatore provi di aver subito una lesione della propria posizione di mercato determinata dall’aiuto (ex plurimis: Corte di Giustizia 22.11.2007, C-260/05, Sniace).

Declinando tali principi nel caso di specie deve rilevarsi come A. R. non sia un concorrente dell’ILVA S.p.A., ingiustificatamente beneficiata da un aiuto di Stato erogato in violazione dei principi dell’Unione Europea, bensì un azionista, sia pure a mezzo di concatenazioni di partecipazioni azionarie, della medesima ed un soggetto che ha esercitato, in fatto, la direzione ed il controllo su tale società e sulle sue scelte strategiche anche in materia ambientale.

Le risultanze degli accertamenti e delle indagini svolte nel presente procedimento hanno, infatti, dimostrato univocamente come E. ed A. R. abbiano esercitato, direttamente ed indirettamente, in qualità di amministratori di fatto, attività di direzione e di coordinamento di ILVA S.p.A. Le stesse modalità esecutive degli illeciti penali di cui si controverte nel presente procedimento e, segnatamente, la distrazione della somma di €.1,2 mld. mediante lo scorporo di rami di azienda e la percezione su conti esteri personali del corrispettivo di tali operazioni straordinarie, evidenziano con nitore come le persone sottoposte ad indagini avessero il controllo assoluto dell’ILVA S.p.A. e la gestissero come cosa propria, in spregio alla autonomia giuridica della stessa.

La difesa, a rigore, non invoca la incisione sostanziale della propria posizione di mercato o la negativa incidenza della normativa de qua sui rapporti di concorrenza nell’ambito dell’Unione Europea, bensì esclusivamente la lesione delle prerogative proprietarie del proprio assistito sulle somme in sequestro. Tale pretesa è, tuttavia, estranea all’ambito applicativo dell’art. 108 T.F.U.E.

La stessa difesa, del resto, non ha richiesto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell­’Unione Europea, bensì intende pervenire alla ablazione della norma mediante il giudizio di legittimità costituzionale.

Del resto, nei limiti delibatori propri della presente sede, deve rilevarsi che la disciplina di cui si controverte integra non già un aiuto di Stato, ma realizza una attribuzione a titolo di prestito di privati, parzialmente reintegratoria del danno ambientale cagionato, che costituisce espressione del principio “chi inquina paga”.

(omissis)

La richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per violazione del principio europeo del giusto processo e per contrasto di quanto disposto dall’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 61/2013 (rectius: dell’art. 3, co. 1 D.L. n. 1/2015 convertito con L. n. 20/2015) con la libertà di iniziativa economica, la libertà di impresa e, segnatamente, di proprietà riconosciuti sia dalla Carta di Nizza (artt. 16 e 17), sia nella Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo (art. 1 del Protocollo 1).

(omissis)

Presupposto di applicabilità della Carta di Nizza è, pertanto, che la fattispecie sottoposta al­l’e­same del giudice sia disciplinata dal diritto europeo – in quanto inerente ad atti dell’Unione, ad atti e comportamenti nazionali che danno attuazione al diritto dell’Unione, ovvero alle giustificazioni addotte da uno Stato membro per una misura nazionale altrimenti incompatibile con il diritto dell’Unione – e non già da sole norme nazionali prive di ogni legame con tale diritto (C. Cost. sent. n. 80 del 7.3.2011).

Nel caso di specie, tuttavia, tale presupposto difetta e la stessa difesa istante non ha prospettato alcun tipo di collegamento diretto tra il thema decidendum del presente procedimento e il diritto dell’Unione europea.

Quanto al merito delle censure di contrarietà al diritto dell’unione europea dedotte si è, peraltro, già ampiamente rilevato per quali ragioni il riferimento ai principi che delineano lo statuto sanzionatorio dell’illecito penale si riveli ampiamente inconferente nel caso di specie.

La conversione dell’oggetto del sequestro preventivo in titoli obbligazionari non è una sanzione penale, né una ipotesi di espropriazione per pubblica utilità. Il diritto al contraddittorio dei soggetti incisi è stato garantito mediante celebrazione di una udienza camerale nel corso della quale le parti ed i terzi depositari hanno potuto articolare compiutamente le proprie deduzioni in ordine alla istanza formulata dai Commissari Straordinari di ILVA in a.s.

 

I presupposti per il trasferimento ed i beni coinvolti nel medesimo.

Accertata la manifesta infondatezza delle dedotte questioni di legittimità costituzionale e delle richieste di rinvio pregiudiziale formulate dalla difesa di A.R., occorre rilevare come sussistano nel caso di specie tutti i presupposti per procedere alla conversione del sequestro preventivo sulle somme e sui titoli indicati nel decreto emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari in data 20.5.2013 (e già oggetto del trasferimento disposto in data 28.10.2014 ai sensi dell’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 61/2013) in obbligazioni emesse dalla società in amministrazione straordinaria. Le obbligazioni dovranno essere in­testate al Fondo Unico Giustizia e, per esso, al gestore ex lege Equitalia Giustizia S.p.A.

In tale contesto appare opportuno (anche al fine di semplificare gli adempimenti esecutivi) nominare custode dei beni in sequestro e delle emittende obbligazioni il Fondo Unico Giustizia.

P.Q.M.

Visto l’art. 3, co. 1 D.L. n. 1/2015 convertito con L. n. 20/2015

DISPONE

che le somme sequestrate nel presente procedimento (e già oggetto del trasferimento disposto in data 28.10.2014 ai sensi dell’art. 1, comma 11-quinquies, del D.L. 61/2013), siano destinate, in luogo dell’aumento di capitale, alla sottoscrizione di obbligazioni emesse da ILVA in amministrazione straordinaria;

DISPONE

la conversione del sequestro preventivo sui predetti beni in sequestro preventivo delle obbligazioni emittende per i fini stabiliti dalla predetta disposizione normativa.

DISPONE

che le obbligazioni siano intestate al Fondo Unico Giustizia e, per esso, al gestore ex lege Equitalia Giustizia S.p.A.

NOMINA

custode dei beni in sequestro e delle emittende obbligazioni il Fondo Unico Giustizia;

DISPONE

trasmettersi il presente decreto di sequestro preventivo al Pubblico Ministero richiedente perché ne curi l’esecuzione ai sensi dell’art. 104 disp.att. c.p.p. e la notificazione alle persona sottoposte alle indagini ed ai loro difensori, al Fondo Unico Giustizia e ad Equitalia Giustizia S.p.A.

MANDA

alla Cancelleria per gli adempimenti conseguenti.

Così deciso in Milano, l’11.5.2015.

 

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3.  Gli orientamenti dottrinali e giuri­sprudenziali - 4.  Commento. Il conferimento coattivo delle somme sottoposte a sequestro penale nel complesso quadro del commissariamento dell’Ilva - 5. I soggetti - 6.  Le modalità di esecuzione dell’ap­porto - 7. Il vincolo di destinazione sul capitale sociale e sul prestito obbligazionario - NOTE


1. Il caso

In data 11 settembre 2014 il Commissario Straordinario di Ilva S.p.A. ha rivolto al Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Milano istanza di trasferimento a tale società, ai sensi dell’art. 1, comma 11-quinquies del d.l. 4 giugno 2013, n. 61, dei beni sottoposti a sequestro nel procedimento penale pendente nei confronti degli amministratori e dei soci che hanno esercitato attività di direzione e di coordinamento dell’Ilva s.p.a. Nel maggio 2013, infatti, nell’ambito del suddetto procedimento il Giudice per le Indagini Preliminari aveva disposto, ai sensi degli artt. 321 c.p.p. e 648-quater c.p., il sequestro della somma di €. 1,2 mld. in danaro e titoli nei confronti di F.P., E.E.G., E.R. ed A.R. quale profitto dei reati di truffa aggravata ai danni dello Stato, contestato a tutti gli indagati, di trasferimento fraudolento di valori e di riciclaggio, contestati solo ad alcuni di loro. Nel medesimo procedimento, inoltre, con decreto emesso in data successiva, il Giudice per le Indagini Preliminari ha disposto, ai sensi degli artt. 321, 2° comma, c.p.p., 12-sexies d.l. 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 1992, n. 356, il sequestro preventivo di somme di danaro e di titoli presenti su un conto corrente bancario, che risultava essere stato alimentato da fondi provento di reato di E.R. ed attribuiti fittiziamente a suo figlio. L’art. 1, comma 11-quinquies del d.l. 4 giugno 2013, n. 61 prevede, infatti, che qualora sia necessario ai fini della realizzazione del piano di tutela ambientale del­l’im­presa soggetta a commissariamento, il giudice procedente trasferisce all’impresa commissariata le somme sottoposte a sequestro penale, anche in relazione a procedimenti penali diversi da quelli per reati ambientali a carico del titolare dell’impresa ovvero dei soci di maggioranza o degli enti, o dei rispettivi soci o amministratori, che abbiano esercitato attività di direzione e coordinamento sull’impresa commissariata prima del commissariamento, specificando inoltre, che in caso di impresa esercitata in forma societaria, le predette somme devono essere trasferite a titolo di sottoscrizione di aumento di capitale o in conto futuro aumento di capitale. La norma dispone, infine, che il sequestro penale sulle somme si converta in sequestro delle azioni che sono emesse o del credito a titolo di futuro aumento [continua ..]


2. La normativa di riferimento

Le sentenze in commento si fondano sul­l’applicazione dell’art. 1, comma 11-quin­quies del d.l. 4 giugno 2013, n. 61 e del­l’art. 3 del d.l. 5 gennaio 2015, n. 1, intervenuto a modificare il precedente decreto. Il Tribunale di Milano, viene infatti chia­mato a decidere, con due distinti provvedimenti, di una medesima fattispecie, ossia il trasferimento di somme sottoposte a sequestro penale a favore di Ilva s.p.a. – nelle more sottoposta ad Amministrazione Stra­or­­­dinaria – nel vigore di due discipline parzialmente diverse, che consentono modalità di trasferimento significativamente differenti. Il recente decreto legge, ha infatti superato alcune delle perplessità suscitate dal­l’obbligo di conferimento a capitale sociale di somme sottoposte a sequestro penale, con­sentendo che l’acquisizione di dette som­me avvenga a titolo di capitale di credito, con la conseguenza che le due sentenze vengono emesse in forza della previsione di cui all’art. 1, comma 11-quinquies del d.l. 4 giugno 2013, n. 61, intanto parzialmente modificata.


3.  Gli orientamenti dottrinali e giuri­sprudenziali

Stante la particolarità della fattispecie e la recente previsione normativa, non constano precedenti.


4.  Commento. Il conferimento coattivo delle somme sottoposte a sequestro penale nel complesso quadro del commissariamento dell’Ilva

Le sentenze in commento si inseriscono nella complessa vicenda che tutt’ora interessa la sorte di Ilva s.p.a. e del gruppo Riva. Oltre agli aspetti di natura penale, il quadro, come noto, è denso di implicazioni di politica economica e di natura politica in senso stretto, in considerazione della rilevanza che gli stabilimenti siderurgici e l’in­tero asset del gruppo rivestono nel­l’eco­nomia nazionale, sia in termini di ricaduta occupazionale che in conseguenza della natura strategica dell’attività pro­duttiva. Non è questo il luogo per riflessioni sul­l’intera vicenda e sulle soluzioni che si sono prospettate e che sono tutt’ora in corso [1], considerata l’urgenza e la complessità che la situazione mostra. Non si potrà tuttavia prescindere dal riferimento al caso di specie, per la specificità dello stesso e per l’in­no­vazione della sentenza in commento, di cui non constano precedenti, stante anche la breve vita della disciplina, introdotta solo nel 2013. L’analisi prende le mosse dall’art. 1, com­ma 11-quinquies del d.l. 4 giugno 2013, n. 61 che prevede [2] che qualora sia necessario ai fini della realizzazione del piano di tutela ambientale dell’impresa soggetta a commissariamento, il giudice procedente trasferisca all’impresa commissariata le somme sottoposte a sequestro in relazione a procedimenti penali a carico del titolare dell’impresa ovvero dei soci di maggioranza o degli enti, o dei rispettivi soci o amministratori, che abbiano esercitato attività di direzione e coordinamento sull’impresa com­missariata, specificando inoltre, nella sua prima formulazione [3], inizialmente applicabile alla fattispecie in esame, che in caso di impresa esercitata in forma societaria le predette somme devono essere trasferite a titolo di sottoscrizione di aumento di capitale o in conto futuro aumento di capitale. La norma dispone, infine, che il sequestro penale sulle somme si converta in sequestro delle azioni che sono emesse o del credito a titolo di futuro aumento di capitale e che le azioni di nuova emissione debbano essere intestate al Fondo unico giustizia. Non vi è dubbio che la norma abbia un carattere eccezionale, sia perché impone all’imprenditore o al socio – o, come si dirà nel prosieguo, addirittura a terzi [continua ..]


5. I soggetti

Come accennato, l’art. 1, comma 11-quin­quies del d.l. 4 giugno 2013, n. 61 è applicabile al titolare dell’impresa, ai soci di maggioranza della società commissariata, agli enti che, prima del commissariamento, abbiano esercitato l’attività di direzione e coordinamento sulla società commissariata, e ai soci ed agli amministratori di detti enti. Si tratta, evidentemente, di soggetti con posizioni molto diverse e la formulazione non del tutto puntuale, impone un approfondimento. Quanto all’ipotesi dell’imprenditore individuale, la responsabilità illimitata sembra ridurre l’impatto che la disciplina produce rispetto allo stesso. L’impressione tuttavia non è del tutto fondata. Come già accennato, la norma non rientra nell’ambito della disciplina della responsabilità in senso stretto, ossia della tutela dell’integrità del patrimonio nell’interesse creditorio, né di quella genericamente risarcitoria, quale indennizzo di un danno prodotto, posto che non è richiesta la prova di un nesso causale tra la condotta del soggetto e il danno ambientale arrecato, si tratta piuttosto di una norma volta ad attrarre al patrimonio aziendale il denaro (e i titoli) sottoposti a sequestro nell’ambito di un procedimento penale, allo specifico scopo di ripristinare la tutela ambientale e dunque, anche rispetto all’im­prenditore individuale, vi è una significativa incidenza sul suo patrimonio. L’ammon­ta­re complessivo del patrimonio dell’im­pren­­di­tore non muta – diversamente da quan­to avviene nelle società, il cui capitale sociale viene aumentato – ma la sua composizione evidentemente sì, al pari di se lo stesso scegliesse liberamente di liquidare un proprio bene personale o un bene aziendale destinato ad una diversa impresa, per apportarne il valore all’impresa che necessita di investimenti per il ripristino ambientale, poiché in luogo del denaro e dei titoli l’im­prenditore incrementa il valore delle immobilizzazioni. La norma risulta inoltre applicabile ai soci di maggioranza della società commissariata, siano essi persone fisiche o giuridiche, ma anche ai soci e agli amministratori della società controllante nonché agli enti e ai suoi amministratori e soci che abbiano esercitato [continua ..]


6.  Le modalità di esecuzione dell’ap­porto

Una questione particolarmente interes­sante attiene alla modalità del conferimento. Sotto tale profilo, la norma specifica che il giudice procedente trasferisca all’impresa commissariata, su richiesta del commissario straordinario, le somme sottoposte a sequestro in procedimenti penali a carico dell’im­prenditore, ovvero, in caso di impresa esercitata in forma societaria, a carico dei soggetti di cui si è detto. In caso di impresa eser­citata in forma societaria le predette somme devono essere trasferite a titolo di sottoscrizione di aumento di capitale, ovvero in conto futuro aumento di capitale nel caso in cui il trasferimento avvenga prima dell’aumento di capitale. Si tratta, dunque, di un ordinario procedimento di modifica del capitale sociale, con la rilevante differenza, che il socio è obbligato a sottoscrivere l’aumento, non in forza di un vincolo imposto dalla società – che evidentemente sarebbe in contrasto con la normativa societaria che consente alle società di imporre la liberazione dei conferimenti a seguito della sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale ma non anche di imporre la sottoscrizione stessa – bensì di un vincolo derivante dall’art. 1, comma 11-quinquies del d.l. 4 giugno 2013, n. 61. A conferma del fatto che la procedura di aumento del capitale sociale rispetti per larga parte la disciplina ordinaria dettata per la modifica del capitale sociale nelle società per azioni, è riconosciuto ai soci il diritto di opzione ai sensi dell’art. 2441 c.c., che non sembra possa essere limitato o escluso per la sola constatazione che si tratti di un aumento forzoso, in qualche modo straordinario. Elemento confermato anche dalla richiamata applicazione della disciplina del sovrapprezzo. È ben evidente, infatti, che il fatto che la società sia sottoposta a commissariamento e che soggetti alla stessa legata a vario titolo abbiano commesso reati ambientali non è di per sé sufficiente ad escludere che il patrimonio della società sia comunque tale da suggerire all’organo ammnistrativo pro tempore di stabilire un sovrapprezzo per le nuove sottoscrizioni volontarie o forzose a tener conto, al pari di quanto avviene nel procedimento “ordinario”, del valore patrimoniale della società. Quanto all’oggetto del conferimento, lo stesso riguarda somme [continua ..]


7. Il vincolo di destinazione sul capitale sociale e sul prestito obbligazionario

Se quanto detto in relazione all’aumento del capitale sociale consente di ritenere che, con le dovute differenze legate alla specialità della disciplina, l’operazione possa essere riconducibile all’alveo delle ordinarie procedure di aumento del capitale sociale, ciò che rende invece profondamente diversa la fattispecie di cui si discute dall’aumento del capitale è che sui conferimenti così apportati è imposto un vincolo legale di destinazione. Non si tratta propriamente del già disciplinato patrimonio destinato, di cui all’art. 2447-bis c.c. e seguenti, applicabile, invece, come si dirà, nel caso in cui gli apporti vengano effettuati per la sottoscrizione di obbligazioni, ma di un vincolo di destinazione direttamente sul capitale sociale. L’organo amministrativo della società, anche contro l’eventuale parere dell’assem­blea dei soci, deve infatti destinare il capitale sociale al compimento di operazioni volte a ripristinare livelli definiti di sicurezza ambientale. Da un punto di vista economico ed operativo la questione si pone in termini più consueti: l’organo amministrativo, e nel caso di specie il commissario straordinario, dovrà utilizzare quel denaro esclusivamente per azioni volte alla salvaguardia e al ripristino ambientale, al pari di quando una società deliberi l’aumento del capitale sociale, ad esempio, per effettuare nuovi investimenti in impianti, per ritardare la stipula di un contratto di finanziamento con terzi, o per qualsivoglia ragione strategica o di pianificazione economica. Spetterà agli amministratori dare esecuzione all’aumento ed utilizzare effettivamente i conferimenti per le finalità economiche prospettate all’assem­blea, o, nel caso in esame, imposte per legge. Sotto il profilo giuridico, la questione si pone però in termini sensibilmente diversi. Nel caso di aumento del capitale deciso in funzione della volontà di effettuare degli investimenti specifici, nessun vincolo esiste sui conferimenti, poiché la motivazione addotta dall’organo amministrativo per chiedere all’assemblea di deliberare l’aumento del capitale sociale, costituisce solo la ragione dell’aumento, ma non incide sulla causa del rapporto sociale, di cui i conferimenti costituiscono elemento essenziale. Probabilmente la ragione economica [continua ..]


NOTE