Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Ammissibilità alla procedura di amministrazione straordinaria di una società totalmente partecipata esercente un servizio pubblico essenziale (note a Trib. Foggia, 1 settembre 2013; App. Bari, 25 ottobre 2011) (di LARA MONTONATO )


TRIBUNALE DI FOGGIA, Sezione feriale, 1 settembre 2011 – Cea Presidente – Gentile Relatore – Lazzara Giudice – [Società X] ricorrente per l’ottenimento di declaratoria dello stato di insolvenza di se stessa

CORTE D’APPELLO DI BARI, I Sezione Civile, 25 ottobre 2011 – Di Lalla Presidente-Relatore – Russetti Consigliere – [Società X] (avv.ti Bizantino e Francario)

SOMMARIO:

TRIBUNALE DI FOGGIA, Sezione feriale, 1 settembre 2011 – Cea Presidente – Gentile Relatore – Lazzara Giudice – [Società X] ricorrente per l’ottenimento di declaratoria dello stato di insolvenza di se stessa - CORTE D’APPELLO DI BARI, I Sezione Civile, 25 ottobre 2011 – Di Lalla Presidente-Relatore – Russetti Consigliere – [Società X] (avv.ti Bizantino e Francario) - 1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali - 3.1. La posizione del Tribunale - 3.2. La posizione della Corte d’Appello - 4. Il commento - 4.1. L’orientamento funzionale - 4.2. L’orientamento tipologico - 4.3. Società in house providing longa manus dell’ente pubblico - 4.4. Conclusioni - NOTE


TRIBUNALE DI FOGGIA, Sezione feriale, 1 settembre 2011 – Cea Presidente – Gentile Relatore – Lazzara Giudice – [Società X] ricorrente per l’ottenimento di declaratoria dello stato di insolvenza di se stessa

Società di capitali – Società in mano pubblica – deroga al diritto comune – non ammissibilità procedure concorsuali – natura giuridica (Art. 1 legge fall.; d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270) È inammissibile la declaratoria dello stato di insolvenza, come atto prodromico all’ammissione all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in quanto la società ricorrente appartiene alla categoria delle società “in mano pubblica” ed espleta un servizio pubblico essenziali in corso di svolgimento. (1) TRIBUNALE DI FOGGIA Sez. Feriale Il Collegio costituito da: Dott. Costanzo Cea                                             Presidente Dott. Roberto Gentile                         Giudice relatore Dott. Caterina Lazzara                         Giudice Letto il ricorso presentato dalla [società X] in liquidazione preordinato ad ottenere la declaratoria dello stato di insolvenza di se stessa quale atto prodromico all’am­missione del sodalizio alla procedura concorsuale di “amministrazione straordinaria delle grandi imprese ex d.l.vo 8 Luglio 1999 n. 270”; Letto il parere del Ministero per lo Sviluppo Economico; Sentito il ricorrente ed il P.M.; Letta la memoria di intervento volontario del Fallimento della [società Y]; Letti gli atti Osserva La declaratoria dello “stato di insolvenza” della [società X], quale atto giudiziario prodromico alla “eventuale” ammissione di quel sodalizio alla procedura concorsuale di “am­mi­nistrazione straordinaria ex d.l.vo 270/99”, presuppone che l’ente possa essere considerato “soggetto alle disposizioni sul fallimento” (art. 2 d.l.vo cit.). Si ripropone, pertanto, la problematica dell’assogget­tabilità delle cd. “società in mano pubblica” alle procedure concorsuali, problematica affrontata e risolta in maniera non unanime dalla giurisprudenza di [continua ..]


CORTE D’APPELLO DI BARI, I Sezione Civile, 25 ottobre 2011 – Di Lalla Presidente-Relatore – Russetti Consigliere – [Società X] (avv.ti Bizantino e Francario)

Società di capitali – Società in house – disciplina giuridica – ammissibilità procedure concorsuali – natura giuridica (Art. 1 l. fall.; art. 23 bis, legge n. 133/2008). La società ricorrente è soggetta, salvo che per limitati profili, alla disciplina civilistica delle società per azioni e, conseguentemente, è assoggettabile alle procedure concorsuali, non essendo ravvisabile, nell’ordinamento, deroga alcuna riguardo alla sottoposizione della società a capitale pubblico alle ordinarie procedure concorsuali. (2) La Corte di Appello di Bari, I Sezione Civile, riunita in camera consiglio e composta dal signori Magistrati: Dott. L. Di Lalla                                Presidente relatore Dott. S. Russetti                                Consigliere Dott. F. Labellarte                            Consigliere ha emesso nel procedimento n. 550/2011 il seguente DECRETO sul reclamo proposto, con ricorso del 22 settembre 2011 dalla [società X] in liquidazione (avv.ti Bizantino Roberta e Francario Lucio) avverso il decreto 8 settembre 2011 del Tribunale di Foggia, reso nei riguardi del MINISTERO per lo SVILUPPO ECONOMICO (avv. Stato) CURATELA FALLIMENTO [società Y] (avv. Teta Alberto) La Corte, visto il decreto 8 settembre 2011, con il quale il Tribunale di Foggia ha rigettato il ricorso per declaratoria dello stato di insolvenza, proposto dalla [società X] in liquidazione ai fini dell’eventuale ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria ai sensi del decreto legislativo n. 270/1999, nel presupposto che la società stessa, per la sua natura di società pubblica, non possa considerarsi soggetta alle disposizioni sul fallimento; visto il reclamo proposto dalla [società X] in liquidazione con ricorso del 22 settembre 2011; viste le deduzioni del Ministero per lo Sviluppo economico, che ha aderito al reclamo; vista la memoria della interveniente Curatela del Fallimento [società [continua ..]


1. Il caso

Con le sentenze in epigrafe, il Tribunale di Foggia e la Corte di Appello di Bari si sono pronunciati in senso diametralmente opposto in merito alla possibilità di dichiarare insolvente una società c.d. in mano pubblica, al fine di consentirne l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria, disciplinata dal d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270. La diversità delle due pronunce trae origine da una differente concezione che le autorità giudiziarie denotano con riguardo alla disciplina, pubblicistica o privatistica, in concreto applicabile alla società istante, in quanto, nel caso di specie, società a totale partecipazione pubblica ed affidataria diretta di un servizio pubblico essenziale a rilevanza economica [1] (servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani per il Comune di Foggia) e come tale rientrante nella fattispecie di cui al­l’art. 23-bis, 3° comma, d.l. 25 giugno 2008, n.112.


2. La normativa di riferimento

L’articolo 23-bis della legge n. 133/2008 quale legge di conversione del decreto 112 [2] è il risultato di uno dei molteplici interventi legislativi che hanno interessato il settore dei servizi pubblici locali. Il summenzionato articolo ha modificato le norme generali sui sistemi di affidamento e di gestione dei servizi pubblici locali, di cui all’art. 113 t.u.e.l. Dalla lettura congiunta del 3° e 4° comma dell’art. 23-bis si rileva l’introduzione di un tipo di affidamento diretto e quindi derogatorio rispetto a quello ordinario perché prescinde dalla preventiva partecipazione a procedure concorsuali. La norma dispone che presupposto per l’affidamento diretto, tra gli altri, è il rispetto dei principi della disciplina comunitaria. Pertanto tale forma di affidamento diretto è prerogativa esclusiva delle in house providing, ossia forme di operatori interni, create appositamente dagli enti civici per l’affidamento dei servizi pubblici di rilevanza economica. La peculiarità è data dalla circostanza che la veste adottata da tali operatori è la forma societaria che conserva un legame particolare con l’amministrazione, circostanza risaltata dalla lettera a), 10° comma, che dispone per questo tipo di aziende l’assoggettamento al patto di stabilità, venendo così le stesse inglobate nelle pubblica amministrazione in quanto tale. La ratio sottesa all’inter­vento normativo è quella di creare, in ossequio ai principi europei, una netta distinzione tra l’attività che l’ente pubblico svolge come investitore privato da quella che svolge in autoproduzione. Il ricorso ad una forma di organizzazione privatistica per l’eser­cizio di quest’ultima attività ha fatto emergere una carenza legislativa, infatti il legislatore ha omesso di specificare la natura pubblica o privata di tale società e conseguentemente la disciplina da applicare alla stessa. La soluzione a siffatta vexata quaestio è transitata attraverso il dipanamento di altre ancor più specifiche problematiche, in primis l’ammissi­bilità di tali peculiari società alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, disciplinata dal d.lgs. n. 270/99. In particolare il decreto all’art. 2, 1° comma, individua, con chiarezza, l’area dei soggetti [continua ..]


3. Gli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali

3.1. La posizione del Tribunale

La società ricorrente, versando in grave stato di dissesto economico, richiede al Tribunale di Foggia di essere ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria. Il Giudice rigetta l’istanza sostenendo che non è ammissibile il ricorso a summenzionata procedura in quanto è strettamente connessa e prodromica, perlomeno in via eventuale, alla procedura fallimentare; pertanto, non essendo la società ricorrente assoggettabile a fallimento, del pari non può essere ammessa ad amministrazione straordinaria. Sostiene inoltre il Tribunale che la procedura fallimentare è uno strumento volto solo alla tutela dell’interesse dei creditori e se il soggetto in dissesto persegue un interesse pubblico necessario [3] la tutela delle ragioni del ceto creditorio configge con detto interesse, dato che l’assoggettamento a fallimento comporterebbe la paralisi dell’attività. In virtù di tale ricostruzione deve essere sacrificato l’interesse dei creditori, dovendo la tutela di questo cedere il passo al perseguimento dell’interesse pubblico necessario [4]. Analoga valutazione dovrà essere fatta con riguardo all’interesse del debitore insolvente a potersi giovare del ricorso alle altre procedure concorsuali, perché interesse secondario rispetto a quello della collettività. Tanto premesso, dinanzi all’insolvenza di una società a totale partecipazione pubblica ed esercente un servizio pubblico necessario risulterebbe preferibile estendere analogicamente, stante la riconosciuta identità di ratio, l’esclusione della fallibilità degli enti pubblici sancita dall’art. 1 legge fallimentare. Nell’interpretazione offerta da parte della dottrina [5], infatti, la citata norma esclude dalla procedura concorsuale i soggetti di diritto pubblico al fine di salvaguardare l’interesse della collettività a continuare a godere senza interruzioni dei servizi da essi erogati, nonché di garantire l’indipendenza dell’ente pubblico, che non verrebbe altrimenti rispettata ove si rendesse possibile l’intervento da parte degli organi della procedura, che si sostituirebbero a quelli “politici” nell’amministrazione e gestione societaria. Tale argomentazione è il risultato dell’appli­cazione di un metodo di indagine di tipo funzionale o [continua ..]


3.2. La posizione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello di Bari, investita della questione in sede di gravame, accoglie il reclamo e rimette gli atti al Tribunale affinché pronunci, in sostituzione del precedente, un nuovo decreto con cui dichiari l’insolvenza della società, rendendone possibile l’ammissione ad amministrazione straordinaria. L’approccio logico seguito è totalmente difforme da quello adottato dal Tribunale. La Corte sceglie un metodo di analisi non “sostanzialistico”, bensì “tipologico”, sostenendo la irrilevanza, ai fini della individuazione della disciplina applicabile, sia dei profili di specialità di tipo causale della c.d. società in house [12], che dell’interesse perseguito nello svolgimento dell’attività sociale, come di quelli di tipo organizzativo, individuati dalla giurisprudenza comunitaria, quali il “controllo analogo” [13] e la “destinazione prevalente dell’attività” [14] all’ente affidante, ritenuti non discordanti, bensì compatibili con la forma societaria vestita e quindi non indicatori dell’inclu­sione della società stessa nell’assetto organizzativo dell’ente pubblico [15]. Pertanto la Corte esclude l’estensione alla prima dello statuto giuridico del secondo [16]. I giudici di seconde cure, in aderenza all’orienta­mento della Corte di Giustizia della CE [17], rilevano che la legge di settore, pur subordinando l’affida­mento diretto del servizio all’esplicazione da parte dell’ente partecipante di un controllo sul soggetto affidatario, analogo a quello esercitato sui propri organi, tuttavia impone per la costituzione di detto ente esterno la forma della società di capitali, in luogo del precedente modello della azienda c.d. municipalizzata, con ciò chiaramente indicando la preferenza per un modello organizzativo di carattere prettamente privatistico; da questo discende la piena compatibilità tra la forma di controllo imposta ed il modello prescelto. Nello specifico la Corte riscontra che i poteri dell’ente pubblico limitativi dell’autonomia negoziale della società partecipata erano contenuti nei limiti del modello di cui al titolo V del t.u.e.l. Essa rileva inoltre che il collegamento con l’ente affidatario non fa venire meno l’operatività sul [continua ..]


4. Il commento

4.1. L’orientamento funzionale

Le difficoltà connesse ad una corretta delimita­zione dello statuto normativo applicabile alla fattispecie “società in house” nascono da una assenza di definizione della stessa tanto da parte del legislatore comunitario quanto da parte del legislatore nazionale; ciò lascia nel dubbio l’interprete rendendo ancor oggi attuale il dibattito sulla natura di tali società e sulla disciplina ad esse applicabile, con le relative e già esposte incertezze interpretative. L’orientamento “funzionale”, come esposto, persegue l’idea che la veste giuridica adottata per l’esercizio di un servizio pubblico a rilevanza economica, ossia quella societaria, sia meramente strumentale (e perciò secondaria) al perseguimento del­l’interesse pubblico a godere senza interruzioni del servizio erogato: pertanto il prioritario rilievo attribuito all’aspetto finalistico acconsentirebbe a deroghe alla disciplina comune anche non espressamente contemplate dal legislatore [23]. La necessità di derogare alla disciplina di diritto comune è avvertita in particolare con riguardo alla disciplina dell’insolvenza, sul presupposto che il fallimento, quale strumento di tutela del solo ceto creditorio, realizzando una disgregazione del complesso aziendale, non riservi alcuna cautela alla prosecuzione dell’attività di impresa e quindi si traduca in un pregiudizio per siffatto interesse [24]. Viene pertanto superata la previsione normativa, che individua tutti gli imprenditori commerciali che soddisfano specifici requisiti dimensionali quali soggetti fallibili, adoperando uno sforzo interpretativo, ossia riconducendo le società in house, affidatarie della gestione di un servizio pubblico necessario, tra gli enti pubblici e cioè tra i soggetti in favore dei quali il legislatore ha predisposto espressamente la non assoggettabilità a fallimento ai sensi dell’art. 1 legge fall. [25]. Certamente tale licenza interpretativa è supportata dal recepimento nel nostro ordinamento nazionale dei peculiari requisiti, di derivazione comunitaria, della società in house, ossia il controllo analogo, la prevalenza dell’attività con l’ente titolare del servizio nonché la totale partecipazione pubblica [26]. L’orientamento in esame non sfugge, tuttavia, alla critica di aver adottato un [continua ..]


4.2. L’orientamento tipologico

Ad analoghe critiche non sfugge l’orientamento c.d. “tipologico-pubblicistico” che, indipendentemente dal tipo societario adottato, ritiene comunque trattarsi in concreto di una articolazione dell’ente pubblico [28]: in caso di insolvenza, questi ultimi soggetti sono infatti sottoposti, dall’art. 194 legge fall., alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, che in virtù del suo carattere speciale può applicarsi solo a specifici soggetti, espressamente individuati, tra i quali non sono contemplate le società in house. Ma ciò che maggiormente rileva, e che fa sorgere invalicabili dubbi sulla proficuità anche di tale assimilazione, è che tale procedura è finalizzata all’eli­minazione dell’ente dal mercato pertanto si configura come procedura ancor meno garantista [29], nel confronto con il fallimento, dell’interesse ad un godimento continuato di un servizio pubblico necessario. Ed infatti, l’assoggettabilità a fallimento dell’ente non esclude a priori il ricorso a strumenti di salvaguardia dell’integrità e continuità aziendale e, per l’effetto, del servizio svolto. Per un verso il fallimento contempla la possibilità di essere ammessi alla procedura di amministrazione straordinaria di cui al d.lgs. n. 270/1999, strumento diretto non alla disgregazione del complesso aziendale, ma alla salvaguardia del patrimonio produttivo e conseguentemente a soddisfare anche l’esigenza di garantire l’assenza di interruzione nell’erogazione del servizio essenziale. Per altro verso la stessa legge fallimentare offre soluzione alla necessità più volte richiamata, attraverso la previsione di cui all’art. 104 [30], con cui si ammette l’esercizio provvisorio dell’attività di impresa ove dalla sua interruzione possa derivare “un danno grave”: l’ampiezza della definizione consente all’interprete di riconoscere tutela a molteplici interessi, non ultimo quello pubblico alla fruizione del servizio pubblico eventualmente svolto dalla società decotta. È considerato, inoltre, che la titolarità del servizio pubblico, che permane in capo all’ente, è cosa distinta dalla gestione dello stesso, che invece è affidata a società di diritto privato. Il ricorso alla previsione di cui [continua ..]


4.3. Società in house providing longa manus dell’ente pubblico

In conclusione, può condividersi il rilievo di quegli autori per i quali le società in house altro non è che una longa manus dell’ente pubblico [31], tesi che parrebbe anche supportata da recenti interventi che predispongono un regime vincolistico derogatorio che conduce all’assoggettamento della società in house ai vincoli del patto di stabilità, nonché il ricorso a procedure concorsuali per le assunzioni ed a procedure ad evidenza pubblica per i contratti [32]. Detti elementi sommati a quelli costitutivi del tipo in house, già elencati in precedenza, renderebbero ancor più razionale la riconduzione di tale fattispecie ad una vera e propria articolazione amministrativa dell’ente socio [33] o ad una semi-amministrazione [34]. In particolare, a supporto di siffatta ricostruzione, appare opportuno ricordare che gli elementi costitutivi della società in house providing vengono riempiti di nuovo contenuto con la sentenza della Corte di Giustizia Europea, 23 novembre 2005, C-458/03, Parking Brixen, la quale chiarisce che tanto il “controllo analogo” quanto la “destinazione prevalente” sono elementi identificativi di una società a cui non corrisponde una tradizionale organizzazione imprenditoriale, perché attività di autoproduzione, i cui beni e servizi non sono destinati al mercato ed inoltre l’organo amministrativo non gode di autonomia gestionale, quindi è incompatibile con una organizzazione di tipo imprenditoriale. In particolare si riconduce al requisito della “destinazione esclusiva o prevalente”, dell’attività della società in house al­l’ente affidante, un collocamento della stessa “extra commercium”. Tale elemento costitutivo appare come il risultato di una posizione di principio che teorizza un modello di economia mista, ossia una parità giuridica tra iniziativa economica pubblica e privata ma che non si traduce in una piena libertà di iniziativa economica. Tale uguaglianza consacrata dall’articolo 41, 3° comma, Cost. comporta una legittimazione dei soggetti pubblici, attraverso la costituzione di apposite imprese ad entrare nel mercato ma con una sempre viva attenzione all’utilità sociale a cui tali attività devono sempre e comunque tendere. Pertanto, al fine di scongiurare che l’ingresso di [continua ..]


4.4. Conclusioni

Deve pertanto concludersi per l’operatività della disciplina imposta dalla forma giuridica in concreto vestita dall’operatore economico [42], lasciando al legislatore il compito, che gli è proprio, di contemperare gli opposti interessi che vengono in gioco nell’ambito della crisi dell’impresa. Diversa questione, peraltro, è quella attinente alla verifica puntuale dei requisiti dell’impresa commerciale in capo alla società in house insolvente. Parte della giurisprudenza, difatti [43], pur muovendo dalla astratta fallibilità anche delle società a partecipazione pubblica, sulla base dei medesimi argomenti sopra illustrati, è tuttavia giunta a negare l’ammissione a procedura concorsuale di singole società, in applicazione dei principi generali ed ordinari della materia: in talune, specifiche fattispecie è stata, in particolare, negata la natura di imprenditore commerciale della società partecipata, in virtù dell’elevato livello di compenetrazione tra la stessa e l’ente socio, desunto, però, non in astratto, sulla base di arbitrarie ricostruzioni del modello sociale in house, bensì in forza di specifiche circostanze fattuali, quali le peculiari norme statutarie dell’ente, l’affidamento ad esso di una molteplicità estesa di servizi di regola oggetto dell’attività istituzionale dell’ente socio, i regolamenti disciplinanti i servizi stessi (in particolare la determinazione d’imperio delle relative tariffe) ed il rapporto di stretta esclusiva tra ente socio e società partecipata. Tali conclusioni possono, in linea tendenziale, essere condivise, in quanto vengono raggiunte sulla base di un corretto metodo interpretativo che, lungi dal forzare il dato normativo, per così dire lo asseconda, valorizzando le circostanze del caso concreto.


NOTE