Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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La fattispecie della responsabilità da prospetto informativo. Problemi e prospettive (note a Comunicazione Consob, 10 febbraio 2014, n. 0010807; Cass., 11 giugno 2010, n. 14056) (di Simone Cicchinelli)


Comunicazione Consob, 10 febbraio 2014, n. 0010807

OGGETTO: Modalità di pubblicazione del prezzo del­l’of­ferta ove questo sia stato omesso dal prospetto, collocazione ed estensione del paragrafo “Avvertenze per l’In­vestitore” ove inserito nel prospetto

La presente Comunicazione ha ad oggetto alcuni aspetti procedurali attinenti alle modalità di pubblicazione del prezzo dell’offerta di azioni e strumenti finanziari equivalenti alle azioni, ove tale prezzo non sia stato inserito nel prospetto informativo approvato in applicazione del regime di omissione delle informazioni disciplinato dall’art. 7, comma 1, del Regolamento Emittenti. L’esigenza di un intervento sulla materia deriva da un nuovo orientamento assunto dall’ESMA sulla materia.

Inoltre, ai fini di una migliore aderenza alle norme comunitarie dei prospetti informativi redatti ai sensi della Direttiva 2003/71/CE (Direttiva Prospetto o anche Direttiva), con la presente comunicazione si formulano alcune considerazioni in merito al paragrafo “Avvertenze per l’Inve­stitore” inserito in taluni prospetti al fine di dare risalto ad aspetti di particolare criticità connessi con l’emittente e/o con gli strumenti finanziari oggetto di offerta.

Modalità di pubblicazione delle informazioni sul prezzo dell’offerta pubblica di strumenti finanziari comunitari in caso di applicazione nel prospetto del regime di omissione del prezzo

L’art. 7, comma 1, del Regolamento Emittenti, che ha implementato l’art. 8.1 della Direttiva Prospetto, prevede che quando il prezzo definitivo dell’offerta e il quantitativo degli strumenti finanziari offerti non possano essere inclusi nel prospetto quest’ultimo debba almeno riportare i criteri e/o le condizioni in base alle quali il prezzo e le quantità saranno determinati o, nel caso del prezzo, il prezzo massimo.

In assenza di tali informazioni è riconosciuto agli investitori il diritto di revoca delle adesioni all’offerta.

Le informazioni concernenti il prezzo e il numero definitivi degli strumenti finanziari devono essere depositati presso l’Autorità competente dello Stato membro d’origine e pubblicati con le stesse modalità previste per il prospetto informativo dall’art. 9 del Regolamento Emittenti (che ha implementato l’art. 14.2 della Direttiva Prospetto).

L’art. 14.6 della Direttiva prescrive, inoltre, che il testo ed il formato del prospetto pubblicato e/o dei supplementi al prospetto stesso debbano sempre essere identici a quelli originali approvati dall’Autorità competente. Tale norma è stata recepita nell’art. 9, comma 6, del Regolamento Emittenti.

Nel contesto nazionale, con l’intento di minimizzare il rischio di mercato, da parte degli operatori è stata in più occasioni segnalata la necessità che le informazioni relative al prezzo ed alla quantità di titoli offerti potessero essere individuati ad una data prossima a quella dell’inizio del­l’operazione.

In considerazione dei nuovi adempimenti collegati al Register dell’ESMA relativo ai prospetti, istituito ai sensi della Direttiva 2010/78/UE (Direttiva Omnibus), la medesima Autorità ha recentemente adottato un common approach rivolto alle Autorità competenti secondo il quale, in base alla Direttiva, il prospetto pubblicato deve includere unicamente le informazioni approvate dall’Autorità competente, in quanto sia il testo sia il formato del prospetto pubblicato devono sempre risultare identici a quelli del prospetto approvato dall’Autorità.

Ciò vale quindi anche quando dal prospetto approvato sono stati omessi, in applicazione del citato regime di omissioni, il prezzo e la quantità degli strumenti finanziari; in tal caso le informazioni definitive relative al prezzo e alla quantità degli strumenti finanziari dovranno essere pubblicate separatamente con le stesse modalità previste per il prospetto.

L’ESMA ha inoltre precisato che, ove sia applicato il regime di omissione di cui all’art. 8.1 della Direttiva Prospetto, le informazioni integrative previste da tale norma siano da riferire esclusivamente al prezzo e/o al quantitativo degli strumenti finanziari.

Si ravvisa dunque l’esigenza di assicurare una coerenza tra le modalità operative con le quali sono svolte le offerte in sede nazionale ed il nuovo indirizzo dell’ESMA.

A tal fine, si ritiene di richiamare l’attenzione sull’esi­genza che prima dell’inizio dell’offerta pubblica gli investito­ri possano, come oggi, continuare a disporre delle informazioni concernenti il prezzo definitivo, ovvero il prezzo massimo vincolante nel caso di IPO, la quantità degli strumenti finanziari nonché le altre informazioni rilevanti collegate al prezzo e alla quantità (es. stima dei proventi netti del­l’offerta, potenziale diluizione per gli attuali soci, nel caso di IPO i dati relativi ai moltiplicatori di prezzo del­l’emittente a confronto con quelli delle società comparabili ecc.).

Tale esigenza, nel caso delle operazioni di aumento di capitale delle società quotate, costituisce un vincolo imprescindibile per il rispetto delle regole del mercato.

Alla luce di quanto sopra esposto, una soluzione che contempera l’esigenza di fornire agli investitori, sin dal momento iniziale, tutte le informazioni relative all’offerta proposta con il rispetto delle nuove indicazioni pervenute dal­­l’ESMA, appare essere la pubblicazione delle informazioni integrative in un supplemento da pubblicarsi in prossimità della data d’inizio dell’offerta stessa. L’approvazione di tale supplemento, che potrà essere redatto in un formato standardizzato, dovrà naturalmente tener conto del­l’e­si­genza di mantenere la coerenza con la tempistica del­l’o­pe­razione che viene proposta, tempistica che nelle operazioni di aumento di capitale delle società quotate trova riscontro nel regolamento del mercato.

È pertanto opportuno che l’interlocuzione tra i proponenti l’operazione e gli Uffici della Consob sui contenuti del supplemento avvenga con sufficiente anticipo anche rispetto alla comunicazione formale del documento stesso.

Analogamente, appare opportuno che la comunicazione del medesimo supplemento, da effettuarsi ai sensi dell’art. 8, comma 6, del Regolamento Consob n. 11971/99 e successive modifiche, avvenga con modalità e tempi tali da consentire l’approvazione da parte della Consob del supplemento al prospetto in coerenza con il calendario del­l’operazione.

Peraltro, coerentemente con il sopra citato indirizzo del­l’ESMA, ove le informazioni da pubblicare dopo l’ap­pro­va­zione del prospetto attengano unicamente al prezzo ovvero alla quantità definitivi, dette informazioni possono essere pubblicate tramite avviso, ciò in linea con quanto previsto dall’art. 8, comma 1, ultimo periodo, della Direttiva Prospetto e dalle disposizioni di attuazione contenute nel­l’art. 7, comma 1 del Regolamento Consob n. 11971/99.

Paragrafo “Avvertenze per l’Investitore” inserito in alcuni prospetti per soddisfare le esigenze informative previste dall’art. 94, comma 2, del TUF

In considerazione dell’esigenza di dare risalto, in taluni casi, ad aspetti di particolare criticità connessi con l’emit­ten­te e/o con gli strumenti finanziari oggetto di offerta, in alcuni prospetti informativi è riportato un paragrafo “Avvertenze per l’Investitore” posto immediatamente dopo la copertina del prospetto. Ai fini di una maggiore aderenza alle prescrizioni del Regolamento (CE) 809/2004/CE, ed in particolare a quelle dell’art. 25 (“Modulo del prospetto”), si richiama l’attenzione degli operatori sulla necessità che il paragrafo “Avvertenze per l’investitore”: sia inserito nella seconda di copertina del prospetto; faccia rinvio per una più compiuta esposizione dei rischi che intende evidenziare al capitolo “Fattori di Rischio” e presenti un’estensione limitata ad una pagina.

CASSAZIONE CIVILE, Sezione I, 11 giugno 2010, n. 14056 – Adamo Presidente – Rordorf Relatore

Intermediazione finanziaria – Offerta pubblica di acquisto – Informazioni contenute nel prospetto informativo – Risarcimento del danno – Violazione del dovere del neminem laedere – Responsabilità aquiliana – Responsabilità per colpa – Sussistenza – Onere della prova – Presunzione di rilevanza della errata informazione – Sussistenza – Onere della prova negativa di diversi fattori rilevanti nella causa azione del danno – Esclusione

(Artt. 1337, 1338, 1694, 2043 c.c.; art. 18, l. n. 216/1974)

In presenza di un prospetto di offerta pubblica di sottoscrizione di azioni societarie che contenga informazioni fuorvianti in ordine alla situazione patrimoniale della società, l’emittente al quale le errate informazioni siano imputabili, anche solo a titolo di colpa, risponde verso chi ha sottoscritto le azioni del danno subito per aver acquistato titoli di valore inferiore a quello che il prospetto avrebbe lasciato supporre, dovendosi presumere, in difetto di prova contraria, che la non veridicità del prospetto medesimo abbia influenzato le scelte d’investimento del sottoscrittore. (1)

omissis

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 1° luglio 1997 la T. s.p.a. citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli il Banca1 s.p.a. (successivamente incorporata nella Banca2 s.p.a., poi a propria volta incorporata nella Banca3 s.p.a., ma che per comodità continuerà in prosieguo ad essere designata come Banca1). L’attrice riferì di aver sottoscritto, nel dicembre del 1991, azioni emesse a seguito di un aumento di capitale del Banca1, offerte in borsa sulla scorta di un prospetto in­for­mativo recante una rappresentazione della situazione pa­trimoniale della società rivelatasi poi non veridica. Chiese perciò che il contratto di sottoscrizione fosse annullato e che, in ogni caso, l’istituto di credito convenuto fosse condannato al risarcimento dei danni.

Il tribunale, pur avendo accertato la non veridicità del prospetto informativo sopra menzionato, rigettò la domanda di annullamento, escludendo la sussistenza del dolo o dell’errore essenziale come possibili vizi inficianti il consenso contrattuale prestato dall’attrice; accolse invece la domanda di risarcimento dei danni, che liquidò in Euro 50.671,19, pari al 10% del prezzo di sottoscrizione delle azioni di cui si discute.

Siffatta decisione fu però riformata dalla Corte d’appello di Napoli, la quale, con sentenza resa pubblica il 17 febbraio 2006, rigettò anche la domanda di risarcimento del danno proposta dalla T.

Detta corte ritenne, infatti, che non fosse dimostrata l’e­sistenza delle condizioni occorrenti per l’accoglimento della suindicata domanda: né la malafede soggettiva degli organi del Banca1 all’atto dell’offerta in sottoscrizione delle azioni, né l’incidenza della falsità del prospetto sul prezzo di mercato delle azioni medesime o sulle ragioni per le quali, anni dopo, esse avevano perso ogni valore, avendo la società dovuto azzerare il proprio capitale, né il nesso di causalità tra le imprecise ed incomplete informazioni ricevute dalla T. ed il danno da essa subito a causa del deprezzamento delle anzidette azioni.

Per la cassazione di tale sentenza la T. ha proposto ricorso, articolato in tre motivi, al quale la banca intimata ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

  1. Col primo motivo la ricorrente imputa alla corte d’ap­pello, oltre a vizi logici nella motivazione, di aver violato gli artt. 1337 e 2043 c.c., e di aver omesso di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del danno sotto il profilo della responsabilità aquiliana.

La doglianza è in particolare focalizzata sull’affermazione dell’impugnata sentenza secondo cui la responsabilità precontrattuale presupporrebbe una condotta dolosa del responsabile, nella specie non riscontrabile. A parere della ricorrente ciò non è esatto, potendo anche una. condotta colposa integrare gli estremi dell’anzidetta responsabilità precontrattuale; e comunque la corte avrebbe dovuto altresì prendere in considerazione la prospettata responsabilità extracontrattuale, derivante dalla falsità del prospetto di offerta delle azioni, per la cui sussistenza certamente anche la colpa è sufficiente. In presenza di un prospetto che nascondeva la reale situazione patrimoniale della società offerente, redatto senza la necessaria cura e diligenza da parte degli organi di detta società, non potrebbe quindi negarsi la responsabilità di quest’ultima nei confronti degli ignari sottoscrittori di azioni, poi rivelatesi prive di valore, indipendentemente dalla circostanza che in un primo tempo la quotazione di tali titoli in borsa avesse fatto registrare un temporaneo rialzo.

  1. Il secondo motivo di ricorso denuncia come apodittica e contraria al disposto dell’art. 2697 c.c., la motivazione con cui l’impugnata sentenza ha escluso l’esistenza di un possibile nesso di causalità tra le rilevate inesattezze del prospetto d’offerta pubblica di azioni ed il danno subìto dalla T. per aver sottoscritto le azioni medesime.

La ricorrente osserva che non può mettersi in dubbio la rilevanza delle informazioni contenute nel prospetto, rispetto alle scelte di mercato compiute dai destinatari del­l’offerta, attese le finalità del prospetto medesimo ed i controlli pubblici cui esso è sottoposto: sicché, una volta accertata l’inesattezza di quelle informazioni, dovrebbe sen­z’altro presumersi la loro incidenza causale nella produzione del danno subito dal sottoscrittore di titoli rivelatisi in tutto o in parte privi di valore.

  1. Da ultimo, la ricorrente, nuovamente lamentando vizi di motivazione e la violazione dei citati artt. 1337 e 2043 c.c., torna sul tema della malafede degli organi del Banca1 per criticare l’affermazione della corte territoriale secondo cui tale malafede non potrebbe desumersi dalle fuorvianti infor­mazioni fornite da quei medesimi organi alla Banca d’Italia, in occasione della trasformazione del Banca1 in società per azioni, non trattandosi di informazioni dirette agli investitori. Al che la ricorrente obietta che, essendo i dati di bilancio posti a base di tali fuorvianti informazioni i medesimi di quelli esposti nel prospetto di offerta, uguale avrebbe dovuto esser considerata anche la condizione soggettiva di malafede dell’offerente.
  2. Nell’esaminare i riferiti motivi di ricorso occorre muovere dal rilievo che l’impugnata sentenza ha accertato – con ar­go­menti che non possono essere rimessi in discussione in questa sede – sia l’esistenza di una falsa rappresentazione della situazione patrimoniale del Banca1 nel prospetto di offerta pubblica delle azioni sottoscritte dalla ricorrente, sia l’impu­tabilità di tale falsa rappresentazione a “leggerezza, super­ficialità, disattenzione” di chi ebbe a redigere i dati riportati in quel prospetto.

4.1. La circostanza – sottolineata nel controricorso – che quei medesimi dati abbiano potuto essere in larga misura influenzati da valutazioni compiute da soggetti terzi ed indipendenti (gli esperti nominati dal presidente del tribunale in occasione del conferimento dell’azienda bancaria subito prima intervenuta in attuazione della c.d. legge Amato) nulla toglie alla responsabilità di chi, in veste di amministratore della società offerente, ha sottoscritto i bilanci della società ed ha assunto la paternità del prospetto di offerta, per ciò stesso dovendone in prima persona verificare la veridicità e co­r­rettezza. Perciò, anche a prescindere dalla posizione per­sonale degli amministratori – che non è qui direttamente in causa – non si vede davvero come la responsabilità nei confronti dei terzi sottoscrittori derivante dalla non veridicità di un prospetto d’offerta pubblica di azioni possa non esser riferita alla società che di quelle azioni è l’offerente e dalla quale quel prospetto proviene.

4.2. La questione che il ricorso propone, non essendo stata impugnata la statuizione della sentenza di primo grado che ha escluso la sussistenza delle condizioni per l’an­nullamento del contratto di sottoscrizione delle azioni del Banca1 da parte della T., è dunque quella di stabilire in quali termini sia configurabile una responsabilità risarcitoria dell’emittente per l’anzidetta colposa violazione degli obblighi di corretta infor­mazione insiti nella disciplina delle offerte pubbliche.

Per rispondere correttamente all’interrogativo appare op­­portuno individuare anzitutto quale sia la natura del­l’i­po­tizzata responsabilità.

La sentenza impugnata, come s’è detto, ha fatto riferimen­to alla responsabilità precontrattuale, prevista dall’art. 1337 c.c., mentre la ricorrente insiste nell’invocare, in termi­ni più ampi, la responsabilità aquiliana contemplata dal­l’art. 2043 c.c.

Reputa la corte che il richiamo alla disciplina della responsabilità precontrattuale di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c. (ancorché tradizionalmente anch’essa ricondotta dalla giurisprudenza – ma non da tutta la dottrina – al più ampio genus della responsabilità extracontrattuale) sia scarsamente utile in casi come quello in esame.

La disciplina tracciata dai due suaccennati articoli del codice, infatti, appare manifestamente collegata a situazioni in cui sia configurabile una trattativa destinata alla conclusione del contratto tra due o più parti: trattativa nel condurre la quale si esige che le parti conformino a buona fede il loro reciproco comportamento. Ben diversa è, però, la situazione che si delinea in presenza di offerte pubbliche di acquisto, vendita o scambio di strumenti finanziari; situazione nella quale nessuna trattativa è concepibile e l’a­derente all’offerta è in grado di determinare la propria scelta contrattuale non già sulla base di un’interlocuzione diretta con la controparte, bensì unicamente alla luce delle informazioni reperibili sul mercato. Ragion per cui la disciplina di settore (pur attraverso i mutamenti normativi intervenuti nel tempo), già all’epoca dei fatti di causa (quando era ancora vigente la L. n. 216 del 1974, art. 18, come modificato dalla L. n. 77 del 1983, art. 12), poneva a carico dell’offerente l’obbligo di predisporre un prospetto informativo redatto secondo criteri ben determinati, soggetto a controllo da parte dell’autorità di vigilanza e destinato appunto a consentire al pubblico di compiere le proprie scelte d’investimento o disinvestimento in maniera consapevole.

Naturalmente nulla vieta di ricondurre la violazione del­l’ob­bligo di (corretta) redazione del prospetto ad una più ampia nozione di responsabilità precontrattuale, ove per ciò s’intenda qualsiasi responsabilità derivante da com­por­tamenti antigiuridici posti in essere nella fase che precede il perfezionamento di un rapporto contrattuale; ma resta il fatto che si tratta di un obbligo diverso da quello cui più specificamente allude il citato art. 1337, al cui disposto, pertanto, è lecito far riferimento, in situazioni come quella in esame, solo nella misura in cui si rinviene in esso un’ap­plicazione del generale dovere di buona fede, che senza alcun dubbio deve improntare anche il comportamento di chi propone un’offerta pubblica di vendita di strumenti finanziari sul mercato.

Ove, quindi, vi sia stata violazione delle regole destinate a disciplinare il prospetto informativo che correda l’offerta, trattandosi di regole volte a tutelare un insieme ancora indeterminato di soggetti per consentire a ciascuno di essi la corretta percezione dei dati occorrenti al compimento di scelte consapevoli, si configura un’ipotesi di violazione del dovere di neminem laedere e, per ciò stesso, la possibilità che colui al quale tale violazione è imputabile sia chiamato a rispondere del danno da altri subito a cagione della violazione medesima secondo i principi della responsabilità aquiliana.

È poi appena il caso di aggiungere che, in applicazione di detti principi, la responsabilità in questione è imputabile all’agente non solo qualora egli abbia operato con dolo, ma anche se la violazione delle regole disciplinanti il prospetto d’offerta sia frutto di colpa, essendo stato esso compilato con negligenza o imperizia in modo difforme dal dovuto.

4.2.1, La responsabilità di cui s’è appena detto non è esclusa dal fatto che il contratto di sottoscrizione delle azioni offerte pubblicamente in vendita o in sottoscrizione sia stato comunque concluso e che, pertanto, le azioni siano state comprate o sottoscritte dal destinatario dell’offerta male informato dal prospetto non correttamente redatto.

Questa corte certo non ignora che, in passato, si è sovente negata la possibilità di postulare gli estremi della responsabilità precontrattuale, in conseguenza di vicende ri­guardanti la fase che ha preceduto la conclusione del contratto, una volta che il contratto medesimo sia venuto ad esistenza. E le ragioni cui tale opinione si ispira (alle quali si fa cenno anche nell’impugnata sentenza) potrebbero in teoria, almeno in parte, essere invocate anche in una situazione come quella in esame, pur se, come appena osservato, essa è da ricondurre nel quadro dei principi generali della responsabilità extracontrattuale, piuttosto che in quello più limitato della disciplina codicistica della responsabilità precontrattuale.

Occorre però considerare che, in epoca più recente e proprio in riferimento a fattispecie ricadenti nel diritto dei mercati finanziari ed interessanti la tutela degli investitori, questa corte ha modificato detto indirizzo, adottando un diverso orientamento cui qui s’intende dare continuità.

Il già richiamato principio di buona fede ha infatti una valenza che va al di là dei limiti entro cui tradizionalmente sono confinate le conseguenze dannose del contratto non concluso e, specie in situazioni di mercato nelle quali la conclusione del contratto avviene al di fuori di ogni trattativa e di ogni contatto diretto tra le parti, nulla consente di renderne irrilevanti le violazioni, sol perché esse non hanno immediatamente e decisivamente inciso sul meccanismo stipulativo. Donde la conseguenza – condivisa da autorevole dottrina e coerente anche con i principi attestati in ambito europeo (si veda l’art. 2301 c.c., comma 2, dei Principles of European Contract Law) – secondo cui la violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase anteriore alla conclusione di un qualsiasi rapporto contrattuale espone all’obbligo di risarcire i danni a prescindere dal fatto che il contratto sia poi stato concluso o meno e che la violazione del dovere di buona fede possa o meno aver inciso sulla validità stessa del contratto (cfr. Cass. n. 3773 del 2009, Cass. n. 19024 del 2005 e Sez. un. n. 26724 del 2007).

4.3. Ciò detto, resta però ancora da valutare come si possano individuare i danni subiti dal sottoscrittore di azioni offerte in base ad un prospetto infedele al vero, dovendo ovviamente sussistere un nesso di causalità tra tali danni e l’infedeltà del prospetto.

4.3.1. A tal riguardo è bene chiarire che, se il comportamento antigiuridico da cui la responsabilità trae origine consiste nell’aver fornito al sottoscrittore dei titoli un’in­formazione insufficiente o fuorviante circa il valore patrimoniale o la redditività dei titoli stessi, il danno di cui si discute, da ragguagliare al minor vantaggio o al maggior aggravio economico determinato da tale comportamento scorretto (cfr. Cass. n. 19024/05, cit.), è quello prodotto appunto dall’aver acquistato beni aventi un valore diverso ed inferiore rispetto a quanto le informazioni ricevute dal­l’acquirente avrebbero fatto ragionevolmente supporre: cioè di aver acquistato ad un prezzo che dichiaratamente presupponeva un determinato valore, risultato poi invece inferiore.

Se il legislatore prescrive che il prezzo al quale la domanda e l’offerta s’incontrano sul mercato sia determinato in base ad un complesso di informazioni che debbono essere correttamente fornite dall’offerente al mercato stesso, l’alterazione del prezzo conseguente alla non correttezza di tali informazioni e la circostanza che, di conseguenza, l’incontro tra l’offerta e la domanda sia avvenuta ad un livello di prezzo diverso da quello che prevedibilmente si sarebbe avuto in caso di informazione corretta, integra di per sé un danno ingiusto per l’aderente alla sollecitazione (non diversamente – se può azzardarsi un paragone – da quel che accadrebbe se chi acquista ad un determinato prezzo una scatola sigillata, sulla cui etichetta è indicato il contenuto di un litro di latte, scoprisse poi che di latte nella scatola ce n’è solo mezzo litro).

Contrariamente a quanto sembra prospettare la difesa di parte ricorrente, invece, le vicende dei titoli successive al loro acquisto non sono di per sé produttive di un danno riconducibile al fatto illecito di cui si discute. L’andamento di borsa dei titoli quotati, sia nell’immediato sia nel lungo periodo, è notoriamente influenzato da una assai variegata quantità di fattori. Ovviamente, si può trarre anche da esso argomento per desumere quale fosse l’effettivo valore delle azioni all’atto della loro originaria sottoscrizione e come la scorretta rappresentazione contenuta nel prospetto abbia deformato tale valore ai fini della determinazione del prezzo d’acquisto; ma non per affermare, sic et simpliciter, che la perdita derivante dal successivo azzeramento del capitale sociale sia imputabile all’illecito comportamento di cui si sta parlando, perché non è affatto detto che l’andamento negativo della società dipenda dall’inesattezza delle informazioni rese nel prospetto.

Allo stesso modo, però, non può aver rilievo – non comunque per escludere in radice l’esistenza del danno – la circostanza, sottolineata invece da parte controricorrente e richiamata anche nell’impugnata sentenza, secondo cui le azioni del Banca1, nel periodo immediatamente successivo all’emissione, conservarono o addirittura migliorarono la loro quotazione di borsa. Per poterne arguire che la non veridicità dei dati riportati nel prospetto è stata in concreto ininfluente sul valore dei titoli in questione, occorrerebbe affermare – ma non lo si fa – che il favorevole andamento degli stessi titoli in borsa è continuato pur dopo che la falsità di quei dati è stata resa nota al mercato. Né, ovviamente, si può imputare alla stessa T. di non aver approfittato del corso favorevole dei prezzi per rivendere le azioni e per elidere o ridurre il danno quando ancora non le era nota l’inattendibilità del prospetto in base al quale le aveva in precedenza acquistate.

4.3.2. Ha ragione la ricorrente nel dolersi della motivazione in base alla quale la corte territoriale ha addebitato all’attrice di non aver fornito la prova negativa dell’essere stato il suo acquisto azionario influenzato da circostanze di­verse dalla non veridicità del prospetto.

Con tale motivazione non è stato fatto buon governo dei principi che regolano l’onere della prova.

È lo stesso sistema disegnato dal legislatore per disciplinare le sollecitazioni al pubblico risparmio, incentrato sul prospetto informativo come documento senza il quale la sollecitazione non può aver luogo e corredato da un regime di controlli pubblici vertenti anche su tale documento, che necessariamente induce ad assegnare al prospetto una funzione centrale nell’informazione dovuta agli investitori cui la sollecitazione è rivolta: tale per cui la non veridicità del prospetto, a meno che non riguardi aspetti del tutto secondari e di per sé poco influenti, naturalmente implica vi sia stata un’indebita distorsione nella scelta che il destinatario dell’offerta è stato indotto a compiere. Può ammettersi che, in presenza di inesattezze del prospetto limitate e marginali, la loro incidenza risulti in concreto talmente modesta da non essere apprezzabile; ma al di fuori di una tale ipotesi – che la motivazione dell’impu­gnata sentenza non sembra configurare nel caso esaminato – la non veridicità del prospetto non può non generare la presunzione di rilevanza della distorsione informativa sulle scelte del­l’investitore, al quale non può esser perciò imposto l’ul­te­riore onere della prova negativa di eventuali diversi fattori dai quali dette scelte sarebbero state determinate.

Né, d’altronde, la semplice enunciazione in termini assai vaghi e generici di altre ragioni che potrebbero aver indotto la ricorrente a sottoscrivere le azioni in questione prescindendo dalle informazioni contenute nel prospetto quale la fiducia degli investitori in un istituto di credito tradizionalmente importante come il Banca1 e la prospettiva di futuri interventi pubblici di salvataggio dell’istituto medesimo – può bastare, sul piano logico, a giustificare la conclusione cui la corte d’appello è pervenuta, in difetto di qualsiasi concreta e specifica indicazione di circostanze o comportamenti storici dai quali sia lecito dedurre l’irri­le­vanza dell’informazione fuorviante.

  1. Alla stregua di tali considerazioni, e nei limiti sopra indicati, i primi due motivi di ricorso appaiono meritevoli di accoglimento, con conseguente assorbimento del terzo.

L’impugnata sentenza deve perciò essere cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Napoli (in diversa composizione), che deciderà attenendosi al seguente principio:

“In presenza di un prospetto di offerta pubblica di sottoscrizione di azioni societarie che contenga informazioni fuorvianti in ordine alla situazione patrimoniale della società, l’emittente al quale le errate informazioni siano imputabili, anche solo a titolo di colpa, risponde verso chi ha sottoscritto le azioni del danno subito per aver acquistato titoli di valore inferiore a quello che il prospetto avrebbe lasciato supporre, dovendosi presumere, in difetto di prova contraria, che la non veridicità del prospetto medesimo ab­bia influenzato le scelte d’investimento del sottoscrittore”.

  1. Alla medesima corte d’appello si demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La corte accoglie i primi due motivi del ricorso, con assorbimento del terzo, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 6 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2010

SOMMARIO:

1.  Alcune considerazioni sulle modalità di pubblicazione del prezzo del­l’of­ferta: il recente intervento della Consob - 2.  Il caso - 3.  La normativa di riferimento - 3.1. (Segue). La responsabilità da prospetto: spunti comparatistici - 4. Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali - 4.1. La ricostruzione della natura giuridica della responsabilità da prospetto informativo. - 4.2. Le posizioni della letteratura (formatasi sulla normativa vigente all’epoca dei fatti di causa) e le novità portate dalla sentenza in commento sulla natura della responsabilità da prospetto informativo - 4.3. L’onere della prova - 4.4. Nesso di causalità e onere probatorio - 4.5. L’individuazione dei danni risarcibili - 5. Il commento - NOTE


1.  Alcune considerazioni sulle modalità di pubblicazione del prezzo del­l’of­ferta: il recente intervento della Consob

La recente comunicazione della Consob n. 0010807, pubblicata in data 10.2.2014, è intervenuta sulle modalità di pubblicazione del prezzo del­l’offerta nelle ipotesi in cui, in conformità a quanto stabilito dall’art. 7, 1° comma del Regolamento Emittenti, questo non sia incluso nel prospetto, al pari del quantitativo di strumenti finanziari offerti. In questo caso, si ricorda per completezza, il prospetto informativo deve indicare i criteri e/o le condizioni alle quali il prezzo e le quantità sono determinati oppure, ove sia stata omessa l’indicazione del prezzo, il prezzo massimo [1]. La necessità di intervenire sul punto è da ricondursi al recente orientamento della European Securities and Markets Authority (c.d. ESMA) [2] sulla scorta del quale il testo del prospetto pubblicato deve essere [sempre] identico a quello approvato dall’Autorità di vigilanza: si tratta di garantire che le informazioni portate, per l’approvazione, all’attenzione dell’Auto­rità siano poi quelle in concreto pubblicate. Data, nelle suddette ipotesi di omissioni, l’esi­gen­za, da più parti segnalata, che le informazioni inerenti il prezzo e il quantitativo degli strumenti finanziari vengano conosciute dagli investitori in prossimità della data di inizio dell’operazione, non può sottacersi l’importanza di “assicurare una coerenza tra le modalità operative con le quali sono svolte le offerte in sede nazionale ed il nuovo indirizzo del­l’ESMA” [3]. La soluzione adottata dalla Consob consiste, pertanto, nella pubblicazione di un supplemento al prospetto informativo all’interno del quale dovranno trovare puntuale indicazione le informazioni integrative: tuttavia la comunicazione in commento, pur apprezzabile nell’ottica di rafforzare gli obiettivi desumibili dalla lettera dell’art. 94 co.2 del d.lgs. 58/1998 (c.d. t.u.f.), si limita a precisare, senza fornire indicazioni più puntuali in grado di attenuare il c.d. rischio di mercato (specialmente nei casi di aumento di capitale delle società quotate), che tale pubblicazione dovrà avvenire in prossimità dell’ini­zio dell’offerta [4]. Ancora una volta se la tutela dei risparmiatori, sotto taluni aspetti, può dirsi rafforzata così non è [continua ..]


2.  Il caso

La T. S.p.A., con atto di citazione notificato in data 1° luglio 1997, conviene in giudizio la Banca1, asserendo di aver sottoscritto azioni da questa emesse a seguito di un aumento di capitale sulla base di un prospetto informativo recante una rappresentazione della situazione patrimoniale rivelatasi – in un successivo momento – non veritiera. In particolare, il ricorrente chiede, da un lato, l’an­nullamento del contratto di sottoscrizione e, dall’altro, che l’emit­tente venga condannato al risarcimento dei danni. Il Tribunale di prime cure, pur rigettando la domanda di annullamento per la non sussistenza né del dolo né dell’errore essenziale come vizi inficianti il rapporto contrattuale intercorso tra l’investitore ed il soggetto emittente, accoglie la domanda di risarcimento danni nella misura pari al 10% del prezzo di sottoscrizione delle azioni. Successivamente, a seguito del ricorso in appello promosso dalla banca, la Corte rigetta anche l’istan­za risarcitoria accolta, come appena accennato, dal Tribunale di primo grado. Segnatamente, secondo la pronuncia della Corte di Appello di Napoli, non si è provata: (i) la malafede soggettiva degli organi della banca all’atto dell’offerta delle azioni sottoscritte dal ricorrente; (ii) l’incidenza, recte: la correlazione, tra i dati falsi riportati all’interno del prospetto informativo ed il successivo valore di mercato dei titoli; (iii) il nesso di causalità tra le informazioni – imprecise ed incomplete – riportate nel prospetto informativo ed il danno subito dal ricorrente per l’effetto del deprezzamento delle suddette parte­cipazioni azionarie. L’investitore decide di promuovere ricorso in Cassazione, individuando, nello specifico, tre motivi di ricorso. In prima battuta, la sentenza impugnata escludeva la sussistenza di una responsabilità precontrattuale a carico del soggetto emittente in quanto tale regime presuppone una condotta dolosa del responsabile che – nel caso in oggetto – non sarebbe riscontrabile. Anche a voler escludere la sussistenza del dolo in capo all’emittente, la Corte – secondo il ricorrente – avrebbe dovuto prendere in considerazione il regime della responsabilità extracontrattuale, per la di cui integrazione è, notoriamente, sufficiente una condotta colposa. La condotta, sia dolosa che [continua ..]


3.  La normativa di riferimento

All’epoca dei fatti di causa era vigente quale normativa applicabile ratione temporis la legge n. 216/ 1974 come novellata dalla legge n. 77/1983, che al­l’art. 18 definisce “chi” può procedere alla sollecitazione del pubblico risparmio [8], oltre che gli aspetti operativi e procedurali inerenti la pubblicazione del prospetto informativo [9]. L’art. 12 della legge n. 77/1983 ha innovato in mo­do profondo la ratio sottesa alla legge n. 216/ 1974 novellando [10] il regime della sollecitazione al risparmio sotto almeno tre profili: (i) la nozione di valore mobiliare, che ha subito una profonda dilatazione potendo includersi titoli di massa atipici e altri strumenti di raccolta del risparmio mobiliare; (ii) la previsione di più penetranti poteri della Consob; (iii) l’introduzione del prospetto informativo come documento necessario per procedere alla sollecitazione del pubblico risparmio. L’evoluzione normativa in materia fu dettata, in misura sempre più crescente, dagli interventi del legislatore comunitario. A seguito dell’emanazione della direttiva 89/298 recante disposizioni “per il coordinamento delle condizioni di redazione, controllo e diffusione del prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica di valori mobiliari”, furono numerosi gli interventi della Consob per disciplinare la redazione dei prospetti informativi [11]. Nonostante la normativa comunitaria consentisse ai singoli ordinamenti di adottare un prospetto “semplificato”, il nostro ordinamento decise di allineare il contenuto del prospetto di collocamento a quello di quotazione [12]. Posto che la materia del rapporto contrattuale tra risparmiatori e soggetti emittenti ha subito una notevole evoluzione sul piano giurisprudenziale a seguito dell’entrata in vigore del richiamato t.u.f. il legislatore ha avuto modo di intensificare gli interventi sul punto con una normativa sempre più dettagliata e pervasiva rispetto all’attività dei soggetti vigilati. Con l’introduzione del d.lgs. n. 51/2007, che ha recepito la direttiva 2003/71/CE (c.d. “Direttiva Prospetto”), si è dotato il t.u.f. (segnatamente al Titolo II, Capitolo I) di una, in apparenza non cristallina, disciplina sulla responsabilità da prospetto [13]. Que­st’ul­tima trova cittadinanza solo ed [continua ..]


3.1. (Segue). La responsabilità da prospetto: spunti comparatistici

L’analisi comparata offre molteplici spunti di riflessione. Il legislatore italiano è intervenuto con notevole ritardo rispetto all’ordinamento tedesco e, specialmente, a quello anglosassone. Nell’Eu­ropa continentale, il primo caso afferente al regime della responsabilità da prospetto si è verificato nel 1853 proprio in Germania (caso Lucca-Pistoia/Actien­streit) [18]. Pochi anni più tardi, il legislatore tedesco emanò il Borsengesetz, all’interno del quale si cerca di contemperare, da un lato, le esigenze degli investitori e, dall’altro, quelle delle banche: i paragrafi 45 e 46 limitano la responsabilità “ai casi in cui l’inesattezza dei dati da prospetto dipenda da dolo o colpa grave di coloro che hanno emesso tale documento informativo ovvero l’incompletezza del prospetto dipenda da dolosa reticenza o da dolosa trascuratezza dei medesimi soggetti” [19]. In Inghilterra, il primo intervento legislativo risale al 1890, quando il Director’s Liability Act “impose una responsabilità per negligence in capo agli autori di prospetti informativi” [20]. Contra­riamente a quanto è avvenuto nell’ordinamento tedesco, il legislatore anglosassone è intervenuto, sul punto, in due occasioni: dapprima con il Companies Act e, successivamente, con il Financial Services Act. La normativa prodotta dagli ordinamenti stranieri si pone essenzialmente due obiettivi: garantire un’a­de­guata informazione sul prezzo dei titoli e assicurare che gli azionisti delle società quotate siano protetti da una struttura di governance efficiente [21]. Focalizzando l’attenzione sul primo aspetto, si rileva, da un lato, che la diffusione delle informazioni da parte dell’emittente può essere tale da non permettere una esatta formazione dei prezzi, dall’altro, accade sovente che gli investitori – nonostante una disclosure qualitativamente efficiente – non siano in grado di valutare le azioni per scarsità di risorse, tempo e conoscenze [22]. Attese le diverse opzioni legislative adottate dagli ordinamenti in tema di disclosure [23], nel processo di convergenza delle regolamentazioni comunitarie e internazionali, si rilevano tre tipologie di informazioni che devono essere riprodotte in un prospetto [continua ..]


4. Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali

4.1. La ricostruzione della natura giuridica della responsabilità da prospetto informativo.

L’interessante iter argomentativo seguito dalla Cas­sazione, preme da subito evidenziare, consi­dera applicabile il regime di responsabilità aqui­liana ove vengano violate le regole dettate per la pubblicazione e la predisposizione del prospetto informativo: regole previste, per l’appunto, a tutela di un numero indeterminato di soggetti (con lesione, quindi, del più generale dovere del neminem laedere). Tale regime di responsabilità si applica non solo in presenza di dolo, ma anche nei casi in cui il prospetto informativo sia stato redatto con negligenza o imperizia (e, quindi, con colpa) [25]. La controversia in esame si dovrebbe ricondurre nel quadro dei generali principi della responsabilità extracontrattuale, in quanto, data l’assenza di vere e proprie trattative tra emittente e investitore, il richiamo all’art. 1337 c.c. sarebbe improprio: in particolare “nessuna trattativa è concepibile e l’aderente all’offerta è in grado di determinare la propria scelta contrattuale non già sulla base di un’interlocuzione diretta con la controparte, bensì unicamente alla luce delle informazioni reperibili sul mercato”. Le riportate osservazioni della Suprema Corte non sono completamente sconosciute alla letteratura specialistica, la quale – anticipando l’importanza data dal legislatore alla c.d. “forma informativa” – ha sottolineato, evidenziando “il carattere standardizzato della proposta, e della relativa accettazione”, che “il rispetto del principio di buona fede nella conclusione del contratto non può essere affidato al riscontro e al contraddittorio dei contraenti, come presuppongono le norme codicistiche” [26]. Non sarebbe di per sé vietato ricondurre l’ipotesi di violazione delle summenzionate regole nel­l’al­veo di una più ampia nozione di responsabilità precontrattuale; gli è che l’obbligo in oggetto risulta diverso “da quello cui più specificamente allude il citato art. 1337 c.c.”. Pur tuttavia il ricorso a quest’ultima disposizione allo stesso art. 1337 c.c. è certamente lecito se lo si intende come richiamo al più generale dovere di buona fede cui deve improntarsi anche l’attività di chi offre al pubblico strumenti finanziari. Sul punto [continua ..]


4.2. Le posizioni della letteratura (formatasi sulla normativa vigente all’epoca dei fatti di causa) e le novità portate dalla sentenza in commento sulla natura della responsabilità da prospetto informativo

Come già evidenziato, solo di recente il nostro ordinamento si è dotato di una disciplina della responsabilità civile a garanzia della veridicità delle comunicazioni rivolte al mercato e agli investitori, in quanto aventi ad oggetto la sottoscrizione di strumenti finanziari [28]. Tuttavia, i primi (e principali) indirizzi della letteratura si sono formati sulla previgente normativa, quando un regime specifico di responsabilità non era previsto. Sul punto, possono individuarsi diversi filoni di pensiero [29]. Taluni ritengono applicabile il regime della responsabilità precontrattuale, ricondotta nel­l’alveo di quella contrattuale. Tuttavia, all’interno di tale filone, è possibile distinguere l’indirizzo: (i) di chi [30] ha proposto un sistema misto di re­spon­sabilità diversificando la posizione dell’intermediario che sottoscrive direttamente il prospetto informativo, da quella dell’intermediario che ha, direttamente, avuto contatti con i risparmiatori; (ii) di chi [31], allargando notevol­mente il perimetro della culpa in contrahendo e pur dando conto della difficoltà di ricondurre ad unità posizioni sensibilmente diverse tra loro, ha optato prevalentemente per l’applicazione dell’art. 1337 c.c.; (iii) di chi ha inquadrato la responsabilità da prospetto sic et simpliciter nell’alveo della respon­sabilità contrattuale [32]. I fautori della responsabilità precontrattuale, come d’altronde ha rilevato lo stesso arresto de quo, si sono, sul piano dell’applicazione dell’art. 1337 c.c., affaticati nel risolvere il problema del­l’incidenza che la successiva stipula di un valido contratto ha sul­l’applicazione del regime di responsabilità contrattuale. Tuttavia la principale conseguenza portata da tale indirizzo è data, secondo le regole tipiche della responsabilità contrattuale, dalla distribuzione del­l’onere pro­batorio a favore dell’investitore. Su posizioni completamente diverse giacciono le considerazioni sia di chi [33] riconduce la respon­sa­bilità contrattuale nell’ambito del genus della responsabilità extracontrattuale, sia di chi [34] la qualifica più direttamente come aquiliana: entram­bi gli [continua ..]


4.3. L’onere della prova

All’esito del proprio iter argomentativo, la Supre­ma Corte richiama due aspetti strettamente connessi tra loro: da un lato, il tema dell’onere probatorio e, dall’altro, l’individuazione del nesso di causalità tra i danni patiti dall’investitore e l’infedeltà del prospetto informativo [42]. Entrambi risentono della natura aquiliana propria della responsabilità in parola. L’apparato di regole eteroimposte dalla Consob “consente di ritenere che la non veridicità del prospetto – lì ove non si tatti di inesattezze relative ad aspetti del tutto secondari e di per sé poco influenti – generi la presunzione di rilevanza della distorsione informativa sulle scelte dell’investi­tore” [43]. Pertanto, la presunzione di rilevanza delle informazioni non corrette e non veritiere riportate all’interno del prospetto, in ordine alla scelta di investimento effettuata da parte attrice, è data dalla centralità che il legislatore ha voluto attribuire al prospetto stesso: la Corte deduce che non può essere addebitato alla ricorrente “l’ulteriore onere della prova negativa di eventuali diversi fattori dai quali dette scelte sarebbero state determinate” [44], con ciò avvalorando il ricorso alla presunzione circa il ragionevole affidamento sulla veridicità delle informazioni rese nel documento pubblicato dalla banca. Su un piano squisitamente processuale il dispo­sto dell’art. 2729 c.c. permette al giudice di muovere da un fatto noto (nel caso che ci occupa: la non veridicità delle informazioni contenute nel prospetto informativo) per risalire ad un fatto ignoto (la distorsione nella scelte effettuate dal­l’investitore); di tal che spetterà all’emittente provare la sussistenza di fattori esterni e ulteriori (naturaliter rispetto alla non veridicità delle informazioni) che hanno prodotto in capo al ricorrente il danno di cui chiede ristoro. L’arresto in commento nulla dice in ordine alla prova dell’elemento soggettivo. Si potrebbe parlare, in virtù del fatto che l’emit­tente è un’impresa organizzata e governata da puntuali regole tese alla predisposizione di uffici cui assegnare compiti e responsabilità, di una necessaria inversione dell’onere della prova: ciò in [continua ..]


4.4. Nesso di causalità e onere probatorio

In ordine al nesso di causalità tra l’informazione inesatta e la decisione di investimento, l’art. 94, 8° comma, t.u.f. si pone in controtendenza rispetto alla Section 11 e alla Section 12 (a)(2) del Securities Act, in quanto viene stabilito espressamente che chi ha rilasciato informazioni inesatte risponde «dei danni subiti dall’investitore che abbia fatto ragionevole affidamento sulla veridicità e completezza delle informazioni contenute nel prospetto» [49]. Con particolare riguardo al rapporto tra disciplina dell’onere probatorio e il nesso di causalità, l’arresto de quo conclude ritenendo che il nesso eziologico tra il danno subito e la falsità e/o lacunosità delle informazioni contenute nel prospetto informativo possa essere ricostruito sulla scorta del sistema presuntivo [50]: ciò a dire, come si è dettagliato, che la non veridicità del prospetto stesso abbia influenzato le scelte di investimento del sottoscrittore. La Suprema Corte, al fine di dare autonoma centralità alle informazioni rese nel prospetto, giunge ad escludere alcune argomentazioni sia del ri­cor­rente che del controricorrente: (i) il primo sostiene che le vicende dei titoli successive al loro acquisto sono altresì produttive di un danno comunque riconducibile al fatto illecito oggetto del giudizio. Sul punto si nota correttamente che l’andamento in borsa dei titoli è influenzato da una molteplicità di fattori: l’an­damento negativo della società non può essere [solamente] causato dalle lacunose infor­mazioni contenute nel prospetto; (ii) il secondo, al fine di andare esente da respon­sabilità, afferma che nel periodo immediatamente successivo all’emis­sione le azioni non solo conservarono, ma addi­rittura migliorarono il loro valore. Ma il favore­vole corso dei titoli avrebbe dovuto mantenersi anche successivamente alla scoperta della falsità dei dati riportati nel prospetto: ciò, tuttavia, non è stato provato in sede di giudizio. La Cassazione chiosa, sul punto, che il danno prodotto non può ridursi o annullarsi asserendo che l’investitore avrebbe potuto approfittare del suddetto favore­vole andamento del prezzo. Su quest’ultimo aspetto sia consentito osservare che l’affidamento di valori alle [continua ..]


4.5. L’individuazione dei danni risarcibili

L’attenzione dell’iter argomentativo si sposta, altresì, sull’individuazione dei danni subiti dal sottoscrittore di azioni [52]. Il giudice di legittimità chiarisce che il danno di cui si discute è quello prodotto “dall’aver acqui­stato beni aventi un valore diverso ed inferiore rispetto a quanto le informazioni ricevute dall’ac­qui­rente avreb­bero fatto ragionevolmente sup­por­re”: esso è da rapportarsi, con riferimento al quantum, al minor vantaggio o al maggior aggra­vio economico determinato dal comportamento dell’emittente. In altri termini, dal momento che il prezzo al quale viene sottoscritto uno strumento finanziario è determinato da un complesso di informazioni, la non correttezza di quest’ultime integra di per sé un danno ingiusto per l’aderente alla sollecitazione [53]. I criteri volti a quantificare i danni subiti dagli investitori sono in linea con gli orientamenti più recenti della giurisprudenza e della letteratura. Sul punto, possono ritenersi condivisibili le osser­vazioni della Suprema Corte che esclude la rile­vanza, riguardo alla produzione del danno, delle vicende successive all’acquisto dei titoli; d’al­tronde, di tali vicende l’e­mittente non può essere chiamato a rispondere proprio perché, diversa­mente opinando, “l’investi­to­re danneggiato ver­reb­be a trovarsi in una situazione migliore di quella in cui si sarebbe trovato in assenza di fatto illecito” [54]. Preme ora rilevare che a fattispecie come quelle in esame, proprio in punto di quantificazione del danno, dovrebbe ritenersi applicabile il disposto di cui al 2° comma dell’art. 1227 c.c., esclu­dendosi il risarcimento ove il creditore possa evitare i danni usando l’or­dinaria diligenza: inoltre, e contraria­mente a quanto sottolineato dalla Suprema Corte, si ritiene ipotizzabile, nel caso in cui l’investitore – a seguito della scoperta delle falsità – non abbia proceduto al disinvestimento nonostante il negativo andamento dei titoli azionari sottoscritti, un concorso di colpa dello stesso con conseguente applicazione del 1° comma dell’art. 1227 c.c. [55]. D’altronde l’adozione di una soluzione di segno contrario si pone in contrario con il testo di [continua ..]


5. Il commento

Sia consentito avanzare, alla luce di quanto detto, alcune considerazioni critiche sulla natura della responsabilità da prospetto informativo. In ordine all’indirizzo che predilige l’applica­bilità dell’art. 1337 c.c. e del regime di responsa­bilità contrattuale, si ritengono condivisibili le notazioni della Suprema Corte dal momento che nella fase precedente alla sottoscrizione delle azioni non intercorre nessun tipo di trattativa tra il soggetto emittente e l’investitore. Si è notato, infatti, che “nel nostro caso, da un lato abbiamo l’emittente o l’offerente o l’in­termediario; dall’al­tro il mercato che impersonalmente valuterà le informazioni e fisserà il prezzo degli strumenti finanziari” [56]: in tal senso, in una prospettiva di alterazione rispetto alla disciplina applicabile ai rapporti contrattuali tra privati, sia il rapporto sia i relativi obblighi che da esso promanano risulte­rebbero, in una dimensione normativa, scoloriti [57]. L’oggettivizzazione nei termini prospettati del rapporto emittente – investitore, che consente al più di parlare di responsabilità da “contatto”, potrebbe risultare attenuata nell’istante in cui quest’ultimo subisce un danno causato dalla violazione delle regole informative cristalliz­zan­dosi così la relativa pretesa risarcitoria. Tale osservazione ha portato la giurisprudenza teorica e pratica a concentrare i propri sforzi ricostruttivi sulla disciplina della responsabilità extracon­trattuale, le cui peculiarità sono già state messe in luce nei paragrafi che precedono. L’iter argomentativo seguito dalla Cassazione non sembrerebbe immune da considerazioni critiche almeno per quanto concerne: (i) il regime dell’onere probatorio; (ii) l’applicazione del canone della buona fede. Quanto al primo, si condivide certamente l’opi­nione per cui il ricorso alla presunzione semplice di consapevolezza ha attenuato le differenze che intercorrevano tra i fautori della responsabilità precontrattuale (nella sua variante “contrattuale”) e quelli della responsabilità aquiliana. Pur tuttavia, non può sottacersi che l’utilizzo sul piano pro­batorio delle presunzioni, se da un lato consente un accostamento alle [continua ..]


NOTE