Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Brevi note in tema di interpretazione delle clausole di prelazione statutaria (di Andrea Galleano)


La pronuncia in nota si colloca nell’ambito di un diffuso orientamento giurisprudenziale teso ad applicare le clausole di prelazione statutaria in senso restrittivo, talora offrendone un’interpretazione strettamente letterale, talora attraverso una valorizzazione della realtà economica sottesa alle fattispecie esaminate a discapito della titolarità formale delle partecipazioni. Se l’impostazione restrittiva si fonda sul noto principio generale di libera trasferibilità delle azioni, può essere tuttavia messo in dubbio che questo costituisca ancora un elemento essenziale ed imprescindibile della partecipazione azionaria, potendo essere fortemente limitato dall’autonomia statutaria. A fronte dell’ado­zione di modelli statutari “chiusi” non sembra pertanto possibile escludere in via assoluta la possibilità di accedere ad interpretazioni di carattere estensivo delle clausole in esame.

On the interpretation of the pre-emption clause

The judgement shows a widespread jurisprudential tendency to restrictively apply the pre-emption clause through a literal interpretation of the clause or through an interpretation aimed at giving more value to the economic reality underlying the cases examined compared to the formal ownership of the shares. This restrictive approach is based on the general principle of free transferability of the shares, which however may no longer be considered an essential and necessary element of the shareholding, as it can be severely limited by the company articles of association. When a “closed” company model is adopted, a broad interpretation of the clauses in question may therefore be possible.

KEYWORDS: Pre-emption clauses – Interpretation – Change of control.

TRIBUNALE DI ROMA – 9 maggio 2017, ord. – dott. G. Romano   Società – Società per azioni – Circolazione delle azioni – Clausola di prelazione – Mutamento del controllo del socio – Irrilevanza   Le clausole di prelazione statutaria, introducendo un limite al regime legale di libera trasferibilità delle azioni, devono ricevere un’interpretazione tendenzialmente restrittiva. Non può pertanto sorgere il diritto di prelazione a fronte del mutamento del controllo di un socio persona giuridica, non avendo luogo in questa ipotesi alcuna fattispecie traslativa delle partecipazioni sociali. (1)   Company Law – Transfer of shares – Pre-emption clause – Change of control   A pre-emption clause introduces a limit to the free transferability of the shares which is to be restrictively interpreted. Therefore, a pre-emption clause does not apply to the change of control of a shareholder. (1)       PREMESSO CHE – con atto depositato in cancelleria in data 20 febbraio 2017 ai sensi dell’art. 700 c.p.c., la S. S.p.A. ricorreva al Tribunale di Roma, nel contraddittorio con U. logistica e trasporti S.p.A. (di seguito, “U”), Trasporti e spedizioni AB. S.r.l. (di seguito, “AB.”), S.L. S.p.A. (di seguito, “S.L.”), AS. S.r.l. (di seguito “AS.”), F.B. S.r.l. (di seguito “F.B.”), L.T.G. (di seguito “LTG”), AD. S.c a r.l. (di seguito “AD.”), e con i Sig.ri A. e F. al fine di sentire accogliere le seguenti conclusioni: «1. dichiari l’inefficacia nei confronti di S.L., S. e degli altri soci di S.L. del contratto di cessione del­l’intero capitale sociale di U. stipulato tra A. e F. e AB. in data 14 luglio 2016 in violazione della prelazione di cui all’art. 11 dello Statuto di S.L.; 2. inibisca l’esercizio del diritto di voto e dei diritti amministrativi al socio U.; 3. ordini la sospensione/cancellazione di U. dal libro soci di S.L.; 4. ordini la pubblicazione del provvedimento nel registro delle imprese di Roma e nel libro soci di S.L.; 5. inibisca in ogni caso ad AB. di porre in essere ulteriori condotte integranti atti di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598, co. 1, n. 3, c.c.»; – a fondamento della svolta domanda, parte ricorrente rappresentava che: S.L. S.p.A. è una società per azioni operante nel settore del­l’autotrasporto per conto proprio e/o di terzi che rende i propri servizi a favore di Fiat Chrysler Automobiles; la S.L. S.p.A. è partecipata da (a) U., che detiene il 38,01% del capitale sociale, (b) S., titolare del 34,02% del capitale sociale, (c) AS., che detiene il 14% del capitale sociale, (d) F.B., titolare del 7% del capitale sociale, (e) LTG, che detiene il 3,79% del capitale sociale e (f) AD., titolare del 3% [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento - 3. I precedenti giurisprudenziali - 4. La dottrina - 5. Il commento - NOTE


1. Il caso

Con ricorso d’urgenza ai sensi dell’art. 700, c.p.c., alcuni soci della Alfa S.p.A., chiedevano al Tribunale di Roma di dichiarare l’inefficacia verso la società e nei loro confronti della cessione dell’intero capitale sociale di Beta S.p.A., anch’essa socia di Alfa, ad un soggetto terzo. Tale operazione, secondo i ricorrenti, integrava infatti una violazione dell’ampia clausola di prelazione contenuta nello statuto di Alfa, configurando un’ipotesi “indiretta” di trasferimento delle partecipazioni realizzata attraverso il mutamento del controllo del socio. L’art. 11 dello statuto sociale di Alfa disponeva appunto il diritto dei soci ad essere preferiti quali cessionari in ogni ipotesi di trasferimento delle azioni per atto tra vivi, ossia in “tutti i negozi di alienazione, nella più ampia accezione del termine e quindi, oltre alla vendita, a puro titolo esemplificativo, i contratti di permuta, conferimento, dazione in pagamento, trasferimento del mandato fiduciario e donazione”. Ebbene, nella ricostruzione di parte ricorrente, le esigenze sottese ad una siffatta clausola limitativa della circolazione delle azioni, individuate dallo statuto negli “interessi della società alla omogeneità della compagine sociale, alla coesione dei soci ed all’equilibrio dei rapporti tra gli stessi”, dovrebbero riscontrarsi anche nel caso in esame. In particolare, sotto il profilo delle conseguenze, la cessione dell’intero pacchetto azionario del socio ad un soggetto terzo comporterebbe il trasferimento – indiretto ed operante sul piano sostanziale – delle azioni contenute nel “portafoglio” del socio stesso. Gli istanti, in conformità con quanto previsto dallo statuto sociale per il caso di violazione del vincolo prelatizio, domandavano contestualmente l’inibizione a Beta S.p.A. dell’esercizio del diritto di voto e di ogni altro diritto amministrativo connesso alla partecipazione sociale. L’operazione, così come sopra brevemente ricostruita, integrava infine, nell’opinione dei soci ricorrenti, un atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598, 1° comma, n. 3, c.c., nella misura in cui il terzo acquirente dell’intero capitale sociale di Beta era una società concorrente di Alfa nel settore dell’autotrasporto. Il Tribunale, sconfessando detta [continua ..]


2. La normativa di riferimento

La clausola di prelazione è generalmente qualificata come un’ipotesi di prelazione c.d. convenzionale o volontaria [2], figura rispetto alla quale occorre innanzitutto mettere in luce l’assenza nel nostro ordinamento di una disciplina di carattere generale [3]. La legge, come è noto, si limita infatti a stabilire singole ipotesi di prelazione c.d. legali, delle quali si afferma pacificamente il carattere tassativo [4]. La possibilità di includere negli statuti sociali clausole che attribuiscano ai soci un diritto di prelazione è peraltro pacificamente riconosciuta dall’ampia formulazione del­l’art. 2355-bis c.c. – norma applicabile analogicamente alla S.r.l. in virtù del primo comma dell’art. 2469 [5] – che si limita a consentire l’apposizione di particolari condizioni o veri e propri divieti alla trasferibilità delle partecipazioni. Che la clausola di prelazione non integri un divieto ma soltanto una modalità di cessione delle azioni costituisce peraltro un dato pacifico tanto in dottrina quanto in giurisprudenza [6]. Tale affermazione appare poi di tutta evidenza se si considera che, riconoscendosi agli altri soci un mero diritto ad essere preferiti, non risulta eccessivamente leso il diritto del sin­golo di alienare la propria partecipazione sociale [7]. L’unico obbligo in capo al cedente è infatti rappresentato dal portare idoneamente a conoscenza di tutti i soci la volontà di realizzare la cessione con le relative condizioni, adempimento che si configura come presupposto ed al tempo stesso garanzia del­l’e­sercizio del diritto (c.d. denuntiatio). Peraltro, come più volte avvertito in dottrina e riconosciuto in giurisprudenza, il legislatore si è limitato ad ammettere la legittimità di questa specie di previsioni statutarie, non introducendone alcuna regolamentazione legale ad eccezione del limite massimo di cinque anni stabilito per il divieto di cessione [8].


3. I precedenti giurisprudenziali

La decisione in epigrafe rappresenta senza dubbio un’ulteriore manifestazione delle persistenti problematiche interpretative che, nel silenzio della legge, circondano la figura della prelazione statutaria. [9] La natura non meramente teorica di tali questioni è d’altronde confermata dalla moltitudine di pronunce con le quali la giurisprudenza di merito e di legittimità è stata chiamata a confrontarsi con la clausola prelatizia, la cui violazione da parte dei soci si rivela decisamente non infrequente [10]. Innanzitutto, un nodo interpretativo ad oggi ancora parzialmente irrisolto è rappresentato dall’individuazione dell’efficacia del vincolo prelatizio e così dalle conseguenze che alla sua violazione debbono essere ricondotte. In particolare, risulta oggi prevalente l’orientamento che attribuisce alla clausola di prelazione valenza di vera e propria regola organizzativa della società, circostanza da cui si fa generalmente discendere la sua efficacia reale [11]. Tuttavia, se può dirsi largamente condivisa la regola per cui il trasferimento della partecipazione sociale in spregio della prelazione sia improduttivo di effetti, la giurisprudenza si mostra ancora incerta nel riconoscere a detta inefficacia carattere assoluto, con conseguente inopponibilità della cessione sia alla società che ai soci pretermessi, o relativo, con limitazione della regola di inopponibilità alla sola società e tutela esclusivamente risarcitoria in capo ai suoi soci [12]. Risultano invece relativamente pacifiche, da un lato, la validità del negozio di cessione della partecipazione, dall’altro, l’esclu­sione del diritto di riscatto dei soci pretermessi, sussistendo in capo a questi ultimi il solo diritto al risarcimento del danno eventualmente subito a causa della violazione della clausola [13]. L’ordinanza in commento suscita tuttavia maggior interesse per aver affrontato ancora una volta la complessa problematica del­l’ambito di operatività della prelazione statutaria, ma in stretta connessione con il delicato tema della sua interpretazione e sotto il particolare profilo dell’interposizione reale di persona. Da questo punto di vista, la pronuncia si colloca all’interno di una diffusa tendenza manifestata dalla giurisprudenza a sostenere l’illegittimità di letture estensive [continua ..]


4. La dottrina

Anche in dottrina si è avvertita l’esigenza di sopperire in via interpretativa al rigoroso silenzio osservato dal legislatore sulla disciplina applicabile alle clausole di prelazione statutaria, con particolare riferimento alle delicate questioni della loro efficacia e delle conseguenze da ricondursi alla loro non infrequente violazione. L’indagine muo­­ve innanzitutto dalla natura degli interessi sottesi al patto di prelazione, rispetto ai quali, come sottolineato anche dall’ordi­nanza in nota, esso realizza un delicato equi­librio [21]. Come già ricordato, infatti, al­l’interesse del socio ad alienare la propria partecipazione sociale si oppone evidentemente quello degli altri, uti singuli, ad evitare l’ingresso in società di terzi non graditi o a non vedere alterati gli originari rapporti di forza. Tuttavia, secondo l’opinione prevalente, accolta anche in giurisprudenza, sussiste nella clausola di prelazione anche un interesse di natura sociale. Costituisce infatti un punto generalmente condiviso che il patto di prelazione collocato nello statuto assuma uno spiccato carattere sociale, elevandosi da mero accordo parasociale a vera e propria regola organizzativa della società [22]. Pertanto, l’interesse alla conservazione dell’omo­geneità della compagine sociale risulta in questo caso riferibile anche alla società stessa, la quale attraverso la clausola di prelazione ottiene una forte garanzia di stabilità [23]. La principale conseguenza di questa riconosciuta valenza sociale della prelazione statutaria consiste nella quasi unanime affermazione della sua efficacia reale. Peraltro, similmente a quanto si è avuto modo di osservare con riferimento alla giurisprudenza, la portata soggettiva di tale efficacia e la sorte degli atti compiuti in violazione del vincolo prelatizio costituiscono ancora oggetto di acceso dibattito [24]. In ogni caso, anche la dottrina appare relativamente uniforme nel negare ai soci il diritto di riscattare le azioni oggetto di cessione, salvo che tale diritto non sia stato espressamente previsto nella redazione della clausola, sul presupposto che detto rimedio di natura eccezionale debba ritenersi riservato alle sole ipotesi di prelazione c.d. legale che lo prevedano espressamente [25]. Con riferimento al tema dell’interpo­si­zione reale di persona e della [continua ..]


5. Il commento

Si può legittimamente affermare che la decisione del Tribunale romano sia espressione di quel filone giurisprudenziale attento ad evidenziare la natura eccezionale della clausola di prelazione e a negare la possibilità di estenderne analogicamente il campo di applicazione. In particolare, l’approccio in chiave restrittiva si manifesta in questo caso attraverso una precisa scelta nei confronti di un canone ermeneutico di natura strettamente letterale, che conduce il giudice a limitare l’operatività del vincolo prelatizio alle sole fattispecie in cui abbia luogo un vero e proprio trasferimento della titolarità formale delle azioni. Si è tuttavia messo in luce che la stessa impostazione di taglio restrittivo, largamente sostenuta in giurisprudenza e fondata sul menzionato rapporto di regola-eccezione con il principio di libera trasferibilità della partecipazione azionaria, abbia in più occasioni portato, al contrario, a limitare il sorgere del diritto di essere preferiti alle sole ipotesi realmente – i.e. sostanzialmente – traslative. Risulta pertanto agevole apprezzare la singolare circostanza per cui l’interpreta­zione letterale di una clausola statutaria non coincida necessariamente con una sua lettura restrittiva. Ed invero, in relazione al conferimento in società integralmente controllata, il dato letterale costituito dall’avvenuto trasferimento delle azioni viene superato dalla mancanza di un mutamento sostanziale della compagine sociale, negandosi in tal modo l’operatività della prelazione in un’i­potesi senza dubbio inclusa nella lettera della clausola. In tema di prelazione statutaria, pertanto, può dirsi che l’atteggiamento riduzionista osservato dalla giurisprudenza maggioritaria tenda a condurre a decisioni che si distinguono per avere un fondamento fortemente sostanzialistico o spiccatamente formalistico. La differenza sta nella diversa rilevanza riconosciuta alla titolarità formale delle azioni all’esito dell’operazione giuridica che realizza, o non realizza, il trasferimento della partecipazione. Nel tentativo di superare questa discrasia, può essere d’aiuto rilevare che ove la giurisprudenza è giunta a conclusioni di stampo sostanziale lo ha fatto riconoscendo un ruolo decisivo alla dimensione degli interessi sottesi alla clausola di [continua ..]


NOTE