Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Sez. III – Osservatorio sulle società a partecipazione pubblica (di Silvia Vanoni)


It is well known that in Italy exists a great deal of companies which are participated by the State or by some local authorities (such as munici­palities and regions), which very often – but not necessarily – qualify as their controlling shareholders.

Throughout the decades, such companies (hereinafter: “Publicly-Participated Companies”; in short: ”PPCs”) have been the targets of an enormous bulk of ad hoc legislation, mostly aimed at protecting the “special” interests of their “public” shareholders, usually by vesting them with enhanced and/or different rights vis-à-vis those granted to “ordinary” shareholders. Such purpose was very often served by providing for material amendments to company law rules applicable to business organizations entirely owned by “private” entities, including provisions concerning the governance field. More recently, the preoccupation for the condition of domestic finances caused the Italian legislator to pass a series of acts aimed at reducing the costs (and losses) stemming from the participation of public bodies in many of such companies.

Currently, a fair number of PPCs are listed on an Italian regulated financial market, namely Borsa Italiana s.p.a. (the Milan Stock Exchange). This circumstance is the outcome of the massive process of dismissal of the stakes held by the Italian State (and to a lesser extent by other public bodies) in industrial, financial and banking businesses, which has been carried out since the early 1990s. Said listed PPCs have always undergone a legal treatment which partially differs both from the one applied to non-listed PPCs and from the one applied to fully “private” listed companies.

In 2016, the Italian legislator passed the Unified Code on PPCs (hereinafter: the “Code”), with the purpose of reorganizing and simplifying the existing massive body of laws on the topic.

This article focuses on the main features of company law rules governing listed PPCs. In its first paragraphs it illustrates the legal framework existing before the enactment of the Code, including the topic of the move from the “golden shares” to the “golden powers” held by the State in relation to the dismissal of stakes in vital industries for national interests. In the following paragraphs, the article focuses on the legal framework created by the Code. In this connection, the piece of legislation at issue provides for a rather complex definition of a “listed PPC”, which is discussed in depth. The Code also confirms the option for exempting said companies from the application of most of the special rules concerning the organization of PPCs, in light of the need for such listed companies to compete on the financial markets with the other “ordinary” listed firms and of their being subject to the general system of supervision carried out by the Italian financial markets authority (the CONSOB). However, the Author points out that the Code does not repeal some provisions granting special rights to the “public” shareholders, namely those which, by playing a “poison pill” role, make any transfer of control of listed CCPs from “public” to “private” shareholders through ordinary market rules an almost impossible event.

 

SOMMARIO:

1. Introduzione: la rilevanza del fenomeno. - 2. I poteri speciali dello Stato e la disciplina delle società privatizzate. La genesi della disciplina. - 3. (Segue). La disciplina dei poteri speciali. - 4. (Segue). I limiti al possesso azionario. - 5. Disposizioni ante Testo Unico dettate espressamente per le società pubbliche quotate. - 6. Disposizioni ante Testo Unico espressamente non applicabili alle società pubbliche quotate. - 7. Disposizioni ante Testo Unico di applicazione generale a tutte le società pubbliche. - 8. La impostazione del Testo Unico e la definizione di società pubbliche quotate. - 9. La “gestione” delle partecipazioni in società pubbliche quotate. - 10. Regole di governance societaria. - 11. Le misure di agevolazione della quotazione. - 12. Le abrogazioni e una valutazione della disciplina delle società pubbliche quotate. - NOTE


1. Introduzione: la rilevanza del fenomeno.

Prima dell’entrata in vigore del d.lgs.19 agosto 2016, n. 175 attuativo dell’art. 18, legge 7 agosto 2015, n. 124 e come modificato dal d.lgs. 16 giugno 2017, n. 100 [1] (di seguito, anche “Testo Unico” o “t.u.s.p.”), non esiste una definizione precisa ed univoca di società quotata a partecipazione pubblica, benché nel listino del Mercato Telematico Azionario di Borsa Italiana s.p.a. non manchino società tra i cui azionisti si annoverano lo Stato o altri enti pubblici [2]. In generale, la disciplina delle società quotate con soci pubblici si differenzia sotto vari aspetti sia da quella delle società a partecipazione pubblica non quotate, sia da quella delle altre s.p.a. quotate. Parallelamente, non è individuabile un corpo normativo organico riferentesi alle società in esame: volta per volta, disposizioni speciali introducono deroghe alle regole generali (delle società pubbliche e/o delle quotate) per alcune società a partecipazione pubblica con azioni negoziate in un mercato regolamentato, delimitando l’ambito della propria applicazione tramite l’individuazione della specifica fattispecie di società destinataria della disciplina dettata. A quest’ultimo fine, i criteri adottati sono i più vari e non sempre agevolmente intelligibili: talvolta, rileva la mera circostanza della partecipazione pubblica, a prescindere dalla consistenza delle quote detenute (es.: art. 2449, 4° comma, c.c., destinato alle società “diffuse”); talaltra, la disciplina speciale è applicata solo qualora il socio pubblico sia titolare di una partecipazione ritenuta dal legislatore dotata di specifica rilevanza, secondo parametri di valutazione spesso apparentemente estranei al vocabolario societario “comune” (cfr. art. 1, 384° comma, legge n. 266/2005; art. 16-bis, d.l. n. 248/2007); in altri contesti, ancora, l’adozione di una disciplina speciale dipende dal settore in cui opera l’impresa esercitata dalla società partecipata dalla pubblica amministrazione [3]. Inoltre, alcune disposizioni sono indirizzate esclusivamente alle società quotate, mentre altre si rivolgono alla più ampia platea delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, in cui peraltro le quotate, soprattutto nel settore che [continua ..]


2. I poteri speciali dello Stato e la disciplina delle società privatizzate. La genesi della disciplina.

È noto che la quasi totalità delle società quotate a partecipazione pubblica è figlia della stagione della privatizzazione e dismissione delle aziende di enti pubblici territoriali o direttamente di enti pubblici economici innescata dalle leggi sulla privatizzazione formale e sostanziale emanate nella prima metà degli Anni Novanta del secolo scorso, tra cui spicca il d.l. 31 maggio 1994, n. 332, convertito con modifiche dalla legge 30 luglio 1994, n. 474, “Norme per l’accelerazione delle procedure di dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici nelle società per azioni” [4]. Il d.l. n. 332/1994 è stato oggetto di numerosi interventi modificativi. Da ultimo, l’art. 2, d.l. n. 332/1994, che, nell’ottica della dismissione integrale delle partecipazioni possedute dai soci pubblici, attribuiva allo Stato o agli enti pubblici locali poteri speciali su società dagli stessi direttamente o indirettamente controllate al momento della loro costituzione e operanti nei settori della «difesa, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle fonti di energia e degli altri pubblici servizi» (art. 2, 1° comma, d.l. n. 233/1994), dopo ripetuti emendamenti sollecitati dalle censure espresse specialmente in sede comunitaria [5], è stato abrogato e sostituito dal d.l. 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, “Norme in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni” e avente effetto a fare data dalla emanazione della normativa secondaria di attuazione, avvenuta nel corso del 2014 (v. infra, §. 3). La “filosofia” che permea la nuova disciplina concernente i poteri speciali rispetto alle società attive nei citati settori consiste ora nell’attribuire al governo alcuni diritti d’intervento su operazioni di trasferimento di partecipazioni in tali società, di modifica del loro assetto organizzativo, di cessione della loro azienda o parte di essa, a prescindere dalla circostanza che le società interessate siano o meno, originariamente o attualmente, controllate o partecipate da un [continua ..]


3. (Segue). La disciplina dei poteri speciali.

Il d.l. n. 21/2012 disciplina l’esercizio dei poteri speciali del governo, ripartendo i settori imprenditoriali rilevanti in due macro-categorie: difesa e sicurezza nazionale (art. 1); energia, trasporti e comunicazioni, limitatamente alla titolarità/disponibilità degli «attivi strategici» (art. 2). I poteri, esercitabili dal governo in persona del presidente del consiglio dei ministri, su proposta del ministero competente per l’istruttoria (artt. 3 e 6, d.p.r. 19 febbraio 2014, n. 35 e artt. 3 e 6, d.p.r. 25 marzo 2014, n. 86) sono quasi perfettamente coincidenti per entrambe le macro-categorie, mentre i presupposti del loro esercizio differiscono. La normativa di fonte primaria ha acquisito efficacia, comportando l’abro­ga­zione dell’art. 2, d.l. n. 332/1994, con l’adozione di alcuni regolamenti, che hanno, da un lato, specificato le attività e i benidestinatari della tutela e, dall’altro lato, descritto le procedure applicabili per l’esercizio dei poteri speciali [6]. Per le società attive nel settore della difesa e della sicurezza nazionale, i poteri speciali previsti dal d.l. n. 21/2012 operano «in caso di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale» (art. 1, 1° comma, d.l. n. 21/2012). Essi sono: a) l’imposizione di specifiche condizioni relativamente ad alcuni aspetti delle operazioni di acquisto di partecipazioni nelle società «che svolgono attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale» (art. 1, 1° comma, lett.a),l. n. 21/2012) [7]; b) il veto all’adozione di delibere assembleari o dell’organo di gestione concernenti operazioni straordinarie (art. 1, 1° comma, lett.b),l. n. 21/2012) [8]; c) l’opposizione all’acquisto di partecipazioni nelle società attive nei settori strategici individuati da parte di soggetti diversi dallo Stato o enti pubblici italiani o soggetti controllati dagli stessi, qualora all’esito dell’operazione l’acquirente sarà detentore di diritti di voto «in grado di compromettere nel caso specifico gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale»[9](art. 1, 1° comma, lett. c), l. n. 21/2012). Il compimento o il [continua ..]


4. (Segue). I limiti al possesso azionario.

Il d.l. n. 332/1994 (art. 3) attribuisce a tutte le società che operano nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni, dei pubblici servizi, nonché alle imprese bancarie e assicurative, direttamente o indirettamente controllate dallo Stato o da enti pubblici anche territoriali ed economici, la facoltà d’introdurre limiti al possesso azionario per i soci diversi da quelli pubblici e dai soggetti dagli stessi controllati; tale limite non può essere superiore al 5% del capitale solo per le società operanti nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, delle comunicazioni, dell’energia, dei pubblici servizi. La disposizione, oggetto di modifiche nel corso degli anni, non è stata emendata dal d.l. n. 21/2012, ad eccezione di un adeguamento lessicale, alla luce dell’abrogazione dell’art. 2 dello stesso d.l. n. 332/1994, cui l’art. 3 si riferiva. Il superamento del limite al possesso azionario «comporta divieto di esercitare il diritto di voto e comunque i diritti aventi contenuto diverso da quello patrimoniale» (art. 3, 2° comma, d.l. n. 332/1994), esclusivamente per le partecipazioni eccedenti il limite statutario [17]. Deve sottolinearsi che il tetto previsto specificamente per le società privatizzate in esame (5%) legittima all’esercizio individuale dei c.d. diritti delle minoranze di società quotate, ma il legislatore consente che le società adottino una percentuale inferiore, senza imporre soglie minime [18]. Inoltre, nei casi in cui si fissassero tetti di possesso inferiori al 5%, non sussisterebbe per le società alcun obbligo di adeguare i loro statuti, tramite una corrispondente riduzione delle soglie legittimanti l’esercizio dei diritti delle minoranze. Ne risulta, per le società in esame, una “fisiologica” potenziale compressione dei diritti dei soci di minoranza, cioè, di regola, dei soci privati, che appare ingiustificata, anche dando massima rilevanza al carattere “speciale” degli interessi rappresentati dai soci pubblici. La ratio delle limitazioni al possesso azionario è individuabile nell’esigenza di evitare che aziende strategiche finiscano sotto il controllo o, comunque, sotto l’in­fluenza di soggetti, anche [continua ..]


5. Disposizioni ante Testo Unico dettate espressamente per le società pubbliche quotate.

Proseguendo la panoramica della disciplina precedente alla entrata in vigore del Testo Unico, ci si soffermerà ora su varie disposizioni destinate alle società a partecipazione pubblica, che trovano diversa formulazione a seconda che la società sia quotata (o aperta) oppure chiusa. In questi casi, il legislatore ha ritenuto che l’esigenza di competere con altre società per il mercato dei capitali e/o l’interesse ad incoraggiare la diffusione del­l’azionariato tra il pubblico dei risparmiatori – senza peraltro rinunciare ad alcune prerogative del socio pubblico – imponesse di stabilire una disciplina “speciale” non solo rispetto alle s.p.a. quotate in generale, ma anche rispetto alle altre s.p.a. a partecipazione pubblica. a) L’ 2449 c.c.Un esempio di tale impostazione è fornito dall’art. 2449 c.c., novellato dall’art.13, legge 25 febbraio 2008, n. 34 (legge comunitaria 2007) per porre rimedio alle censure mosse al precedente testo dalle autorità europee [20]. La norma è suddivisa ora in quattro commi, di cui solo l’ultimo è espressamente destinato alle società che fanno appello al mercato del capitale di rischio (quindi, categoria più ampia rispetto a quella delle sole s.p.a. quotate). La parte dell’art. 2449 c.c. rivolta alle società chiuse sancisce il principio di proporzionalità tra la quota di partecipazione al capitale sociale detenuta dal socio pubblico e il numero di componenti degli organi sociali che esso ha la facoltà di nominare in forza di una clausola statutaria. Gli interpreti hanno diffusamente evidenziato le ambiguità e le criticità di questa parte della norma [21], ma problemi ancora maggiori si riscontrano nell’analisi del comma dedicato alle società che fanno appello al mercato del capitale di rischio. L’art. 2449, 4° comma, c.c. esordisce richiamando l’applicazione alle società in esame dell’art. 2346, 6° comma, c.c. relativo al diritto di emettere strumenti finanziari diversi da azioni e obbligazioni e stabilisce poi che i diritti amministrativi previsti dallo statuto a favore del socio pubblico possano anche essere rappresentati da una categoria speciale di azioni, le cui caratteristiche e disciplina risultano però sotto vari aspetti [continua ..]


6. Disposizioni ante Testo Unico espressamente non applicabili alle società pubbliche quotate.

Per espressa previsione normativa, prima dell’entrata in vigore del Testo Unico le società “miste” quotate sono esentate dall’applicazione di alcune disposizioni destinate alle altre società a partecipazione pubblica. a)Norme finalizzate al contenimento dei costi.In particolare, le p.a. quotate sono sottratte alle norme finalizzate a contenere le spese nelle società a partecipazione pubblica, tramite la previsione di limiti ai finanziamenti loro erogabili, al numero dei componenti dei loro consigli di amministrazione, ai relativi compensi [31]. In questi casi, l’esclusione delle società quotate è riconducibile al loro assoggettamento alle regole di mercato: da un lato, ciò comporta che esse siano obbligate a competere con le altre società quotate per ottenere le migliori professionalità e che siano meno soggette ai rischi di sperperi che la disciplina citata mira ad evitare; dall’altro lato, prevale la scarsa opportunità di costringere la struttura dei loro organi di gestione in rigidi schemi dimensionali [32]. b)Norme finalizzate alla riduzione del numero delle società pubbliche.In un diverso contesto, le società «emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati» (art. 3, 32°-ter comma, legge n. 244/2007, introdotto dall’art. 71, lett. f), legge n. 69/2009) sono espressamente esentate dall’applicazione di una precedente disposizione, che vieta di costituire – e di mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in – società che non abbiano «per oggetto attività di produzione di beni o servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle (...) finalità istituzionali» delle amministrazioni, facendo salva, al contempo, la costituzione o l’as­sun­zione di partecipazioni in società che «producono servizi d’interesse generale» (…) «nel­l’ambito dei rispettivi livelli di competenza» (art. 3, 27° comma, legge n. 244/2007, come modificato dall’art. 18, 4°-octies comma, legge n. 185/2008 e dal­l’art. 71, 1° comma, lett. b), legge n. 69/2009). La precisazione appare opportuna, in quanto, in considerazione dell’ampiezza della fattispecie e dell’assenza di qualunque [continua ..]


7. Disposizioni ante Testo Unico di applicazione generale a tutte le società pubbliche.

Si ricordano infine alcune isolate norme che, contrariamente alle disposizioni esaminate finora, si applicano indifferentemente a tutte le società a partecipazione pubblica, incluse le quotate. a)La causa d’ineleggibilitàex  1, 734° comma, legge n. 296/2006. L’art. 1, 734° comma, legge n. 296/2006 introduce una causa d’ineleggibilità alla carica di amministratori di società a totale o parziale capitale pubblico, a carico di chi, «avendo ricoperto nei cinque anni precedenti incarichi analoghi, abbia chiuso in perdita tre esercizi consecutivi». Si tratta di un requisito speciale di professionalità, diretto a «disincentivare le cattive gestioni delle società pubbliche» (presidenza del consiglio dei ministri, circolare 13 luglio 2007), che si aggiunge a quelli previsti, anche per relationem, dagli artt. 147-ter t.u.f. e dagli artt. 2382 e 2387 c.c. [34]. In considerazione del dettato normativo, la partecipazione pubblica “parziale” include quella del socio di minoranza. A fronte di un testo normativo scarsamente intellegibile [35], il legislatore ha operato un successivo intervento a scopo interpretativo (art. 3, 32°-bis comma, legge n. 244/2007, introdotto dall’art. 71, lett. f), legge n. 69/2009), che ha però sortito l’effetto opposto di accrescere l’incertezza. La norma del 2009 specifica che la causa d’ineleggibilità di cui si tratta si applica al soggetto che, nell’ente – pubblico o privato – in cui ha ricoperto incarichi di amministratore, «abbia registrato, per tre esercizi consecutivi, un progressivo peggioramento dei conti per ragioni riferibili a non necessitate scelte gestionali». Posto che la circostanza menzionata può verificarsi anche quando la società non abbia subito le perdite contemplate nella disposizione del 2006, la successiva “precisazione” risulta coerente con il sistema solo se si legge nel senso di disporre che la chiusura in perdita di tre esercizi consecutivi prevista dal 734° comma debba realizzare contemporaneamente il progressivo peggioramento dei conti contemplato dal 32°-bis comma. Ne deriva che l’interpreta­zione autentica del 734° comma restringe sensibilmente l’ambito di applicazione della norma originaria, evitando [continua ..]


8. La impostazione del Testo Unico e la definizione di società pubbliche quotate.

È ora possibile considerare l’impatto che esercita la disciplina disegnata dal Testo Unico sul quadro normativo tracciato. Quale premessa, si precisa che, sul piano metodologico, il riordino normativo operato consente di adottare un criterio espositivo tematico, muovendo dall’esame del contesto in cui sono collocate le società quotate in questione. Tra i principi fissati dalla legge delega 7 agosto 2015, n. 124, vi è la distinzione tra vari «tipi» [42] di società, in relazione tra l’altro alla quotazione in borsa delle azioni o altri strumenti finanziari dalle stesse emessi. La medesima disposizione stabilisce inoltre che la disciplina sia differenziata in ragione del “tipo” societario considerato, enunciando specificatamente il «principio di proporzionalità delle deroghe rispetto alla disciplina privatistica» (art. 18, 1° comma, lett. a), legge n. 124/2015). Di conseguenza, in ossequio alle direttive della legge delega, il Testo Unico prende espressamente in considerazione la fattispecie delle società pubbliche quotate e delinea la disciplina loro riservata. L’impostazione di fondo consiste nel distinguere le società quotate rispetto alle altre società pubbliche, escludendo le prime dall’applicazione della disciplina societaria speciale prevista per le seconde dal Testo Unico stesso e limitando l’area d’intervento essenzialmente alle norme che si occupano delle modalità con cui le pubbliche amministrazioni gestiscono le partecipazioni societarie dalle stesse detenute, incluso l’accesso alla quotazione. Inoltre, tramite abrogazioni espresse o implicite, sono eliminate alcune delle disposizioni precedentemente esaminate che attengono alla struttura proprietaria e alla organizzazione della società, ma, come si vedrà nel prosieguo, l’operazione di riconduzione al diritto comune della disciplina delle società pubbliche quotate non è integrale. Il Testo Unico fornisce innanzitutto la definizione delle «società quotate» cui si rivolge (art. 2, 1° comma, lett. p), t.u.s.p.). L’attuale testo è il risultato dell’inter­ven­to correttivo del 2017, che ha semplificato la definizione (art. 4, lett. d), d.lgs. n. 100/2017), modificando contemporaneamente l’art. 1, 5° [continua ..]


9. La “gestione” delle partecipazioni in società pubbliche quotate.

L’art. 8, 3° comma, t.u.s.p. si occupa dell’acquisto da parte di una pubblica amministrazione di azioni – e non di altri strumenti finanziari – di una società quotata già esistente e dispone l’applicazione del procedimento esposto nei due commi precedenti della stessa norma e rivolto più estensivamente a tutte le «partecipazioni» [56]. A sua volta, l’art. 8, 1° comma, t.u.s.p. rinvia al procedimento stabilito dall’art. 7, 1° e 2° comma, t.u.s.p., che disciplina le modalità di assunzione della decisione di costituire una società a partecipazione pubblica, stabilendo l’organo competente per ciascuna pubblica amministrazione [57]. Per quanto riguarda i requisiti della relativa delibera, riveste particolare importanza la motivazione, che consente di verificare la conformità della decisione dell’ente pubblico rispetto al perseguimento delle finalità stabilite dalla legge (art. 5, 1° comma, t.u.s.p., richiamato dall’art. 7, 2° comma, t.u.s.p.). Si pone peraltro un ulteriore problema interpretativo, consistente nel fatto che l’art. 5, 1° comma, t.u.s.p. richiama «il perseguimento delle finalità istituzionali di cui all’art. 4», mentre il citato art. 4 t.u.s.p. omette di prevedere espressamente la propria applicazione alle società quotate (e alle loro partecipate) [58]. Al tempo stesso, l’art. 4, 9° comma, t.u.s.p. menziona lo scopo di agevolare la quotazione per consentire la disapplicazione, per singole società, delle disposizioni restrittive contemplate nei commi precedenti della medesima norma, che precisano le attività esercitabili tramite l’acquisto e la detenzione di partecipazioni pubbliche. Di fronte a tali apparenti contraddizioni, una soluzione è rinvenibile nel medesimo art. 4, 9° comma, t.u.s.p., che menziona gli «interessi pubblici» e le «finalità di cui al comma 1». Tale elemento suggerisce che anche l’acquisto di partecipazioni in società quotate debba rispondere agli interessi indicati dall’art. 4, 1° comma, t.u.s.p. Il vincolo vale peraltro solo per il futuro, posto che l’art. 26, 3° comma, t.u.s.p. consente alle amministrazioni pubbliche di conservare tutte le partecipazioni in [continua ..]


10. Regole di governance societaria.

Sul piano della governance, il Testo Unico affronta, sempre su impulso della legge delega (art. 18, 1° comma, lett. c), legge n. 124/2015), l’annoso tema della responsabilità degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate e stabilisce l’applicazione della disciplina societaria, con l’eccezione delle società in-house, per cui è prevista la giurisdizione della Corte dei Conti, chiamata a decidere della sussistenza del danno erariale (art. 12 t.u.s.p.). La disposizione in commento utilizza la locuzione «società partecipate», che, come già visto (cfr. supra, § 8), non si rinviene tra le definizioni fornite dall’art. 2, il quale invece definisce la «società a partecipazione pubblica». Il ricorso ad una diversa locuzione, in questo caso, non sembrerebbe casuale, in quanto troverebbe spiegazione nel fatto che la definizione del Testo Unico include le società anche indirettamente partecipate – tramite altre società controllate – da una pubblica amministrazione, mentre nella fattispecie in esame l’azione di responsabilità potrebbe essere promossa solo dall’ente pubblico che partecipasse direttamente nella società cui appartengono gli organi oggetto della iniziativa giudiziaria. Parimenti, il controllo rilevante non potrebbe che esercitarsi tramite detenzione diretta di partecipazioni. È in ogni caso incerto il ruolo che, nel contesto in esame, avrebbero gli strumenti finanziari con diritto di voto diversi dalle azioni. Nonostante non vi sia alcuna menzione espressa delle società quotate, sarebbe illogico escluderle dall’ambito di efficacia dell’art. 12 in esame, lasciando in vita il molto problematico art. 16-bis, d.l. n. 248/2007 (cfr. supra, § 5), che va quindi ritenuto implicitamente abrogato ai sensi dell’art. 15 preleggi (richiamato anche dall’art. 16, 2° comma, lett. d), legge n. 124/2015) [63]. Le società quotate sono invece espressamente escluse dalla operatività del divieto di effettuare alcuni interventi anti-crisi, consistenti in finanziamenti straordinari, aventi qualunque forma tecnica – aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito, concessioni di garanzie – a favore di società partecipate [continua ..]


11. Le misure di agevolazione della quotazione.

Il Testo Unico contiene alcune disposizioni finalizzate ad agevolare ed incoraggiare la quotazione delle società a partecipazione pubblica. Prima di esaminare tali norme, è opportuno precisare che la quotazione non implicherebbe automaticamente la perdita né del controllo né della titolarità della partecipazione del socio pubblico, potendo semplicemente provocare un effetto di “alleggerimento” del peso di quest’ultimo nella società. Al tempo stesso, l’accesso alla quotazione spesso comporterà per la società a partecipazione pubblica interessata una riqualificazione dal punto di vista delle diverse tipologie societarie previste dal Testo Unico, con la conseguente transizione alla disciplina riservata alle società previste dall’art. 1, 5° comma, t.u.s.p. Come regola generale, l’art. 18, 1° e 2° comma, t.u.s.p. richiama la facoltà per le società a controllo pubblico di quotare nei mercati regolamentati le proprie «azioni o altri strumenti finanziari». Non è impiegato il termine «partecipazione», definito dal­l’art. 2, 1° comma, lett. f), t.u.s.p. ed è legittimo chiedersi se l’espres­sione «stru­menti finanziari» abbia in questo contesto una valenza davvero generale, comprendendo, ad esempio, anche quelli che attribuiscono esclusivamente diritti patrimoniali. Vi sono però espliciti richiami alle norme rivolte alla gestione delle “partecipazioni”, la cui nozione include solo gli strumenti finanziari dotati dei diritti amministrativi sopra ricordati e la cui ratio si attaglia a tali strumenti prettamente “proprietari”, sicché pare più coerente circoscrivere la disciplina in esame alla quotazione dei predetti titoli di cui al citato art. 2, 1° comma, lett. f), t.u.s.p. [65]. Ciò chiarito, la quotazione avviene a seguito di delibera da assumersi in conformità agli artt. 5, 1° comma, e 7, 1° comma, t.u.s.p. (cfr. supra, § 9), che deve illu­strare il programma della pubblica amministrazione interessata, ossia se que­st’ul­tima abbia intenzione di mantenere o dismettere il controllo sulla società [66]. Nulla è espressamente disposto rispetto alle modalità di [continua ..]


12. Le abrogazioni e una valutazione della disciplina delle società pubbliche quotate.

La disciplina delle società a partecipazione pubblica è completata dalle abrogazioni espresse elencate nell’art. 28 t.u.s.p., che ha ad oggetto molte delle norme menzionate nell’esporre la disciplina previgente, ora sostituite dalle disposizioni del Testo Unico. Al contempo, come anticipato, il Testo Unico non interviene sulle norme societarie codicistiche, cui rinvia globalmente (art. 1, 3° comma, t.u.s.p.) e che, in alcuni casi, richiama specificamente (art. 9, 7° comma, t.u.s.p. rispetto all’art. 2449 c.c.). Pertanto, le società quotate a partecipazione pubblica continuano ad essere assoggettate all’art. 2449, 4° comma, c.c. e all’art. 2497 c.c., integrato dall’art. 19, 6° comma, d.l. n. 78/2009 (cfr. supra, §§ 5 e 7). Tra le norme extra-codicistiche, non sono espressamente abrogate né la disposizione “anti-scalata” di cui all’art. 1, 384° comma, legge n. 266/2005, né la causa speciale d’ineleggibilità prevista dall’art. 1, 734° comma, legge n. 296/2006. È invece richiamata l’applicazione del d.l. n. 21/2012 (art. 9, 10° comma, t.u.s.p.). Inoltre, il rinvio alla «disciplina speciale in materia di alienazione delle partecipazioni dello Stato» (art. 10, 4° comma, t.u.s.p.) comporta la salvezza del d.l. n. 332/1994, nelle parti che non sono state sostitute dal d.l. n. 21/2012, tra cui l’art. 3 (cfr. supra, § 4). Posto il rapporto di alternatività funzionale tra l’art. 3, d.l. n. 332/1994 e l’art. 1, 384° comma, legge n. 266/2005, anche quest’ultima norma deve pertanto ritenersi tuttora operativa [71]. Quanto alla causa d’ineleggibilità prevista dall’art. 1, 734° comma, legge n. 296/2006, non pare in conflitto con l’art. 11 t.u.s.p., in quanto quest’ultimo, se interpretato in base al criterio generale di cui all’art. 1, 5° comma, t.u.s.p., non è applicabile alle società quotate. Al tempo stesso, trattandosi di norma speciale, il 734° comma potrebbe essere considerato implicitamente abrogato in forza del principio secondo cui oltre al Testo Unico si manterrebbero solo le «norme generali di diritto privato» e non quelle speciali (cfr. supra, § [continua ..]


NOTE