1. Tribunale di Bologna – decreto 13 novembre 2006
(Omissis). – ritenuto che la controversia non si dimostri bisognevole di istruttoria, poiché, anche senza prendere posizione sulla svolta obiezione di merito (…) è da credere che rivesta carattere conclusivamente assorbente l’eccezione di compromesso parimenti sollevata dai convenuti; che le ragioni più ampiamente esposte da questo Tribunale nei propri precedenti in materia (Trib. Bologna, 25 maggio 2005, in Giur. comm., 2006, II, 501 e Trib. Bologna, 23 novembre 2005, in www.
Giuremilia.it) non sembrano invero meritevoli di ripensamento né alla luce degli argomenti opposti da parte attrice, né, tanto meno, alla luce dei pure contrari precedenti esistenti sul punto, che, detto incidentalmente, laddove ritengono con varie e discutibili sfumature che le clausole arbitrali preesistenti siano divenute invalide a seguito dell’introduzione dell’arbitrato societario a cura dell’art. 34 D.lg. 5/03, paiono obliterare argomenti difficilmente superabili, a cominciare dalla facoltatività dell’arbitrato societario, dalla perdurante possibilità di dar luogo per le medesime controversie alla stipulazione di appositi compromessi, dall’inapplicabilità della norma alle società che fanno ricorso al mercato dei capitali di rischio e, non ultimo, dal fatto che, come si legge nel primo dei precedenti citati, in parafrasi di quanto scritto analogamente in dottrina, da cui si cita, “la situazione soggettiva della società di fronte alla nuova disciplina dell’arbitrato è tipicamente quella dell’onere”, nel senso “che la società vuole conseguire le utilità deve espressamente recepire una clausola conforme alla relativa fonte legislativa, altrimenti continua (anche nella semplice inerzia) ad avvalersi della disciplina anteriore subendone però i connessi svantaggi, avvertibili specialmente in termini di numero di controversie arbitrabili” (Omissis).
2. Tribunale di Bologna – 9 febbraio 2006
MOTIVI DELLA DECISIONE. – M.G.C. ha chiesto al Collegio l’accertamento e la declaratoria della nullità e/o annullabilità delle delibere emesse in data 5 luglio e 3 settembre 2004 della C s.p.a. per la nomina dell’organo amministrativo, con le conseguenti pronunce in tema di risarcimento dei danni, sulla base delle argomentazioni di cui all’atto introduttivo e alle memorie in atti, a cui si rinvia per brevità.
La società convenuta si è costituita sollevando varie eccezioni di carattere preliminare ed in particolar modo deducendo l’inammissibilità della domanda in virtù dell’art. 29 dello statuto della C. s.p.a. che devolve ad arbitri la cognizione delle questioni sull’interpretazione e sull’esecuzione dello statuto e dei rapporti da esso scaturiti; nel merito, si è opposta alle domande avversarie sostenendo la validità in ogni caso del secondo deliberato (con cui si è prevista la nomina del consiglio d’amministrazione e non di un amministratore unico, secondo il testo corretto dello statuto sociale), che ha integralmente sostituito il primo, essendo l’assemblea validamente convocata sia secondo il precedente diritto societario, sia secondo la nuova disciplina (v. soprattutto l’art. 2379 co. 3°, c.c.) e non operando la maggioranza qualificata di cui all’art. 16 dello statuto in caso di nomina dei consiglieri (non essendo più prevista la scelta tra l’a.u. e il c. d’a., come ammetteva il vecchio testo).
Ciò premesso, rileva il Tribunale che l’eccezione di inammissibilità e/o improcedibilità della domanda per difetto di giurisdizione e/o competenza del Tribunale adito, in virtù della clausola arbitrale contenuta nel’art. 29 dello statuto sociale, appare apprezzabilmente fondata sulla base delle considerazioni che seguono.
Detto articolo recita: “Qualsiasi controversia dovesse insorgere fra i soci o questi e la società in merito all’interpretazione e all’esecuzione del presente statuto o ai rapporti da esso derivanti sarà rimessa alla decisione di un Collegio formato da tre arbitri amichevoli compositori, mandatari delle parti, da nominarsi uno da ciascuna parte ed il terzo dagli arbitri così nominati…”.
Va preliminarmente osservato che la presente controversia rientra pienamente nell’ambito di detta clausola, in quanto vertente principalmente sull’interpretazione degli art. 16 e 18 dello statuto della C. s.p.a., che si asseriscono violati per effetto delle delibere oggetto d’impugnativa.
Si tratta, inoltre, di questioni che non sono riferibili a vicende concernenti gli interessi della società, ovvero la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o di terzi e che quindi, in linea di principio, possono formare oggetto di compromesso, secondo l’orientamento della Suprema Corte (Omissis).
Tale orientamento può dirsi tuttora valido anche vigente il nuovo rito societario, nell’ambito del quale sorge, invece, la diversa questione del valore delle clausole arbitrali antecedenti non adeguate alla disciplina di cui all’art. 34 D. lgs. 5/2003, come accade nel caso di specie.
In via di estrema sintesi, si osserva che sono tre gli orientamenti espressi dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
Il primo, più radicale, opta per la radicale nullità sopravvenuta delle clausole non adeguate a norma degli artt. 223-bis e 223-duodecies disp. att. c.c., in quanto diversamente ragionando non avrebbero senso le disposizioni dell’art. 1 co. 4 del D. lgs. citato “(Per quanto non diversamente disciplinato dal presente decreto, si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili”) e dell’art. 41.
Opererebbe in tale modo il meccanismo che impone al giudice, in caso di giudizio impropriamente introdotto, il mutamento d’ufficio del rito e la cancellazione della causa dal ruolo, ossia il giudice dovrebbe dichiarare d’ufficio la nullità della clausola compromissoria priva dei requisiti inderogabili di cui all’art. 34, co. II°, D. lgs. 5/2003.
Una seconda interpretazione ritiene che possa intervenire una nullità solo parziale, essendo applicabile il disposto di cui all’art. 1419 c.c.: resterebbe la validità della clausola con l’invalidità limitata alla nomina che non tenga conto della nuova disciplina ed opererebbe il meccanismo sostitutivo dell’art, 34, co. II (nomina da parte del presidente del tribunale del luogo ove ha sede la società).
Un terzo orientamento, c.d. del doppio binario, a cui ha aderito questo Tribunale (v. Trib. Bologna, sez IV, rel. Atzori, 27 ottobre 2005 e 13 aprile 2005, rel. Pilati) considera la natura additiva dell’arbitrato endosocietario, che andrebbe ad aggiungersi all’arbitrato comune e solo nel caso in cui la compagine sociale abbia adeguato lo statuto, dovrebbe intendersi la sua adesione in toto alle nuove regole di definizione delle controversie.
Invero, la previsione del nuovo istituto non può essere considerata disposizione inderogabile ma meramente eventuale alla stregua del tenore letterale dell’art. 34 D. lgs. 5/2003 (Omissis).
Anche la lettura della stessa relazione al decreto nella parte attinente alla materia in oggetto conferma tale impostazione: “La formulazione del testo contribuisce alla creazione di una compiuta species arbitrale, che si sviluppa senza pretese di sostituire il modello codicistico (naturalmente ultrattivo in materia societaria) comprendendo numerose opzioni di rango processuale …, che appaiono assolutamente funzionali alla promozione della cultura dell’arbitrato societario (Omissis)”.
Ciò porta a ritenere che l’art. 41 del D. lgs. cit. non sancisca un obbligo di adeguamento degli statuti, nella parte relativa alle clausole compromissorie alle nuove dettate per l’arbitrato endosocietario e che il rispetto della disciplina di cui all’art. 34 d. lgs., debba considerarsi come un onere solo per coloro che vogliono usufruire dei vantaggi offerti dalla nuova tipologia arbitrale (Omissis).
In mancanza di adeguamento, pertanto, si avrà applicazione della disciplina formale e sostanziale dell’arbitrato di tipo tradizionale, con i limiti di efficacia allo stesso riconosciuti dalla dottrina e, soprattutto, dalla giurisprudenza.
Un ultimo argomento a sostegno della tesi a cui si aderisce è il seguente.
Dato che la nullità esprime sempre un vizio genetico dell’accordo delle parti dipendente dalla situazione di fatto e di diritto all’epoca esistente, non è configurabile una previsione sopravvenuta di nullità, in grado di travolgere accordi negoziali già perfezionati e che abbiano già validamente prodotto i loro effetti.
Quindi, la retroattività di una nullità contrattuale potrebbe ricavarsi o da una espressa previsione di legge, in via eccezionale rispetto al principio dettato dall’art. 11 disp. prel. c.c. (secondo cui la legge non dispone che per l’avvenire) o della sopravvenuta contrarietà del contenuto del contratto a principi e valori ritenuti fondamentali dall’ordinamento.
La prima ipotesi non ricorre in quanto la novella societaria non prevede, in materia di arbitrato, alcuna retroattività della forma più radicale di invalidità prevista dall’art. 34 più volte citato.
La seconda neppure ricorre, in quanto il legislatore ha voluto, al contrario, favorire il ricorso a forme alternative di risoluzione delle controversie per scopi deflativi, cercando di evitare solamente gli inconvenienti del vecchio sistema. Neppure potrebbe parlarsi di nullità ex tunc per sopravvenuta illiceità dell’oggetto, che non ricorre in caso di contrasto con una norma successiva.
In definitiva, la disciplina del procedimento arbitrale va considerata inderogabile nel suo complesso, ossia come corpo di norme da applicare tutte assieme, al fine già illustrato, di usufruire delle agevolazioni contemplate dalla riforma; ciò che è derogabile è il modello di arbitrato endosocietario, quantomeno da quei soggetti che, non intendendo avvalersi dei benefici e del regime complessivo previsti dal legislatore, abbiano inteso rimanere nella disciplina di diritto comune, l’unica vigente al momento della approvazione della clausola arbitrale.
Da tutte le considerazioni che precedono deriva l’inammissibilità delle domande in questa sede avanzate da M.G.C. ed il difetto di giurisdizione del Tribunale adito, essendo pienamente valida ed operativa la clausola di cui all’art. 29 dello statuto sociale della C. s.p.a. versato in atti (Omissis).
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1. Tribunale di Bologna – 13 novembre 2006 (decr.) – Marulli Relatore – A.S. c. M.F.
Società – Arbitrato societario – Clausola compromissoria difforme – Adeguamento facoltativo. (Art. 34, D. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5; artt. 806 ss. c.p.c.).
Società – Arbitrato societario – Clausola compromissoria difforme – Validità. (Art. 34, D. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5; artt. 806 ss. c.p.c.).
La situazione soggettiva della società è quella dell’onere nel senso che se la società vuole conseguirne le utilità deve espressamente recepire una clausola conforme alla relativa fonte legislativa (1).
In mancanza di adeguamento della clausola compromissoria la società continua (anche nella semplice inerzia) ad avvalersi della disciplina anteriore subendone però i connessi vantaggi (2).
2. Tribunale di Bologna – 9 febbraio 2006 – Pilati Presidente – De Cristofaro Relatore – M.G.C. c. C. s.p.a. e G.C.
Società – Arbitrato societario – Clausola compromissoria difforme – Validità. (Art. 34, D. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5; artt. 806 ss. c.p.c.).
In mancanza di adeguamento degli statuti delle società commerciali costituite precedentemente all’entrata in vigore del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 alle nuove norme in materia di arbitrato societario si avrà l’applicazione della disciplina formale e sostanziale dell’arbitrato di tipo tradizionale (3).
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Con i provvedimenti in epigrafe il Tribunale di Bologna ha confermato il proprio orientamento – precedentemente espresso in almeno due provvedimenti [1] – secondo il quale le clausole compromissorie contenute negli statuti delle società precedentemente all’entrata in vigore del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 non subiscono, per effetto dell’art. 34, 2° comma, del medesimo d.lgs., la sorte della nullità totale o parziale. Al contrario, esse mantengono la loro efficacia e sono idonee a radicare la competenza degli arbitri nominati dalle parti a giudicare delle controversie loro riservate dalla clausola statutaria. La decisione della corte felsinea si inserisce nel panorama dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi all’indomani dell’entrata in vigore della c.d. riforma del diritto e del processo societario all’interno del quale non sono mancate voci assai discordanti tra loro soprattutto in ragione del fatto che sia le nuove norme sia la relazione illustrativa al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 non brillano certo per chiarezza. Il problema interpretativo è sorto in quanto l’art. 34 del d.lgs. n. 5/2003 – dopo avere previsto la possibilità per tutte società, a esclusione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, di inserire negli statuti sociali clausole compromissorie – al 2° comma ha dettato le caratteristiche di tali clausole. In particolare, esse devono prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società. Poiché la grande maggioranza degli statuti societari contenenti una clausola compromissoria prevedevano – e nella maggior parte prevedono tuttora – che ciascuna delle parti avesse la facoltà di nominare un arbitro (c.d. clausola binaria), all’indomani dell’entrata in vigore della riforma del d.lgs. n. 5/2003 in molti si sono interrogati sulla portata del nuovo testo, in particolare sulla sorte delle precedenti clausole statutarie delle società commerciali. Con riguardo alla sanzione contenuta nell’art. 34, 2° comma, d.lgs. n. 5/2003 un primo orientamento si è schierato in favore della nullità dell’intera clausola compromissoria che non riservasse (com’è invece nella [continua ..]