Rivista di Diritto SocietarioISSN 1972-9243 / EISSN 2421-7166
G. Giappichelli Editore

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Le modificazioni dello statuto riguardanti i diritti di voto e di partecipazione quali cause legittimanti il diritto di recesso (di Marco Mercuri)


CASSAZIONE CIVILE, I Sezione, 1 giugno 2017, n. 13875 – Giancola, Presidente – Di Marzio, Relatore – P.M. – De Augustinis – M.E. e altri (avv. Gobbi, Franchina) c. Me.Fi. S.p.A. (avv. Berti)   Rigetta, CORTE D’APPELLO BRESCIA, 18 settembre 2014   Società – Di capitali – Società per azioni (nozione, caratteri, distinzioni) – Costituzione – Modi di formazione del capitale – Limite legale – Modificazioni dell’atto costitutivo – Contenuto delle modificazioni – Recesso del socio dissenziente – Rimborso delle azioni società di capitali – Delibera che ha mutato il “quorum” per le assemblee straordinarie – Facoltà di recesso del socio ex art. 2437 lett. g), c.c. – Esclusione – Fondamento   (Art. 2437 lett. g), c.c.)   In tema di recesso dalle società di capitali, la delibera assembleare che muti il “quorum” per le assemblee straordinarie, riconducendolo a previsione legale, non giustifica il diritto del socio al recesso ex art. 2437, lett. g), c.c., perché l’interesse della società alla conservazione del capitale sociale prevale sull’eventuale pregiudizio di fatto subito dal socio, che non vede inciso, né direttamente né indirettamente, il suo diritto di partecipazione agli utili ed il suo diritto di voto a causa del mutamento del “quorum”. (1)       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO   1 – M.E., G.I. e G.G. hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Bergamo Metal Finish S.p.A. chiedendo dichiararsi la legittimità del proprio recesso dalla società come conseguenza della Delib. 17 dicembre 2007, con cui la società aveva adottato un nuovo statuto che, in difformità dal passato, prevedeva per l’as­semblea ordinaria e straordinaria quorum deliberativi conformi alla previsione degliartt. 2368 e 2369 c.c., mentre era in precedenza previsto che sia in prima che in seconda convocazione l’as­semblea ordinaria e straordinaria deliberassero rispettivamente con la maggioranza del capitale e con quella dei due terzi. 2 – Nel contraddittorio con la società, che ha resistito alla domanda, il Tribunale adito l’ha accolta. 3 – Con sentenza del 30 settembre 2014 la Corte d’appello di Brescia ha accolto l’impu­gnazione proposta da Metal Finish S.p.A., rigettando l’appello incidentale delle originarie attrici nonché le domande da queste ultime inizialmente spiegate, e regolando le spese di lite. A fondamento della decisione la Corte territoriale ha posto una duplice ratio decidendi osservando: -) che nelle società per azioni l’esercizio del diritto di recesso produce un depauperamento del capitale [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La normativa di riferimento del recesso: funzione, efficacia e aspetti critici secondo gli orientamenti dottrinari e giurisprudenziali - 3. Segue. Art. 2437, lett. g): diritti di partecipazione e diritti di voto - 4. Segue. Modifiche dirette e indirette - 5. Il commento - NOTE


1. Il caso

La controversia su cui si è pronunciata la sentenza in commento ha ad oggetto l’azio­ne esperita da alcuni soci di una S.p.a. al fine di far accertare la legittimità del recesso dalla società, esercitato, ex art. 2437, 1° comma, lett. g), c.c., a seguito di una deliberazione con cui la società stessa aveva modificato lo statuto sociale prevedendo per l’assemblea ordinaria e straordinaria quo­rum conformi a quanto previsto dagli artt. 2368 e 2369 c.c. mentre era in precedenza previsto che sia in prima che in seconda convocazione l’assemblea ordinaria e straordinaria deliberassero rispettivamente con la maggioranza del capitale e con quella dei due terzi. Riformando la sentenza resa in primo grado, la Corte d’Appello di Brescia, accoglie l’impugnazione proposta dalla società avverso la sentenza del Tribunale, concludendo per la illegittimità del recesso esercitato da parte attorea, sulla base di due ragionamenti: per prima cosa la Corte sostiene che l’art. 2437, 1° comma, lett. g), c.c. debba essere interpretato restrittivamente, in quanto l’esercizio del diritto di recesso costituisce un’eccezione al principio generale di obbligatorietà per tutti i soci delle deliberazioni assembleari e in seconda istan­za comporta un depauperamento del capitale sociale, anche a danno, dei creditori sociali. I giudici di legittimità, confermando le conclusioni della Corte d’Appello, rigettano il ricorso, estromettendo la sussistenza del diritto di recesso nel caso di modifica dei quorum assembleari, ma discostandosi, tuttavia, dalle motivazioni dei giudici di secondo grado. La Corte, in particolare, pur condividendo la tesi che interpreta restrittivamente l’art. 2437, 1° comma, lett. g), c.c. critica le argomentazioni esposte dalla Corte di merito, come in appresso si cercherà di evidenziare, sottolineando come l’esercizio del diritto di recesso non comporti sempre un depauperamento del capitale sociale. La Corte, quin­di, si accentra sulla questione specifica posta alla sua attenzione e, in particolare, sul significato da attribuire all’espressione “modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione” di cui all’art. 2437, 1° comma, lett. g), c.c. In una tale ottica si cercherà di analizzare ed [continua ..]


2. La normativa di riferimento del recesso: funzione, efficacia e aspetti critici secondo gli orientamenti dottrinari e giurisprudenziali

Il recesso è quel negozio giuridico unilaterale e recettizio, avviato dal socio ed avente la finalità di sciogliere il singolo rapporto sociale inerente al socio stesso verso la società. Rappresenta una forma di tutela della minoranza [1] nei confronti delle decisioni più significative deliberate dalla compagine maggioritaria [2]. Lo spunto trae la circostanza dall’assunto per cui il principio maggioritario che governa le società non è assoluto bensì si connota di un duplice limite: l’interesse sociale e la parità di trattamento. Prima della riforma del diritto societario, il legislatore guardava al recesso con sfavore, ritenendolo un possibile disincentivo al­l’adeguamento degli assetti organizzativi societari, e lo aveva perciò confinato in un ambito di assai ristretta applicazione, quale posizione di compromesso tra le esigenze corporative e gli interessi individuali dei so­ci [3]. La marginalità dell’istituto era poi confermata dalla scarsa utilizzazione pratica che aveva ricevuto e dalla mancanza di un particolare interesse da parte della dottrina [4]. Riformato l’art. 2437 c.c., la ratio legislativa sembra ispirarsi ad una finalità, in un certo qual modo, contraria dimostrata dal­l’ampliamento delle cause di recesso, realizzata sia attraverso una maggiore previsione normativa delle stesse, sia attraverso la facoltà riconosciuta all’autonomia statutaria di individuarne ulteriori [5]. Il tutto, come è stato osservato, nel quadro di una concezione del recesso come estremo, ma efficace strumento di tutela del socio avverso cambiamenti sostanziali dell’operazione cui partecipa [6]. Nel mutato contesto, la riforma ha previsto tre categorie di cause di recesso nel profilo di una S.p.a.: le cause legali inderogabili [7], legali derogabili [8] e statutarie [9]. Ad avviso della dottrina [10], la possibilità di introdurre ulteriori e diverse cause di recesso nelle sole società che non fanno appello al mercato del capitale di rischio si giustificherebbe in quanto il «recesso, come strumento alternativo al trasferimento delle azioni, deve essere più eccezionale in quelle società aperte nelle quali è inderogabile e pieno il diritto alla libera trasferibilità». La suddetta riforma ha anche [continua ..]


3. Segue. Art. 2437, lett. g): diritti di partecipazione e diritti di voto

La causa inderogabile di recesso particolare prevista dall’art. 2437, lett. g), c.c., disposizione che per la sua vaghezza ha indotto alcuni autori [30] a discorrere di rischio correlato ad una interpretazione troppo estensiva di detta norma, presenta una indubbia valenza di riferimento alle azioni speciali di categoria [31], per le quali l’auto­nomia statutaria è significativamente più ampia [32]. La norma è ritenuta applicabile anche alle ipotesi di modifica dei diritti spettanti ai possessori delle azioni ordinarie, sia pure nei limiti in cui gli stessi risultino disponibili. Il punto nodale della questione era e resta la corretta definizione e portata dei “diritti di partecipazione” che secondo una prospettiva [33], attesane l’opposizione letterale della congiunzione “o” al diritto di voto, riguarda, esclusivamente, i diritti patrimoniali; contrapposta tesi richiama una interpretazione estensiva [34] per la quale vengono ricompresi in termini più generali anche i diritti amministrativi. Secondo parte della dottrina, che arriva a concordare con la teoria estensiva, la scelta sulla tipologia di interpretazione da seguire dovrebbe partire da una base non discriminativa tra diritti patrimoniali e amministrativi che seguendo la teoria restrittiva sarebbe tale da escludere dalla tutela tutti i diritti amministrativi diversi da quello di voto: si pensi al diritto di chiedere la convocazione dell’assemblea, a quello delle impugnazioni delle deliberazioni invalide, dal diritto di denuncia all’or­gano di controllo per arrivare al diritto di consultazione del progetto di bilancio e libri sociali [35]. Il tutto fino al limite rappresentato dal mero pregiudizio di fatto [36] al quale non può essere fornita una tutela così rilevante come quella rappresentata dal recesso né tantomeno alternative azioni di tutela se non negli strettissimi limiti del c.d. “abuso della maggioranza” [37]. Dello stesso avviso si colloca una massima notarile di Roma [38] per la quale “la fattispecie prevista dall’art. 2437, 1° comma, lett. g), c.c., deve intendersi integrata non solo quando le modifiche deliberate attengano ai c.d. diritti patrimoniali del socio (diritto agli utili, alla quota di liquidazione, al diritto di opzione, allo stesso recesso), ma anche ai c.d. [continua ..]


4. Segue. Modifiche dirette e indirette

Quanto sin qui esposto non esaurisce l’analisi relativa all’art. 2437, 1° comma, lett. g), c.c.: si discute altresì se la norma quando discorre di modifica dello statuto concernente i diritti di voto o partecipazioni voglia fare riferimento alle sole modifiche dirette oppure includervi anche quelle indirette o di fatto. A seguire la tesi “estensiva” qualunque modifica, anche indiretta, dei diritti amministrativi e patrimoniali spettanti ai soci dà luogo a recesso ai sensi dell’art. 2437, 1° comma, lett. g), c.c. [43]. Sul lato opposto merita considerazione la tesi restrittiva per la quale solo le modifiche dirette (e non anche quelle indirette e/o di fatto), che incidono sia qualitativamente che quantitativamente sui diritti amministrativi e patrimoniali spettanti ai soci, danno luogo all’applicazione del diritto di recesso [44]: si considerano modifiche indirette e pertanto non danno luogo a recesso le modifiche statutarie che innalzano i quorum assembleari richiesti per l’adozione di talune deliberazioni nonché quelle che comportano una variazione di aliquote di partecipazione per l’esercizio di alcuni diritti di “voice” (come la percentuale di capitale necessaria per la presentazione di liste di candidati per l’ele­zione delle cariche sociali) [45]. Per la soluzione maggiormente restrittiva, quella che si potrebbe ricavare dalla lettera della legge e che trova fondamento sulle conseguenze patrimoniali potenzialmente negative per la società, solo le modifiche dirette (e non anche quelle indirette e/o di fatto), che incidono sia qualitativamente che quantitativamente sul diritto di voto (e non anche sugli altri diritti amministrativi quali ad esempio il diritto di richiedere la convocazione della assemblea, il diritto di impugnazione delle delibere, il diritto di denuncia al collegio sindacale) e sui diritti patrimoniali (per i quali la legge usa la locuzione “diritti di partecipazione”: si tratterebbe della partecipazione ai risultati economici della attività sociale) spettanti ai soci danno luogo a recesso [46]. Secondo il Tribunale di Roma [47] optare per la tesi “estensiva” [48] (ogni modifica, anche “indiretta”, dei diritti patrimoniali e amministrativi attribuisce il diritto di recedere) comporterebbe la conseguenza che il [continua ..]


5. Il commento

Riprendendo, a questo punto quanto anticipato nell’introduzione, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 13875 del 2017 qui analizzata, confermando le conclusioni della Corte d’Appello, rigetta il ricorso, impedendo, dunque, la nascita del diritto di recesso nel caso di modifica dei quorum assembleari, ma, tuttavia, devia la portata sostanziale delle motivazioni dei giudici della Corte d’Appello. In particolare, La Suprema Corte pur interpretando restrittivamente l’art. 2437, 1° comma, lett. g), c.c., riferendosi solo alle modifiche che incidano direttamente sui diritti del socio, si discosta dalle argomentazioni esposte dai Giudici di merito e sottolinea come l’esercizio del diritto di recesso non comporti sempre un depauperamento del capitale sociale, ma solamente nell’ipotesi in cui le azioni non siano state acquistate dagli altri soci in opzione, o da terzi o dalla stessa società come azioni proprie, con l’ulteriore specificazione che solo in assenza di utili e riserve disponibili per l’acquisto delle azioni può procedersi alla riduzione del capitale o allo scioglimento della società. La Sentenza, quindi, si muove sulla questione specifica posta alla sua attenzione e, in particolare, sul significato da attribuire all’espressione “modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione” di cui all’art. 2437, 1° comma, lett. g), c.c., definendo le prime come le modifiche che incidono direttamente sui diritti statutariamente attribuiti a ciascuna azione, come, ad esempio, quelle che trasformano azioni senza diritto di voto in azioni con diritto di voto, o che modificano l’ambito degli argomenti riguardo ai quali il diritto di voto può essere esercitato, e le seconde, invece, come quelle che incidono sui diritti di partecipazione agli utili, sottolineando la necessità di adottare un’interpretazione restrittiva delle predette fattispecie. Una lettura elastica della disposizione, infatti, non sarebbe oggi più giustificata, da un lato, per la esplicita previsione legislativa della facoltà per le società chiuse di prevedere ulteriori fattispecie statutarie di recesso, e, dall’altro, per esigenze di certezza, che sarebbero pregiudicate qualora le modificazioni da cui derivi il diritto di recedere siano estese a un numero indeterminato di fattispecie. Inoltre, [continua ..]


NOTE