Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sui quorum per la nomina degli amministratori di s.r.l. (nota a Trib. Napoli, ord. 15 novembre 2005) (di Paolo Ghionni)


Tribunale di Napoli, ord. 15 novembre 2005

 

(Omissis). Osserva che il reclamo non può essere accolto e che va confermato il provvedimento di diniego della sospensiva, pur se con le seguenti precisazioni.

Con ricorso ex art. 2378, comma 3°, c.c. P. M. ha chiesto, nel corso del procedimento avente ad oggetto, tra l’altro, l’im­pu­gna­zione della delibera assembleare adottata il 15.4.2005 dalla D. s.r.l., che venisse disposta la sospensione dell’ese­cu­zione della suddetta delibera, in virtù della quale è stato nominato tale D. M. P. amministratore unico, a tempo indeterminato, in sostituzione dell’amministratore giudiziario, E.C. Il P. ha dedotto che detta delibera è stata assunta con il voto determinante dei soci P.A. e P.M., in conflitto di interessi con la società per conto del loro genitore, P.V., e che la delibera è obiettivamente pregiudizievole per la società. Al riguardo, il ricorrente ha evidenziato: che P. V. è il socio accomandatario della A. A. s.a.s.; che di questa società la D. s.r.l. è il socio accomandante; che la partecipazione nella A. A. s.a.s. costituisce l’unico cespite del patrimonio della D. s.r.l.; che pertanto il compito dell’am­mi­ni­stratore della D. s.r.l. (quale socia accomandante della A. A. s.a.s.) è proprio quello di controllare l’operato dell’accoman­da­tario della A. A. s.a.s.; che, grazie alla delibera impugnata, adottata con il voto determinante dei figli di P. V., il controllo su quest’ul­timo è stato affidato proprio al D. M., da sempre legato da rapporti professionali con il P.

Il giudice di prime cure non ha ritenuto sussistenti motivi validi per autorizzare la sospensione della delibera, considerando mancante la prova (nei limiti della delibazione che compete al giudice della cautela) del preteso conflitto di interessi. In particolare, ad avviso del primo giudice, non sembrerebbe provato (neanche indiziariamente) che vi sia un’interposizione fittizia (ossia che P. V. sia socio effettivo della D. s.r.l., per essere solo simulata la intestazione delle partecipazioni in capo ai figli) e sarebbe irrilevante il mero legame di parentela tra i soci (P. A. e P. M.) ed il terzo (P. V.).

Avverso detto provvedimento, ha proposto reclamo il P., deducendo: 1) che la sussistenza di un conflitto di interessi tra la società ed il socio, per conto terzi, non presuppone affatto che il socio sia persona (fittiziamente) interposta, essendo sufficiente la c.d. comunanza di interessi (tra il socio ed il terzo); 2) che detta comunanza di interessi è provata nella specie dai rapporti di parentela tra i soci votanti ed il terzo, nonché dal fatto che i soci (P. A. e P. M.) hanno acquisito le quote (i cui diritti di voto prima spettavano, in forza di pegno, a P. V.) proprio nell’imminenza dell’amministrazione giudiziaria e a mezzo di atti dai quali risulta che il corrispettivo sarebbe stato versato in contranti e prima degli atti stessi; 3) che la comunanza di interessi è stata riconosciuta dallo stesso Tribunale che, nel­l’ambito del procedimento ex art. 2409 c.c., ha ritenuto che la gestione effettiva della società sia stata nelle mani del P. V., anche attraverso i compiacenti figli; 4) che, in ogni caso, dai suddetti indizi ben può trarsi anche la prova della intestazione fittizia delle partecipazioni sociali in capo ai figli del P. V.; 5) che, pertanto, così come in occasione dell’assunzione della delibera impugnata il P. V. (pure socio della D. s.r.l.) si è astenuto (in quanto titolare diretto dell’interesse contrario a quello della società), parimenti avrebbero dovuto farlo i figli (quali portatori del medesimo interesse per conto del padre); 6) che il provvedimento impugnato non ha tenuto conto dell’ulteriore motivo di illegittimità indicato in citazione, ossia del fatto che la delibera non è stata assunta con il quorum deliberativo previsto dalla legge e dallo statuto (ossia con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale), trattandosi di deliberare il passaggio da un sistema di amministrazione ad un altro.

La società reclamata ha contrastato la sussistenza del conflitto di interesse, riportandosi anche a quanto già statuito dal tribunale in ordine alle richieste del P. di sospendere l’adunanza assembleare de qua e di prorogare l’amministrazione giudiziaria.

Preliminarmente, va sgombrato il campo da un equivoco. È evidente che, ai sensi del novellato art. 2479 ter, comma 2, c.c., sono rilevanti anche quelle situazioni in cui l’interesse in conflitto non faccia capo direttamente al socio, bensì a terzi, poiché la norma in questione attribuisce espressamente rilevanza anche al c.d. “interesse per conto di terzi”. Il socio, insomma, può essere indotto a sacrificare l’interesse sociale per perseguirne non solo uno proprio, ma anche uno diverso e configgente, di cui sia titolare una terza persona, con cui abbia determinati rapporti. È, altresì, noto che sulla natura di tali rap­porti si sono contrapposti due orientamenti. Secondo una prima tesi, più restrittiva, può parlarsi di “interesse per conto di terzi” solo se tra l’agente ed il terzo intercorra un preciso rapporto giuridico, in forza del quale il primo sia tenuto ad agire nell’interesse del secondo, e la cui fonte può essere individuata in un sottostante rapporto di mandato (anche se conferito tacitamente), di lavoro autonomo o subordinato ovvero, se ne ricorrono gli estremi, in una norma di legge o addirittura in un accordo illecito (cfr. Trib. Aosta 3.7.1971, Trib. Ravenna 25.9.1984, Trib. Piacenza 12.1.1987, Trib. Catania 30.9.1993).

Un’interpretazione estensiva dell’espressione “interesse per conto altrui”, invece, non esige l’esistenza di un vero e proprio “incarico” conferito dal terzo all’agente, ed al quale quest’ulti­mo sia vincolato a conformarsi, ma ritiene sufficiente che tra costoro sussista una relazione anche di mero fatto.

Questa interpretazione più ampia della nozione di conflitto per conto terzi è quella prevalente (in dottrina e in giurisprudenza) (cfr. Trib. Milano, 17.9.1987, Trib. Milano, 8.2.1988, Trib. Milano, 26.4.1990, Trib. Milano, 29 giugno 1992, Trib. Velletri, 26.1.1994, Trib. Napoli, 4.2.1997; Cass. 27.7.1957 n. 3192, 7.3.1978, n. 1134, 19.1.1981 n. 439, 25.6.1985, n. 3836, 25.1.1992, n. 813, 23.3.1996, n. 2562, etc.) ed è questa quella condivisa da questo giudice, in quanto trova fondamento, oltre che nella lettera della legge, anche nella ratio della disciplina, che è quella di prevenire il pericolo di prevalenza dell’interesse estraneo su quello protetto.

Nella nozione di “interesse per conto terzi” vengono, in tal modo, ad essere ricomprese categorie eterogenee di rapporti che legano l’agente ed il terzo, in ordine alla fonte, negoziale (come nel mandato, nel patto di voto, nella fiducia, nella prestazione di lavoro, nella promessa del fatto del terzo) o legale (come nel rapporto genitori-figli o nel rapporto tra coniugi), alla causa, patrimoniale (fra cui quelle di scambio e di liberalità) o non patrimoniale (ovvero familiare), o, infine, alla situazione passiva ravvisabile in capo al soggetto agente nei confronti del terzo estraneo (che può essere anche una situazione priva di rilievo giuridico, come nei rapporti di amicizia).

Tanto premesso, va condiviso, in linea teorica, il rilievo del reclamante, secondo cui la sussistenza del conflitto di interessi non presuppone necessariamente che vi sia stata un’intesta­zione fittizia (o fiduciaria) delle quote in capo a P. A. e a P. M., quali soggetti interposti rispetto al P. V., ben potendo una mera comunanza di interessi tra quest’ultimo (quale terzo) e i soci essere tale da giustificare una situazione di conflitto di interessi tra questi e la società.

Peraltro, pur nella sua estrema sinteticità, anche il provvedimento impugnato sembra far propria questa impostazione, posto che, a ben vedere, il primo giudice ha denegato la sospensiva non solo perché non ha ravvisato la prova della simulazione riguardante la intestazione delle quote sociali (ossia la prova di un accordo in virtù del quale i soci fossero tenuti ad agire nell’interesse dell’interponente), ma anche perché ha giudicato irrilevante il rapporto di parentela tra i soci.

Ad ogni buon conto, sta di fatto che è configurabile il conflitto di interessi per conto altrui anche nelle ipotesi in cui esista solo una situazione, non comportante un obbligo in senso giuridico in capo al socio votante, posto che la comunanza di interesse fra il socio ed il terzo, determinata, ad esempio, da un rapporto di parentela, ben può far presumere, secondo l’id quod plerumque accidit ed in concorso con altri elementi, il proposito del socio di favorire il terzo.

Ciò posto, va osservato che, sulla base degli atti e nei limiti della delibazione che va compiuta in questa sede, può anche condividersi la prospettazione del reclamante, secondo cui, oltre al rapporto di parentela tra i soci ed il P. V. (che di per sé non necessariamente consente di identificare nei soci i portatori dell’interesse facente capo al parente: cfr. Cass. 23.3.1996 n. 2562 cit.), sussistono nella specie ulteriori indizi in base ai quali potrebbe affermarsi che i soci hanno votato in funzione dell’in­teresse altrui. In realtà, almeno ai fini della prova di verosimiglianza che necessita in sede cautelare, costituiscono indici significativi sia il fatto che i figli del P. abbiano acquisito le quote in tempi, per così dire, sospetti, ossia proprio nell’im­mi­nenza del­l’am­ministrazione giudiziaria (cfr., per un caso simile Trib. Velletri 26.1.1994 cit.), sia il fatto, riconosciuto dallo stesso Tribunale, allorché ha nominato l’amministratore giudiziario, che anche in passato i figli hanno assecondato le decisioni del padre con ri­guar­do alla gestione effettiva della società.

Tuttavia, anche a voler ammettere che P. A. e P. M. siano stati indotti a votare secondo i desiderata del padre, va osservato che nella specie non sono configurabili né quel conflitto tra l’interesse sociale e quello del P. V., né quel danno potenziale per la società, che sono paventati dal reclamante.

È noto, infatti, che per poter accertare l’esistenza del conflitto è indispensabile verificare che lo scopo effettivamente perseguito dal socio sia incompatibile con la realizzazione dell’in­teresse sociale e che il perseguimento dell’interesse individuale possa recare danno alla società.

Al riguardo, come già evidenziato in giurisprudenza, se è vero che ad un soggetto fanno capo interessi di vario tipo nelle scelte relative alla gestione sociale della società alla quale partecipa, influenzando in tal modo le determinazioni di voto, e se è altresì vero che non tutti questi interessi sono solidali con quelli degli altri soci, ciò non equivale ancora alla prospettazione di un conflitto di interessi (cfr. amplius, in casi analoghi, Cass. 19.8.1983 n. 5410; C. App. Milano 14.7.1989; Trib. Milano 12.5.1994).

Il conflitto rilevante ai fini de quibus presuppone, dunque, la sussistenza di un’incompatibilità assoluta tra gli interessi in gioco.

Ma vi è di più. Invero, la nomina degli amministratori costituisce un adempimento necessario per la gestione sociale, tanto che l’impossibilità di conseguire le maggioranze necessarie darebbe luogo all’impossibilità di funzionamento dell’as­sem­blea e, di conseguenza, allo scioglimento della società.

Ne consegue che l’intervento e la partecipazione di tutti i soci all’adunanza convocata per la nomina degli amministratori costituiscono generalmente atti diretti alla realizzazione di uno scopo che risponde ad un interesse dei singoli soci del tutto convergente con l’interesse sociale alla continuazione e all’am­ministrazione dell’impresa collettiva.

A ben vedere, per il caso della nomina degli amministratori, la possibilità di un conflitto di interessi e di un danno appare dipendere dalla esistenza di indizi che facciano presumere l’in­tenzione di affidare l’amministrazione a persone che, per evidente carenza di ogni capacità, si renderanno probabilmente responsabili di una cattiva gestione (cfr. amplius Trib. Milano 9.5.1991).

Nessun elemento è stato dedotto in proposito dal reclamante, che ha invece ricondotto le ragioni del conflitto e del danno per la società al timore per le sorti del controllo da esercitare sulla società partecipata (la A. A. s.a.s.), di cui P. V. (quale accomandatario) e D. s.r.l. (quale accomandante) sono soci.

In particolare, ad avviso del reclamante, il P. V. (o chi per esso) avrebbe un interesse confliggente con la D. s.r.l, in relazione alla deliberazione di nomina dell’amministratore, poiché il compito dell’amministratore della D. s.r.l. (quale socia accomandante della A. A. s.a.s.) è proprio quello di controllare l’operato dell’accomandatario della A. A. s.a.s., (ossia l’operato del P.). In sostanza, secondo il P., nella specie andrebbe tutelato l’interesse della D. s.r.l. (quale socia accomandante della A. A. s.a.s.) ad avere un amministratore indipendente rispetto al socio accomandatario della A. A. s.a.s., sul quale dovrebbe esercitarsi il controllo. La sussistenza del conflitto, d’altronde, sarebbe comprovata proprio dal fatto che, in occasione dell’as­sunzione della delibera impugnata, il P. V. (quale socio della D. s.r.l.) si è astenuto.

A quest’ultimo riguardo, però, va osservato che ciò che conta non è tanto il fatto che il P. si sia astenuto, quanto se dovesse astenersi e per quale motivo.

Per valutare l’esattezza della deduzione del reclamante e al fine di individuare le conseguenze che da detta tesi possono trarsi è necessaria una breve digressione.

È noto che la caratteristica della società in accomandita semplice è data dalla contrapposizione fra due categorie di soci, gli accomandatari e gli accomandanti: gli uni sono chiamati ad amministrare la società e rispondono illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali, gli altri sono espressamente tenuti ad astenersi dalla gestione sociale, sia interna che esterna, e sono responsabili nei limiti del conferimento apportato.

In linea generale, il socio accomandante è titolare di diritti patrimoniali e di controllo. A quest’ultima categoria devono ricondursi, insieme ai poteri espressamente riconosciuti dal­l’art. 2320 ult.co. c.c., anche il potere, attribuito dall’art. 2319 c.c., di nomina e di revoca degli amministratori nominati con atto separato o la legittimazione a chiedere giudizialmente la revoca dell’amministratore per giusta causa (nel caso di società composta da due soci). Inoltre, il socio accomandante è chiamato a partecipare alle deliberazioni che importino la modificazione del contratto sociale.

Per la verità, nella società in accomandita, in quanto tipizzata in funzione della responsabilità mista (limitata per alcuni soci, illimitata per altri) e conseguentemente caratterizzata dalla diversità della posizione delle due categorie di soci in rapporto al potere gestorio, al socio accomandante, più che un vero e proprio diritto di controllo, inteso come sindacato sulla gestione sociale, è riconosciuto un diritto di informazione ed, eventualmente, quello di impugnazione del bilancio (cfr. su questi temi Cass. 17.2.1996 n. 1240, 6.6.2000 n. 7554). Addirittura, quando si riteneva che una società di capitali non potesse partecipare (quale accomandante) ad una società in accomandita semplice (prima dell’introduzione del novellato art. 2361 c.c., che sembra ora ammettere implicitamente anche questa possibilità), la S.C. giustificava detto assunto anche per il fatto che per tale via gli amministratori della società partecipante verrebbero privati di «ogni possibilità di controllo della gestione del capitale investito nella partecipazione», in quanto non si potrebbe imputare all’amministratore della partecipante «una culpa in vigilando di cui non sussisterebbe il fondamento, stante l’autonomia fra le due compagini sociali» (cosi Cass. S.U. 17.10.1988 n. 5636).

È evidente che la rilevanza delle preoccupazioni manifestate dal reclamante si stempera di molto, ove si acceda alla tesi secondo cui all’accomandante spetta una mera informativa, piuttosto che reali poteri di controllo.

In ogni caso, ammettendo che davvero si determini una situazione di incompatibilità, laddove in capo allo stesso soggetto venissero a concentrarsi il potere di esercitare i diritti del­l’accomandante e quello di amministrare la società quale accomandatario, posto che in tal caso si avrebbe una confusione delle due figure di soci e verrebbe meno la specificità che caratterizza la società in accomandita semplice (cfr., in tal senso, Trib. Verona 10.10.1996, secondo cui non è ammissibile la costituzione di usufrutto a favore del socio accomandatario sulle quote dei soci accomandanti).

Ebbene, detta situazione di incompatibilità, assimilabile a quella discendente dal divieto per l’amministratore di cui al­l’art. 2390 c.c., comporta solo l’obbligo per I’amministratore di dismettere la qualità incompatibile, ma non determina né l’ine­leggibilità del medesimo, né, ancor meno, l’invalidità della delibera assembleare di nomina dell’amministratore che pur «si trovi in situazioni di dannoso antagonismo con la società amministrata» (così Cass. 1.10.1975 n. 3091).

In buona sostanza, si vuol dire che nel caso di specie, anche a voler ammettere che il D. M. (il nuovo amministratore nominato dalla D. s.r.l.) sia una persona di fiducia del P. V. (l’am­ministratore della società partecipata dalla D. s.r.l.) e che ciò comporti una situazione di incompatibilità (per non essere garantito l’interesse della socia accomandante ad avere come proprio amministratore un soggetto indipendente rispetto al socio accomandatario), non per questo si può sostenere che il D. M. non potesse essere votato dai P. (sia da V., che dai figli) o che non potesse essere eletto (dai soci della D. s.r.l.). Piuttosto, è vero solo che in detta situazione occorre verificare se incomba in capo al D. M. il dovere di non accettare l’incarico o di eliminare le ragioni di incompatibilità (e ciò prescindendo da chi lo abbia votato), il che, però, è questione che esula dal presente giudizio, posto che qualsivoglia scelta del D. M. non può spiegare ovviamente alcuna influenza sulla delibera di nomina.

Stesso discorso può farsi anche nel caso limite in cui i P. avessero votato per lo stesso P. V.: l’eventuale situazione di incompatibilità (derivante dal fatto che il potere di esercitare i diritti sociali del socio accomandante finirebbe nelle mani dello stesso accomandatario) non comporta affatto l’ineleggibilità del P. V., né (tantomeno) una sorta di "sterilizzazione" del diritto di voto di coloro che per qualsivoglia motivo vogliono nominarlo, ma solo il dovere per quest’ultimo di eliminare l’in­com­patibilità (non accettando l’incarico di amministratore della s.r.l. o dimettendosi dalla carica ricoperta nell’altra società).

D’altronde, come si è già detto, il carattere c.d. neutro delle delibere concernenti gli organi societari, le quali attengono all’assetto organizzativo dell’ente, comporta che, di regola, non è ravvisabile un conflitto tra gli interessi del socio e quello della società, tant’è vero che si ammette che anche il socio revocato dall’ufficio di amministratore possa votare la nomina dei nuovi amministratori o del liquidatore (cfr. Trib. Napoli 28.9.1988, Trib. Milano 9.5.1991) e che addirittura possa votare anche per se stesso (cfr. Trib. Milano 16.3.1998), sempre che non sussistano, ovviamente, cause di ineleggibilità.

Con particolare riguardo alla delibera di nomina dell’ammi­ni­stratore approvata con il voto determinante del socio eletto, infatti, va osservato che l’interesse del socio che aspiri ad amministrare la società non è in conflitto, ma converge con l’in­teresse sociale (cfr. amplius Trib. Milano 6.2.1992 e 29.6.1992).

In definitiva, può dirsi che nel caso di specie non sia configurabile (già in astratto) quel danno potenziale per la società, che è l’elemento fondante della invalidità della delibera, posto che il divieto e la sanzione di cui all’art. 2390 c.c. appaiono idonei ad assicurare alla società una sufficiente tutela, anche preventiva.

D’altronde, anche per altri motivi non può condividersi la tesi del reclamante, secondo cui la società avrebbe interesse ad avere un amministratore del tutto indipendente rispetto all’ac­co­mandatario della s.a.s.

A ben vedere, nel caso in esame, il timore di conflitto può ravvisarsi laddove si tratti di decidere in ordine alla eventuale impugnazione dei rendiconti della s.a.s. o di valutare se agire per chiedere giudizialmente la revoca dell’accomandatario della partecipata.

Anzitutto, in simili frangenti ben può ipotizzarsi un intervento della stessa assemblea, posto che, a norma del novellato art. 2479 c.c. (che sul punto ha operato un ribaltamento dell’as­setto normativo precedente), ove la decisione su una certa materia non spetti già all’assemblea per previsione statutaria, gli amministratori o un numero qualificato di soci possono sottoporre alla valutazione dell’assemblea qualsiasi materia (donde si parla di sovranità dell’organo assembleare delle s.r.l.).

In ogni caso sta di fatto che l’ordinamento giuridico, prevedendo i rimedi per impedire che l’esito delle cause possa essere fatto dipendere dalla situazione di conflitto in cui si trova il rappresentato con il rappresentante, attribuisce allo stesso rappresentato e ad ogni parte interessata l’iniziativa di nomina di un curatore speciale (artt. 78-80 c.p.c.).

Per completezza, va osservato che la stessa astensione del P. V. non appare, in definitiva, doverosa per i motivi già detti e anche per un’ulteriore considerazione. All’uopo, infatti, non può valorizzarsi neanche il dato normativo per il quale la società controllata non può esercitare il diritto di voto nelle assemblee della controllante (cfr art. 2359 bis co. 5 c.c.). Anche sulla scorta di tale norma non può giustificarsi il dovere di astensione del P. poiché a ben vedere né può dirsi che il P., votando, lo abbia fatto in rappresentanza della A. A. s.a.s., né tecnicamente quest’ultima può considerarsi "società controllata" dalla D. s.r.l. (posto che come già detto in capo al socio accomandante grava un ben preciso divieto di immistione e considerato che in suo favore sono previsti solo circoscritti diritti di controllo).

D’altronde, neanche può dirsi che il P., per il fatto di essere socio anche della A. A. s.a.s., necessariamente persegua l’inte­res­se extrasociale, vale a dire quello della società-sorella. Tant’e vero che questo non è stato neanche dedotto dal reclamante.

Nel reclamo il P. ha poi indicato un nuovo motivo che giustificherebbe la invocata sospensiva, ancorché tale ulteriore ragione di illegittimità della delibera sia stata posta a fondamento non del ricorso ex art. 2378 c.c., ma solo della domanda introduttiva del giudizio di merito.

Prescindendo da ogni considerazione in ordine alla questione della novità (almeno in sede cautelare) della allegazione va osservato che anche con riguardo a siffatta pretesa appare insussistente il fumus boni iuris.

Ad avviso del reclamante la delibera de qua non sarebbe stata assunta con il quorum deliberativo previsto dalla legge e dallo statuto (ossia con il voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale), pur trattandosi di delibera concernente il passaggio da un sistema di amministrazione (quella giudiziaria) ad un altro (quella ordinaria) e, quindi, comportante una rilevante modifica dei diritti dei soci.

A norma del combinato disposto di cui agli artt. 2479 bis e 2479 co. 2 n. 5 c.c., invocato dal reclamante, il più elevato quorum deliberativo è previsto allorché si tratti di deliberare in ordine ad  una rilevante modificazione dei diritti dei soci.

Al riguardo, è sufficiente notare in questa sede che tali modifiche non devono anche comportare una modificazione dell’atto costitutivo (che è fattispecie regolata dall’art. 2479 co. 2 n. 4 c.c.) e che devono essere qualificate dal requisito della rilevanza.

Tra tali modifiche rientrano, quindi, quelle per le quali il legislatore ha attribuito ai soci di minoranza il diritto di recesso e quelle altre (evidentemente residuali) che sono in grado di alterare significativamente la struttura della società (per usare le parole della relazione di accompagnamento al decreto legislativo di riforma).

A titolo di esempio possono citarsi la delibera che può determinare dipendenza economica da un’altra impresa, così da sottoporre la società al c.d. controllo contrattuale di altra società, e la delibera di revoca dello stato di liquidazione, ove non occorra, al fine di eliminare la causa di scioglimento, una vera e propria modifica dell’atto costitutivo.

Se ciò è vero, appare di tutta evidenza che non si può in alcun modo far rientrare tra quelle sopra indicate anche la delibera di nomina dell’amministratore, adottata in vista della cessazione dell’amministrazione giudiziaria ed allorché siano venute meno le ragioni che hanno giustificato quest’ultima.

Tanto più che, di regola, l’attività di controllo che l’autorità giudiziaria esercita a norma dell’art. 2409 c.c. concerne generalmente l’ordinaria amministrazione della società e non, in modo immediato e diretto, i poteri dell’assemblea, per cui è fuor di luogo definire la delibera di nomina dei nuovi amministratori, da parte dell’assemblea convocata dall’amministratore giudiziario, come delibera coinvolgente lo stesso “sistema di amministrazione”, né detta delibera può essere assimilata a quella di revoca dello stato di liquidazione.

La probabile infondatezza di ciascuno dei vizi addotti, esonera questo giudice dall’esame delle ulteriori ragioni di doglianza prospettate a sostegno dell’asserito periculum in mora.

Per tutte le ragioni esposte, impregiudicata restando ogni più approfondita valutazione dei fatti riservata alla decisione del merito, non può disporsi la richiesta sospensione.

Alla stregua delle considerazioni che precedono e con le suindicate precisazioni il reclamo va, quindi, rigettato.

Considerato che il reclamo e stato proposto in pendenza della lite, va riservata alla decisione sul giudizio di merito la pronuncia sulle spese. (Omissis)

 

 

 

 

 

Tribunale di Napoli, ord. 15 novembre 2005

 

Società – Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Interesse per conto terzi – Effettivo contrasto con l’interesse sociale – Danno potenziale per la società. (Art. 2479-ter, 2° comma, c.c.).

 

Società – Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Interesse per conto terzi – Categoria eterogenea di rapporti – Configurabilità. (Art. 2479-ter, 2° comma, c.c.).

 

Società – Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Interesse per conto terzi – Intestazione fiduciaria o fittizia di partecipazioni sociali. (Art. 2479-ter, 2° comma, c.c.).

 

Società – Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Interesse per conto terzi – Partecipazione di società di capitali in società di persone. (Art. 2479-ter, 2° comma, c.c.).

 

Società – Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Amministrazione giudiziaria – Cessazione – Delibera assembleare di nomina dei nuovi amministratori – Sufficienza del quorum ordinario. (Artt. 2475, 1° comma, 2479-bis, 3° comma e 2479, 2° comma, nn. 4 e 5, c.c.).

 

Società – Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Amministrazione giudiziaria – Cessazione – Delibera assembleare di nomina dei nuovi amministratori – Mutamento del sistema di amministrazione – Insussistenza. (Artt. 2475, 2479-bis, 3° comma e 2479, 2° comma, n. 4, c.c.)

 

L’esistenza del conflitto di interessi richiede che lo scopo effettivamente perseguito dal socio sia incompatibile con la realizzazione dell’interesse sociale e che il perseguimento dell’in­teresse individuale o altrui possa recare danno alla società (1).

L’interesse per conto terzi comprende una categoria eterogenea di rapporti e non richiede l’esi­stenza di uno specifico rapporto giuridico tra il socio ed il reale interessato, essendo sufficiente anche “una relazione di mero fatto” (2).

La configurazione del conflitto di interessi non si ha di per sé in virtù di un’intestazione fittizia o fiduciaria di partecipazioni sociali in capo al socio portatore dell’interesse altrui (3).

Non è sufficiente, ai fini della sussistenza di una situazione di conflitto di interessi, la sola circostanza che il socio accomandatario di una s.a.s. sia socio della s.r.l. che partecipa la prima nella qualità di accomandante (4).

La delibera di nomina degli amministratori di s.r.l., a seguito della cessazione dell’amministrazio­ne giudiziaria, non necessita del voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale, poiché tale fattispecie non rientra tra quelle previste dall’art. 2479, comma 2°, nn. 4 e 5, c.c. richiamato dall’art. 2479 bis, comma 3°, c.c. (5).

La delibera di nomina dei nuovi amministratori nell’as­sem­blea convocata dall’amministratore giudiziario non concerne il passaggio da un sistema di amministrazione ad un altro (6).

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento e l’assenza di precedenti giurisprudenziali - 3. Le posizioni della dottrina sulla nomina degli amministratori di s.r.l. Analisi critica con riferimento alla fattispecie de qua - 4. Il commento - NOTE


1. Il caso

Il caso de quo attiene all’individuazione dei quorum necessari per la designazione degli amministratori di s.r.l. alla luce della nuova disciplina [1]. In particolare, si tratta di nomina dei nuovi amministratori in sostituzione dell’amministratore giudiziario, alla scadenza del­l’incarico, nell’assemblea appositamente convocata allo scopo. Si prescinde in questa sede dall’analisi del problema, assai controverso, dell’ammissibilità del procedimento ex art. 2409 c.c. all’interno delle s.r.l., in quanto non affrontato dalla pronuncia in commento [2]. Secondo il Tribunale di Napoli, tale delibera non necessita del voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale, poiché la fattispecie non rientra tra quelle previste dall’art. 2479, 2° comma, nn. 4 e 5, c.c. richiamato dall’art. 2479-bis, 3° comma, c.c. Spe­cificamente, l’ordinanza in epigrafe esclude che si tratti di delibera di compiere operazioni che comportano una rilevante modificazione dei diritti dei soci, essendo irrilevante, a tal fine, il compimento dell’incarico da parte dell’amministratore giudiziario; né ritiene necessario il quorum qualificato in virtù del passaggio dall’ammini­strazione giudiziaria a quella ordinaria, poiché tale mutamento non rappresenta una modifica del sistema di ge­stione della società.


2. La normativa di riferimento e l’assenza di precedenti giurisprudenziali

Come già stabilito sotto il vigore della disciplina previgente, l’attuale art. 2409, 6° comma, c.c. prevede che l’amministratore giudiziario, prima della scadenza del suo incarico, convoca e presiede l’assemblea per la nomina dei nuovi amministratori. In base alle recenti disposizioni dettate per la società a responsabilità limitata, la designazione dei gestori dell’impresa è contenuta in due norme (artt. 2475 e 2479 c.c.). Il punto risulta essere, pertanto, disciplinato in via autonoma rispetto alla s.p.a., diversamente da quanto accadeva in passato, ove il previgente art. 2487, 2° comma, c.c. rinviava al vecchio art. 2383 c.c. Secondo la nuova formulazione dell’art. 2475, 1° comma, c.c. l’amministrazione della società è affidata ad uno o più soci nominati con decisione degli stessi, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo. Aggiunge l’art. 2479, 2° comma, n. 2, c.c. che è in ogni caso riservata alla competenza dei soci la nomina, se prevista nell’atto costitutivo, degli amministratori. Infine, stante il disposto dell’art. 2479, 4° comma, c.c., qualora l’atto costitutivo non preveda nulla al riguardo, le decisioni dei soci, tra cui anche la nomina degli amministratori, devono essere assunte mediante deliberazione assembleare. In particolare, la designazione di coloro che gestiscono la società rientra tra quelle delibere per le quali, salvo previsione contraria dell’atto costitutivo, è previsto che, ai sensi dell’art. 2479-bis, 3° comma, c.c., l’assemblea è regolarmente costituita con la presenza di tanti soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale e delibera a maggioranza assoluta. È invece richiesto un quorum deliberativo più elevato in caso di modifica dell’atto costitutivo, ovvero di decisioni di compiere operazioni che comportano un mutamento sostanziale dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci. Rispetto a questo rinnovato complesso normativo, la sentenza in epigrafe è destinata ad inserirsi in un filone giurisprudenziale nuovo, giacché affronta il tema della nomina degli amministratori di s.r.l. in applicazione della nuova disciplina, assai peculiare e diversa da quella previgente. Tuttavia, qualche [continua ..]


3. Le posizioni della dottrina sulla nomina degli amministratori di s.r.l. Analisi critica con riferimento alla fattispecie de qua

Nonostante un’interpretazione restrittiva dell’art. 2475, 1° comma, c.c., è opinione prevalente che siffatta norma, con riferimento alla nomina dei gestori della società, nella parte in cui fa salva una diversa disposizione dell’atto costitutivo, intende riferirsi anche alle possibilità alternative di designazione degli amministratori, disciplinate in via statutaria, e non esclusivamente all’eve­nienza che lo statuto della società consenta la nomina di amministratori non soci [5]. Al riguardo, infatti, la dottrina rinviene comunemente uno dei modi di designazione dei gestori della società nell’art. 2468, 3° comma, c.c. [6]. Attraverso questa disposizione, l’atto costitutivo può attribuire a singoli soci particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società [7]. Verosimilmente, la gestione dell’impresa societaria può quindi essere affidata in parte direttamente dal contratto di società ad uno o più soci singolarmente individuati. Stando al pensiero dei primi commentatori an­che l’intera amministrazione della società, o comunque la qualifica di amministratore con i poteri che ne derivano ex lege può essere attribuita in virtù dell’art. 2468, 3° comma, c.c. [8]. L’espressione particolari diritti sembra pure consentire che la gestione possa essere demandata a singoli soci riguardo ad una serie di competenze, ovvero con riferimento a determinate operazioni, con l’evidente rischio di porre in tal caso gravi problemi interpretativi della relativa clausola statutaria [9]. Ma, soprattutto, per quanto qui interessa, appare possibile che al singolo sia attribuito il diritto di nominare uno o più amministratori, così derogando alla competenza del gruppo dei soci [10]. Diversamente, l’indicazione di un terzo estraneo alla compagine sociale, cui sia concesso il potere di nomina, appare in contrasto non solo con il dettato legislativo che consente l’attribuzione ai soli soci di particolari diritti (art. 2468, 3° comma, c.c.), ma anche con il carattere personalistico della nuova s.r.l., ove secondo la dizione della legge delega (legge n. 366/2001) il rinnovato impianto normativo si fonda «sul principio della rilevanza centrale del socio e dei rapporti [continua ..]


4. Il commento

Data la molteplicità di ipotesi alternative al regime legale di nomina degli amministratori di s.r.l., è opportuno verificare la compatibilità tra le fattispecie statutarie di designazione ed il controllo giudiziario sulla gestione. Bisogna cioè preliminarmente chiedersi come si conciliano le scelte pattizie dei soci con il disposto dell’art. 2409, 6° comma, c.c. ove si prevede che prima della scadenza dell’incarico, l’amministratore giudiziario con­vochi e presieda l’assemblea per la nomina dei nuovi amministratori. In altre parole, sarà sempre e comunque l’assemblea a nominare in tale ipotesi i nuovi amministratori, a nulla valendo le diverse previsioni statutarie poste in essere dai contraenti? La questione non è di poco conto. Così, il socio cui sia attribuito il potere di nomina degli amministratori, quand’anche abbia partecipato alla società unicamente perché titolare di questo particolare diritto, rischia di vedersi imposti soggetti a lui sgraditi. È chiaro che se si tratta di un socio che ha la maggioranza in assemblea, il problema non si pone (dal punto di vista pratico), ma negli altri casi e, comunque sotto il profilo giuridico, la questione si mostra in tutta evidenza. Da un lato, infatti, il contrasto tra la competenza assembleare e le previsioni convenzionali di nomina dei nuovi amministratori alla scadenza dell’in­carico dell’amministratore giudiziario potrebbe costituire un ulteriore elemento di incompatibilità fra la procedura ex art. 2409 c.c. e la disciplina (se non i connotati tipologici) della s.r.l., a conferma della tesi della totale inapplicabilità. Dall’altro, però, la competenza assembleare disposta dall’art. 2409, 6° comma, c.c. non appare un ostacolo insuperabile. La norma si riferisce al­l’as­semblea, poiché è questo l’organo deputato, in via di principio, alla nomina degli amministratori di s.p.a. Tuttavia, in ipotesi peculiari, anche nelle stesse società per azioni il riferimento deve intendersi diretto non all’as­semblea, bensì all’organo o, comunque, alle modalità, legali o statutarie, relative alla nomina dei gestori della società. Si pensi alle s.p.a. che adottano il sistema c.d. dualistico. In tale circostanza, la competenza alla nomina ed alla [continua ..]


NOTE
Fascicolo 3 - 2007