Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Il collegamento tra delibera di approvazione del bilancio e delibera di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale ai sensi dell'art. 2482-ter c.c. (nota a Trib. Catania, 23 giugno 2011) (di Giuseppe Giunta)


(Artt. 1419, 2477, 2479, 2482-ter c.c.)

 

In applicazione dei principi generali in tema di collegamento negoziale, l’invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio determina l’invalidità della conseguente deliberazione di aumento e riduzione del capitale adottata ai sensi dell’art. 2482-ter c.c., allorquando la prima deliberazione esponga perdite di esercizio superiori a quelle reali (1).

(Omissis)

Con citazione notificata il 28.10.2008 l’Automobile Club di Catania chiedeva dichiararsi la nullità della delibera adottata da Sac Service s.r.l. in data 23.6.2008 con cui era stato approvato il bilancio al 31.12.2007 in quanto detto bilancio sarebbe stato redatto in violazione dei principi di verità, correttezza, chiarezza e precisione, nonché della delibera adottata in pari data dall’assemblea straordinaria ai sensi dell’art. 2482-ter c.c.

In subordine l’attore chiedeva adottarsi sentenza di annullamento delle due delibere.

Segnatamente l’Automobile Club di Catania, già socio di minoranza di Sac Service s.r.l., muoveva al bilancio al 31.12.2007 approvato con la sopra menzionata delibera le seguenti censure da cui sarebbe derivata l’illiceità, e quindi la nullità, della delibera di approvazione:

a) erronea rappresentazione di fatti economici causata dal mancato rispetto dei principi contabili in ordine alle seguenti poste:

aa) costi sostenuti per migliorie e spese incrementative su beni di SAC S.p.A. non capitalizzati in spregio del principio contabile n. 24;

ab) fondo rischi per cause di lavoro appostato in spregio del principio contabile n. 19;

ac) storno in favore di SAC S.p.A. dei ricavi della gestione dei servizi dei carrelli portabagagli;

b) violazione dell’obbligo di informazione;

c) violazione dei principi di continuità, competenza e costanza.

In conseguenza delle violazioni denunciate, l’attore sosteneva che in bilancio erano state esposte perdite di esercizio in realtà inesistenti atteso che, qualora il bilancio fosse stato correttamente predisposto, la società avrebbe chiuso l’esercizio con il significativo utile prima delle imposte pari ad € 308.115,00.

Quanto alle censure mosse alla delibera adottata ex art. 2482-ter c.c, oltre all’invalidità derivata dalla nullità del bilancio, l’Automobile Club di Catania lamentava:

1) la omessa convocazione dell’assemblea straordinaria (“dovendosi considerare inesistente o, in ogni caso, illegittima la convocazione dell’assemblea straordinaria, effettuata prima ancora di conoscere le determinazioni dell’as­semblea dei soci in ordine all’approvazione o meno del bilancio”);

2) la circostanza che l’assemblea straordinaria si era tenuta immediatamente dopo la chiusura dell’assemblea ordinaria e “prima della decorrenza del periodo concesso per l’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio”;

3) l’omesso deposito della relazione ex art. 2482-bis, c.c. presso la sede della società negli otto giorni anteriori alla data dell’assemblea previsti dalla legge.

Lamentava altresì, sotto il profilo della annullabilità della delibera, l’abuso di potere da parte del socio di maggioranza SAC S.p.A. finalizzato ad acquisire l’intero pacchetto azionario della Sac Service s.r.l. e ad estromettere esso attore, quale si desume:

α) “dall’illegittimità dall’assemblea straordinaria”;

β) “dall’immediata richiesta al socio di minoranza delle ingenti somme occorrenti per il ripristino del capitale sociale”;

γ) “dall’ulteriore fretta sottintesa alla immediata richiesta di acquisizione delle quote di proprietà ACC a fronte della momentanea impossibilità di affrontare la spesa richiesta”.

Con la comparsa di costituzione e risposta la Sac Service s.r.l. eccepiva la tardività dell’azione di annullamento, atteso che la stessa era stata proposta dall’attore decorsi i novanta giorni dalla trascrizione nel libro soci avvenuta il 9.7.2008.

Nel merito contestava sia le censure formulate da controparte alle appostazioni di bilancio che quelle avanzate in relazione alla delibera ex art. 2482-ter c.c.

In giudizio interveniva la SAC S.p.A. per sostenere le ragioni di Sac Service s.r.l.

Anche la predetta società intervenuta in giudizio eccepiva la tardività dell’impugnativa della delibera ex art. 2482-ter c.c., nel merito, confutava diffusamente le argomentazioni espresse dall’attore.

Con memoria ex art. 6 D. Lgs. 5/03 l’Automobile Club di Catania sottolineava di avere impugnato la delibera di riduzione e contestuale aumento del capitale sociale non soltanto per vizi suoi propri, bensì anche per l’invalidità derivata dalla lamentata nullità del bilancio.

La società convenuta e l’intervenuta controreplicavano.

In data 20.3.2009 l’Automobile Club di Catania depositava istanza di fissazione dell’udienza collegiale.

All’esito dell’udienza collegiale del 20.10.2009 il Tribunale adottava sentenza non definitiva con cui, sul presupposto dell’applicabilità della sospensione feriale dei termini sancita dall’art. 1 della L. 742/69 in subiecta materia, dichiarava l’ammissibilità dell’impugnazione delle deliberazioni assembleari proposta dall’attore e, ritenendo che la delibera di riduzione e successiva ricostituzione del capitale fosse stata impugnata anche per l’invalidità derivata conseguente alla denunciata nullità del bilancio (si legge a p. 8 della sentenza: “In tal senso depone il collegamento operato sul piano logico dalla difesa di parte attrice in seno al detto atto introduttivo tra il riferimento alle invalidanti irregolarità evidenziate circa i criteri adottati nella redazione del bilancio” e quello alla “volontà di portare in perdita il bilancio 2007 all’esclusivo fine di estromettere il socio di minoranza, a mezzo di un’infinita serie di atti illegittimi ed a fronte di inequivoche censure avanzate dal collegio sindacale”), disponeva la rimessione della causa sul ruolo istruttorio e, con separata ordinanza, disponeva procedersi a consulenza tecnica di ufficio “al fine di accertare ... la sussistenza nel bilancio chiuso al 31.12.2007 di Sac Service s.r.l. delle irregolarità segnalate da parte attrice”.

Il consulente tecnico depositava la sua relazione in data 13.9.2010.

Il CTP della Sac Service s.r.l. depositava osservazioni in data 12.10.2010.

Il CTU depositava quindi, nei termini stabiliti dal collegio, sintetica valutazione sulle osservazioni avanzate dal CTP.

All’udienza del 3 5.2.2011 le parti depositavano note a verbale e chiedevano un rinvio della trattazione del processo.

All’udienza collegiale di discussione del 21.6.2011 il Tribunale statuiva come da motivazione di seguito riportata, differendo il deposito della sentenza giusta l’art 16 comma 5 del D.Lgs. 5/03 nel termine massimo ivi sancito.

 

Motivi della decisione

(Omissis)

3. Ritiene il collegio che la fondatezza della censura avente ad oggetto l’appostazione del Fondo rischi per cause di lavoro determini la nullità del bilancio di Sac Service s.r.l. al 31.12.2007.

Va preliminarmente ricordato che il bilancio al 31.­12.
2007 della Sac Service s.r.l. si è chiuso con una perdita di esercizio di € 575.796 (risultato ante imposte – € 295.173) a cui è conseguita la determinazione del patrimonio netto della società in – € 375.514 (con azzeramento del capitale sociale e delle riserve).

Nell’ipotesi in cui tutte le censure mosse dall’attore al bilancio fossero risultate fondate, secondo quanto dallo stesso evidenziato, il risultato di esercizio, anziché negativo, sarebbe stato positivo per € 308.115 (ante imposte).

Ciò posto, come detto, l’unica censura fondata è risultata essere quella relativa al Fondo rischi per cause di lavoro.

Il CTU, nel concludere per la irregolarità dell’ap­po­stazione di bilancio appena menzionata, ha evidenziato che: “qualora l’accantonamento in parola non fosse stato effettuato, la perdita si sarebbe ridotta dal € 575.796,00 ad € 454.796,00 ed il deficit patrimoniale si sarebbe ridotto da € 375.414,00 a € 254.414,00”.

Orbene, posto che, secondo l’art. 2423, comma 2, c.c. “II bilancio ... deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico di esercizio”, appare evidente che l’appostazione del fondo rischi (e di costi corrispondenti in conto economico), in spregio dei principi contabili che regolano la materia, ha falsato la rappresentazione del risultato economico di esercizio e della situazione patrimoniale della società (con la manifestazione di un deficit patrimoniale superiore a quello reale).

In altri termini, non sussistendo i presupposti economici per accantonare le risorse appostate nel fondo rischi (e considerate quali costi di esercizio nel conto economico alla voce B 13), si è sostanzialmente esposto un costo fittizio che ha depresso il risultato al 31.12.2007 in misura superiore rispetto a quella reale.

Ne consegue che, secondo la pacifica giurisprudenza della S.C. (v. per tutte Cass., sez. un., 21 febbraio 2000, n. 27; Cass., sez. I, 4 aprile 2001, n. 4937; Cass., sez. I, 8 agosto 1997, n. 7398), la delibera di approvazione del bilancio al 31.12.2007 è nulla in quanto presenta oggetto illecito perché in contrasto con norme imperative inderogabili dettate a tutela dell’interesse generale (quali quelle in tema di redazione del bilancio).

4. L’attore ha chiesto dichiararsi altresì la nullità, ovvero in subordine ha chiesto l’annullamento, della delibera adottata ex art. 2482-ter c.c.

Ciò ha fatto adducendo tra l’altro, siccome già evidenziato dal Tribunale nella sentenza non definitiva del 20.10.2009-28.1.2010, l’invalidità derivata della delibera in questione, dipendente dalla nullità della delibera di approvazione del bilancio al 31.12.2007, in quanto in que­st’ultima figurerebbero perdite inesistenti.

La società convenuta e l’intervenuta invece, nelle note a verbale del 15.2.2011, hanno evidenziato che, anche a volere ammettere l’irregolarità della posta di bilancio relativa al Fondo rischi per cause di lavoro, atteso che la stessa ammontava ad € 121.000,00 a fronte di una complessiva perdita di esercizio pari ad € 575.796,00, comunque se ne sarebbe dovuto desumere l’irrilevanza ai fini della validità della delibera di riduzione ed aumento del capitale sociale atteso che quest’ultimo, a prescindere dalla posta in questione, risultava azzerato (con la conseguenza che l’ado­zione della delibera impugnata sarebbe stata in ogni caso doverosa).

A sostegno della tesi propugnata la società convenuta e l’intervenuta citavano Cass. n. 8632/2006 assumendo che con detta sentenza la S.C. avrebbe avallato la validità di una delibera assembleare avente caratteristiche analoghe a quella in questa sede impugnata.

Ritiene il collegio che la delibera adottata ai sensi dell’art. 2482-ter c.c. dalla Sac Service s.r.l. sia nulla.

Preliminarmente va evidenziato come la sentenza della Cassazione citata dalla convenuta e dalla società intervenuta non si occupi affatto della eventuale minore incidenza delle perdite effettive rispetto a quelle apparentemente fatte figurare sulla legittimità della delibera di riduzione ed aumento del capitale.

Infatti, se è vero che il giudice di merito, in un passaggio della sentenza impugnata, aveva affermato che “indipendentemente dal calcolo dell’ammortamento per il 1996, le perdite avrebbero comunque superato il terzo del capitale sociale, così imponendo la manovra di riduzione e di aumento prescritta dall’art. 2447 c.c.”, è anche vero che il passaggio in questione non veniva fatto oggetto di motivo di ricorso, tanto che la S.C. rigettava il gravame senza occuparsi minimamente della correttezza di quanto affermato, sul punto, dalla corte territoriale.

Ciò posto, va poi osservato come certamente la delibera di approvazione del bilancio al 31.12.2007 e quella, adottata in pari data, di azzeramento del capitale sociale, di ripianamento delle perdite e di aumento del capitale sociale fino ad € 120.000,00, siano delibere collegate.

In particolare, nel caso di specie, la delibera di approvazione del bilancio fonda la determinazione delle perdite a fronte delle quali è stata adottata la delibera avente ad oggetto il ripianamento delle stesse e le conseguenti operazioni sul capitale sociale e sta, rispetto ad essa, in rapporto di pregiudizialità-dipendenza.

La sussistenza del sopra indicato rapporto tra le delibere determina, in applicazione dei principi generali in tema di collegamento negoziale, che le vicende della prima si ripercuotono sull’altra. In particolare, l’invalidità o l’ineffi­ca­cia dell’una cagionano il caducamente dell’altra.

Ne consegue che alla accertata invalidità della delibera di approvazione del bilancio, nulla perché in essa sono state esposte perdite di esercizio superiori a quelle reali (per € 121.000,00), non può che conseguire la invalidità della delibera di ripianamento delle dette perdite (in giurisprudenza v. Tribunale Napoli 20 novembre 1996, in Società 1997, 439, secondo cui: “La relazione sullo stato economico – patrimoniale di cui agli art. 2446 e 2447 c.c. deve essere redatta nel rispetto degli stessi principi fissati per la redazione del bilancio d’esercizio, e quando sia stata redatta in modo non veritiero, in palese violazione dei principi di chiarezza e precisione, prescritti in materia di bilancio d’esercizio, deve ritenersi nulla per illiceità dell’oggetto la delibera relativa alla sua approvazione. Sono pertanto ugualmente nulle le conseguenti delibere di azzeramento del capitale sociale, con contestuale aumento del medesimo, e la successiva di diminuzione per perdite, adottate sulla base di una situazione economico-patrimoniale già risultata non veritiera” e Tribunale Milano 25 ottobre 2006, in Giur. it., 2007, 5,1167, secondo cui: “il socio che non ha sottoscritto l’aumento di capitale sociale, e che ha quindi perso lo "status" di socio, può impugnare in quanto affetta da nullità la deliberazione di approvazione del bilancio, propedeutica e contestuale alla deliberazione di riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale, ed a quella di ricostituzione dello stesso, sicché la sentenza dichiarativa di nullità produce effetti anche nei confronti delle deliberazioni di azzeramento e ricostituzione del capitale sociale che risultano, a loro volta, inficiate della medesima nullità”, nonché Appello Milano 31 gennaio 2003, in Giur. it., 2003, p. 1178).

Né varrebbe obiettare, secondo quanto potrebbe intendersi abbiano inteso assumere la società convenuta e la intervenuta nell’evidenziare che le perdite reali comunque avrebbero imposto l’adozione della delibera in esame, che giusta il disposto dell’art. 1419 c.c. la nullità della delibera di approvazione del bilancio non travolgerebbe (per intero) quella adottata ex art. 2482-ter c.c. perché in ogni caso sussisterebbero perdite di esercizio che avrebbero imposto l’azzeramento del capitale sociale (e la nullità inficerebbe la sola parte della delibera con cui sono state coperte le perdite fittizie, mentre resterebbe valida la parte residua), e ciò perché la parte della delibera nulla incide sulla restante atteso che dall’importo effettivo delle perdite discendono le operazioni concretamente previste per la loro copertura e quindi, in primo luogo, l’ammontare dell’aumento del capitale sociale.

In proposito va infatti osservato come, statuendo su fattispecie analoga a quella in esame (in cui era stata impugnata la delibera che aveva ridotto il capitale per perdite senza prima imputare alle stesse le riserve e lo aveva poi aumentato), ed in cui si era posta la questione se fosse applicabile l’art 1419 c.c. in tema di nullità parziale nel senso che il giudice, corretto il calcolo imputando per primo le riserve alle perdite, avrebbe potuto sostituire alla deliberazione presa altra con cui escludesse la riduzione ovvero disponesse una riduzione inferiore, la S.C., nella sentenza n. 12347/99, ha ritenuto non applicabile la regola dettata in tema di nullità parziale perché, si legge in motivazione: “... la nullità per la violazione della regola inderogabile in tema di calcolo delle perdite ai fini di cui all’arti 2446 Cod. civ., inerisce alla “frazione” della deliberazione di riduzione del capitale della s.p.a, ... nella quale, appunto, l’ammontare delle perdite subite da quella società è stato determinato al lordo delle riserve e non al netto. Sennonché quella frazione non ha, oggettivamente, contenuto e portata autonoma (nel senso avanti chiarito) rispetto sia alla seconda frazione della medesima delibera che, sulla base di quella determinazione ha disposto la diminuzione del capitale; e sia alla delibera, altrettanto inscindibilmente collegata e dipendente, di ricostituzione del capitale sociale .... Né, sul punto può sussistere alcun dubbio sol che si consideri che l’ade­gua­mento al dettato normativo della delibera nella parte relativa alla determinazione dell’ammontare delle perdite, travolge automaticamente la misura della riduzione del capitale sociale e, conseguentemente, la delibera di aumento del capitale. Ed è ben per questa intrinseca inscindibilità che la ricorrente è costretta a postulare, in applicazione dell’istituto della nullità parziale, un provvedimento giudiziario che dichiari la validità della delibera di riduzione del capitale nella minore misura necessaria a coprire le perdite residue. Vale a dire, che, contrariamente a quanto assume la ricorrente, la nullità della quale si tratta inficia non già la sola “frazione” della delibera avente ad oggetto la determinazione della misura delle perdite, ma l’intera delibera di riduzione del capitale sociale e, inoltre, la delibera collegata di ricostituzione del capitale originario; e che, pertanto, con riferimento alla fattispecie che ne occupa non sussistono i richiamati presupposti per l’applicabilità dell’istituto della nullità parziale”.

In pratica, qualora si volesse ritenere operante la regola dettata in tema di nullità relativa, il Tribunale dovrebbe sostituirsi all’assemblea nel decidere l’importo della ricapitalizzazione – atteso che quello deliberato sarebbe eccedente rispetto al capitale sociale siccome formalmente ricostituito –, ovvero modificare l’atto costitutivo siccome risultante all’esito della delibera impugnata con cui è stato fissato il nuovo capitale sociale in € 120.000,00 stabilendo che il capitale sociale effettivo della società è pari ad € 120.000,00 + € 121.000,00 (ossia alla quota di capitale ingiustificatamente utilizzata per coprire perdite inesistenti) e ciò in palese violazione del principio di autonomia della società.

Venendo adesso ad affrontare il tema del tipo di invalidità da cui risulta affetta la delibera ex art. 2482 ter, c.c. va osservato come, nel caso di specie, la delibera impugnata risulti certamente affetta da nullità.

Va premesso che, come è noto, l’art. 2379 c.c. postula la nullità delle delibere il cui oggetto è illecito, con ciò dovendo intendersi l’oggetto contrario a norme imperative.

Ai fini della individuazione delle norme imperative la cui violazione determina la nullità, di poi, secondo il consolidato orientamento della S.C., tali sono solo quelle “dettate a tutela di un interesse generale che trascende l’interesse del singolo socio o siano dirette ad impedire una deviazione dallo scopo economico-pratico del rapporto di società” (così, tra le molte, Cass., sez. I, 23 marzo 1993, n. 3458).

Tra le norme in questione, come sopra accennato in tema di impugnazione del bilancio, devono essere certamente ricomprese quelle a tutela dell’integrità del patrimonio sociale e quelle dettate in tema di bilancio di esercizio.

Ciò posto, è opportuno esaminare nel dettaglio la delibera impugnata al fine di evidenziare come mediante la stessa si sia raggiunto il risultato certamente illecito costituito dal far sfuggire alle rilevazioni di bilancio la quota di aumento del capitale sociale posta a copertura delle perdite inesistenti.

Con la delibera in questione la assemblea, come è noto, recepiva come presupposto per le operazioni sul capitale sociale il dato del bilancio al 31.12.2007 da cui emergevano perdite di esercizio per € 575.796,00.

Giusta quanto sopra esposto, invece, le perdite effettive ammontavano ad € 454.796,00.

Sulla base di tale falso presupposto l’assemblea deliberava:

1) la copertura delle perdite mediante utilizzo delle riserve sociali per € 80.282,00 con conseguente riduzione delle perdite ad € 495.514,00 (prendendo come punto di riferimento le perdite gonfiate) mentre invece, prendendo come punto di riferimento le perdite reali, le stesse a seguito dell’operazione si attestavano ad € 375.514,00;

2) la copertura delle perdite per azzeramento del capitale sociale di € 120.000,00 e conseguente riduzione delle perdite ad € 375.514,00 (prendendo come punto di riferimento le perdite gonfiate) mentre invece, prendendo come punto di riferimento le perdite reali, le stesse a seguito dell’operazione si attestavano ad € 254.514,00;

3) la ricostituzione del capitale sociale fino all’am­mon­tare di € 495.514,00;

4) la riduzione del capitale aumentato per ripianamento delle perdite (in parte gonfiate) fino ad € 120.000,00 (con imputazione a perdite di € 375.514,00).

Ora, atteso che le perdite poste a fondamento della delibera eccedevano quelle reali di € 121.000,00, siccome il capitale è stato aumentato in misura tale da consentire, previo ripianamento delle perdite (comprese quelle fittizie), la fissazione del capitale sociale nella misura (finale) di € 120.000,00, non può che rilevarsi come la quota di capitale imputata a ripianamento delle perdite fittizie (pari ad € 121.000,00), sia entrata nel patrimonio della società e sia sfuggita alla rilevazione di bilancio venendo a costituire una vera e propria riserva occulta.

Ne consegue che certamente, sotto tale profilo, la delibera impugnata presenta contenuto illecito e deve essere dichiarata nulla, restando assorbita ogni ulteriore censura avente ad oggetto il procedimento che ha condotto alla sua adozione.

Quanto alle spese processuali (incluse quelle della fase cautelare), ritiene il collegio che le stesse debbano essere integralmente compensate tra le parti, tenuto conto due delle tre censure mosse dall’attore, in fatto, alla delibera di approvazione del bilancio al 31.12.2007 si sono rivelate infondate e che l’Automobile Club di Catania ha, fino alla rimessione della causa in decisione, insistito nelle posizioni originariamente espresse.

Le spese di consulenza tecnica invece, liquidate come da separato provvedimento, vanno definitivamente poste, in solido, a carico della società convenuta e della intervenuta.

P.Q.M.

II Tribunale, definitivamente decidendo nella causa iscritta al n. 13360/08 R.G., dichiara la nullità della delibera in data 23.6.2008 con cui è stato approvato il bilancio dell’esercizio 2007 della Sac Service s.r.l e la nullità della delibera di assemblea straordinaria, in pari data, con cui è stato disposto l’azzeramento del capitale sociale, la sua ricostituzione ed il ripianamento delle perdite.

Compensa integralmente tra le parti le spese processuali, incluse quelle della fase cautelare.

Pone definitivamente a carico della Sac Service s.r.l. e della SAC S.p.A., in solido, le spese di consulenza tecnica già liquidate come da separato provvedimento.

Così deciso in Catania, nella camera di consiglio della IV sezione civile del Tribunale, il 23 giugno 2011.

 

(1) Il collegamento tra delibera di approvazione del bilancio e delibera di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale ai sensi dell’art. 2482-ter c.c.

 

SOMMARIO:

1. Il caso. - 2. La normativa di riferimento. - 3. Gli orientamenti giurisprudenziali. - 4. Le posizioni della dottrina. - 5. Il commento. - NOTE


1. Il caso.

Con la pronuncia in commento il Tribunale di Catania interviene sul delicato tema del collegamento tra le deliberazioni assembleari delle società di capitali. La vicenda processuale può essere sintetizzata nei termini che seguono. L’Automobile club di Catania cita in giudizio la società SAC Service s.r.l., della quale è socio di minoranza, per ottenere l’annullamento di due deliberazioni adottate nella stessa assemblea e aventi ad oggetto rispettivamente l’approvazione del bilancio e la riduzione e contestuale aumento del capitale adottata ai sensi dell’art. 2482-ter c.c. La prima deliberazione viene impugnata per il mancato rispetto dei principi contabili previsti al n. 19 e 24 e per le violazioni dell’obbligo di informazione e dei principi di continuità, competenza e costanza; la seconda, tanto per vizi di carattere procedimentale ed informativo, quanto per l’invalidità derivata conseguente alla nullità della deliberazione di approvazione del bilancio. Nel corso del giudizio, con riguardo alla seconda impugnazione, il socio SAC Service, parte convenuta, e il socio SAC, parte interveniente, evidenziano che le delibere adottate ai sensi dell’art. 2482-ter c.c. non possono essere travolte dall’eventuale invalidità del bilancio. Quest’ultima, pur se destinata ad incidere sull’ammontare delle perdite, lascia infatti invariata l’esistenza di un capitale al di sotto dello zero, non mettendo quindi in discussione la legittimità delle operazioni sul capitale. I suddetti soci sostengono, altresì, che il diverso livello di perdite reali avrebbe comunque imposto l’adozione di una delibera di riduzione e contestuale aumento del capitale e che, pertanto, ai sensi dell’art. 1419 c.c., l’even­tuale nullità della delibera di approvazione del bilancio non dovrebbe travolgere per intero quella adottata ai sensi dell’art. 2482-ter c.c. Con la sentenza in commento il tribunale accoglie la domanda principale dichiarando nulle entrambe le deliberazioni impugnate. In ordine alla deliberazione di approvazione del bilancio, la Corte catanese riconosce esclusivamente la censura secondo cui l’iscrizione in bilancio di un fondo rischi conduce ad una falsa rappresentazione del risultato economico di esercizio e della situazione patrimoniale della società, con la conseguenza che [continua ..]


2. La normativa di riferimento.

Trascorso ormai ben oltre un lustro dalla riforma del diritto delle società di capitali, il tema della invalidità delle deliberazioni assembleari presenta ancora molteplici problemi irrisolti e diverse linee d’ombra. In particolare, la questione degli effetti della invalidità delle deliberazioni è tanto controversa sul piano teorico quanto delicata su quello applicativo, soprattutto allorquando si tratta di ricostruire le conseguenze prodotte sulle deliberazioni che traggono un presupposto da quella annullata. La disciplina contenuta negli artt. 2377 ss. c.c. non si occupa esplicitamente della questione. L’art. 2377, 2° comma, c.c., stabilisce, infatti, il principio secondo cui la deliberazione deve essere conforme alle regole espresse dalla legge o dall’atto costitutivo. E ancora, l’art. 2379, 1° comma, c.c. individua tassativamente i casi che possono condurre alla nullità della deliberazioni. In breve, si identificano i parametri di definizione della invalidità della deliberazione assembleare – conformità a legge e statuto e carenza sotto i profili di cui all’art. 2379, 1° comma – in difetto dei quali trova applicazione la sanzione della invalidità. Per quanto concerne gli effetti del­l’invalidità, l’art. 2377, 7° comma, c.c. obbliga, infine, gli organi sociali a prendere i conseguenti provvedimenti [1]. Ad un’analisi più particolareggiata, si scopre la configurabilità di chiari schemi di determinazione dei casi di invalidità facenti leva su tratti tipici e costanti dei vizi della deliberazione assembleare. Gli artt. 2377 ss. del codice civile si focalizzano, infatti, sull’atto deliberativo individualmente considerato, nonché sull’assenza di una delimitazione dell’esten­sione dell’invalidità. Tale disciplina ha il pregio di fornire gli imprescindibili strumenti per analizzare la questione in esame e trarre i principi giuridici di ri­ferimento [2]. Appare necessario concentrare l’atten­zione non tanto sul piano degli effetti dell’invalidità della deliberazione di approvazione del bilancio su quella di riduzione e contestuale aumento del capitale quanto sull’incidenza del vizio inficiante la prima deliberazione su quella disciplinata dall’art. 2482-ter. L’autonoma impugnazione di [continua ..]


3. Gli orientamenti giurisprudenziali.

In materia di invalidità della deliberazione assembleare, la Corte catanese accoglie il principio secondo cui la falsa rappresentazione della situazione patrimoniale, che espone perdite superiori al terzo tali da intaccare il capitale legale minimo, si riverbera automaticamente sul conseguente provvedimento as­sembleare di riduzione e contestuale aumento del ca­pitale. Non viene dunque considerato il fatto che la diversa misura delle perdite mantiene il capitale al di sotto dello zero. La ratio di tale conclusione è esplicitamente individuata nella inscindibilità delle due deliberazioni, mentre si tralascia di considerare il sistema complessivo delle invalidità regolato dagli artt. 2377 ss. e la valenza del principio di tassatività delle ipotesi di nullità delle delibere. La ricostruzione contenuta nella sentenza in commento segue un percorso comune ad altre pronunce in materia, le quali privilegiano anch’esse l’angolo visuale della estensione degli effetti della dichiarazione di invalidità alla delibera c.d. collegata [3]. Scorrendo la giurisprudenza in argomento si evince, infatti, la prevalenza del riconoscimento del­l’e­stensione gli effetti dell’illegittimità di una su quelle contestualmente o conseguentemente approvate, a prescindere dall’autonoma impugnazione della deliberazione assembleare collegata. In una sentenza della Suprema Corte si legge, ad esempio, che «l’illegittimità della deliberazione di riduzione del capitale della società, perché adottato in assenza di perdite che la giustificassero, riverbera i suoi effetti anche sulla conseguente deliberazione di ricostituzione del capitale asseritamente perduto» [4]. In altra pronuncia, la Corte d’Appello di Milano precisa che “la nullità della deliberazione dell’assemblea determina la nullità di tutte le deliberazioni connesse” [5]. Altre sentenze, infine, giungono a soluzioni analoghe, individuando nell’estensione degli effetti invalidanti un assioma che non necessita di motivazioni o di un aggancio alla regolamentazione positiva [6]. Il ragionamento condotto in queste sentenze si basa sull’idea espressa dal brocardo quod nullum est nullum producit effectum, in base al quale un atto nullo è destinato a non produrre effetti, travolgendo anche gli atti successivi. Muovendo da [continua ..]


4. Le posizioni della dottrina.

Dal complesso precettivo contenuto negli artt. 2377 ss. c.c. emerge un sistema che regola la patologia della deliberazione assembleare ponendo come punti di riferimento l’impugnazione e l’accertamento del vizio. A seguito dell’impugnazione di una deliberazione occorrerebbe procedere a verificare la conformità/difformità alla legge e all’atto costitutivo ovvero la presenza di una delle ipotesi di nullità previste dall’art. 2379, 1° comma, c.c. La dottrina si è soffermata ad analizzare la natura del rapporto tra le deliberazioni assembleari e la capacità di condizionamento che le vicende di una deli­be­razione possono determinare sulle deliberazioni suc­­cessive, escludendo – in linea di massima – l’ap­pli­­­­cazione del principio quod nullum est nullum pro­ducit effectum. Secondo una prima elaborazione dottrinale la riconosciuta “continuità” del momento decisionale non comporta, infatti, che la deliberazione assembleare sia, sempre e comunque, un fondamento causale, un vincolo di contenuto e, dunque, un presupposto di validità ed efficacia [14] di tutti gli atti (deliberativi, ma non solo) conseguenti. Al contrario, l’analisi della disciplina codicistica, espressione del principio della “stabilità” delle situazioni organizzative e sostanziali introdotte dagli atti societari, evidenzia l’esclusione di un automatico effetto condizionante del vizio della delibera precedente [15]. A sostegno di questa ricostruzione milita l’assenza di un parametro normativo idoneo a giustificare una generalizzata rimozione della situazione giuridica pregiudiziale conseguente ad una deliberazione assembleare poi annullata. In virtù della regola contenuta nell’art. 2377, 7° comma, c.c., l’obbligo degli amministratori di prendere gli “opportuni provvedimenti” post declaratoria di annullamento si sostanzia nella valutazione del contenuto della decisione giudiziale, delle cause di invalidità e degli interessi lesi: ne consegue che solo dopo la suddetta analisi, il medesimo organo dovrà attivarsi per rendere possibile l’adozione delle misure volte ad ottemperare al giudicato, ripristinando la sfera lesa compatibilmente alla attuale situazione organizzativa della società [16]. Intervenuta la tempestiva impugnazione e [continua ..]


5. Il commento.

5.1. Nell’esame della sentenza una prima sollecitazione viene dalla terminologia usata e dalle argomentazioni sostenute. Il Giudice della sentenza in commento muove dal “rapporto” tra le deliberazioni di approvazione del bilancio e di riduzione e contestuale aumento del capitale ai sensi dell’art. 2482-ter c.c., definendolo di “pregiudizialità-dipendenza”, per giungere a dichiarare invalida la seconda deliberazione. Il provvedimento in commento si deve dunque segnalare per due aspetti in contrasto con la natura della deliberazione assembleare e con la disciplina in materia. La sentenza, anzitutto, orienta i termini del problema secondo i canoni della causalità, così giustificando l’estensione della invalidità della delibera c.d. presupposto su quella collegata limitando, di fatto, il giudizio al “rapporto” tra le due deliberazioni. La ricostruzione teorica non è condivisibile in quanto muove dall’idea della coincidenza del collegamento tra negozi con quello tra delibere. In realtà, nelle ipotesi di collegamento analizzate manca uno dei tratti caratterizzanti del collegamento negoziale, ossia il “potere di autodeterminazione” dei privati che decidono di collegare più negozi giuridici al fine della realizzazione di un’operazione economica funzionalmente unitaria. In tema di contratti, trova generalmente applicazione il brocardo simul stabunt, simul cadent, proprio in quanto il rimedio risponde all’esigenza dei contraenti alla rimozione di situazioni giuridiche incompatibili con l’originario programma predisposto, per il venir meno di uno dei negozi collegati. In tali casi, resta salva l’ap­pli­ca­zione dell’art. 1419 c.c. ove risulti che i contraenti avrebbero comunque concluso il contratto nonostante la nullità di uno dei contratti collegati. Non è così nelle ipotesi in esame, in cui manca la predisposizione di un programma decisionale in grado di condizionare l’estensione della invalidità e prevalgono esigenze predeterminate dalla legge (ad esempio, evitare lo scioglimento della società), per le quali si pone un problema di intrinseca conformità alla legge o all’atto costitutivo. Una seconda osservazione che depone in senso contrario alla decisione in esame origina dalla mancata analisi delle ragioni dell’estensione [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2011