Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Rito societario ed istanza di fissazione udienza: sorte del procedimento per inosservanza degli oneri propulsivi nella fase subprocedimentale (di Angela De Tommasi)


Tribunale di Reggio Calabria, ord. 16 aprile 2007

 

Il giudice designato

vista l’istanza di fissazione dell’udienza collegiale depositata il 7.2.07 e notificata il 30.1.07 dagli attori;

vista la memoria di replica di parte convenuta notificata in data 10.1.07 e depositata il 17.1.07;

vista la nota di precisazione delle conclusioni depositata il 18.2.07 nell’interesse della stessa convenuta;

preso atto della eccezione di estinzione del processo ex art. 9 III comma d.lgs.5/03, formulata da parte convenuta, dopo lo spirare del termine violato, sin dal verbale di udienza del 10,11.06 fissata sul ricorso ex art. 8 V comma d.lgs. 5/03 davanti al presidente della I sezione civile di questo Tribunale;

preso atto che con provvedimento 11.12.06 il presidente della I sezione civile di questo tribunale ha dichiarato inammissibile – ai sensi e per gli effetti di cui all’alt. 8 V comma d.lgs. 5/03 – la prima istanza ex art. 8 notificata da parte attrice il 14.7.06 e non depositata nei successivi dieci giorni e rinviato per competenza al giudice istruttore per la delibazione dell’ec­cezione di estinzione;

visto e richiamato il proprio precedente provvedimento 5.03.07 con il quale è stata fissata l’udienza del 10.4.07 per la comparizione delle parti (sul presupposto che il sub-pro­ce­dimento contemplato al V comma dell’art. 12 del d.lgs. 5/03 per le ipotesi tipiche di estinzione possa estendersi anche al caso di specie, data l’assenza di uno specifico strumento di disciplina della sorte del procedimento proprio per il caso di rilevata tardività o omissione del deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza nel termine perentorio previsto dall’art. 9 III comma d.lgs. 5/03);

visto il verbale dell’udienza cosi fissata e a scioglimento della riserva ivi assunta;

rilevato che a verbale il procuratore di parte attrice ha aderito alla richiesta di estinzione del processo, chiedendo tuttavia la compensazione delle spese, laddove il procuratore di controparte ha insistito per la condanna dell’attrice alle spese di lite;

osserva

  • 1. Premesso che, a norma dell’art. 9 III comma d.lgs. 5/03, la parte che ha provveduto alla notificazione dell’istanzaexart. 8 dello stesso decreto è tenuta al suo deposito in cancelleria nel termine perentorio di dieci giorni dall’ultima notificazione, si rileva che, nel caso di specie, parte attrice ha notificato una prima istanza di fissazione in data 14 luglio 2006, senza tuttavia curarne il tempestivo deposito nel termine perentorio di cui sopra. La convenuta, con ricorso tempestivamente depositato il 21.7.06 (nel termine perentorio cioè di cui all’art. 8 V comma, quando ancora non si era consumato interamente il diverso termine di cui all’art. 9 III comma incombente, questo, sull’at­trice) ha chiesto dichiararsi inammissibile, per motivi diversi, l’istanza ex art. 8 notificatale. Quel sub-procedimento si è incardinato davanti al presidente della I sezione civile di questo tribunale ed è stato chiamato all’udienza del 10.11.06, nel corso della quale la parte convenuta ha, preliminarmente, eccepito l’estinzione del giudizio per violazione del termine perentorio di cui all’art. 9 III comma (frattanto spirato), ritenendo che l’eccezione di estinzione, siccome fondata su un fatto (l’avvenuta consumazione, nelle more, del termine di cui sopra) sopravvenuto alla proposizione dell’istanza ex art. 8 V comma, fosse assorbente rispetto alla delibazione di quest’ultima.
  • 2. Il presidente investito della decisione sull’inam­mis­sibilità dell’istanza, nulla osservando in ordine alla pregiudizialità della nuova, diversa eccezione sollevata dalla convenuta, ha dichiarato inammissibile la prima istanza di fissazione dell’udienza per violazione del contraddittorio, rimettendo a questo giudice la valutazione della diversa eccezione di estinzione, siccome esorbitante i poteri attribuitigli dal V comma del citato art. 8 del d.lgs. 5/03.
  • 3. Così ripreso lo scambio degli atti tra le parti, la convenuta ha depositato proprie repliche, insistendo preliminarmente sulla sollevata eccezione d’estinzione; l’attrice ha notificato alla controparte una seconda istanza di fissazione in data 30.1.07, curandone – questa volta – il tempestivo deposito in data7.2.07;la convenuta ha depositato propria nota ex art. 10, nella quale, ancora una volta, ha preliminarmente insistito per la declaratoria di estinzione del procedimento.
  • 4. L’eccezione di estinzione è fondata. Occorre premettere, intanto, che sulla fattispecie all’esame non sussiste un consolidato orientamento della giurisprudenza di merito, essendosi talora ritenuto che all’omesso deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza nel termine perentorio di cui sopra non consegue la declaratoria automatica di estinzione del processo, aprendosi semmai un periodo di quiescenza di un anno, in analogia con quanto disposto dall’art. 307 c.p.c., durante il quale il processo potrà essere riassunto dalle parti (cfr. tribunale Milano sez. VIII civile 12.1.07); tal’altra, che detto termine è perentorio, sì che il suo inutile decorso fa venire meno il diritto della parte istante di richiedere nuovamente la fissazione dell’udien­za (cfr. tribunale di Santa Maria Capua a Vetere 29.11.05; tribunale Lucca 18.10.04).
  • 5. Ciò posto, per la soluzione del non facile problema ermeneutico di che trattasi, devesi intanto rilevare che la notificazione dell’istanza ex art. 8 costituisce atto conclusivo dello scambio tra le parti e determina l’ef­fetto di cristallizzare ilthema decidendum e probandum,precludendo alle parti ulteriori sviluppi della materia del contendere (cfr. art. 10 II comma d.lgs. 5/03). Il deposito di tale istanza, a sua volta, costituisce attività parimenti necessaria e vincolata – per espressa previsione normativa (cfr. 9 III comma) – al rispetto di un termine perentorio, rappresentando l’indispensabile link tra la fase dello scambio – svoltosi in assenza dell’intervento giudiziale – e quella successiva apud judicem.
  • 6. La natura perentoria del termine di che trattasi, inoltre, ne sancisce la improrogabilità, sicché la sua violazione preclude alla parte onerata (nel caso di specie, quella che ha provveduto alla notifica dell’istanzaexart. 8) l’esercizio delle successive facoltà, tra le quali – quindi – anche il deposito tardivo della stessa istanza notificata. Nel caso di specie, invero, l’in­tem­pestivo deposito (solo a seguito, peraltro, della sollevata eccezione) della prima istanza di fissazione notificata dall’attri­ce va equiparato ad un suo mancato deposito e deve considerarsi preclusa all’attrice, già a far data dal 24.07.06 (dallo spirare cioè del I termine di cui all’art. 9 III comma) la facoltà di far transitare il procedimento dalla fase dello scambio degli atti a quella successiva apud judicem o di depositare una seconda istanza di fissazione dell’udienza.
  • 7. Tale ultima facoltà, peraltro, è subordinata, nel sistema speciale delineato dal legislatore, alla perdita di efficacia della I istanza (art. 8 comma 5bisper il processo litisconsortile) o alla sua dichiarata inammissibilità (art. 8 V comma), sempre che il processo non siasi per altra causa estinto (art. 8 IV comma), dovendo altrimenti la stessa ritenersi consumata per tutte le parti del processo, giusta la preclusione di cui all’art. 10 II comma.
  • 8. Vi è da rilevare, tuttavia, nel caso di specie, chela Iistanza di fissazione è stata effettivamente dichiarata inammissibile dal presidente investito della richiesta ex art. 8 V comma e che il legislatore non ha inteso comminare una specifica sanzione per il caso di inosservanza del termine perentorio di che trattasi, così come espressamente ha fatto per la diversa ipotesi di cui all’art. 8 IV comma.
  • 9.Nessuno dei due argomenti è tuttavia dirimente. Quanto al secondo, infatti, la mancata previsione di una sanzione per il caso di violazione del termine di cui all’art. 9 III comma d.lgs. 5/03 non costituisce circostanza di per sé ostativa alla declaratoria di estinzione del processo, dovendosi la soluzione ricercare all’in­terno dello stesso sistema normativo delineato per il rito societario. Tale sistema, peraltro, è stato progettato dal legislatore in maniera tendenzialmente autosufficiente, nonostante il rinvio al codice di procedura civile contenuto nell’art. 1 IV comma d.lgs. 5/03, rinvio che contiene una riserva di compatibilità delle norme richiamate e che costringe, quindi, l’inter­prete a ricercare innanzitutto all’interno delle norme speciali la risposta agli eventuali problemi ermeneutici conseguenti al silenzio della legge e a mutuare dal codice di rito ordinario esclusivamente quegli istituti che si armonizzano con il sistema processuale speciale.
  • 10. Alla luce di tale considerazione, non pare perciò condivisibile l’opinione di chi (cfr. tribunale Milano, sezione VIII 12.1.07) ha escluso la conseguenza automatica dell’estinzione: l) perché si tratterebbe di una sanzione eccessivamente grave; 2) non espressamente prevista dal rito commerciale (che la commina solo per la mancata notifica della istanza di fissazione); 3)per i rischi di strumentalizzazione che essa implica [potendo essere utilizzata come strumento slealmente dilatorio da una parte che non avesse interesse al proseguimento del giudizio]; 4) per la eccessiva brevità del termine, connessa alla difficoltà di conoscere la data dell’avvenuta notifica [specie quando essa avvenga a mezzo del servizio postale].
  • 11. Invero, nessuno dei sopra menzionati argomenti pare convincente nel caso all’esame. Sicuramente non il 1° e il 3°, essendo tali determinazioni rimesse a scelte di-politica legislativa, non sindacabili in questa sede, quanto al profilo dell’eventuale “abuso del diritto” potendosi ritenere, al più, che l’effetto estintivo resti subordinato anche all’inerzia della controparte (o all’ec­cezione di questa, secondo il meccanismo di cui all’art. 307 IV comma c.p.c). Neppure il 4° argomento sembra risolutivo, non apparendo il termine di dieci giorni più “giugulatorio” di altri, analogamente previsti dallo stesso d.lgs. 5/03. Quanto, poi, alla mancata previsione della sanzione di estinzione, la circostanza costituisce l’in sé del problema al vaglio e va risolta, come sopra ribadito, alla luce dei principi ispiratori della normativa speciale. Lo stesso giudice milanese, peraltro, esclude solo l’automatica estinzione dei processo, differendola allo spirare del termine annuale di cui all’art. 307 c.p.c., senza che sia intervenuta la riassunzione a cura delle parti e ammettendo comunque che il processo non può più transitare nella fase“apud iudicem”nei modi ordinari, previsti dagli artt. 8, 11 e 12 d.lgs. 5/03.
  • 12. Tale soluzione pare, invero, difficilmente armonizzabile con i principi ispiratori del rito societario, tenuto conto che il meccanismo della quiescenza di cui sopra sembra contrastare con la evidente contrazione dei tempi processuali voluta dal legislatore del 2003. Deve, pertanto, ritenersi che il meccanismo delineato dall’art. 307 I comma sia incompatibile con il rito speciale, rilevandosi – peraltro – che il processo ordinario prevede anche altre ipotesi di estinzione correlate a un’inat­tività delle parti e, tra queste, il caso del mancato compimento di atti d’impulso processuale nei termini perentori, legislativamente o giudizialmente sanciti (cfr. art. 307 III comma e art. 291 III comma c.p.c.), con ciò giustificando, sempre in linea con i principi generali invocati, una declaratoria di estinzione automatica, non subordinata cioè alla fase di quiescenza di cui ai primi due commi, ma alla sola eccezione di parte [sebbene nel caso di cui ali’art. 291 III comma, in difetto di eccezione di parte, possa addivenirsi a una pronuncia ricognitiva di mero rito (cfr. cass. 10322/04; 12740/01; 157/98)].
  • 13.Ma anche a voler ritenere astrattamente corretta la soluzione proposta, essa sembra comunque difficilmente adattabile al caso concreto, avendo entrambe le parti concordato per la declaratoria di estinzione. Da tale comportamento processuale sembrerebbe, infatti, potersi inferire una sorta di inattività preannunciata id est mancata riassunzione del processo nel termine annuale di cui all’art. 307 c.p.c.) che produrrebbe co­munque – stante la già sollevata eccezione – l’effetto estintivo invocato.
  • 14. Neppure risolutivo può ritenersi il primo argomento di cui al §8, poiché la declaratoria di inammissibilità della I istanza è intervenuta in un momento in cui la perenzione della facoltà di deposito si era già prodotta, in un contesto processuale in cui, peraltro, la parte che ne aveva preciso interesse, ha chiaramente privilegiato l’eccezione di estinzione rispetto alla delibazione di inammissibilità (cfr. verbale dell’udienza del 10.11.06). Ne può riconoscersi alla decisione del presidenteexart. 8 V comma un’efficacia sanante successiva, effetto questo sicuramente aberrante perché si tradurrebbe in un’implicita proroga di una facoltà ormai perenta. Sul punto, peraltro, occorre tener conto della diversa finalità dei due istituti: l’estin­zione del giudizio che consegue al mancato tempestivo deposito di un’istanza regolarmente notificata ex art. 8 discende dalla impossibilità per il processo di transitare dalla fase dello scambio a quella per così dire “giudiziale”; laddove l’inammissibilità (rimessa integralmente all’ini­zia­tiva di parte) presuppone, invece, una notifica dell’istanza fuori dai casi stabiliti, in violazione dei principi del contraddittorio tra le parti (come tale inidonea, quindi, a produrre gli effetti preclusivi dell’art. 10 II comma) e determina – giustamente – una reviviscenza della fase dello scambio.
  • 15. La singolarità della vicenda all’esame (che ha visto accavallarsi l’una eccezione sull’altra) avrebbe potuto trovare uno sbocco naturale nella fase di delibazione dell’inammissibilità: in quella sede, infatti, la parte convenuta – cui era rimesso di segnare le sorti dei processo attraverso l’istanzaexart. 8 V comma o “eccezione” ai estinzione per violazione dei termine perentorio di cui al successivo art. 9 III comma – ha sostanzialmente abdicato al potere di far valere l’inammissibilità (essendo stata la relativa istanza proposta, a suo dire, solo per scongiurare l’eventuale decadenza di cui al V comma dell’art. 8, nel caso in cui l’istanza fosse poi stata depositata entro il termine perentorio di cui all’art. 9 III comma), richiedendo la preliminare decisione dell’eccezione di estinzione del processo, per mancato tempestivo deposito dell’istanza della cui ammissibilità si trattava (cfr. verbale dell’udienza del 10.11.06 davanti al presidente della I sezione civile).
  • 16. Diversamente ragionando, dovrebbe riconoscersi al provvedimento dichiarativo della inammissibilità della I istanzaun effetto “sanante” dell’estinzione già maturata, idoneo a far re­gredire il processo (da ritenersi già estinto) alla fase dello scambio.
  • 17 Tanto premesso, sebbene il caso specifico non sia espressamente contemplato dalla normativa speciale, una lettura sistematica del regime processuale introdotto dal d.lgs. 5/03 avalla la tesi della consumazione della facoltà della parte onerata di far transitare il giudizio nella faseapud judicem.Il processo societario, infatti, è stato dal legislatore concepito in maniera rigida, con una marcata riduzione dei tempi complessivi, attraverso una significativa scelta di fondo che è stata quella di attribuire natura perentoria a quasi tutti i numerosi termini contemplati (sia pur attraverso il contemperamento di meccanismi di sanatoria e la riduzione al minimo dei poteri officiosi del giudice).
  • 18. In un sistema così articolato, appare difficile riconoscere cittadinanza al principio generale di conservazione degli atti (se non in presenza di un’acquiescen­za della controparte), dovendosi convenire con chi ha giustamente rilevato che – in tema di decadenze – più che di salvaguardia degli effetti di un atto illegittimo si dovrebbe parlare di sopravvivenza della facoltà o del diritto, osservando come una tale soluzione non trovi ingresso né nel sistema processuale ordinario [dove i termini perentori sono sottratti alla disponibilità delle parti (cfr. art. 153 c.p.c.)], né in quello speciale in esame che, nel prevedere alcune forme di sanatoria, le subordina, però, all’acquiescenza di parte (cfr. ordinanza giudice del tribunale di S. Maria di Capua a Vetere 29.11.05).
  • 19.La natura della presente decisione, fondata su argomenti ermeneutica ancora privi di un vaglio di legittimità, la non univocità delle interpretazioni offerte dalla giurisprudenza di merito e l’intervenuta declaratoria di inammissibilità della I istanza, rendono equa l’integrale compensazione delle spese processuali sin qui sostenute dalle parti.

 

P.Q.M.

visto l’art. 12 comma 5° d.P.R. 17 gennaio 2003 n. 5.

dichiara l’estinzione del processo;

spese integralmente compensate;

Reggio Calabria, 16 aprile 2007.

 

 

 

 

 

Tribunale di Reggio Calabria, ord. 16 aprile 2007

 

Rito societario – Inosservanza del termine perentorio per il deposito dell’istanza di fissazione – Effetti. (Artt. 157 e 307 c.p.c.)

 

Nel rito societario il mancato rispetto del termine perentorio per il deposito dell’istanza di fissazione udienza produce l’estinzione della procedura. L’effetto estintivo si produce anche nell’ipotesi in cui l’omis­sione dell’onere avvenga nell’ambito della fase sub-procedimentale introdotta per la declaratoria di inammissibilità, per altri e diversi profili, dell’istanza. L’eccezione deve essere avanzata con la prima difesa utile. La rimessione in termini della parte ricorrente non produce effetti sananti della nullità già verificatasi.

SOMMARIO:

1. Il Caso - 2. Normativa di riferimento - 3. Precedenti giurisprudenziali - 4. Dottrina - 5. Commento - NOTE


1. Il Caso

Il Tribunale di Reggio Calabria è stato chiamato a pronunciarsi sull’eccezione di estinzione sollevata dalla convenuta in sede di udienza Presidenziale, fissata per la declaratoria di inammissibilità dell’istanza di fissazione udienza ed introdotta con ricorso ex art. 8, 5° comma, d.lgs. n. 5/2003, in seguito alla notifica, ad opera di parte attrice, di una istanza di fissazione udienza contenente puntuali repliche allo scritto difensivo che la precedeva. Accertato, in un momento successivo alla presentazione del ricorso per la concomitanza dei termini, l’omes­so deposito dell’istanza di fissazione udienza ad opera della parte che ne era onerata, la ricorrente ha sollevato l’eccezione che precede riconnettendo al mancato adem­pimento dell’onere l’effetto estintivo ed attribuendo alla propria nuova istanza il rango di domanda principale ri­spetto alla domanda introdotta con ricorso. Il Presidente, affermando la propria incompetenza a decidere sulla domanda principale, in accoglimento della domanda subordinata, ha dichiarato inammissibile l’istanza di fissazione udienza perché contenente repliche allo scritto difensivo che la precedeva ed ha rimesso la ricorrente in termini consentendole di replicare. La convenuta nella propria memoria di replica ha reiterato la domanda relativa alla declaratoria di estinzione della procedura. L’attrice ha avanzato nuova istanza di fissazione udien­za depositandola entro i termini prescritti. Il Giudice Istruttore ha fissato l’udienza per la discussione dell’eccezione di rito accogliendo l’eccezione di estinzione.


2. Normativa di riferimento

Occorre riferirsi, per la risoluzione del caso di specie, non tanto alle specifiche previsioni del d.lgs. n. 5/2003, quanto alla ratio sottesa alle stesse, con particolare riguardo alle rigide previsioni inerenti gli oneri posti a carico delle parti. Il legislatore, pur utilizzando puntuale terminologia, ha omesso di indicare gli effetti giuridici da riconnettersi alla mancata osservanza dei termini individuati come perentori. La conseguenza delle lacuna della normativa di riferimento è l’affastellarsi di contrapposti orientamenti, spesso inidonei alla definizione dei casi pratici sottoposti al vaglio dei giudici. I dati normativi di cui si sono occupati le rare pronunce che precedono l’ordi­nan­za in commento, sono gli artt. 157 e 307 c.p.c. in tema di rilevabilità e sanatoria della nullità ed in tema di estinzione del processo per inattività delle parti.


3. Precedenti giurisprudenziali

Non si riscontrano precedenti giurisprudenziali. Le uniche pronunce che attribuiscono al mancato rispetto dell’onere posto a carico dell’istante l’effetto estintivo, af­frontano la meno complessa ipotesi dell’omissione verificatasi nella fase successiva al regolare scambio di me­morie tra le parti [1]. Di diverso avviso il Tribunale di Milano che riconnette al mancato rispetto del termine perentorio per il deposito dell’istanza di fissazione udienza l’effetto introduttivo di una fase di quiescenza [2].


4. Dottrina

La dottrina prevalente non ritiene convincente la soluzione del Tribunale di Reggio Calabria in ragione della peculiare struttura del rito societario; è stato ritenuto, in merito, che riconoscere al mancato rispetto del termine perentorio l’effetto estintivo, equivarrebbe ad attribuire, alla parte che non ha interesse alla definizione della controversia, uno strumento percorribile a fini dilatori [3]. Le soluzioni prospettate, tuttavia, non appaiono particolarmente convincenti.


5. Commento

La questione sottoposta al vaglio del Tribunale di Reggio Calabria ha per oggetto l’eccezione di estinzione della procedura, per mancato rispetto del termine perentorio di cui all’art. 9, 3° comma, d.lgs. n. 5/2003, avanzata in fase di udienza presidenziale fissata per la declaratoria di inammissibilità dell’istanza di fissazione udienza, ex art. 8, 5° comma, d.lgs. n. 5/2003. Le problematiche poste dal caso in esame sono, dunque, di due ordini: a) quali siano le conseguenze da riconnettersi al mancato o tardivo deposito dell’istanza di fissazione di udienza e b) quale siano il tempo e la sede idonea alla proposizione dell’eccezione ed alla risoluzione della vicenda. Il rito societario è, certamente più di altri riti, ad impulso di parte. La sequenza di atti è scadenzata dalla previsione di rigorosi termini e modalità il mancato rispetto dei quali non è privo di effetti. Le conseguenze giuridiche della notifica dell’istanza di fissazione del­l’udien­za sono rigorosamente individuate dall’art. 10 del d.lgs. n. 5/2003 che prevede la cristallizzazione delle eccezioni e richieste precedentemente avanzate e formulate dalle parti, sempre che l’istanza medesima sia proposta nel rispetto dei termini previsti dall’art. 8, d.lgs. n. 5/2003, ossia che sia notificata per effetto della volontà di non replicare ulteriormente agli scritti che la precedono. Il 5° comma dell’art. 8 d.lgs. citato, prevede la possibilità di ottenere la declaratoria di inammissibilità dell’istanza di fissazione udienza che contenga in sé puntuali repliche agli scritti difensivi delle altre parti, con il deposito di apposita istanza da effettuarsi in cancelleria, nel termine perentorio di dieci giorni dalla notifica dell’istanza di fissazione udienza. A fronte della notifica dell’istanza di fissazione udienza la parte che la riceve ha, dunque, due possibilità: 1) presentare la nota contenente la precisazione delle proprie istanze ed eccezioni, 2) avanzare istanza per la declaratoria di inammissibilità dell’istanza notificatale. Deve ritenersi che l’istanza per la declaratoria di inammissibilità debba essere proposta con ricorso avendo il legislatore chiarito che si introduce con il suo deposito, nel rispetto del termine perentorio di dieci giorni dalla notifica dell’istanza [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2007