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La vigilanza sul rispetto dei codici di corporate governance
Antonino Colombo
Sommario:
1. Introduzione. Le modifiche degli artt. 124-ter e 192-bis t.u.f. - 2. Il processo di adozione del Codice di autodisciplina di Borsa italiana S.p.A. Brevi raffronti con altri ordinamenti - 3. Gli orientamenti dello European Corporate Governance Forum e della dottrina - 4. Codici di autodisciplina e poteri-doveri di controllo della Consob. Potenziali effetti distorsivi degli abrogati artt. 124-ter e 192-bis t.u.f. - 5. (Segue). Due esempi emblematici: gli amministratori non esecutivi (ed indipendenti) e le operazioni con parti correlate - 6. Considerazioni conclusive - NOTE
1. Introduzione. Le modifiche degli artt. 124-ter e 192-bis t.u.f.
L’OCSE, nel primo dei suoi Principi di governo societario (2004) [1], identifica le «basi per un efficace governo societario», ponendo l’accento sui compiti istituzionali delle «diverse autorità preposte alla supervisione, alla regolamentazione e alla garanzia dell’applicazione delle norme». Il Principio OCSE rafforza, così, la consapevolezza che il buon governo delle imprese (specie, di quelle che raccolgono capitali sui mercati) dipende tanto dalla legge quanto dall’autodisciplina, tanto dalle reazioni del mercato ai fatti di mala gestio, quanto dagli interventi sanzionatori delle Autorità di vigilanza. Trascurare l’uno o l’altro elemento porta, quindi, ad avere una visione parziale delle «fonti» della corporate governance, che invece debbono coesistere, secondo un dosaggio che varia in funzione dei mercati, del sistema istituzionale, dell’ordinamento giuridico, della cultura «etica», propri di ciascun Paese. Se guardiamo alle fonti della governance delle imprese italiane, possiamo constatare che, in effetti, tra esse vanno, a pieno titolo, annoverati gli atti delle nostre autorità amministrative indipendenti con funzione di supervisione dei mercati finanziari e, quindi, in primis della Consob [2]. Alla Commissione si deve, infatti, l’elaborazione di un significativo numero di [continua ..]
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2. Il processo di adozione del Codice di autodisciplina di Borsa italiana S.p.A. Brevi raffronti con altri ordinamenti
Ripercorriamo, anzitutto, il processo che ha portato all’emanazione del codice di comportamento per eccellenza: il Codice di Autodisciplina redatto dal Comitato per la Corporate Governance, nominato da Borsa Italiana S.p.A. Esso ha una storia che risale al 1999 [7], anno di pubblicazione della sua prima edizione, oggetto di un’opera di riammodernamento compiuta nel 2002 [8]. L’attuale Codice, erede della precedente edizione rielaborata, è stato dato alle stampe nel marzo del 2006 [9]. Il Codice, dunque, è sempre stato espressione dell’iniziativa autoregolamentare di un soggetto privato: la società di gestione dei mercati regolamentati. Diversamente, in altri Paesi dell’Europa continentale, il processo di elaborazione dei codici di comportamento non si è sviluppato in un alveo strettamente «privato», ma ha visto il coinvolgimento di autorità pubbliche. Il primo esempio è quello della Germania. Il Codice tedesco di corporate governance (c.d. codice Cromme [10]), infatti, è stato adottato da una commissione, composta da membri designati dal Ministro della Giustizia. Esso, inoltre, è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale federale, al pari degli atti normativi di fonte statuale. Il secondo esempio proviene dalla Spagna. Nel 2003 (Orden ECO/3722/2003, del 26 dicembre), il Consiglio dei Ministri ha affidato [continua ..]
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3. Gli orientamenti dello European Corporate Governance Forum e della dottrina
Vediamo, adesso, la posizione assunta da un organo consultivo della Commissione europea (in quanto tale dotato di una specifica autorevolezza): lo European Corporate Governance Forum. Esso nello «Statement on the comply-or-explain principle» del febbraio 2006 ha espresso il seguente orientamento: «regulatory authorities should limit their role to checking the existence of the statement, and to reacting to blatant misrepresentation of fact They should not try and second-guess the judgement of the board(s) or the value of its/their explanation. This is a matter for the company’s shareholders» [19]. Da una parte, sembra di rileggere le parole dell’Informe spagnolo sopra riportate, a dimostrazione dell’impegno della CNMV nel tenere conto degli orientamenti delle istituzioni comunitarie e dei relativi fora con ruolo consultivo. Dall’altra, abbiamo una chiara smentita della regola voluta dalla legge italiana sul risparmio e qui criticata. Un ultimo punto di riferimento per valutare l’art. 124-ter t.u.f. è la dottrina giuridica. Secondo un autorevole Autore: «Administrative supervision can only relate to whether a code has been identified and explanation given in case a provision is not followed but without entering into the substance of that explanation. In many instances the administrative supervisor would not be able to determine whether the [continua ..]
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4. Codici di autodisciplina e poteri-doveri di controllo della Consob. Potenziali effetti distorsivi degli abrogati artt. 124-ter e 192-bis t.u.f.
Tenendo in mente quanto esposto nei paragrafi che precedono, proviamo ora a sviluppare qualche ulteriore riflessione sulle norme in esame. Esse presentavano la Consob come «garante» diretto della veridicità delle informazioni sulla governance. La Commissione non avrebbe potuto più limitarsi a fare ragionevole affidamento sulle relazioni e segnalazioni del collegio sindacale. Se così fosse stato, nel t.u.f. non avremmo dovuto leggere altro che la disposizione di cui all’art. 149, 3° comma. Volendo, invece, dare un senso proprio alle disposizioni di cui agli artt. 124-ter e 192-bis, si doveva ammettere che il testo unico esigeva un controllo, espressamente qualificato di veridicità, da esercitarsi direttamente dalla Consob, anche a prescindere dalla mediazione dell’organo di controllo interno delle imprese. Trattandosi di un potere-dovere, ne sarebbe disceso che la Consob avrebbe potuto essere chiamata a rispondere dei danni causati dalle défaillances del sistema dei controlli delle società vigilate, anche in assenza di reports allarmanti dei sindaci e dei revisori. Un probabile effetto collaterale delle norme criticate avrebbe potuto essere, pertanto, un «eccesso di colpevolizzazione» della Commissione. Percorrendo la via tracciata dagli artt. citt., si sarebbe giunti, cioè, al risultato di fare [continua ..]
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5. (Segue). Due esempi emblematici: gli amministratori non esecutivi (ed indipendenti) e le operazioni con parti correlate
Chiediamoci, ora, con riferimento a due ipotesi emblematiche, se le norme degli artt. 124-ter e 192-bis potessero avere effetti positivi tangibili, sotto il profilo della tutela dei risparmiatori, fine ultimo dichiarato della legge n. 262. Nonostante l’ottimistico giudizio prognostico di parte della dottrina [41], se ne può dubitare poiché le relazioni sulla governance si appuntano su elementi, che non sempre si prestano ad un’agevole verifica in termini di veridicità/falsità. Si pensi al caso degli amministratori non esecutivi «Il [cui] numero, … competenza, … autorevolezza e … disponibilità di tempo … [devono essere] tali da garantire che il loro giudizio possa avere un peso significativo nell’assunzione delle decisioni consiliari» (Princ. 2.P.3 Cod. di Autod.). Di fronte a regole di questo tenore, avrebbe la Consob potuto e dovuto giudicare l’adeguatezza del numero dei non esecutivi e l’effettivo possesso dei requisiti prima ricordati? Analoghi interrogativi sarebbero sorti, ovviamente, anche per gli amministratori indipendenti, che devono essere in numero adeguato (Princ. 3.P.1) [42]. La verifica della Consob sarebbe necessariamente culminata in un provvedimento con effetti molto incisivi sull’operatività dell’organo gestorio e sulla reputazione dell’amministratore giudicato non indipendente. Oltre [continua ..]
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6. Considerazioni conclusive
La legge n. 262, nel momento in cui inseriva nel t.u.f. norme come quelle degli artt. 124-ter e 192-bis, mostrava, in definitiva, un’ispirazione paternalistica, a cui non era certo che potesse corrispondere un reale miglioramento del livello di affidabilità del sistema di governance dei nostri emittenti quotati [49]. È utopistico pensare che l’attendibilità delle informazioni societarie possa essere garantita, per tutti e in tutti i casi, da un organo pubblico. L’Autorità di vigilanza ha precise responsabilità istituzionali, dovendo essa «vigila[re] sui mercati regolamentati al fine di assicurare la trasparenza, l’ordinato svolgimento delle negoziazioni e la tutela degli investitori» (art. 74 t.u.f.), ma ciò non può condurre alla deresponsabilizzazione degli attori del mercato. È invece necessario che enforcement pubblico e privato si integrino e si rafforzino reciprocamente e, a tal fine, sembra opportuno il «ponte» tra i due livelli di controllo instaurato dall’art. 149 t.u.f. [50]. Esso, da una parte, pone a carico del collegio sindacale il potere-dovere di vigilare sulle modalità di concreta attuazione delle regole di governo societario previste da codici di comportamento (1° comma, lett. c-bis) e, dall’altra, gli impone di comunicare senza indugio alla Consob le irregolarità riscontrate [continua ..]
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NOTE